DISTOPIA_ (15 articoli)

Se scegliamo l’ignoranza, viviamo e moriamo nella paura costante, prigionieri delle nostre insicurezze e paure. A volte bisogna dubitare della nostra percezione e delle informazioni che riceviamo, instillando sfiducia e confusione. Dystopia è un commento sul controllo sociale, la repressione della verità e la resistenza contro l’oppressione in una società distopica. La ripetizione della parola “Dystopia” sottolinea il contesto oscuro e senza speranza in cui queste osservazioni si inseriscono.

https://www.youtube.com/watch?v=QrV61ATP3Ec

  • Brazil: un sublime saggio distopico, tuttora ineguagliato

    Brazil: un sublime saggio distopico, tuttora ineguagliato

    Sam Lawry è un tecnocrate onesto e sognatore quanto timido ed impacciato, che opera per il complicatissimo settore burocratico di una distopica società occidentale: ossessionato da un sogno ricorrente nel quale raggiunge, alato, la donna dei suoi sogni, un giorno finisce per riconoscerla in una conoscente…

    In breve. Considerato un capolavoro del genere sci-fi distopica (secondo Harlan Hallison si tratta addirittura del migliore in assoluto) si tratta effettivamente di un lavoro di eccellente fattura, che riprende toni e tematiche di “1984” (G. Orwell) ed è ambientato in uno scenario surreale, ricco degli aspetti bizzarri che i fan dei Monty Python riconosceranno immediatamente. La tragedia di un essere umano schiacciato dalle assurdità burocratiche moderne, che si tramuta in una feroce satira contro un certo tipo di modernità.

    Brazil” di Terry Gilliam è un surrogato – che non esiterei a definire epico – di tipiche situazioni di fantascienza distopica, ricchissima di simbolismi (che il regista sembra visibilmente aver amato alla follia), e che dai simbolismi stessi non si fa appesantire, come in altri film sarebbe facilmente potuto succedere. Proponendo un gioco duale e funambolico tra la realtà (sgradevole, noiosa e monotona) ed il sogno più liberatore che possa esistere, rende difficile comprendere cosa sia vero e cosa invece costruzione mentale. E nel fare questo Gilliam sembra essere stato molto attento a non cedere ad intellettualismi troppo astratti, confermando la natura “pop” del genere ed allegandovi messaggi profondi e molto mirati. Si mostra la vita di un uomo qualsiasi, un vero e proprio “numero” nel quale diventa ovvio identificarsi: una persona ricca di sfaccettature, sensibile e profondamente sognatrice, che si scontra con un mondo sordo, menefreghista e schiavo di burocrazie inutili e sfiancanti. “Brazil” rappresenta la lotta di un uomo prima di tutto contro se stesso, ed a testimoniarlo ci invia un gioco di parole intraducibile in italiano (i samurai contro cui Sam combatte evocano la frase “Sam, you’re I“) che rende decisamente più comprensibile alcune delle allucinazioni del protagonista.

    L’amore, visto in chiave “settantiana” come liberazione totale della bellezza e della purezza smarrita dall’uomo, assume caratteristiche “sovversive”, che non possono essere tollerate da un mondo repressivo e dominato da giocattoli tecnologici e chirurghi plastici senza scrupoli (il richiamo al mondo ipocrita del successivo Society non è neanche troppo azzardato). Per quanto il film possieda una stragrande maggioranza di elementi positivi, dunque, si rileva probabilmente un unico vero difetto nell’eccessiva lunghezza della pellicola, che finisce – pressapoco prima dell’ultima mezz’ora – per stancare un po’ lo spettatore meno paziente, lasciandolo pero’ in bilico ed imponendogli, di fatto, di vedere il tutto fino alla fine per forza di cose.

    Le enormi capacità comunicative ed artistiche di Gilliam, realizzate da momenti realmente bizzarri che evocano le divagazioni dei Monty Python, si esplicano in situazioni apertamente umoristiche e, senza preavviso, tragicamente realistiche e paranoiche. Molte delle tematiche, e parte delle conclusioni, sono accumunate al classico di Orwell “1984“, a cui il regista sembra essersi ispirato servendosi pero’, c’è da specificare, di un numero superiore di mezzi espressivi rispetto alla mediocre riduzione cinematografica del famoso romanzo.

    Memorabile l’interpretazione di De Niro, che compare nei panni del “libero professionista sovversivo” Tuttle, uno dei pochi alleati autenticamente umani del protagonista e focalizzato su alcune “micro-sequenze” realmente memorabili. Certamente alcune allusioni finiranno, al giorno d’oggi, per risultare inefficaci (le ossessioni da teledipendenza, ad esempio, erano state ampiamente sviscerate da Cronenberg qualche anno prima), anche se trovo impressionante rilevare come alcune trovate, come quella della macchina che fornisce volti e informazioni personali su qualsiasi cittadino, finisca per evocare l’omologazione presente all’interno dei moderni social network.

    Un film di grande valore artistico e con vari dettagli sorprendenti per un film dell’epoca: da vedere almeno una volta nella vita.

  • 12 cortometraggi gratuiti da riscoprire

    Stasera vi proponiamo una piccola selezione di cortometraggi di vario genere, tutti gratuitamente reperibili e che potete gustarvi direttamente dal nostro sito. Abbiamo alternato perle dimenticate del passato con film più recenti, in nome di un’amalgama che raccoglie più feeling: distopia, puro gusto per la narrazione, nichilismo ma anche rilassatezza e gusto per la grafica 3D.

    Buona visione!

    Skywatch

    Spring

    La città nel cielo

    recensione

    FIRE (POZAR)

    Un corto di David Lynch che potrebbe esservi sfuggito, pubblicato sul suo canale Youtube.

    Alone

    I’m going out for cigarettes

    Un corto suggestivo e dai tratti grotteschi, con riferimenti al mondo della psicologia e del complesso edipico.

    OLTRELUOMO

    Un picconiere e un caruso rimangono intrappolati in miniera, a causa di un’esplosione di gas grisou. Non c’è via di uscita. Un corto profondo e filosofico sulla condizione sociale dei protagonisti.

    Take me please

    Cittadino modello

    Un cortometraggio del 2020 di David James Armsby, che rielabora l’eterno tema della distopia.

    Coda

    Purl

     

    Love is mute

    Una simpatica storia su come un accenno di magia porta Mike, il protagonista di questo corto realizzato da Pranav Pujara, a superare la paura di esprimersi.

  • Cosa significherebbe vivere nella Matrice (matrix)

    La parola “matrix” in italiano si traduce come “matrice”.

    Il termine ha vari significati a seconda del contesto:

    1. Matematica e Informatica: Una matrice è una tabella di numeri disposti in righe e colonne, utilizzata per rappresentare dati o per eseguire calcoli complessi.
    2. Biologia: La matrice può riferirsi a una sostanza intercellulare, come la matrice extracellulare, che fornisce supporto strutturale alle cellule.
    3. Cinematografia e Cultura Popolare: Il termine “matrice” è diventato famoso grazie al film “The Matrix” (in italiano “Matrix”), in cui si riferisce a una realtà simulata creata da macchine per controllare la mente umana. In questo contesto, “vivere nella matrice” significa vivere in un mondo illusorio, creato artificialmente, senza rendersi conto della vera realtà.

    Vivere nella matrice può quindi essere interpretato come vivere in una condizione di illusione, dove le percezioni di una persona sono manipolate o controllate, e dove la vera natura del mondo rimane nascosta. Questa espressione è spesso usata in senso figurato per descrivere una situazione in cui qualcuno è inconsapevole della verità o è intrappolato in un sistema ingannevole. Uscire dalla “matrice” implica un viaggio di auto-scoperta e consapevolezza, dove la verità e la libertà personale diventano l’obiettivo principale. Questo percorso può essere difficile, ma anche estremamente liberatorio.

    Uscire dalla condizione di “vivere nella matrice”, intesa come una situazione di inganno o illusione, richiede una serie di passaggi che coinvolgono la consapevolezza, il pensiero critico e l’azione. Ecco alcune idee su come farlo:

    1. Acquisire Consapevolezza:
      • Il primo passo è riconoscere che potresti essere in una “matrice”, ovvero in una situazione in cui la tua percezione della realtà è distorta o controllata. Questo richiede un’apertura mentale e la volontà di mettere in discussione ciò che hai sempre dato per scontato.
    2. Sviluppare il Pensiero Critico:
      • Imparare a pensare in modo critico significa analizzare informazioni, valutare fonti e considerare diverse prospettive prima di accettare qualcosa come vero. Questo ti aiuta a distinguere tra realtà e inganno.
    3. Ricerca della Verità:
      • Esplora diverse fonti di informazione, leggi, studia e cerca di comprendere il mondo da vari punti di vista. La conoscenza è uno strumento potente per smascherare le illusioni.
    4. Mettere in Discussione le Autorità e i Sistemi:
      • Non accettare passivamente ciò che viene detto da chi è al potere, che si tratti di governi, media, o altre istituzioni. Metti in discussione le loro motivazioni e cerca di capire cosa potrebbe esserci dietro le loro affermazioni.
    5. Connettersi con Altri:
      • Parlare con persone che hanno esperienze o punti di vista diversi può aiutarti a vedere le cose sotto una luce nuova. Le comunità e i gruppi di discussione possono offrire supporto e nuove idee.
    6. Esplorare la Spiritualità e la Filosofia:
      • Alcuni trovano utile esplorare questioni esistenziali attraverso la filosofia o la spiritualità. Questi ambiti possono offrire prospettive sul significato della realtà e della vita al di là di ciò che è immediatamente percepibile.
    7. Agire in Coerenza con la Nuova Consapevolezza:
      • Una volta acquisita una nuova comprensione, è importante agire in modo coerente con essa. Questo potrebbe significare cambiare abitudini, prendere decisioni informate o addirittura modificare la tua vita in modo significativo.
    8. Essere Pronti ad Affrontare le Conseguenze:
      • Uscire dalla “matrice” può comportare sfide e sacrifici, poiché significa abbandonare vecchie convinzioni e forse anche affrontare l’opposizione di chi preferisce restare nell’illusione.

    La psicoterapia, ad esempio, può essere uno strumento molto efficace per uscire dalla condizione di “vivere nella matrice,” soprattutto se la intendiamo come una condizione in cui una persona si sente intrappolata in schemi mentali negativi, credenze distorte o una percezione della realtà che non riflette la verità.

  • La vera storia di Stanisláv Evgráfovič Petróv

    Stanislav Petrov è stato un ufficiale dell’esercito sovietico noto per il suo ruolo cruciale nel 1983 durante un episodio noto come l’incidente del falso allarme missilistico. Stanislav Evgrafovich Petrov (in russo: Станисла́в Евгра́фович Петро́в, scomparso nel 2017) è stato un tenente colonnello delle Forze di Difesa Aeree Sovietiche. Petrov aveva giocato un ruolo chiave nell’incidente dell’allarme nucleare falso sovietico avvenuto nel 1983: il 26 settembre, tre settimane dopo che le forze militari sovietiche avevano abbattuto il volo 007 della Korean Air Lines.

    Petrov si trovava in servizio presso il centro di comando: senza preavviso, il sistema segnalò che un missile era stato lanciato dagli Stati Uniti, assieme ad altri cinque: Petrov giudicò che il sistema stesse elaborando un falso allarme, sia pure violando il protocollo militare che sarebbe stato tenuto a rispettare. Il militare venne, per questo, sottoposto a numerose domande da parte dei suoi superiori in relazione a quella scelta, con esiti contraddittori: inizialmente venne elogiato per la sua decisione, ma venne ripreso per non aver preso nota di quello che era successo.

    Un’indagine confermò in seguito che il sistema di allarme satellitare sovietico era effettivamente malfunzionante, e non venne mai ricompensato come indicato all’inizio. Secondo lo stesso Petrov, ciòfu dovuto al fatto che l’incidente e altri “bug” trovati nel sistema di rilevamento missilistico avevano messo in imbarazzo i suoi superiori e gli influenti scienziati che ne erano responsabili, tanto che se fosse stato ufficialmente ricompensato, avrebbero dovuto essere puniti. Fu riassegnato a un incarico meno delicato, andò in pensione anticipatamente e, da quello che sappiamo, soffrì di esaurimento nervoso per un certo periodo.

    La decisione di Stanislav Petrov di disobbedire agli ordini venne in seguito accreditata di aver impedito un attacco nucleare di rappresaglia contro gli Stati Uniti e i suoi alleati della NATO, che avrebbe potuto risultare in una guerra nucleare su larga scala. La sua decisione si era rivelata corretta: successivamente è stato confermato che non c’era alcun attacco missilistico in arrivo. Per il suo coraggio e il suo discernimento nell’affrontare la situazione, Petrov è stato elogiato come eroe e gli è stata assegnata una serie di onorificenze. La sua azione è il simbolo della prudenza e del pensiero critico in situazioni di alto rischio, e ha contribuito a sottolineare i pericoli legati all’escalation militare in un contesto di tensione nucleare durante la guerra fredda.

  • Speciale Ciprì e Maresco: cinema e dadaismo musicale

    Lo zio di Brooklyn del titolo è un personaggio che non dice una parola nell’intero svolgimento della trama, e che l’unica che dirà (quando vorrebbe rivelare il proprio nome) sarà coperta da un sonoro peto. Giocando sui toni del grottesco all’italiana brutalizzati ed essenzializzati dentro una Palermo che sembra post-apocalittica, Ciprì e Maresco realizzano questa opera prima nel 1995, dovendo buona parte della propria fama all’attenzione che gli volle dedicare Enrico Ghezzi su Rai Tre.

    Girato nel bianco e nero più ruvido che si possa immaginare, fu caratterizzato da personaggi grotteschi, isterici e rivoltanti. All’epoca fu in grado di innescare polemiche a non finire sul contenuto del film, senza che nessuno capisse che i due registi stavano inventando qualcosa di nuovo, qualcosa che sarebbe stato (spesso malamente o confusamente) imitato da molti altri: un cinema d’essai che sbeffeggia e parodizza prima di tutto se stesso, poi la critica snob (c’è il personaggio del critico musicale, che spesso sbaglia e non trova le parole giuste per esprimere concetti che, nelle intenzioni, vorrebbero essere parecchio elaborati), e poi attacca almeno una parte del pubblico delle sale.

    Viene quasi in mente, a riguardo, il mai abbastanza compreso “Largo all’avanguardia, pubblico di merda” di Roberto “Freak” Antoni e dei suoi Skiantos. Il codice comunicativo dei personaggi è stravolto rispetto a qualsiasi canone cinematografico, o addirittura di buon gusto: molte scene sono cinicamente inquadrate da lontano, e i due nani protagonisti, ad esempio, comunicano mediante rutti.

    [il dadaismo] rifiuta gli standard artistici, come dimostra il nome dada che non ha un vero e proprio significato, tramite opere culturali che erano contro l’arte stessa.

    Soprattutto le canzoni interpretate nel film sembrano voler rivestire un’importanza fondamentale – e con dei tratti dadaisti, nell’uso delle parole, in alcuni passaggi.

    (rivolto alla camera) 1,2,3,4…

    Ma cosa fa?

    Conto gli spettatori! … 5,6,7, …

    Il fimm da schifo! Il fimm fa schifo! Dove vai, lurido cane rognoso! Uno spettatore se n’è andato via.

    Lo Zio di Brooklyn: il degrado penetra nei classici della musica italiana

    Il contesto del film è interamente popolare, e dai tratti rozzi e semplicistici, tanto da suscitare una sensazione straniante fin dall’inizio. Già dal trailer, del resto, si intuiva che molto del film sarà determinato dall’accostamento tra i temi sobri ed eleganti della musica italiana vs. volgarità e peti vari.

    Il riferimento, qui, sembra essere la celebre esibizione di Wanda Osiris di uno dei suoi brani più famosi, Sentimental, in cui la diva scendeva le scale durante il canto – in modo malamente imitato dal buon Paviglianiti (attore palermitano scomparso nel 2000).

    Parte del feeling generale de Lo zio di Brooklyn è incentrato sul tema della desolazione, della solitudine e dell’amor perduto, almeno a sentire le parole delle canzoni proposte: il film non ha una colonna sonora vera e propria, per cui è lecito andare a riascoltare le canzoni che sono state reinterpretate per l’occasione dagli improbabili, trash e grotteschi personaggi.

    Cammela (Chianese, Palombo)

    In questa sequenza il personaggio di Anciluzzu canta “Carmela” (di Gugliermo Chianese and Salvatore Palombo) mentre aspetta le patate che ha chiesto al vicino. La scena ha una valenza teatrale e fortemente straniante, avviene senza un esplicito motivo e si avverte una costante dell’intera pellicola: i personaggi cantano e, nel contempo, danno l’idea di voler fuggire dallo schermo, trovando rifugio tra quegli stessi spettatori che, paradossalmente, finiranno per rigettarli.

    Mamma di Cesare A. Bixio e Bruno Cherubini

    La sequenza vede un personaggio cantare (fuori campo) il celebre ritornello di Mamma di Bixio, Cherubini con forte inflessione siciliana, stonando spesso e volentieri, degenerando in un improbabile falsetto, mentre due personaggi (il mago Zoras e Lo Giudice, protagonista di uno dei medley più importanti del film) si fissano ad un tavolo.

    Poco dopo, gli gli verrà consegnato una collana, che non dovrà togliere per nessun motivo perchè dagli improbabili effetti magici.

    Ancòra di G. R. Testoni

    Uno dei brani più indimenticabili del film, a questo punto, è Ancora di G. R. Testoni. Il testo del brano è intatto, e mantiene la sua carica grottesca: sembra che il personaggio sia un improbabile musicista di strada, che cerca l’approvazione di quel pubblico tanto “temuto” di cui sopra.

    https://www.youtube.com/watch?v=7d355UPxTKk

    Chella llà (U. Bertini)

    Al minuto 13:00 circa, per citare un ulteriore esempio, si può gustare una versione parodizzata ed ultra-ermetica di “Chella lla” (originale scritto da Umberto Bertini e musicata da Di Paola/Taccani), intervallata da pernacchie ed insulti (“Suca!”), oltre che da un testo leggermente cambiato.

    Uuuula! Vàsami, vàsami, vàsami, prrr!

    Chilla lla chilla lla

    te pare ca mpazzisc e poi me sparo

    polli… tutti polli sono!

    Playboy di G. Lo Giudice

    Playboy di Giovanni Lo Giudice, tanto per fare un esempio ancora più dada, ripete ossessivamente la parola del titolo con un testo delirante, probabilmente improvvisato sul momento dall’attore.

    Il testo recita pressappoco questo:

    playboy, playboy, playboy,

    playboy, playboy, playboy

    no, non sono un playboy,

    sono un ragazzo romantico,

    che crede ancora nell’amor,

    perciò ti dico no,

    il playboy oggi è quello che ha i soddi,

    anche se è basso, pelato o grasso

    Il senso del brano, sconnesso e volutamente fuori tempo in molti passaggi, assume una valenza grottesca se inquadrato nel giusto ambito: bisogna pensare che non ci sono personaggi femminili nel film, e che – soprattutto – poco prima abbiamo assistito alla famosa (ed oggetto di infinite polemiche) scena di zoofilia con una mula.

    Lo stesso tema ricorre in seguito all’interno dello stesso film, dove assume una parvenza dai toni più tragici, rassegnati e desolanti. Che senso ha, a quel punto, essere un playboy – se comunque vivi in una città abbandonata, dai tratti post-apocalittici, in cui basta avere i soldi per vivere bene, e potresti diventare un Casanova anche se sei basso pelato o grasso?

    Curtiello cu curtiello (Fiorini, Di Domenico)

    Questo pezzo viene proposto durante il minaccioso interrogatorio di Tommasino nei confronti di due diseredati, che ne elogiano (nonostante tutto) le doti canore.

    L’originale è stata interpretata tra gli altri da Mario Merola, ed è nota per la sua versione cinematografica.

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