PASSEGGIATE MENTALI_ (90 articoli)

  • Guida pratica al cinema ageista

    Guida pratica al cinema ageista

    L’ageismo è una forma di discriminazione basata sull’età. Si manifesta quando si fanno giudizi o si prendono decisioni su persone basandosi esclusivamente sulla loro età, spesso associando stereotipi negativi o preconcetti riguardo a una determinata fascia d’età. Questo può accadere in vari contesti, come nell’ambito lavorativo, nella società in generale o persino all’interno delle relazioni personali.

    L’ageismo può portare a trattamenti ingiusti, esclusione sociale, limitazioni di opportunità lavorative e altro ancora. È importante riconoscere questa forma di discriminazione e lavorare per contrastarla, promuovendo l’inclusione e il rispetto delle persone indipendentemente dalla loro età.

    Film sull’ageismo

    Vari film affrontano il tema dell’ageismo, esplorando le sfide e le dinamiche legate all’invecchiamento e alla discriminazione legata all’età. Ecco alcuni esempi:

    1. “The Intern” (Il giovane favoloso) – Un film del 2015 diretto da Nancy Meyers, in cui Robert De Niro interpreta un anziano stagista in un’azienda di moda guidata da Anne Hathaway. La trama ruota attorno a Ben Whittaker, interpretato da Robert De Niro, un vedovo in pensione che si sente insoddisfatto della sua vita tranquilla. Decide di partecipare a un programma di stage senior presso un’azienda di moda di successo chiamata About The Fit, fondata e gestita da Jules Ostin, interpretata da Anne Hathaway. Ben diventa l’unico stagista senior nella compagnia, cercando di adattarsi a una cultura aziendale dominata da giovani dinamici e tecnologici. La sua saggezza, esperienza e atteggiamento positivo catturano l’attenzione di molti colleghi più giovani, mentre instaura un legame speciale con Jules, la cui vita frenetica e stressante è in contrasto con la sua ricerca di equilibrio tra carriera e vita personale. La storia si sviluppa mentre Ben diventa una figura paterna per molti dei dipendenti e si trova coinvolto nelle vicende personali e professionali di Jules, offrendo consigli preziosi e supporto.
    2. Gran Torino – Un film del 2008 diretto e interpretato da Clint Eastwood, che affronta il tema del cambiamento sociale e della discriminazione legata all’età. Il film vede lo stesso Eastwood nel ruolo principale di Walt Kowalski, un veterano della guerra in Corea, reduce dal passato violento e dal carattere scorbutico.La storia si svolge a Detroit e ruota attorno a Walt, un anziano veterano che si trova a dover affrontare il cambiamento culturale nel suo quartiere, ora prevalentemente abitato da famiglie immigrate hmong. Inizialmente ostile e pieno di pregiudizi verso i suoi nuovi vicini, Walt si ritrova coinvolto nella vita di un giovane ragazzo hmong di nome Thao, che cerca di evitare di finire coinvolto in una gang locale. Dopo che Thao tenta di rubare il vecchio pickup Gran Torino di Walt per dimostrare la sua devozione a una gang, Walt decide di intervenire. Inizialmente, Walt prende Thao sotto la sua ala protettiva, insegnandogli valori come il rispetto, l’onore e la dignità, e lo coinvolge in lavori di miglioramento della comunità. Nel frattempo, i conflitti tra la famiglia di Thao e la gang locale aumentano, mettendo a rischio la sicurezza di entrambi. Walt si trova così coinvolto in una situazione in cui deve proteggere Thao e la sua famiglia, portando alla risoluzione dei conflitti e mostrando un atto finale di sacrificio per il bene degli altri. Il film è una riflessione sulla redenzione, sul superamento dei pregiudizi e sulla capacità di cambiamento delle persone anche in età avanzata, oltre a mettere in luce le tensioni e i problemi sociali in una comunità multiculturale.
    3. “About Schmidt” – Un film del 2002 diretto da Alexander Payne, con Jack Nicholson nel ruolo di un uomo in pensione che cerca un significato nella sua vita.
    4. “The Bucket List” (Non è mai troppo tardi) – Un film del 2007 con Jack Nicholson e Morgan Freeman, che segue due uomini anziani affetti da cancro che compilano una lista di cose da fare prima di morire.
    5. “Still Alice” – Un film del 2014 con Julianne Moore che affronta il tema dell’Alzheimer e dei cambiamenti nella vita di una persona e della sua famiglia.
    6. “Youth – La giovinezza” – Un film del 2015 scritto e diretto da Paolo Sorrentino, con Michael Caine e Harvey Keitel, che esplora la questione dell’invecchiamento e della ricerca di significato nella vita.

    Questi film offrono diverse prospettive sull’età e la società, contribuendo a sensibilizzare sulle sfide legate all’ageismo.

    Bullismo vs ageismo

    Il bullismo e l’ageismo sono entrambi forme di discriminazione che si basano su caratteristiche personali, sebbene siano rivolte a gruppi demografici diversi. Il bullismo è spesso associato alle dinamiche tra giovani o adolescenti, comportando abusi fisici, verbali o emotivi verso individui considerati più deboli o diversi.

    Tuttavia, c’è un legame potenziale tra il bullismo e l’ageismo, specialmente quando si considerano gli stereotipi negativi associati alle diverse fasce d’età. Gli anziani, ad esempio, possono essere vittime di discriminazione o di comportamenti intimidatori e offensivi da parte di individui più giovani. Questo può manifestarsi in forme di discriminazione sul luogo di lavoro, nella sfera sociale o in situazioni quotidiane.

    Le idee preconcette sull’invecchiamento, come la percezione che gli anziani siano deboli, lenti o non in grado di comprendere le nuove tecnologie, possono portare a comportamenti dispregiativi o umilianti, simili a quelli del bullismo. Ciò può risultare in isolamento sociale, mancanza di opportunità o abusi.

    Affrontare sia il bullismo che l’ageismo richiede un cambiamento culturale che promuova il rispetto e la comprensione delle differenze, oltre a incoraggiare la diversità e l’inclusione in tutte le fasce d’età. Entrambi i fenomeni richiedono consapevolezza, educazione e sforzi per creare ambienti accoglienti e rispettosi per tutte le persone, indipendentemente dall’età o da altre caratteristiche personali.

  • Significato perculare – Wikicubo

    Il verbo “perculare” è un termine colloquiale in italiano che significa deridere, prendere in giro o schernire qualcuno in modo sarcastico o beffardo. Quando si percula qualcuno, si sta facendo un commento o una battuta scherzosa a spese della persona, spesso con l’intenzione di farla ridere o di scherzare in modo amichevole.

    Perculare = (prendere) per (il) cul(o)

    Ecco un esempio di come il termine “perculare” può essere utilizzato in una frase:

    “Marco mi ha perculato per la mia nuova acconciatura, ma era solo uno scherzo amichevole.”

    In questo contesto, Marco sta facendo commenti scherzosi sulla nuova acconciatura di qualcuno, ma senza cattiveria o intenzioni offensive. È importante notare che il tono e il contesto giocano un ruolo fondamentale nell’interpretazione di questo termine, poiché può essere usato in modo amichevole tra amici o in modo offensivo se usato in modo inappropriato.

  • Le emozioni inespresse non muoiono mai

    Le emozioni inespresse non muoiono mai: restano sepolte vive, e verranno fuori nei modi peggiori (S. Freud).

    Il tema richiama interessanti riflessioni sulla psiche umana e sulla repressione delle emozioni. Reprimere le emozioni significa sopprimere, o trattenere volontariamente, le proprie emozioni o sentimenti. Equivale spesso a non esprimersi, a forzare un silenzio spesso doloroso e sostanziale.

    Repressione delle emozioni come meccanismo difensivo. Tuttavia quando diventa un meccanismo difensivo può portare a conseguenze negative. Per la psicoanalisi esplorare, comprendere e affrontare le emozioni represse si prefigura come un passo importante per il processo di crescita e di auto-consapevolezza.

    La repressione emotiva può avvenire per diverse ragioni: paura di esprimere i propri sentimenti agli altri, desiderio di mantenere un’immagine preconcetta di sé o di conformarsi alle norme sociali, voglia di evitare il confronto con emozioni negative o dolorose.

    Nel film “Il seme della follia“, Carpenter esplora il tema dell’orrore psicologico e di un minaccioso inconscio collettivo. Il protagonista, un investigatore privato, scopre un libro che scatena una serie di eventi strani e inquietanti nella cittadina di Hobb’s End. Il film suggerisce che la follia umana, scatenata altresì dall’incapacità di affrontare le emozioni  represse, può propagarsi come una pandemia.

    Una calda sera d’estate, il giorno prima di un concerto che aspettava da mesi, l’anonimo protagonista si ritrova a scorrere il feed di Twitter. Suo malgrado, dato che voleva cancellarsi fino a poche ore prima. Tra i tweet degli amici e delle pagine seguite, un profilo attrae da tempo la sua attenzione: è quello di una nota psicologa che condivide contenuti profondi e stimolanti. I suoi pensieri sembrano rispecchiare i dubbi esistenziali e le idee politiche dell’anonimo protagonista. Gradualmente si sviluppa in lui un forte interesse per una figura virtuale. Innamorato del tuo avatar. È sempre più attratto dalla sua figura, e fantastica eroticamente su di lei, sul suo viso. Mentre continua a leggere i suoi tweet e ad approfondire la sua conoscenza attraverso i suoi articoli e video, l’anonimo protagonista si rende conto che si sta innamorando di questa donna, anche se non la conosce personalmente ed è solo un avatar. Ogni suo tweet diventa motivo di gioia e di eccitazione, e si ritrova a fantasticare su come sarebbe incontrarla dal vivo.

    Come regista e sceneggiatore, Cronenberg è noto per esplorare temi legati alla mente umana, alla trasformazione e all’alienazione.

    I censori tendono a fare quello che fanno soltanto gli psicotici: confondono la realtà con l’illusione (David Cronenberg)

    Un giorno l’anonimo raduna il coraggio possibile, decide di rispondere a uno dei suoi tweet. Lo fa più volte. Con sua grande sorpresa, la dottoressa risponde con gentilezza e apertura, dimostrando di apprezzare il contributo dell’anonimo. Quell’interazione accende ulteriormente la sua passione, e decide di fare un passo in avanti. In un impeto di sincerità, invia un messaggio privato alla psicologa, esprimendole quanto le sue parole siano state importanti per lui e quanto, in definitiva, desideri incontrarla per conoscerla meglio.

    Jacques Lacan, psicoanalista francese, ha sottolineato l’importanza del linguaggio e delle parole nella formazione dell’inconscio e delle emozioni relegate a esso. Secondo Lacan le emozioni non espresse, soprattutto quelle che riguardano l’infanzia o gli eventi traumatici, vengono “sepolte” nell’inconscio, ma continuano a esercitare una forte influenza sulla vita psichica dell’individuo.

    La risposta della psicologa è cortese ma cauta, lei ringrazia per i complimenti e ammette di apprezzare l’interesse, ma spiega implicitanente che non desidera accettare. Forse l’incontro non la aggrada, forse ha paura anche lei dell’altro virtuale che in fondo era solo un anonimo.

    Non espresse mai un rifiuto netto, ma lascia intendere implicitamente che un incontro potrebbe essere complicato. L’anonimo protagonista si sente deluso, ma non si scoraggia. Decide di continuare a seguirla, cercando di apprezzare i suoi contenuti senza far pesare la delusione del possibile rifiuto. Si sforza di vedere l’incontro mancato come una possibilità di crescita personale, poiché ha avuto il coraggio di esprimere le sue emozioni. Accettando ogni responso, un passo alla volta.

    Sigmund Freud rielaborato da Midjourney

    Con il passare del tempo, l’anonimo protagonista impara ad apprezzarsi e ad esseere meno duro con se stesso. Sviluppando coraggio di esprimere i suoi sentimenti, anche se non sempre corrispondono alle aspettative. Riesce a sviluppare una maggiore comprensione di sé e delle sue emozioni, imparando a tollerare la delusione e ad aprirsi a nuove possibilità.

    Filosofo e critico culturale sloveno, Slavoj Žižek ha affrontato il concetto di “realtà inquietante” nell’ambito della teoria psicoanalitica. Zizek suggerisce che ciò che è sepolto nell’inconscio può emergere in forme di disturbo, ossessioni o azioni bizzarre. Le emozioni relegate e represse sono alla base delle nostre angosce e delle ossessioni che ci tormentano.

    Non sa cosa riserva il futuro, ma è determinato a continuare ad esplorare se stesso e il mondo che lo circonda, senza reprimere le sue emozioni ma accettandole come parte della sua stessa identità.

  • Pagati per parlare su Telegram

    Introduzione

    Nell’era digitale in cui la tecnologia continua a trasformare la nostra esperienza quotidiana, nuove opportunità di guadagno si affacciano anche nel mondo delle conversazioni online. I cosiddetti “bot Telegram che pagano per parlare” sono diventati un argomento di interesse e discussione, ponendo domande sulla natura della comunicazione, della privacy e della monetizzazione.

    parla bot telegram

    Le Conversazioni come Fonte di Guadagno

    L’ascesa dei bot Telegram che offrono compensazioni finanziarie o criptovalute per il semplice atto di conversazione solleva una serie di questioni profonde. Questa tendenza riflette una sfida fondamentale: l’atto stesso di comunicare sta diventando una merce. Le conversazioni, in passato intese come un modo per scambiare idee, sentimenti e opinioni, ora sembrano essere soggette a una valutazione economica.

    La Pericolosa Illusione del Guadagno Facile

    Ll’illusione di guadagno facile che questi bot promuovono è il punto chiave. La possibilità di guadagnare semplicemente parlando potrebbe sembrare allettante, ma nasconde una realtà più complessa. Questi bot che pagano per parlare potrebbero essere potenzialmente rischiosi o addirittura truffe, portando gli utenti a condividere informazioni personali o a partecipare a attività che potrebbero compromettere la loro sicurezza o privacy.

    La Commodificazione dell’Espressione Umana

    Interrogarsi sulla natura stessa della comunicazione umana in questa era digitale non è banale, ma va fatto necessariamente. La monetizzazione delle conversazioni solleva la questione se l’espressione umana stia diventando una merce soggetta a valutazioni finanziarie. Questo potrebbe portare a un’erosione del valore intrinseco della comunicazione e all’incapacità di distinguere tra conversazioni autentiche e quelle motivate unicamente dal profitto.

    Sfide per la Comunità e la Cultura Online

    I bots Telegram che pagano per parlare potrebbero influenzare la dinamica delle comunità online. Queste interazioni finanziate potrebbero, in teoria, compromettere la genuinità dei discorsi, minando la fiducia e l’interazione autentica tra utenti. Questa tendenza potrebbe anche alimentare la proliferazione di contenuti vuoti o di bassa qualità, in quanto l’obiettivo principale potrebbe essere il guadagno piuttosto che la condivisione di conoscenze e idee significative.

    Conclusione

    In un mondo sempre più digitale e interconnesso, la questione dei bots Telegram che pagano per parlare solleva interrogativi fondamentali sulla natura stessa della comunicazione e dell’interazione umana. In un momento in cui le conversazioni vengono messe in vendita, potrebbe essere il momento di considerare attentamente il significato profondo di ciò che diciamo e con chi lo condividiamo.

  • “Ora capisco perchè piangete” era la frase più importante di Terminator 2

    L’immaginario pop ha da tempo consolidato l’idea del Terminator come il robot molto scaltro, intelligente e crudele, destinato a porre fine al genere umano. Una questione che riporta all’abuso della cultura pop da parte di certe letture della realtà un po’ troppo radicali, spesso affini a complottismo e rigurgiti anti-tecnologici (per non dire peggio). Come già avvenuto in Matrix e in Essi vivono, il film viene spezzettato e macinato in meme che fanno perdere il riferimento ed il punto di partenza della storia, diventando materiale per barzellette che non fanno ridere e (pseudo)notizie che vorrebbero farci piangere.

    Ora capisco perchè piangete è la frase che il Terminator buono, dopo aver distrutto l’infido T-1000, pronuncia al giovane John Connor, che a quel punto si è legato emotivamente ad un robot che gli ha salvato più volte la vita, e che vorrebbe fermarne la proclamata autodistruzione. La tragedia di Cameron si lega alla necessità di sopravvivenza del genere umano, naturalmente: se Terminator non concludesse la propria missione gettandosi tra le fiamme, il futuro potrebbe risultare globalmente compromesso, minacciato dagli androidi che prenderanno il sopravvento sugli uomini. La storia impone che i terminator si estinguano, per quanto doloroso possa sembrare per le nuove generazioni. John, ad un certo punto, non può fare a meno di esprimere il proprio stato d’animo con una lacrima che scende sul proprio viso. Il Terminator disobbedisce pure all’ultimo ordine disperato del ragazzo, ti ordino di non andare, a testimonianza del fatto che ha acquisito una propria indipendenza di giudizio, il che non si ripercuote necessariamente (è bene ribadirlo) in conseguenze negative per l’uomo.

    Ora capisco perchè piangete è una frase struggente quanto ricolma di significati: in primis andrebbe notato come la macchina interpretata da Schwarznegger abbia capito, cioè sia riuscito ad imparare qualcosa dagli uomini, attivando quello che oggi chiamiamo “apprendimento macchina” (machine learning). In secondo luogo, i terminator di Cameron sono tutt’altro che mono-dimensionali, tutt’altro che cattivi per definizione, ma sono estremamente ambivalenti: nel primo episodio del film, infatti, il terminator cattivo era interpretato dallo stesso attore che nel secondo episodio diventa dalla parte degli uomini. Questo avviene perchè, a livello di intreccio, il robot è stato programmato e riprogrammato per questa evenienza. Non si può fare a meno di notare, a questo punto, quel barlume di ingenuità narrativa del distinguere tra buoni e cattivi sulla base dell’aspetto,  ma a ben vedere questo permette al film di avere vari seguiti narrativi e di giocare perennemente su questa ambiguità di fondo: cosa vuol dire buono? Cosa vuol dire cattivo? Se riprogrammassimo un androide crudele per accompagnare gli anziani ad attraversare la strada, sarebbe possibile? Ricorderebbe di essere stato cattivo? Potrebbe sentirsi in colpa per aver agito in quel modo e dover andare dallo psicoanalista?

    Ora capisco perchè piangete denota anche, in definitiva, una capacità di empatia da parte della macchina, cosa che effettivamente chiede chi si rivolge a ChatGPT come se fosse il proprio psicologo.

    È altamente plausibile (per quanto si tratti ancora di un cantiere aperto) che la questione annessa all’etica delle macchine non sia decidibile, che significa: in informatica il concetto di “problema non decidibile” si riferisce a una classe di problemi per i quali non esiste (e mai potrà esistere, se è corretta l’ipotesi) un algoritmo o un programma che possa risolverli in modo generale, indipendentemente dall’hardware o dal tempo a disposizione. In altri termini un problema è considerato “decidibile” se esiste un algoritmo o una procedura che, quando applicati a qualsiasi istanza del problema, restituiscono una risposta corretta (sì o no) entro un certo limite di tempo. Ad esempio, il problema di verificare se un numero intero è pari o dispari è decidibile, poiché si può scrivere un algoritmo molto semplice che restituisce la risposta corretta. Capire se una macchina sia buona o cattiva, invece, che problema è? In quanto tempo posso rispondere con certezza sì o no?

    https://twitter.com/sarbathory/status/1709668102739235151

    Un esempio classico di problema non decidibile è il “problema dell’arresto” (Halting Problem): questo problema chiede se, dato un programma e un input, il programma si arresterà (terminerà) o continuerà a eseguire all’infinito per quell’input specifico. Alan Turing dimostrò già nel 1936 che non esiste un algoritmo generale che possa risolvere il problema dell’arresto per tutti i casi possibili. Per estensione il problema di stabilire se un’intelligenza artificiale (IA) possa o meno danneggiare l’umanità o meno non è un problema decidibile, almeno nel senso della teoria dell’informatica teorica. In un certo senso non vale a molto chiederselo, almeno fin quanto la teoria non avrà affinato i propri mezzi. Il che significa non avrà trovato un modo per quantificare l’etica, per misurare l’intelligenza in assoluto (in un ambito non ristretto come quello di una partita a scacchi dove, si è visto, algoritmo batte umano).

    Tale problema coinvolgerebbe infatti una serie di fattori complessi, etici e comportamentali non (ancora) misurabili, che vanno oltre la capacità di essere risolti da un semplice algoritmo o da una procedura meccanica. Lo stesso semplice dilemma del capire se una macchina possa o meno superare l’intelligenza umana è ambivalente, per quanto studiosi come Kanheman abbiamo ribadito che certe previsioni nel lungo periodo (come stabilire la profittabilità di un’azienda in 5 anni), ad esempio, vengono fatte con maggiore precisione di qualsiasi esperto da semplici algoritmi statistici o numerici. Ma sono ambiti differenti, molto, e le generalizzazioni servono a poco. Meglio quindi, ad oggi, porla in altri termini, e considerare prematura la domanda.

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