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  • Essi vivono: tra materialismo, fanta-politica e complottismo

    Essi vivono: tra materialismo, fanta-politica e complottismo

    L’operaio John Nada trova casualmente degli strani occhiali da sole, che gli fanno vedere le cose come non le aveva mai viste prima.

    In breve. Un cult di fantascienza del sottogenere fanta-politico, ad oggi più discusso che visto. Imperdibile.

    Durante una delle primissime proiezioni di Essi vivono, Carpenter fu colpito dalla reazione di un ragazzino americano che ero uscito dalla sala deluso e disorientato. Come se il film non fosse ciò che si aspettava, come se l’avesse colpito e irritato. Cresciuto probabilmente con film tipo Rambo, non è difficile immaginare questo giovane anni 80 pienodi  aspettative autoreferenziali ed entusiastiche (IMDB riporta aspettative jingoistic e rah-rah, a riguardo: ovvero con la convinzione che il tuo paese sia sempre il migliore, e con atteggiamento entusiastico a prescindere). Convinzioni che sbattono brutalmente sull’impianto rivoluzionario, disilluso e nichilistico del film, erede sostanziale della fantascienza modello L’invasione degli ultracorpi. Un film che costò 4 milioni di dollari dell’epoca, e che esordì al primo posto al botteghino.

    Essi vivono è un cult di fantascienza più di concetto che di narrazione, basato su un dualismo tipico del genere: la realtà è ciò che è, oppure ciò che sembra? Viviamo all’interno di un mondo in cui è possibile intervenire e migliorare gli aspetti delle cose, oppure si tratta di un gigantesco videogame in cui stiamo facendo divertire un Grande Altro, che gode nel darci imposizioni assurde? Esiste o no, alla fine, una possibilità di riscatto?

    Un tema certamente non nuovo per il genere, che il nostro Carpenter dirige in modo rivoluzionario, mostrando l’America delle apparenze, della ricchezza, dell’eterna giovinezza, contrapponendola a quella povera e sfruttata del popolo degli emarginati, realizzando così dei capolavori di culto della sua cinematografia. Un film che si ispira al misconosciuto racconto breve “Eight O’Clock in the Morning“, di Ray Nelson, classe 1931 e scomparso nel 2022. La trama del racconto originale rimane ambigua: da un lato sembra che il protagonista abbia realmente scoperto un segreto raggelante, e che il mondo si sia disvelato come puro inganno, dall’altro (come di consueto) il lettore è lasciato al dubbio: il protagonista forse si sentiva circondato da alieni per via di uno stato paranoico prolungato o esasperante. Carpenter del resto dirige in modo autenticamente socialista, dato che prende dalla strada numerosi senza tetto e gli assegna parti minori, fornendo loro cibo e stipendio per il periodo della produzione. La tagline comparsa sulla locandine era esplicita: Li vedi per strada. Li vedi in TV. Potresti anche votarne uno, questo autunno. Pensi che siano persone come te. Ti sbagli. Mortalmente. La chiave di lettura più diffusa è ovviamente in chiave marxista, per quanto il film si sia prestato a vari tipi di cooptazioni che risulterebbero, alla lunga, più forzature che altro.

    La chiave di lettura attuale di Essi vivono potrebbe anche essere diversa da quella del 1988, anno in cui uscì: le scelte di Carpenter furono politiche, facevano parte di un contesto con pretese sociologiche, per cui la regia voleva criticare il capitalismo americano usando personaggi allegorici. Gli alieni sono tra noi, il capitale ci controlla, il capitale decide come vivere, impone lo status quo, instaura alleanze e relazioni sociali, fa guadagnare e perdere posti di lavoro. Oltre all’attacco in chiave anti-capitalistica che lo rende un film sostanzialmente impegnato (e ciò ha delle conseguenze notevoli, perchè tutti, da destra a sinistra, hanno usato questo film per fargli dire cose che non sempre aveva detto), non manca il riferimento all’ennesima apocalittica epidemia di violenza urbana, ed alla pessimistica sociologia che sarà poi ampliata nel capolavoro “Il seme della follia“, di cui l’opera potrebbe considerarsi in parte anticipatrice.

    Ma c’è di più: una volta liberato il film delle sue pretese di stampo anarchico e/o marxista, probabilmente con il pretesto del superamento delle stesse, della loro presunta vetustità o magari in nomen dell’attività preferita dal liberismo (fagocitare tutto ciò che gli è estraneo, operando la presunta e grottesca cancel culture che lo stesso usa come argomento dell’uomo di paglia), Essi vivono diventa Il film complottista per eccellenza. Complottista e conservatore, precisamente, in opposizione allo stesso regista che è sempre stato di tutt’altra idea politica. Piaccia o meno, oggi sembra essere così. Basterebbe leggere i commenti Youtube ai suoi vari spezzoni per capacitarsene, tra le ostentate convinzioni di chi li ha scritti e si da’ ragione a vicenda, con la stessa sicumera di un prete che accusa gli uomini di aver trovato un nuovo Dio negli alieni. Non saremmo così sicuri della correttezza della cosa.

    Non per altro, ma sarebbe come pensare che Zombi sia un mero horror voodoo (e non come si dovrebbe, ovvero un horror sociale drammatico, nichilista e struggente). Il puro riduzionismo fa danni, e prima ce ne capacitiamo, meglio è. Il riduzionismo all’osso è tipico del web, del resto, e non potrebbe mai cogliere certe sfumature di Essi vivono, per quanto faccia ancora sorridere i cinefili dell’era internet e produca le convulsioni a complottisti di  ogni ordine e grado, convinti o meno, adepti o occasionali, da tastiera o da divano, di destra e di sinistra – nella pura essenza trasversale o diagonalista che attraversa queste tematiche.

    Sì, perchè se il film Essi vivono voleva essere una critica di sinistra ad un mondo che stava già iniziando ad impazzire a fine anni 80, sarebbe il caso di provare a non perdere di vista questa, come essenza. Altrimenti rischiamo di precipitare in un baratro di inerzia culturale e di paranoia fuori contesto, che serve a pochissimo e che paradossalmente potrebbe produrre sulla realtà lo stesso risultato prefigurato (e temuto) da Carpenter.

    John Nada (interpretato dal wrestler “Roddy Piper” / Roderick Toombs, che realizza un’interpretazione monocorde che risulta efficace, nel contesto) è un uomo della classe operaia: solo e disorientato, si aggira in una metropoli sul finire degli anni 80. Un ruolo che Roddy Piper non faticò ad interpretare, essendo parte del proprio vissuto e che fu in parte esperienza dolorosa quanto rievocativa. John ha appena perso il lavoro a causa delle speculazioni dei broker: durante il suo girovagare senza meta (la città è Los Angeles, la stessa in cui – stando a Friedkin – si può vivere e si può morire) incontra l’ex collega Frank (interpretato da Keith David), il quale ha vissuto una situazione simile alla sua. L’uomo solidarizza e gli propone di farsi ospitare nella sua piccola comunità di periferia, in attesa di tempi migliori. Assunto in seguito come operaio in un cantiere, viene accolto benevolmente, quanto invitato a farsi gli affari propri riguardo ad un misterioso “giro” nonchè alla trasmissione pirata di alcuni comunicati, di natura anti-consumistica, da parte del prete di una chiesa locale.

    Dopo lo sgombero della comunità da parte della polizia, John trova una scatola piena di occhiali da sole (realizzati proprio da quella comunità), e si accorge che gli fanno vedere la realtà per quella che è: al netto delle apparenze festose e rassicuranti, è piena di messaggi subliminali che incitano all’omologazione. Al tempo stesso, la gran parte delle persone più in vista e rispettabili appaiono, attraverso gli occhiali, come una sorta di mostruosi alieni. Gli esseri sembrano essere in combutta per controllare l’umanità, e solo grazie alla presa di coscienza dei due operai si riuscirà a rivelare universalmente la verità in un finale grottesco. Senza dimenticare una ulteriore perla meta-filmica: durante le conformistiche trasmissioni TV finali dei commentatori alieni, un lungo sermone contro sesso e violenza nei media finisce con la frase: “Cineasti come George A. Romero e John Carpenter dovrebbero mostrare un po’ di moderazione“.

    Qualcuno non ha saputo leggere l’ironia finale un po’ demodè, fin troppi ne hanno criticato l’inconsistenza senza scomodarsi neanche di guardarlo con attenzione, molti altri (specialmente il vituperato popolo del web) hanno interpretato letteralmente lo spirito del film, al fine di auto-alimentare fantasie dietrologiche (in quest’ottica questo film proporrebbe una possibilità che poi si ricondurrebbe alle teorie del complotto promosse da David Icke sui rettiliani, ma che in realtà potrebbero anche fare capo all’idea fondante del racconto da cui è tratto, Eight O’Clock in the Morning), qualcun altro ancora nel vederlo ha sbadigliato: “Essi vivono” sarebbe per loro un film trash, scialbo, noioso, vagamente originale quanto irritante nella sua supponenza di voler dire tutto, di voler spiegare il mondo. Del resto solo i film post-apocalittici riescono a spiegare in modo chiaro dove andremo a finire, signora mia.

    “Obbedite. Sposatevi e prolificate. Non pensate in modo indipendente. Spendete. Lasciatevi cullare dal benessere. Guardate la TV. Sottomettetevi. Non fate domande all’autorità. Uccidete la fantasia. “

    Nessuna di queste ipotesi è a nostro avviso totalmente plausibile, nè rigorosa: per capire davvero Essi vivono serve un ritorno alle origini. Si tratta di un horror fantascientifico che si muove sulla falsariga di tutti gli horror di Romero con gli zombi, dove conta più evidenziare il messaggio socio-politico che la sostanza in sè della trama. Fatichiamo a pensare che lo sgombero della comunità non possa avere la stessa valenza del vedere la repressione anarchica della polizia americana all’inizio di Sacco e Vanzetti, ad esempio. Al tempo stesso non possiamo limitarci a ridurre all’uso degli occhiali rivelatori una dualità del tipo simulazione / realtà: il primo messaggio che Carpenter recapita allo spettatore è che per vedere le cose come stanno bisogna dotarsi della volontà di farlo.

    Là fuori, come vediamo nel film (in modo mutuato da L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel, a pensarci bene) la maggioranza delle persone non si pone nemmeno il problema di cosa sia reale e cosa no: tutto è reale, semplicemente, si crede a quello che si vede, veggenti e imbonitori televisivi inclusi. Ma vale la pena provare ad estendere il discorso: gran parte del dibattito su Essi vivono parte da mezze verità ed isola alcuni aspetti della trama rispetto ad altri. Va tenuto in conto che si tratta anche di un film che si legge diversamente in base al periodo in cui si vive, che non è la fine degli anni 80 ma è il mondo digitalizzato in cui ci troviamo.

    Essi vivono è assurdamente diventato un meme, vittima di una reinterpretazione digital che lo ha reso un fenomeno complottista quasi alla pari con Operazione Luna. Non sapremo probabilmente mai quanto Carpenter possa essere d’accordo in merito (pensiamo molto poco), e c’è pure un’intervista recente all’Independent a confermarlo, in cui il regista racconta del suo incontro su Twitter con alcuni complottisti americani:

    L’anno scorso – dice Carpenter – ho avuto a che fare con persone che su Twitter dicevano che Essi vivono parlava di come gli ebrei controllano il mondo. Allora sono intervenuto e ho detto ‘no, no, no’, ma non l’hanno accettato. È stato incredibile. È stato come dire: andiamo ragazzi, non esistono i rettiliani. Queste ipotesi di complotto non sono neanche creative. Sono soltanto sciocchezze. Come potete credere a queste stronzate? È questo che non capisco. L’eredità di Trump, forse? Sì, conclude il regista.

    Le intenzioni di Carpenter non potevano neanche essere quelle di diventare un meme postumo, a ragionarci su, ma serve addirittura citarlo per capacitarci di quanto sia impossibile convincere certi adepti del contrario. Comunque (non) si vogliano fornire chiavi di lettura ci resta un film epico: i dialoghi tra “colletti bianchi” con sembianze di alieni, carichi di pathos grottesco e di considerazioni a volte semplicistiche quanto efficaci, o anche solo l’epica scazzottata tra i due protagonisti (ogni autentico cinefilo dell’era internet passerà almeno una giornata a chiedersi perchè sia stata concepita in quel modo). Vale la pena ricordarne i motivi: la sequenza dura esattamente 5 minuti e 20 secondi, e Carpenter la lasciò intatta perchè rimase colpito dal suo realismo, frutto di una preparazione attoriale di circa tre settimane. Ideata, provata e coordinata nel cortile dell’ufficio di produzione del regista, fu la lotta destinata a passare nella storia del cinema:Nada (Roddy Piper) e Frank (Keith David) battagliano perchè il secondo non vuole guardare in faccia la realtà, e i colpi furono tutti autentici (ad esclusione di quelli all’inguine e al viso).

    Essi vivono resta un cult da contestualizzare nell’epoca in cui uscì, guai – a nostro avviso – a mettere in dubbio questo assunto, o peggio ancora piegarlo ad esigenze di fargli dire cose che non ha mai detto. Un film suggestivo e politicamente schierato, tanto da essere citato tutt’oggi (nel bene o nel male) come come uno dei più famosi Carpenter di ogni tempo e luogo: in effetti suona attualissimo nello scenario attuale, in cui vedere un “Qualcuno” dall’alto che ci impone come vivere, cosa comprare, come vestirci e come comportarci suona addirittura scontato.

    “L’unica cosa che conta è diventare famosa… la gente mi guarda e mi adora. Io non invecchio mai, sono diventata immortale…”

  • L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente: arti marziali all’ennesima potenza, con Bruce Lee alla regia

    Stra-cult che vede l’esordio alla regia di Bruce Lee, il quale non perde occasione per sceneggiare la propria filosofia di vita ed esporla al pubblico: l’attore ha firmato inoltre anche il soggetto del film.

    “Non mi piacciono le rovine, mi ricordano la guerra”

    In breve: uno dei migliori film di arti marziali vecchia-scuola.

    L’irresistibile mimica dell’attore protagonista è accentatuata all’estremo in questo film: i suoi sorrisi sarcastici durante i combattimenti, le sue pose plastiche ed i suoi colpi fulminei di nunchaku non potranno non conquistare il pubblico, quasi a prescindere dalla trama in sè. “L’urlo di Chen…” del resto, non è semplicemente una sequenza di scazzottate a mani nude e bastoni: prima di tutto giustifica la violenza come ribellione all’oppressione (criminale, oltre che razzista) nei confronti dei cinesi in terra straniera (Roma). Successivamente riempie la sceneggiatura di personaggi ben caratterizzati, dei veri e propri “tipi”: l’amico-cameriere bonaccione, la brava ragazza innamorata del protagonista, la macchietta del collaboratore del boss (imbranato e servile, oltre che eterno capro espiatorio) e via dicendo.

    E poi c’è Bruce Lee: imponente, padrone della scena, freddo, deciso e quasi-invincibile. Assolutamente impeccabile nell’arte del kung-fu e, al tempo stesso, dalle caratteristiche debolezze umane che rendono facile l’immedesimazione. Farebbe l’entusiasmo, oltre l’invidia, di un buon Chuck Norris al meglio della forma: ed infatti – guarda caso che non è un caso – si troverà a doverlo fronteggiare nella parte finale del film, nella mitica scena dentro il Colosseo.

    In questa scena, peraltro, inizialmente Lee ha la peggio su Norris: viene inquadrato periodicamente un gatto, che inizia a giocare con una pallina nel momento esatto in cui Tang Lung ribalta la situazione ed inizia a dominare il proprio avversario, proponendo uno stile di combattimento libero dai vincoli estetici tradizionali del kung-fu e distraendolo con la propria imprevedibilità. Alla fine, dopo averlo eliminato, non mancherà di rispetto al nemico onorandone la morte.

    Il film narra la storia di Tang Lung (Chen nell’edizione italiana: ma nulla di strano nel paese in cui l’originale “Snake” Plinskii diventa “Iena”), un giovane artista marziale inviato dallo zio da Hong Kong a Roma per aiutare un ristorante gestito da cinesi con varie difficoltà: essi sono infatti minacciati di continuo da una banda del posto che vorrebbe prendersi la gestione del locale per gestire un enorme traffico di droga. Ci pensarà Chen, come sua consuetudine del resto, a ristabilire l’ordine e la giustizia in una sequenza di scontri che culminano, appunto, con quello contro il campione di arti marziali americano “Colt”, assoldato dai criminali per sconfiggere il fortissimo cinese.

  • Tutti i colori del buio: l’Horror policromatico di Sergio Martino

    Una donna sopravvive ad un incidente stradale, ed inizia ad essere perseguitata da una setta satanica.

    In breve. Un Sergio Martino delirante ed onirico, a raccontare una storia accattivante di manipolazione e sensualità.

    Forse è tutto un incubo.

    Tutti i colori del buio è uno dei film di Sergio Martino più noti nel panorama del cinema italiano di genere. Un genere cupo, introspettivo e pieno di sorprese come ormai (purtroppo) non si usa produrre più. Ambientato nella Londra anni 70 e apertamente figlio di quell’epoca, vede tra i protagonisti Edwige Fenech e Ivan Rassimov, entrambi interpreti al di sopra delle righe.

    Jane (la Fenech) inizialmente ha un tremendo incubo nel quale vede una donna incinta uccisa su un lettino, un’anziana signora che la fissa, un orologio senza lancette ed un misterioso uomo dagli occhi azzurri (Rassimov). Quest’ultimo, in particolare, sembra perseguitarla dal sogno alla realtà, trovandoselo così in ogni luogo che frequenta, compreso lo studio dello psicanalista che la tiene sotto osservazione.

    Almeno questa è la sensazione che abbiamo nella prima parte del film, dato che le debolezze di Jane emergono lentamente a mostrare un personaggio fragile e facilmente manipolabile. Per cui le sue debolezze, tenute un po’ superficialmente a bada dal pragmatico marito, diventano bersaglio ideale per la vicina della donna, che è adepta di una setta satanica e si offre di aiutarla. Superata l’iniziale riluttanza, Jane si trova coinvolta in un rituale satanico nel quale il “santone” approfitta del proprio carisma per farsela e – neanche tanto strano a dirsi – “liberarla” temporaneamente dalle sue inibizioni e tormenti interiori. Ovviamente non finisce qui: Jane custodisce dei ricordi terribili che riguardano il suo passano, uno dei quali è legato strettamente all’uomo dagli occhi di ghiaccio…“…ma tu non muoverti da casa!”

    Il misterioso individuo continua infatti a perseguitare Jane (almeno è quello che lei crede di vedere, essendo la trama perennemente in bilico tra incubo e realtà). Dopo qualche ulteriore sviluppo della trama, tra cui un omicidio commesso (?) dalla protagonista stessa, si scopre che l’uomo che la perseguita brandisce lo stesso pugnale con il quale ha ucciso la madre di lei, anch’essa coinvolta nella setta. Inoltre Jane ha perso il proprio figlio a causa di un incidente stradale causato dal suo attuale marito, il che spiega il trauma di natura sessuale e la diffidenza verso il consorte. Consorte che, in barba a qualsiasi sospetto lo spettatore possa avere avuto, è l’elemento decisivo per arrivare al finale.
    L’ottima musica in stile prog-settantiano (Bruno Nicolai), con tonalità simili a quelle che possiamo sentire nel repertorio fulciano ed argentiano dello stesso genere, corona un cult thriller morboso e con diverse venature orrorifiche, sempre dosate con giustezza. Nel finale esce dunque fuori l’inaspettata verità, ovvero il marito di Jane ha ordito egli stesso un piccolo complotto al fine di far intascare una cospicua eredità alla moglie, arrivando a fare fuori la cognata. Questo basta a spiegare i continui dubbi ed insicurezze della protagonista, anche se a questo punto il resto della vicenda (esclusa la chiamata dell’avvocato a Jane senza dare ulteriori spiegazioni, quasi messa lì per essere dimenticata) è completamente collaterale alla storia stessa.
    Senza dubbio un film molto ben riuscito che piacerà ai cinefili incalliti – e a chi cerca film “fuori dalle righe”.

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  • Eyes wide shut: cast, sinossi, spiegazione

    Il film “Eyes Wide Shut” è stato diretto da Stanley Kubrick ed è stato prodotto da Stanley Kubrick insieme a Jan Harlan. Il film è stato rilasciato nel 1999 ed è basato sul romanzo “Dream Story” di Arthur Schnitzler. La trama ruota attorno alle vicende di un medico, interpretato da Tom Cruise, e sua moglie, interpretata da Nicole Kidman, mentre esplorano la sessualità e la gelosia in una società di alto livello.

    Cosa vuol dire eyes wide shut

    È bene analizzare il film – che è complesso e multistrato, molto più di altri lavori kubrickiani, a ben vedere – a partire dall’ossimoro presente nel titolo: Eyes wide shut (“occhi chiusi spalancati”, ovvero occhi serrati) si contrappone alla nota espressione eyes wide open (che invece significa occhi spalacati). È chiaro che esiste un riferimento al rimosso freudiano, a ciò che questa coppia benestante (apparentemente perfetta dall’esterno) non sa o non vuole dirsi, a cominciare dalle fantasie che non realizza e che finisce per considerare come sovversive per il rapporto stesso di coppia.

    Il racconto della fantasia erotica di Alice

    La sequenza del racconto della fantasia erotica in “Eyes Wide Shut” è una delle sequenze più enigmatiche e affascinanti del film.  La scena del sogno è aperta a molte interpretazioni, ed è un elemento chiave nella narrazione del film in quanto riflette la confusione, l’incertezza e il desiderio del personaggio di Bill mentre si trova immerso in un mondo di segreti sessuali e misteri. Di fatto, scardina il tabù attorno all’idea della donna fedele e prima di impulsi sessuali, e apre le danze al turbine di contraddizioni, crisi e ansie del protagonista.

    A ben vedere, infatti, il film parte quando il personaggio interpretato dalla Kidman racconta di una fantasia erotica che ha pensato (sull’ufficiale di marina con cui sogna di fare del sesso, al punto da rimanerne ossessionata e che, senza mezzi termini, avrebbe lasciato marito e figli per ottenerlo), che finisce semplicemente per ingelosire il marito (Cruise).

    Non c’è stato alcun tradimento, almeno in apparenza, ma l’interpretazione del dottor Harford non gli lascia scampo, e auto-alimenta la sua frustrante gelosia. Perchè in fondo nessun sogno è soltanto sogno, come si ribadirà solo alla fine. Al tempo stesso, la complessità del personaggio di Alice, pronta ad abbandonare una vita lussuosa solo in apparenza appagante, rileva un meccanismo inconscio che è stato soggetto ad una ulteriore interpretazione: che possa esistere qualcosa che controlla dall’esterno le nostre menti, o che non tutto sia razionale nè controllabile come ci piace credere. Secondo alcune vecchie interviste di Kubrick ai tempi di Arancia Meccanica, peraltro, il romanzo da cui è tratto (Doppio sogno di Schnizler) “esplora l’ambivalenza sessuale di un matrimonio felice e cerca di equiparare l’importanza dei sogni e degli ipotetici rapporti sessuali con la realtà”, che è esattamente quanto emerge nella narrazione fin dalle prime fasi del film.

    Di Razzairpina – Eyes Wide Shut, Copyrighted, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=1636190

    In secondo ordine, dopo che Bill si allontana dalla moglie ed inizia a vagare per la città, si imbatte nel party segreto che è diventato l’epitomo del film, la sua sublimazione assoluta: perchè nelle condizioni frustranti del protagonista, incapace di andare con una prostituta e di accettare le avances di altre donne, nulla sembra più liberatorio della magia sessuale. Le maschere, i corpi nudi, la parola d’ordine all’ingresso (Fidelio, come l’unica opera lirica di L. W. Beethoven ma anche, per derivazione, fidelio come fides, fedeltà – nel senso coniugale del termine, e tenendo  altresì conto che l’opera citata parla di una donna che si traveste da uomo per salvare il marito).

    Cast

    Il cast principale del film include:

    1. Tom Cruise – Dr. Bill Harford
    2. Nicole Kidman – Alice Harford
    3. Sydney Pollack – Victor Ziegler
    4. Todd Field – Nick Nightingale
    5. Marie Richardson – Marion Nathanson
    6. Rade Šerbedžija – Mr. Milich

    Questo film è noto per la sua atmosfera intensa e provocatoria ed è stato oggetto di dibattiti e discussioni a causa delle sue scene sessuali esplicite e del suo corposo “non detto” di natura psicologica. Stanley Kubrick, uno dei registi più iconici della storia del cinema, ha diretto questo film poco prima della sua morte nel 1999: “Eyes Wide Shut” è stato uno degli ultimi progetti a cui aveva pensato, e ha suscitato un grande interesse e curiosità da parte di critica e pubblico.

    La scena della festa in maschera

    La sequenza della festa nel film “Eyes Wide Shut” è una delle scene più iconiche e discusse del film, oltre che le più analizzate per quello che riguarda eventuali significati esoterici insiti in essa. Questa sequenza avviene nella seconda metà del film, quando il personaggio di Tom Cruise, il Dr. Bill Harford, viene invitato a una festa segreta e misteriosa organizzata da un circolo elitario chiamato “La Società” (The Society) che coinvolge riti sessuali in maschera.

    La festa si svolge in una lussuosa residenza in una location sfarzosa e decadente. Gli ospiti indossano maschere che nascondono le loro identità, creando un’atmosfera di segretezza e mascheramento. La sequenza è caratterizzata da un’atmosfera sognante e surreale, con una fotografia eccezionale e una colonna sonora coinvolgente. Questa combinazione di elementi cinematografici contribuisce a creare una sensazione di straniamento. Il Dr. Harford, una volta entrato nella festa, inizia a scoprire i segreti e le dinamiche sessuali nascoste dietro le porte chiuse dell’alta società. Si imbatte in rituali erotici, individui mascherati che si abbandonano ai loro desideri e anche in situazioni di potenziale pericolo.  La sequenza è densa di simbolismo, con riferimenti a rituali occultati, maschere che rappresentano l’anonimato e la perdita dell’identità personale, e il tema della sessualità repressa. La sequenza mette in evidenza la tentazione che il Dr. Harford prova e il suo graduale coinvolgimento in questo mondo segreto e pericoloso. La sua curiosità e il suo sconvolgimento crescono man mano che la festa si svolge. La sequenza della festa genera molte domande senza risposta, e il film in generale è aperto a diverse interpretazioni. Di fatto, dopo che il Dr. Harford esce dalla festa sembra che la sua comprensione della realtà e della sua relazione con sua moglie sia cambiata profondamente.

    Il sogno nel sogno

    Eravamo in una città deserta, senza vestiti. Eravamo nudi, ed io ero terrorizzata, e mi vergognavo, ed ero arrabbiata perchè pensavo fosse colpa tua

    Eyes wide shut è costellato da sequenze grottesche che si alternano con altre drammatiche, atte ad evidenziare la crisi della coppia protagonista. In una serie di sussulti narrativi imprevedibili nei quali la figura maschile è quasi sempre spiazzata e sa reagire solo d’istinto, mentre la figura femminile manifesta sempre più la propria imprevedibile fragilità, Kubrick costruire una trama lacerante e dal forte sapore psicoanalitico. Senso di colpa, gelosia, mancanza di fiducia sono i temi portanti della narrazione, e vengono portati all’estremo per dissacrare il senso di falso possesso che il protagonista pensa di avere nei confronti della moglie.

    Quella dei “sogni dentro i sogni” è una sequenza altrettanto emblematica, che sembra richiamarsi ai piani di realtà inquadrata da certa psicoanalisi, come si diceva prima. Se si parla di doppio sogno, come certa critica ha fatto, è anche per richiamarsi all’opera da cui è tratto liberamente il film, ovvero Doppio sogno del drammaturgo Arthur Schnitzler.

    Spiegazione del finale

    Il film “Eyes Wide Shut,” diretto da Stanley Kubrick, si conclude con un finale aperto e ambiguo che lascia molte interpretazioni possibili. Il protagonista, il dottor Bill Harford (interpretato da Tom Cruise), si trova alla fine del film in una sorta di confronto con sua moglie, Alice Harford (interpretata da Nicole Kidman), dopo una serie di eventi strani e sconvolgenti che hanno coinvolto un culto segreto sessuale e una serie di personaggi misteriosi.

    Nella scena finale, Bill e Alice si ritrovano e sembrano aver raggiunto una sorta di comprensione tacita l’uno verso l’altra. Alice confessa a Bill di aver avuto fantasie sessuali con un altro uomo, ma conferma di non averle mai messe in pratica. La scena si conclude con una sorta di riconciliazione tra i due personaggi, che rimane aperta all’interpretazione e spiazza nuovamente lo spettatore.

    Sulle prime, infatti, la coppia si chiede cosa fare, cercando di dissimulare la crisi agli occhi dei figli. Alice appare confusa e priva di idee chiare, tanto da ringraziare il destino per aver risparmiato la loro relazione, confermando una sorta di fatalismo relazionale da parte di entrambi. Non sembra infatti la volontà dei singoli o della coppia a farla da padrone, o il loro desiderio di rimanere insieme o meno e mantenere salda la relazione: sembra che ci sia dell’altro, un richiamo forse al Super Io che li condanna a rimanere insieme, forse all’Es che li tiene istintivamente legati e fisicamente attratti.

    Tanto che poi, dopo aver tergiversato, Alice riesce a riconoscere che “nessun sogno è soltanto sogno“, e che in fondo “l’importante è che ora siamo svegli“. Svegli al punto che, in quell’interminabile minuto finale del film, l’ultimo desiderio di Alice è grottescamente giusto quello di “scopare“, punto di risoluzione di qualsiasi problema perchè forse, sembra suggerire il materialismo kubrickiano, è rimasto molto poco su cui discutere. Per certi versi è  un finale davvero sorprendente, che abbandona le speculazioni e lascia il finale aperto, tanto aperto da risultare “sventrato”, per dirla così, rispetto alle tematiche psicoanalitiche che sono state sviscerate nella narrazione.

    Un finale che rimane aperto all’interpretazione dello spettatore ed alla sua sensibilità, al suo modo di vedere le cose e interpretarle, senza fornire (cosa forse più importante di tutte) alcuna presuntuosa ricetta su “come far funzionare un rapporto di coppia“, rischio che è stato tangibile per gran parte del film e che quella semplice parola (nell’originale era un lapidario e serissimo fuck).

  • Il cigno nero: cast, trama, spiegazione del film

    Cast e Produzione

    “Il Cigno Nero” è un film psicologico-thriller del 2010 diretto da Darren Aronofsky. Il cast principale include Natalie Portman nel ruolo di Nina Sayers, Vincent Cassel nel ruolo di Thomas Leroy, Mila Kunis nel ruolo di Lily, e Barbara Hershey nel ruolo di Erica Sayers.

    Storia

    La trama ruota attorno a Nina, una ballerina ambiziosa che ottiene l’opportunità di interpretare il doppio ruolo di Odette e Odile nel balletto “Il Lago dei Cigni”. Mentre cerca di abbracciare l’aspetto oscuro del personaggio di Odile, Nina inizia a lottare con la sua salute mentale. La pressione, la competizione con Lily e la dominanza autoritaria di Thomas conducono gradualmente Nina verso una spirale di allucinazioni e paranoia. Il confine tra realtà e fantasia diventa sempre più sfumato, portando alla disintegrazione della sua psiche.

    Stile registico

    Darren Aronofsky è noto per le sue opere caratterizzate da tematiche psicologiche profonde e visivamente intense. In “Il Cigno Nero”, utilizza la tecnica di montaggio veloce, la fotografia oscura e gli effetti speciali per creare un senso di instabilità e tensione. La telecamera spesso segue da vicino il punto di vista di Nina, immergendoci nelle sue emozioni tumultuose.

    Sinossi

    Nina Sayers è una ballerina ambiziosa che ottiene il ruolo principale in “Il Lago dei Cigni”. Mentre si immerge nel doppio ruolo di Odette e Odile, inizia a sperimentare allucinazioni e una crescente paranoia. La competizione con la ballerina Lily e la dominanza autoritaria di Thomas la spingono verso una spirale di instabilità mentale. Le sue allucinazioni la portano a creare un alter ego oscuro che la spinge oltre i suoi limiti. Alla fine, Nina si esibisce magnificamente nel ruolo, ma nel suo tentativo di incarnare il cigno nero, arriva a auto-infliggersi una ferita fatale. Muore sul palco, realizzando finalmente la perfezione artistica e sacrificando la sua stessa vita nel processo.

    In conclusione, “Il Cigno Nero” esplora i temi della lotta interiore, dell’auto-sacrificio per l’arte e della ricerca della perfezione. La psiche complessa di Nina e la sua discesa nell’oscurità sono raffigurate attraverso elementi visivi intensi e una narrazione avvincente, creando un’esperienza cinematografica affascinante e disturbante allo stesso tempo.

    Curiosità

    • Natalie Portman vinse l’Oscar per la Migliore Attrice Protagonista per la sua interpretazione di Nina.
    • La preparazione di Natalie Portman per il ruolo richiese un addestramento intensivo nella danza classica.

    Spiegazione del finale (con SPOILER alert)

    La narrazione di “Il Cigno Nero” rappresenta la lotta di Nina con la sua dualità interiore. Odette e Odile, i due cigni nel balletto, incarnano la sua lotta tra l’innocenza e l’oscurità. Lily rappresenta l’aspetto oscuro di Nina che desidera emergere. Le allucinazioni e le ferite auto-inflitte riflettono il conflitto tra la perfezione artistica e l’autodistruzione. L’evento culminante del film è la performance finale, in cui Nina danza con straordinaria passione. La scelta di danzare in modo così travolgente è un’emanazione del suo alter ego oscuro, Odile, ma anche un espediente per liberarsi dalle restrizioni della sua personalità repressa. La sua morte sul palco rappresenta il raggiungimento della perfezione artistica e personale, ma a costo della sua vita.

    Interpretazione alternativa del finale

    Un utente Reddit ha proposto un’interpretazione alternativa del finale nel 2017:

    L’idea è che Nina non si sia davvero pugnalata e non sia morta dissanguata, ma che questo sia solo una metafora che rappresenta il fatto che ha ucciso il cigno bianco – che rappresenta l’innocenza e la fragilità – a livello interiore, e che così facendo abbia smarrito completamente se stessa. La morte del personaggio sarebbe quindi, in questa fan theory, completamente onirica o avvenuta solo a livello inconscio. Cosa provata da un ulteriore dettaglio: nella scena finale, quando tutti si congratulano con lei, la ferita non viene notata immediatamente, e questo potrebbe in qualche modo dimostrare la natura allucinatorio-onirica della sequenza, cosa peraltro non nuova nel resto del film.

    Immagine di copertina: Di Utente:Bart ryker – http://www.hd-trailers.net/, Copyrighted, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=3087501
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