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La promessa dell’assassino: uno dei Cronenberg più introspettivi di sempre

Anna Khitrova è un’ostetrica di origine russa che cerca di scoprire l’identità di una ragazza morta tragicamente dopo il parto; inizia così a risalire ad un’organizzazione Vory V Zakone, di cui conosce l’apparentemente cordiale Semyon ed il figlio frustrato Kirill…

In breve. Il nuovo Cronenberg, da alfiere del body horror ad una versione intimista e introspettiva, realizza un buon thriller, avvincente e sopra le righe. Da vedere.

“La promessa dell’assassino” conferma la nuova tendenza del regista canadese che tutti legano, in modo forse eccessivamente morboso, esclusivamente a Videodrome, eXistenZ e La mosca: un trend che si traduce nella realizzazione di thriller psicologici ben congegnati ed avvicenti, e (a ben vedere) non del tutto privi degli elementi caratterizzanti il “body horror“. Se nei precedenti film la mutazione era visibile, e vedevamo metallo o malattie fuoriuscire dalla carne umana, in questi film – come del resto in Spider o lo stesso A history of violence – assistiamo ad una mutazione del tutto introspettiva.

Il cast è d’eccezione, in quanto vede affiancati il trittico Mortensen-Watts-Cassell intorno ai quali gira tutta la storia: nella Londra dei giorni nostri Anna Khitrova lavora come ostetrica e si imbatte in una quattordicenne incinta che partorisce poco prima di morire. Reperito il diario della ragazzina, scopre che il padre della neonata è il figlio di Semyon, boss dell’alleanza criminale russa Vory V Zakone dall’apparente aspetto rassicurante. Kirill – questo è il suo nome – sembra essere affetto da svariati squilibri psicologici, a volte addirittura infantili, e mostra di non essere all’altezza della situazione in cui si trova a vivere.

Cronenberg colpisce nel segno proponendo al pubblico – ancora una volta – un film coinvolgente, ben interpretato e realizzato. Se da un lato si conferma la vena più psicologica e meno orrorifica inaugurata da Spider, dall’altro vengono introdotti elementi del cinema noir e, a tratti, momenti di poliziesco puro. Memorabile ed iper-realistica la lotta all’arma bianca effettuata da Viggo Mortessen nudo all’interno di una sauna. Un film che lascia il pubblico inchiodato alla poltrona fino all’ultimo istante, e che merita di essere visto almeno due volte.

Nel frattempo che la donna cerca di trovare delle prove dello stupro e di comprendere qualcosa sull’origine della famiglia, l’autista della banda (Nikolai Luzhin-Mortessen) cerca di ingraziarsi la compiacenza del vecchio Semyon, allo scopo di fare affari con lui. Cinico, del tutto indifferente al mondo esterno (“da quando aveva 15 anni“, si racconta nel film) e specializzato nei lavori criminali più delicati, sviluppa una vera e propria doppia faccia proprio al cospetto di Anna, che è ancora turbata per aver avuto un matrimonio fallito alle spalle ed aver subito un aborto spontaneo.

Al di là dell’aspetto “commerciale” legato all’inevitabile storia d’amore tra i due, superbamente esaltata dal contesto creato da Cronenberg, “La promessa dell’assassino” vive di avvicenti ambiguità mai rivelate completamente, in particolare per quanto riguarda la vera natura dei vari personaggi: in particolare lo stesso Nikolai sembra, alla fine del film, essere una sorta di agente infiltrato nell’organizzazione, il che spiegherebbe la sua doppiezza che si guarda bene dal rivelare apertamente. Questo probabilmente lo candida a pieno titolo a diventare una sorta di nuovo anti-eroe, cosa che  Cronenberg stesso ha promesso di rivelare nei seguiti del film. In effetti i riferimenti al cinema poliziesco classico, a partire dalla voce narrante fuori campo e con tanto di personaggi molto complessi dal punto di vista psicologico, potrebbero indurre a fare interessanti parallelismi – a mio parere – tra la poliedricità folle di Giulio di “Milano odia”, ad esempio, e l’incoerente Kirill, entrambi umani-disumani.

Indimenticabili la lotta all’arma bianca all’interno della sauna – Mortensen recita nudo per conferire maggiore naturalezza alla scena – ed i tatuaggi di cui sono ricoperti i vari “adepti” della setta criminale, che quasi come in “Memento” (Christopher Nolan, 2000) rappresentano ossessivamente il tempo che passa sulle vite umane e gli avvenimenti che lasciano materialmente un segno sulla pelle.

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