Nel bellissimo saggio Tra le ceneri di questo pianeta del filosofo e scrittore americano Eugene Thacker ci si chiede, in prima battuta, come interpretare o dare senso al mondo, quando il mondo in quanto tale si manifesta in modo cataclismatico, sotto forma di disastro? La risposta non è da affidarsi, secondo l’autore, ad un semplice e autoreferenziale esistenzialismo: non basta più, probabilmente, interrogarci sul nostro ruolo come esseri umani, in una società in cui tanto (o troppo) del Male è fuori dalla nostra portata e controllo, ma bisogna fare lo sforzo di trovare più lenti interpretative per uscirne.
Nella mitologia greca, ad esempio, potevano convivere più interrogativi sul ruolo umano nel mondo grazie all’idea di un mondo ambiguo, sotto la nostra volontà quanto oggetto di quella capricciosa (e spesso quasi immorale) degli Dèi. Anche qui, una sola interpretazione non basta, e bisognerà forse ricorrere alla parallasse teorizzata da Zizek, secondo cui la polarizzazione tra concetti contrapposti è stata definitivamente banalizzata e sarebbe preferibile, a quel punto, ricorrere a concetti più raffinati come la non-coincidenza dell’Uno con se stesso o, se preferite, l’accettazione di una tensione interna da dover pazientemente (o addirittura umilmente) gestire.
Nella teologia medievale, scrive ancora Thacker, entrò in gioco il concetto di salvezza, grazie ad una nutrita letteratura apocalittica che – fino a qualche anno – fa era oggetto di speculazioni specialistiche, e oggi si prende il lusso di sembrare realistica e di spaventarci. Anche in questo caso non ci basta appellarci a quelle idee, tanto più che il fideismo dilagante in qualsiasi ambito rende quei libri quasi spaventosi, a cominciare dal pluri-citato Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam. Tanti contemporanei, a questo punto, hanno cercato una risposta soddisfacente nella razionalità pura, barlume che è stato un must per ammorbidire l’esplosione del fanatismo religioso dei primi Duemila – quanto, anch’esso, demolito alla prova dei fatti dal dilagare di post verità e credenze personali elevate irrazionalmente a religione. Credere “solo” nella scienza è, ormai, sulla strada del riduzionismo: non è una scappatoia rassicurante, tantomeno un bunker in cui trovare rifugio – è spesso, piaccia o meno, solo un modo per diventare bersagli di ulteriori critiche.
Quelle stesse critiche feroci che ci fanno temere di dire la nostra sui social e che possono diventare, senza che nemmeno ce ne accorgiamo, autentica Tecnofobia. Quando il mondo non-umano si manifesta ci si manifesta in modi ambivalenti, la nostra reazione consisterebbe, il più delle volte, nel recuperare quel mondo non-umano. Recuperarlo nel senso di dargli spazio, accettandolo, evitando di negarlo grottescamente e raffrontandoci con lui – ammesso che si voglia per forza di cose umanizzarlo, come gli alieni dei b-movie indistinguibili da quelli delle teorie del complotto sugli UFO – senza isterìe. Parola sottovalutatissima nel contesto della modernità, frutto di una serie di fraintendimenti a catena (ancora una volta) e collocata nella dimensione di cui parlava Lacan, in cui l’isteria fa parte di un meccanismo di conservazione del proprio essere, minacciato da guerre, pandemie, obblighi fino a poco prima impensabili, lockdown o fallout: il soggetto – scrive lo psicoanalista e filosofo francese nel Seminario XI – per il quale è difficile stabilire con la costituzione dell’Altro in quanto grande Altro, portatore del segno parlato, una relazione che gli permetta di preservare il suo posto di soggetto.
Il cinico potrebbe essere, a questo punto, espressione di una quota considerevole di individui frettolosamente etichettati come anarchici, freak, antisociali, disfunzionali o affetti da forme anche vaghe di analfabetismo funzionale. Ma nei tempi di grande sconvolgimento che viviamo, addirittura “profetizzati “da parte dei film che amiamo – da Combat Shock a Zombi, passando per la sessuofobia di Repulsion, le psicosi represse di Possession e le manipolazioni di massa de Il massacro della Guyana – c’è da darne una definizione che possa aiutarci a capire rifuggendo logiche binarie, clickbait o da bar con cui ci affrettiamo, troppo spesso, a dividere il mondo.
Se una prima definizione di cinismo impone di pensare alla desueta (forse…) scuola filosofica omonima, una più calzante e incisiva è proposta dalla Treccani: impudente ostentazione di disprezzo verso le convenienze e le leggi morali, e verso tutto ciò che è nobile e ideale. La logica del cinico medio, del resto, la possiamo vedere sfavillante e splendente nel suo anti-umanesimo sui social, sui quali le battute “di cattivo gusto” su malati terminali, disagio, guerre e via dicendo imperano, venendo condivise con la stessa facilità con cui sono poi biasimate, segnalate o represse.
Il cinico oggi può andare in TV e proporre pubblicamente format reazionari, in cui basta che esista il dualismo bianco / nero per far sentire a posto la coscienza dei produttori, ed in cui – soprattutto – la post verità dilaga e l’opinione di un musicista sulla pandemia conta quanto quella di un virologo sulla guerra. Sia mai, una volta tanto, che chiamino un esperto di sicurezza informatica sulla sicurezza informatica: il cinico gioca sui contrasti e i paradossi della modernità, e li cavalca goffamente, sentendosi spesso come uno dei quattro Cavalieri dell’Apocalisse sul rispettivo destriero.
Erano tempi molto diversi da quelli che viviamo quando, su Rai Tre – in barba ai soliti reazionari vuotamente scandalizzati dalla panza e dalle scoregge – fece la propria comparsa Cinico TV, autentica satira televisiva targata 1992 – prima che il genere fosse depradato di senso da certi stand up comedian basati su tormentoni puerili. Mediante un bianco e nero intenso e glaciale, i due registi Ciprì e Maresco proponevano surreali interviste a folli ed alienatissimi personaggi della Sicilia più degradata, quasi sempre inquadrati a mezzo busto. Personaggi tutt’altro che colti e non esattamente con un fisico da modelli di Instagram, che all’epoca neanche esisteva e forse – sulla falsariga del cinismo contemporaneo sul quale azzardiamo di proporre un tutorial – nemmeno ci serviva più di tanto.
Ciprì e Maresco sono noti per la loro particolare estetica cinematografica che spesso mescola elementi di realismo crudo con un umorismo nero e cinico. La loro opera è spesso definita “cinica” per la rappresentazione cruda e spietata della realtà siciliana, senza nascondere le sue brutture o contraddizioni. I film di Ciprì e Maresco, come “Totò che visse due volte” o “Lo zio di Brooklyn”, sono caratterizzati da uno stile visivo unico e da una narrazione che mescola surrealtà, critica sociale e ironia nera. Utilizzano spesso immagini forti e situazioni estreme per mettere in luce i lati più oscuri della società, senza risparmiare critiche né pregiudizi. La bellezza nell’opera di Ciprì e Maresco può essere vista nella loro capacità di offrire uno sguardo schietto e crudo sulla realtà, anche se controverso, che fa riflettere e provoca forzatamente una risposta emotiva negli spettatori.
Erano i tempi del ponte sullo Stretto, promesso e sbandierato dai politici come una certezza su cui costruire consenso: Ciprì e Maresco elaborarono e satireggiarono questa idea con uno dei corti probabile più geniali mai concepiti. Indimenticabile il passaggio chiave dell’intervista a quello che viene definito l’ingegnere più veloce al mondo. Sembra quasi di vedere, nella sua figura, un qualsiasi esperto (o presunto tale) andare a pontificare su la qualunque, dall’alto dello schermo televisivo nazionale.
..il ponte che collegherà?
co… con Messina.
…con Messina che cosa, ingegnere?
con Messina di Palermo, il ponte di Palermo.
Ah, quindi non c’entra niente l’Italia.
No.
Rimane da capire l’etica del cinico, a mio parere strettamente correlata a quella del suo parente più prossimo – il troll – ammesso che quell’etica di fondo non sia semplicemente un insieme vuoto, cosa che rimarrebbe, per quello che vale, tutta da dimostrare.
Il cinico contemporaneo – un’espressione che volentieri mi si addice. (Eugene Thacker, Tra le ceneri di questo pianeta, Nero Edizioni)
Foto di copertina: Kote Puerto on Unsplash