La paura di mettere in discussione il Patriarcato


Ho avuto difficoltà a redarre questo articolo. Preferisco premetterlo a qualsiasi discorso e considerazione se ne possa fare, ma è ciò che penso lucidamente e che evito, per quanto possibile, di dare in pasto alle folle inferocite dei social network. Cosa che faccio da molto tempo, abituandomi a riservare ai meme e alle considerazioni per lo più ironiche quegli strumenti, per provare a dire qualcosa di serio almeno qui. Parto dall’inizio, perchè il discorso è lungo e vorrei farmi seguire passo dopo passo.

Il patriarcato è ancora un tabù

Il patriarcato è un sistema sociale e culturale in cui il potere e l’autorità sono principalmente detenuti dagli uomini, a discapito delle donne. Questo sistema favorisce la supremazia maschile, influenzando le istituzioni, le dinamiche familiari, il lavoro e altri aspetti della vita sociale. Il patriarcato si basa su norme culturali, valori e strutture che favoriscono gli uomini, limitando le opportunità, il potere decisionale e l’autonomia delle donne. Essenzialmente, è un sistema che perpetua disuguaglianze di genere e stereotipi, creando un ambiente in cui il potere e i privilegi sono asimmetricamente distribuiti tra uomini e donne.

Non è ancora facile parlare di femminicidi e patriarcato, in questo strano paese dove, per qualche perversa ragione, tutto diventa viralità, auto-referenza, egocentrismo da social, e dove l’umanità disumanizzata si mostra allo sbando, alla deriva, priva di valori concreti e di etica, persi tra rivoltanti “se l’è cercata” e invocazioni varie a sbattere il mostro in prima pagina.

Parlare di femminicidi da uomo invece si può, si deve, perchè è l’unico modo per migliorare una società che deve essere cambiata senza esitazione, senza ulteriori tentennamenti e revisionismi che fanno soltanto ridere amaramente. Perchè questo status di cose è distruttivo, e non può continuare a sopravvivere come ha fatto finora.

Il femminicidio di Giulia Cecchettin disturba anche solo nella sintassi: riesce a polarizzare i pareri anche sulla semplice scelta del termine da usare: omicidio, femminicidio, omicidio rituale (è grottesco che alcuni abbiano usato argomenti da panico satanico per provare a deviare il discorso, deviandolo dall’unica cosa di cui si dovrebbe parlare: che nella nostra cultura il patriarcato è parecchio difficile da eradicare e mettere in discussione).

Ricordo di aver argomentato questi aspetti con un amico con cui parlo sempre di politica e affini, con il quale in genere riesco a farmi capire, ma non ci sono riuscito questa volta: peraltro, mi risponde, è come se avesse capito tutt’altro dal mio discorso. È come se io stesso, nel formulare il pensiero, avessi paura di parlare – da cui la considerazione che ho premesso, ovvero che abbia avuto difficoltà a scrivere questo articolo. Questa paura mi ha fatto pensare per giorni.

Mettere in discussione il patriarcato

Si dice spesso che nella lotta al patriarcato è l’uomo che deve mettersi in discussione e risolvere la questione, e per me è esattamente così. Ma il discorso va inquadrato in un’ottica più ampia di quanto non si faccia, e non bastano autocritica ed analisi a cuore aperto, tantomeno le chiamate alle armi ed i tentativi di becera repressione del problema. Quello che proverò a fare ora, nel mio piccolo, per quanto possa fare un blog di qualche centinaio di visite al giorno come il mio.

Fermo restando che le istanze femministe in merito alla questione sono qui fuori discussione, e che noi uomini dobbiamo agire in maniera diversa e che il processo sarà lungo, probabilmente trans-generazionale, vorrei sottolineare che è impossibile affrontare il tema senza mettere in ballo l’aspetto psicologico e sociale della questione. Senza ulteriori giri di parole, ho effettivamente l’impressione che molti uomini (quasi tutti) vivano nel patriarcato come una normalità, un assunto di fondo, un mondo in cui si trovano nativamente, di cui spesso nemmeno si accorgono, a cui nemmeno badano, a cui sono stati abituati in modo innocente tra pupazzetti, videogame e Goldrake vari, perchè in fondo faceva comodo che i piatti fossero lavati da mamma mentre papà leggeva il giornale sul divano.

Patriarcato normalizzato

La posizione più diffusa in merito, del resto, è che gli uomini non mettono in discussione il patriarcato perchè gli fa comodo essere “serviti e riveriti” (espressione altresì diffusa nel dialetto calabrese che mi è familiare, e che da’ l’idea di un patriarcato capillare e bellamente normalizzato in varie famiglie). Posso capirlo, ma ho l’impressione che l’espressione “gli fa comodo” sia parziale. Il punto non è solo – come ho provato a spiegare a Matteo qualche giorno fa, senza successo – il conformismo indotto dalla crudele furbizia del maschio, che non contesta ciò che lo ha messo in una posizione di vantaggio: il punto è anche che troppi uomini hanno paura a mettere in discussione il modello del patriarcato. È una paura coerente col contesto, a ben vedere: è la paura di uscirne svirizzati, di essere accusati di vigliaccheria da altri uomini, all’estremo di subire le stesse punizioni mentali e corporali a cui tante donne sono state soggette. È la paura che il ruolo di vittima e carnefice possa invertirsi, possa risultare un passo falso, possa rivoltarsi contro di loro.

Non bisognerebbe mai dimenticare questo aspetto, per quanto possa sembrare una scusante o una forma di negazionismo: e non vuole esserlo, nelle mie intenzioni. Mettere in discussione il patriarcato è un processo che bisogna attraversare coraggiosamente, farlo evolvere, farlo correre libero, e questo proprio perchè fa paura sentirsi protagonisti del cambiamente. E poi diciamolo, nella società becera in cui viviamo sembra irrealizzabile, assume i tratti di un salto nel vuoto, sembra che nessuno abbia le forze ed il coraggio di opporsi eppure, ancora, va fatto.

Cultura tossica

Va fatto perchè dovrebbe sorprenderci, a conti fatti, che sia ancora necessario di cultura del consenso, del fatto che una persona possa uscire con te e dirti “non mi va” poco dopo, con l’ulteriore considerazione che sono consapevole di questo perchè ho negato il mio consenso a più donne con cui ero uscito, sentendomi quasi in colpa per averlo fatto e per non sfruttato l’occasione. Perchè troppi amici e conoscenti, negli anni scorsi, mi hanno impregnato di cultura tossica sul modello “prendere o lasciare”, “a himmina va pigliata”, “amu si cchiù decisu”, schernendo le mie incertezze relazionali in nome del patriarcato che non volevo saperne di esercitare, al punto di temere per anni di non essere abbastanza uomo per questo mondo e poi, fortunatamente, uscendo dal baratro leggendo libri incredibili, documentandomi sul tema, cambiando approccio e frequentazioni, modificando il mio stile di vita, lavorando sulla psicoterapia (altro tabù del mondo di oggi, inquinato dal perenne “fai di te“, dal machismo e dall’idea che siano cose per deboli e/o complessati). È poco, ed è stato fatto soprattutto per me stesso nel nome della cultura della mascolinità tossica di cui avverto ancora l’eco, e che ogni tanto mi fa sempre “tossire”, se posso dire così.

Molti uomini in totale buonafede e con sano spirito di autocritica, per quello che capisco, non lo mettono in discussione e/o circumnavigano la questione (in un modo che farebbe saltare i nervi a molti e molte, peraltro) parlando confusamente di “not all men, di casi isolati, di tutto quel ciarpame ideologico che è sempre servito ai reazionari per mantenere ciò che invece oggi, finalmente, si vorrebbe abbattere. Ma il punto non è questo, la questione non va personalizzata, per lo stesso motivo per cui la discussione sugli incel (altro nervo scoperto per qualsiasi uomo) deve essere affrontata praticamente con le stesse modalità. Attraversare il cambiamento di uno dei modelli alla base delle nostre società è ormai necessario. Non è una guerra tra sessi, tanto più che non sarebbe agevole organizzare eventuali eserciti in tal senso, dato l’individualismo imperante e l’imperversare di post verità.

Ammetto di aver pensato anche io, in alcune occasioni precedenti e probabilmente di controbalzo, not all men: ma il punto non è questo, e mi sbagliavo. Non basta auto-discolparsi per uscire dal baratro della normalizzazione della violenza: serve ripartire da una messa in discussione del modello di base, partendo dal fatto che questa messa in discussione è lacerante. Quale uomo mai oserebbe sostenere istanze femministe – perchè di questo si tratta – con il rischio di sentirsi meno virile nel farlo, a disagio, isolato dal resto degli uomini? Si porta spesso l’esempio delle chat WhatsApp del calcetto, dove i commenti di un pubblico di maschi

Il nome del Padre

Mettere in discussione il patriarcato è difficile per gli uomini come per le donne, peraltro, dato che è una forza invisibile che non si invoca, non può essere maledetta, localizzata, tantomeno imprecata: paradossalmente è quasi più facile combattere una teocrazia che un patriarcato.

La paura di mettere in discussione il patriarcato meriterebbe di essere psico-analizzata, probabilmente, evocando ciò che Lacan chiama “il Nome del Padre“: non un padre biologico, bensì qualcosa di ben distinto. Un’entità astratta che spaventa e terrorizza con la minaccia della castrazione, incubo ricorrente dell’uomo patriarcale quantomeno dai tempi di Lorena Bobbitt. Un nome del padre difficile da eradicare, che evoca un Grande Altro minaccioso e punitivo, derivante da un’impostazione antropologica e di organizzazione della società che era stata individuata, tra i primi, da Engels nell’opera L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato.

Il Nome del Padre ce lo portiamo dentro dalla nascita, inclusi coloro che sono cresciuti senza un genitore o senza nessuno dei due, perchè rappresenta il riflesso del nostro modo di vedere il mondo, così come ce lo hanno insegnato gli adulti. Così come ci siamo abituati a pensarlo nelle serate tra amici, in cui – come avveniva spesso nella mia adolescenza – si cresceva spesso in compagnia di molte persone dello stesso sesso e di poche di sesso opposto, con le quali usualmente ci si fidanzava o si stava nel terrore di essere friendzonati. Perchè anche lì, era segno di essere troppo buoni, troppo poco uomini, troppo poco virili. Ed è proprio a questo punto che tutti, a cominciare dagli uomini, dovrebbero iniziare a guardarsi in faccia (o magari, prima di ogni altro passaggio, allo specchio) per poter migliorare il mondo in cui viviamo.

Perchè in futuro, utopisticamente e coraggiosamente, non sia più difficile per alcuno scrivere articoli come questo, o alla meglio non ci sia più alcuna necessità di farlo.

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