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NoMeansNo: il punk canadese di derivazione jazz

Parlare dei NoMeansNo significa, oggi, affrontare l’argomento su un duplice binario: da un lato, infatti, va contestualizzata la band già a cominciare dal nome, sottratto ad uno slogan femminista degli anni 70 (No Significa No, argomento del quale tocca discutere ancora oggi), peraltro per una banda provocatoria di default (e, peraltro, composta da soli uomini).

E se una cosa del genere (nell’epoca del negazionismo radicato in certe parti della società, e del giornalismo dai titoli attaccabrighe) farebbe solo discutere sull’eventuale inopportunità della scelta di quel nome – nessuno osi scrivere politicamente scorretta, che oggi ha tutt’altro significato, per non scrivere significato gretto – poco o nessuno spazio lascerebbe al vero fulcro della questione. Che riguarda il profondo nichilismo che avvolge il messaggio di questa band, rassegnata a vivere in un mondo che è diventato impossibile da cambiare.

D’altro canto, poi, c’è la genesi incredibile della band, fondata nel 1979 dai fratelli John e Rob Wright, in Canada (tra Victoria e Vancouver), influenzata principalmente dal progressive rock e dal jazz, eppur devota al punk rock. Oltretutto nella forma anti-melodica detto hardcore punk, peraltro, e a quel punto viene solo da aggiungere “tanto di cappello”. Hardcore punk con derivazioni di vario genere, dalla fusion (che sentiamo chiaramente nel basso di Rob Wright) alle schitarrate noise/punk o, a tratti, quasi thrash metal.

Questo aspetto, se da un lato sorprende di primo acchito, fa riflettere sul perchè una situazione del genere possa essere ritenuta sorprendente: in effetti non ci sarebbe nulla di atipico, anzi la cosa deporrebbe in favore di un’originalità assoluta. Quello dei NoMeansNo è un punk sporco, aggressivo, rumoristico quanto virtuoso, e basta ascoltare un brano come Stocktaking per rendersene conto. Un band che produsse dischi seminali rimasti ignoti ai più, che varrebbe la pena di riscoprire quantomeno (tra 11 album prodotti tra 1979 e 2016) in quella piccola perla che è Wrong (nomen omen, peraltro).

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Ma c’è la critica musicale faziosa che ci ha abituato diversamente, in effetti, che contrappone il metal al punk per sentito dire, che ha spesso scritto “storie del rock” tirate per i capelli o basate su un odioso e stereotipato cherry picking: mai parlare delle band che hanno fatto realmente la differenza, molto meglio scrivere e sparlare sulle solite, stra-note e stantìe band. Tra l’altro, anche dando per buone tante minchiate o leggende metropolitane senza verificarle, vedi Beatles, vedi Nirvana, vedi Marylin Manson, vedi moltissimi altri. Libri che poi trovi ovunque, dalla libreria in centro all’autogrill di periferia, che ti raccontano con una certa superbia (…) che i Led Zeppelin hanno fondato l’hard rock (una discreta scoperta, dai) o che l’industrial metal nascerebbe coi Rammstein (quando in realtà affonda le proprie origini almeno nei KMFDM, se non nei Throbbing Gristle). E poi se ribatti parlando di Bad Religion o Ministry no, non puoi farlo, quelli sono “gruppi strani” o underground o peggio ancora “per intenditori” (nota a margine: fanno musica da almeno venti anni, non lo sono). I nomeansno hanno il merito di essersi burlati per 11 album di queste classificazioni da biologo dell’ottocento, producendo un punk sulla falsariga di quello dei primi Dead Kennedys (hanno anche collaborato con Jello Biafra) ed arricchendolo di originalità, personalità e rabbia. Vale la pena riascoltarli ogni tanto: i loro dischi hanno il pregio dell’immediatezza, ma anche quel tocco di virtuosismo che dovrebbe, in teoria, renderli avvicinabili da chiunque ami la musica.

 

Photo credits: fabya, Wikipedia
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