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  • Che vuol dire «incaratato»

    Che vuol dire «incaratato»

    Potrebbe essere un refuso di incartato, nel senso: il termine “incartato” può essere utilizzato in diversi contesti con significati leggermente diversi. In generale “incartato” si riferisce a qualcosa che è stato avvolto o avvolto in carta o materiale simile.

    Tuttavia, può essere utilizzato anche in senso figurato per indicare qualcuno o qualcosa che è bloccato, impantanato o incastrato in una situazione difficile o complicata, senza possibilità immediata di uscirne. Ad esempio, una persona può sentirsi “incartata” in una relazione difficile o in un problema complesso che sembra insormontabile. In questo senso, essere “incartati” implica una sensazione di frustrazione, impotenza o disagio dovuta alla situazione in cui ci si trova.

    Secondo un vecchio dizionario, incaratato può essere anche il participio passato di incaratare, ovvero: che ha uno o più carati, nel senso di carato, di peso usato dai gioiellieri. Un carato è un’unità di misura utilizzata per pesare le pietre preziose, in particolare i diamanti: un carato corrisponde a circa 0,2 grammi. Questa misura è importante nel mondo delle gemme perché consente di valutare con precisione il peso di una pietra preziosa, il che influisce sul suo valore. Più una pietra è pesante in carati, solitamente più è grande e preziosa. Tuttavia, il valore di una pietra preziosa dipende anche da altri fattori, come la sua purezza, il colore e la taglio.

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  • Pagati per parlare su Telegram

    Introduzione

    Nell’era digitale in cui la tecnologia continua a trasformare la nostra esperienza quotidiana, nuove opportunità di guadagno si affacciano anche nel mondo delle conversazioni online. I cosiddetti “bot Telegram che pagano per parlare” sono diventati un argomento di interesse e discussione, ponendo domande sulla natura della comunicazione, della privacy e della monetizzazione.

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    Le Conversazioni come Fonte di Guadagno

    L’ascesa dei bot Telegram che offrono compensazioni finanziarie o criptovalute per il semplice atto di conversazione solleva una serie di questioni profonde. Questa tendenza riflette una sfida fondamentale: l’atto stesso di comunicare sta diventando una merce. Le conversazioni, in passato intese come un modo per scambiare idee, sentimenti e opinioni, ora sembrano essere soggette a una valutazione economica.

    La Pericolosa Illusione del Guadagno Facile

    Ll’illusione di guadagno facile che questi bot promuovono è il punto chiave. La possibilità di guadagnare semplicemente parlando potrebbe sembrare allettante, ma nasconde una realtà più complessa. Questi bot che pagano per parlare potrebbero essere potenzialmente rischiosi o addirittura truffe, portando gli utenti a condividere informazioni personali o a partecipare a attività che potrebbero compromettere la loro sicurezza o privacy.

    La Commodificazione dell’Espressione Umana

    Interrogarsi sulla natura stessa della comunicazione umana in questa era digitale non è banale, ma va fatto necessariamente. La monetizzazione delle conversazioni solleva la questione se l’espressione umana stia diventando una merce soggetta a valutazioni finanziarie. Questo potrebbe portare a un’erosione del valore intrinseco della comunicazione e all’incapacità di distinguere tra conversazioni autentiche e quelle motivate unicamente dal profitto.

    Sfide per la Comunità e la Cultura Online

    I bots Telegram che pagano per parlare potrebbero influenzare la dinamica delle comunità online. Queste interazioni finanziate potrebbero, in teoria, compromettere la genuinità dei discorsi, minando la fiducia e l’interazione autentica tra utenti. Questa tendenza potrebbe anche alimentare la proliferazione di contenuti vuoti o di bassa qualità, in quanto l’obiettivo principale potrebbe essere il guadagno piuttosto che la condivisione di conoscenze e idee significative.

    Conclusione

    In un mondo sempre più digitale e interconnesso, la questione dei bots Telegram che pagano per parlare solleva interrogativi fondamentali sulla natura stessa della comunicazione e dell’interazione umana. In un momento in cui le conversazioni vengono messe in vendita, potrebbe essere il momento di considerare attentamente il significato profondo di ciò che diciamo e con chi lo condividiamo.

  • Cosa ti porta Babbo Natale?

    Tra i fili dorati del tempo, intessuti con la seta lucente delle aspettative, ci siamo trovati immersi in un vortice di speranze avvolgenti, come petali di una rosa sbocciata sotto l’occhio attento del destino. Le stagioni si sono susseguite, danzando nel palcoscenico della vita con la promessa di doni incantati, mentre la magia dell’attesa si è fusa con il respiro vibrante delle emozioni.

    Come un caleidoscopio brillante, abbiamo dipinto le nostre visioni, tessendo le trame dei desideri con l’ardore dell’immaginazione. I sogni si sono innalzati come ghirlande luminose, adornando il cielo notturno con speranze caleidoscopiche, illuminate dall’attesa febbrile di un incontro imminente con il rosso barbuto signore delle festività.

    Ma nel tumulto di luci scintillanti e canti festosi, ci ritroviamo a scrutare con occhi inguaribilmente delusi, come il sipario che cala su un palcoscenico, mentre il silenzio si fa padrone della scena. Babbo Natale, colui che giunge nelle notti avvolte di mistero, sembra avere trascurato la mia lista di desideri, lasciando il vuoto incolmabile di una speranza svanita.

    E così, come ogni anno, mi ritrovo a contemplare il cazzo di niente nel calore del camino, le mani intrecciate attorno a una tazza di cazzo di niente fumante, mentre l’eco di un sospiro si perde nell’atmosfera sospesa tra realtà e un cazzo di niente. Forse, in questo dolce amaro cazzo di niente, risiede la bellezza dell’attesa infranta, una lezione di umiltà che dona profondità alla nostra umanità, ricordandoci che il vero tesoro risiede nei momenti condivisi e nell’amore intorno a noi.

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    Video del bambino che dice che a Natale Babbo Natale non gli porta un cazzo di niente.

  • “Ora capisco perchè piangete” era la frase più importante di Terminator 2

    L’immaginario pop ha da tempo consolidato l’idea del Terminator come il robot molto scaltro, intelligente e crudele, destinato a porre fine al genere umano. Una questione che riporta all’abuso della cultura pop da parte di certe letture della realtà un po’ troppo radicali, spesso affini a complottismo e rigurgiti anti-tecnologici (per non dire peggio). Come già avvenuto in Matrix e in Essi vivono, il film viene spezzettato e macinato in meme che fanno perdere il riferimento ed il punto di partenza della storia, diventando materiale per barzellette che non fanno ridere e (pseudo)notizie che vorrebbero farci piangere.

    Ora capisco perchè piangete è la frase che il Terminator buono, dopo aver distrutto l’infido T-1000, pronuncia al giovane John Connor, che a quel punto si è legato emotivamente ad un robot che gli ha salvato più volte la vita, e che vorrebbe fermarne la proclamata autodistruzione. La tragedia di Cameron si lega alla necessità di sopravvivenza del genere umano, naturalmente: se Terminator non concludesse la propria missione gettandosi tra le fiamme, il futuro potrebbe risultare globalmente compromesso, minacciato dagli androidi che prenderanno il sopravvento sugli uomini. La storia impone che i terminator si estinguano, per quanto doloroso possa sembrare per le nuove generazioni. John, ad un certo punto, non può fare a meno di esprimere il proprio stato d’animo con una lacrima che scende sul proprio viso. Il Terminator disobbedisce pure all’ultimo ordine disperato del ragazzo, ti ordino di non andare, a testimonianza del fatto che ha acquisito una propria indipendenza di giudizio, il che non si ripercuote necessariamente (è bene ribadirlo) in conseguenze negative per l’uomo.

    Ora capisco perchè piangete è una frase struggente quanto ricolma di significati: in primis andrebbe notato come la macchina interpretata da Schwarznegger abbia capito, cioè sia riuscito ad imparare qualcosa dagli uomini, attivando quello che oggi chiamiamo “apprendimento macchina” (machine learning). In secondo luogo, i terminator di Cameron sono tutt’altro che mono-dimensionali, tutt’altro che cattivi per definizione, ma sono estremamente ambivalenti: nel primo episodio del film, infatti, il terminator cattivo era interpretato dallo stesso attore che nel secondo episodio diventa dalla parte degli uomini. Questo avviene perchè, a livello di intreccio, il robot è stato programmato e riprogrammato per questa evenienza. Non si può fare a meno di notare, a questo punto, quel barlume di ingenuità narrativa del distinguere tra buoni e cattivi sulla base dell’aspetto,  ma a ben vedere questo permette al film di avere vari seguiti narrativi e di giocare perennemente su questa ambiguità di fondo: cosa vuol dire buono? Cosa vuol dire cattivo? Se riprogrammassimo un androide crudele per accompagnare gli anziani ad attraversare la strada, sarebbe possibile? Ricorderebbe di essere stato cattivo? Potrebbe sentirsi in colpa per aver agito in quel modo e dover andare dallo psicoanalista?

    Ora capisco perchè piangete denota anche, in definitiva, una capacità di empatia da parte della macchina, cosa che effettivamente chiede chi si rivolge a ChatGPT come se fosse il proprio psicologo.

    È altamente plausibile (per quanto si tratti ancora di un cantiere aperto) che la questione annessa all’etica delle macchine non sia decidibile, che significa: in informatica il concetto di “problema non decidibile” si riferisce a una classe di problemi per i quali non esiste (e mai potrà esistere, se è corretta l’ipotesi) un algoritmo o un programma che possa risolverli in modo generale, indipendentemente dall’hardware o dal tempo a disposizione. In altri termini un problema è considerato “decidibile” se esiste un algoritmo o una procedura che, quando applicati a qualsiasi istanza del problema, restituiscono una risposta corretta (sì o no) entro un certo limite di tempo. Ad esempio, il problema di verificare se un numero intero è pari o dispari è decidibile, poiché si può scrivere un algoritmo molto semplice che restituisce la risposta corretta. Capire se una macchina sia buona o cattiva, invece, che problema è? In quanto tempo posso rispondere con certezza sì o no?

    https://twitter.com/sarbathory/status/1709668102739235151

    Un esempio classico di problema non decidibile è il “problema dell’arresto” (Halting Problem): questo problema chiede se, dato un programma e un input, il programma si arresterà (terminerà) o continuerà a eseguire all’infinito per quell’input specifico. Alan Turing dimostrò già nel 1936 che non esiste un algoritmo generale che possa risolvere il problema dell’arresto per tutti i casi possibili. Per estensione il problema di stabilire se un’intelligenza artificiale (IA) possa o meno danneggiare l’umanità o meno non è un problema decidibile, almeno nel senso della teoria dell’informatica teorica. In un certo senso non vale a molto chiederselo, almeno fin quanto la teoria non avrà affinato i propri mezzi. Il che significa non avrà trovato un modo per quantificare l’etica, per misurare l’intelligenza in assoluto (in un ambito non ristretto come quello di una partita a scacchi dove, si è visto, algoritmo batte umano).

    Tale problema coinvolgerebbe infatti una serie di fattori complessi, etici e comportamentali non (ancora) misurabili, che vanno oltre la capacità di essere risolti da un semplice algoritmo o da una procedura meccanica. Lo stesso semplice dilemma del capire se una macchina possa o meno superare l’intelligenza umana è ambivalente, per quanto studiosi come Kanheman abbiamo ribadito che certe previsioni nel lungo periodo (come stabilire la profittabilità di un’azienda in 5 anni), ad esempio, vengono fatte con maggiore precisione di qualsiasi esperto da semplici algoritmi statistici o numerici. Ma sono ambiti differenti, molto, e le generalizzazioni servono a poco. Meglio quindi, ad oggi, porla in altri termini, e considerare prematura la domanda.

  • Perchè ChatGPT usa sempre le stesse parole

    Sembra che ChatGPT stia abusando del verbo inglese (apparentemente desueto) to delve (letteralmente scavare, fare ricerche): per la verità, c’è da dire, i termini più ricorrenti nelle sue risposte sono stati riassunti già da qualche mese. Su Reddit, ad esempio, un utente ha notato che ricorrevano spesso:

    1. “It’s important to note” -> È importante notare
    2. “Delve into” -> Approfondire/Indagare su
    3. “Tapestry” -> Tela/Tessuto/Tessitura (a seconda del contesto potrebbe variare)
    4. “Bustling” -> Affollato/Animato
    5. “In summary” or “In conclusion” -> In sintesi or In conclusione
    6. “Remember that….” -> Ricorda che…
    7. “Take a dive into” -> Tuffarsi in/Esplorare in profondità

    e che il termine altrettanto comune è realm (regno), che viene segnalato da un post di un utente su Linkedin.

    Su questo aspetto il Chatbot non sembra molto propenso a parlare, quando gli chiedi qualcosa:

    Mi dispiace, non ho la capacità di effettuare ricerche dirette nel mio corpus o di conteggiare le occorrenze di termini specifici come “to delve”. Tuttavia, posso dirti che “to delve” è un verbo in inglese che significa “approfondire” o “esaminare attentamente”. Se hai bisogno di ulteriori informazioni su un certo argomento o su come utilizzare questo termine in contesto, non esitare a chiedere!

    Se invece rigiriamo la domanda chiedendo di individuare quali siano i contesti in cui potrebbe usare “to delve” e compagnia, ne risulta un curioso collage multi-linguistico:

    1. Ricerca accademica: “Il dottorando ha deciso di dedicare un intero capitolo della sua tesi a delving nel campo della neuroscienza cognitiva.”
    2. Investigazione giornalistica: “Il giornalista ha deciso di delving nella corruzione politica per scoprire la verità nascosta dietro lo scandalo.”
    3. Studio letterario: “Nel romanzo, l’autore delves nei recessi più oscuri della psiche umana, esplorando temi di alienazione e solitudine.”
    4. Analisi storica: “Gli storici hanno passato anni a delving negli archivi alla ricerca di documenti che potessero svelare i segreti della società medievale.”
    5. Ricerca scientifica: “I ricercatori stanno delving nei meccanismi molecolari che causano la resistenza agli antibiotici.”
    6. Esame dei dati: “Gli analisti stanno delving nei dati finanziari per individuare eventuali anomalie che potrebbero indicare frodi.”
    7. Esplorazione culturale: “Il viaggiatore ha deciso di delving nella cultura locale, imparando la lingua e partecipando alle tradizioni.”
    8. Approfondimento psicologico: “Lo psicologo ha aiutato il paziente a delving nei suoi ricordi d’infanzia per affrontare le sue paure e ansie.”
    9. Esplorazione musicale: “Il compositore ha deciso di delving nei suoni della natura per creare una nuova opera sperimentale.”
    10. Approfondimento filosofico: “Nel suo saggio, l’autore delves nelle questioni etiche e morali che circondano il concetto di giustizia sociale.”

    Questi sono solo alcuni esempi di come il verbo “to delve” possa essere utilizzato in diversi contesti.

    L’uso di intercalari, ad ogni modo, è davvero molto comune e riconoscibile con ChatGPT, che da un lato ha imposto uno standard basato su un corpus, lo ricordiamo, di cui nessuno sa davvero nulla, dall’altro non sembra aver problemi a citare apertamente. In questo caso, infatti, se chiediamo quali siano gli intercalari più usati da ChatGPT troviamo:

    Ecco alcune frasi comuni che potresti trovare nelle mie risposte in italiano:

    1. “È importante notare che…”
    2. “In sintesi,…”
    3. “In conclusione,…”
    4. “Ricorda che…”
    5. “Per riassumere,…”
    6. “Per comprendere meglio,…”
    7. “Considera che…”
    8. “È fondamentale sottolineare che…”
    9. “Un aspetto da tenere presente è…”
    10. “Va notato che…”

    Queste sono solo alcune delle espressioni comuni che potresti incontrare nelle mie risposte. La scelta dell’espressione dipende spesso dal contesto e dall’obiettivo della comunicazione.

    Il che suggerisce la presenta di numerosi strati di elaborazione, di livelli di filtraggio con criteri diversi e di potenziali randomizzazioni nelle risposte per cercare di diversificare i discorsi (test eseguiti con ChatGPT 3.5 il 2 aprile 2024).

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