FUORI NORMA_ (31 articoli)

Storie d’eccezione, extra-norma, al di sopra (o al di sotto) della media.

  • Magnolia: trama, curiosità, spiegazione finale

    Magnolia: trama, curiosità, spiegazione finale

    Molti critici considerano “Magnolia” l’esempio di film postmoderno, nonchè tra i più famosi e iconici lavori cinematografici di fine anni novanta. Il film presenta molte caratteristiche e temi che sono tipici del periodo, sia a livello di approccio che di narrazione intrecciata, dove le storie dei personaggi sono collegate inaspettatamente tra loro, in un turbine non lineare che non lesina la critica sociale.

    Una riflessione profonda e complessa, secondo i più, sulla natura umana e sulla società moderna.

    Sinossi Magnolia

    Magnolia” è un film del 1999 scritto e diretto da Paul Thomas Anderson, regista noto anche per Il filo nascosto. Il film è noto per la sua struttura narrativa complessa e il ricco cast di personaggi, interpretati da attori di talento come Tom Cruise, Julianne Moore, Philip Seymour Hoffman, John C. Reilly, William H. Macy, e molti altri. “Magnolia” è apprezzato per la sua regia, le prestazioni degli attori e la profondità delle sue tematiche. Il film ha ricevuto molte recensioni positive da parte della critica ed è stato nominato per diversi premi, incluso il premio Oscar. Il film è diventato di culto e ha ricevuto elogi dalla critica per la sua maestria tecnica e le prestazioni degli attori. Daniel Day-Lewis è stato particolarmente lodato per la sua interpretazione e ha vinto l’Oscar come Miglior Attore Protagonista per il suo ruolo nel film.

    La storia si svolge a Los Angeles e intreccia diverse trame che coinvolgono personaggi e storie diverse, ma collegate tra loro in vari modi. Il film affronta temi come il destino, la casualità, la solitudine, la redenzione e l’umanità.

    1. Introduzione: Il film inizia con una sequenza che mostra diverse storie brevi di eventi casuali che accadono nella vita di persone sconosciute. Questi eventi apparentemente casuali sottolineano il tema della casualità e del destino che saranno presenti nel resto del film.
    2. Earl Partridge (interpretato da Jason Robards): Earl è un anziano produttore televisivo di successo che è gravemente malato di cancro. La sua giovane moglie Linda (interpretata da Julianne Moore) è sopraffatta dalla colpa e rimorso per aver sposato Earl solo per il suo denaro. Il loro rapporto è complicato e tormentato.
    3. Frank T.J. Mackey (interpretato da Tom Cruise): Frank è un motivatore sessuale di successo, noto per il suo programma di auto-aiuto chiamato “Seduzione e sicurezza”. Nonostante il suo successo professionale, ha un rapporto complicato con suo padre morente, Earl Partridge, e si sforza di affrontare il suo passato turbolento.
    4. Stanley Spector (interpretato da Jeremy Blackman): Stanley è un bambino prodigio della televisione, noto per la sua intelligenza e conoscenza enciclopedica. Il padre di Stanley è ossessionato dal suo successo e lo sfrutta finanziariamente.
    5. Donnie Smith (interpretato da William H. Macy): Donnie è un ex bambino prodigio del quiz televisivo, che ora è un adulto sfortunato e insoddisfatto. Lotta con la sua solitudine e il suo desiderio di trovare amore e successo.
    6. Jim Kurring (interpretato da John C. Reilly): Jim è un onesto poliziotto che sta indagando su una serie di eventi strani e casuali che accadono in città durante la giornata piovosa.
    7. Claudia Wilson Gator (interpretata da Melora Walters): Claudia è una giovane donna tossicodipendente, figlia di un produttore televisivo, Jim Gator (interpretato da Philip Baker Hall). Claudia cerca disperatamente di liberarsi dalla tossicodipendenza e riconciliarsi con suo padre morente.
    8. Intrecci delle storie: Le storie di tutti questi personaggi e di altri ancora si intrecciano e si sovrappongono, spesso in modo inaspettato, durante la giornata. Il film esplora i temi della casualità, del destino e della redenzione, mentre i personaggi affrontano le loro sfide personali e cercano di trovare significato nelle loro vite.

    Il film culmina in un epilogo coinvolgente che lascia spazio all’interpretazione dello spettatore, con eventi misteriosi e straordinari che sconvolgono la vita dei personaggi e offrono una riflessione sulla natura umana e sulla connessione tra gli individui.

    Cast Magnolia

    Il cast di “Magnolia” è composto da un eccezionale insieme di talentuosi attori, molti dei quali hanno ricevuto ampi elogi per le loro interpretazioni nel film. Di seguito è riportato il cast principale:

    1. Jeremy Blackman – Stanley Spector
    2. Tom Cruise – Frank T.J. Mackey
    3. Melinda Dillon – Rose Gator
    4. Philip Baker Hall – Jimmy Gator
    5. Philip Seymour Hoffman – Phil Parma
    6. Ricky Jay – Burt Ramsey
    7. William H. Macy – Donnie Smith
    8. Julianne Moore – Linda Partridge
    9. John C. Reilly – Jim Kurring
    10. Jason Robards – Earl Partridge
    11. Melora Walters – Claudia Wilson Gator
    12. Michael Bowen – Rick Spector
    13. Luis Guzmán – Luis
    14. April Grace – Gwenovier
    15. Orlando Jones – Moderatore TV
    16. Alfred Molina – Solomon Solomon
    17. Pat Healy – Sir Edmund William Godfrey
    18. Michael Murphy – Alan Kligman

    Interpretazione del film

    Nel gioco della vita l’importante non è quello che sperate o che meritate, ma quello che prendete. Sono Frank T.J. Mackey, sovrano assoluto della fica e creatore del programma Seduci e Distruggi, ora disponibile anche in audio e videocassette. Seduci e Distruggi vi insegnerà tutte le tecniche necessarie a conquistare bionde mozzafiato pronte a benedire con i loro caldi umori il vostro letto. La parola chiave è il “linguaggio”: come per incanto il linguaggio ci aprirà le porte della mente femminile e ci permetterà di penetrare nelle loro speranze, desideri, paure, aspettative e nelle loro profumate mutandine. Imparate a trasformare la vostra buona amica in una schiava affamata di sesso. (Frank T.J. Mackey)

    “Magnolia” è un film ricco di simbolismi e temi complessi, che permette a diversi spettatori di trarre interpretazioni e significati personali dalla trama intricata. Va notato che “Magnolia” è un film aperto all’interpretazione e molte delle tematiche presentate sono intenzionalmente ambigue, lasciando spazio per diverse interpretazioni personali. La complessità delle storie e dei personaggi contribuisce a rendere il film un’esperienza cinematografica unica e coinvolgente per molti spettatori. Di seguito sono riportate alcune delle interpretazioni comuni del film:

    1. Casualità e destino: Un tema centrale del film è l’interconnessione degli eventi casuali e il ruolo del destino nella vita dei personaggi. Il film mette in evidenza come le azioni di una persona possono avere impatti inaspettati sulla vita di altre persone, creando una rete di connessioni e coincidenze.
    2. Solitudine e disconnessione: Molti dei personaggi del film sperimentano una profonda solitudine e disconnessione emotiva dagli altri. Nonostante vivano in una grande città come Los Angeles, si sentono isolati e incapaci di connettersi veramente con gli altri. Questo tema viene enfatizzato attraverso la rappresentazione di diverse storie di vita separate che si intrecciano solo occasionalmente.
    3. Redenzione e perdono: Diversi personaggi nel film stanno cercando la redenzione dalle loro azioni passate o stanno cercando di perdonare se stessi o gli altri. Il processo di redenzione è spesso ostacolato dalla complessità delle relazioni familiari e dei conflitti interni.
    4. Relazioni genitoriali: “Magnolia” esplora il tema delle relazioni complicate tra genitori e figli, evidenziando come il passato dei genitori possa influenzare profondamente la vita dei loro figli. Questo tema è rappresentato attraverso vari personaggi, come Frank T.J. Mackey e suo padre Earl Partridge, Claudia Wilson Gator e suo padre Jimmy Gator, e Donnie Smith e la figura paterna di Stanley Spector.
    5. Rinascita e cambiamento: Il film suggerisce che anche nelle situazioni più difficili, esiste la possibilità di una rinascita personale e di un cambiamento positivo. Molti personaggi affrontano momenti di crisi e, attraverso queste esperienze, trovano la forza di cambiare le loro vite.
    6. Il potere delle emozioni: “Magnolia” esplora l’intensità delle emozioni umane e il modo in cui queste possono influenzare le azioni e le decisioni dei personaggi. L’emozione è spesso rappresentata in maniera esplosiva e straordinaria nel film.

    A cosa si riferisce Magnolia del titolo?

    Il titolo “Magnolia” fa riferimento a un simbolo ricorrente nel film, ossia il fiore della magnolia. La magnolia è un albero sempreverde che produce grandi fiori profumati e appariscenti. Nel contesto del film, il fiore della magnolia assume diversi significati simbolici:

    1. Bellezza e fragilità: La magnolia è spesso associata alla bellezza e alla delicatezza dei suoi fiori. Questo simboleggia la bellezza e la fragilità delle vite dei personaggi nel film, che sono complesse e vulnerabili, ma allo stesso tempo affascinanti.
    2. Rinascita e speranza: La magnolia è un albero il cui fogliame e fiori rimangono durante tutto l’anno. Questo simboleggia la possibilità di rinascita e di speranza per i personaggi, anche attraverso momenti difficili e oscuri.
    3. Connessione e interconnessione: Nel film, il tema delle connessioni casuali tra i personaggi è centrale. La magnolia simboleggia la rete di connessioni che collega le loro vite, creando una trama intrecciata.
    4. Dualità: La magnolia è nota per la sua dualità, in quanto i suoi fiori sbocciano sia in primavera che in autunno. Questa dualità si riflette nel film, dove i personaggi possono essere complicati e contraddittori, con sfaccettature nascoste.
    5. Bellezza nascosta: Nei fiori della magnolia, i petali sono spesso coperti da un involucro protettivo che si apre per rivelare la bellezza interna. Questo può essere visto come un simbolo per la scoperta delle verità nascoste e delle emozioni profonde dei personaggi nel film.

    Noi possiamo chiudere col passato, ma il passato non chiude con noi. (Jimmy Gator)

    10 cose che non sapevi su Magnolia

    Ecco dieci curiosità interessanti sul film “Magnolia”:

    1. Origine del titolo: Il titolo “Magnolia” è ispirato a una canzone di Aimee Mann, intitolata “Save Me”, che è anche presente nella colonna sonora del film. Aimee Mann ha contribuito con diverse canzoni per la colonna sonora del film.
    2. Numeri ricorrenti: Nel film, il numero 82 ricorre in varie scene. Ad esempio, compare sulla scatola delle scarpe di Jim Kurring, sulla targhetta dell’ufficiale di polizia, e anche sulla camicia di Stanley Spector.
    3. La pioggia nel film: La pioggia è un elemento ricorrente in molte scene del film. La pioggia è stata generata artificialmente durante le riprese, poiché il film è ambientato a Los Angeles, che non è una città particolarmente piovosa.
    4. Personaggi doppi: Molte delle storie dei personaggi nel film hanno delle parallele tra loro. Ad esempio, i personaggi di Frank T.J. Mackey e Donnie Smith condividono alcuni tratti e hanno entrambi problemi con la figura paterna.
    5. Audizione di Tom Cruise: Tom Cruise, che interpreta Frank T.J. Mackey, ha ottenuto il ruolo dopo un’audizione telefonica con il regista Paul Thomas Anderson. Cruise ha ricevuto elogi per la sua performance, ottenendo anche una nomination all’Oscar come Miglior Attore Non Protagonista per il ruolo.
    6. Riferimenti a altre opere: Il film presenta diversi riferimenti a opere letterarie e cinematografiche. Ad esempio, il film inizia e finisce con una citazione dal libro “Frogs” di Aristofane.
    7. La traccia di Aimee Mann: Come accennato prima, Aimee Mann è una presenza importante nella colonna sonora del film. La sua musica contribuisce a creare un’atmosfera emozionante e si adatta perfettamente alla narrazione del film.
    8. Philip Seymour Hoffman e gli uccelli: Durante il film, il personaggio interpretato da Philip Seymour Hoffman, Phil Parma, mostra un amore per gli uccelli e li tiene come animali domestici. Hoffman era noto anche per il suo amore per gli animali nella vita reale.
    9. Lunghezza del film: “Magnolia” ha una durata piuttosto estesa, con una durata di circa 3 ore e 8 minuti. Questo lo rende uno dei film più lunghi nella filmografia del regista Paul Thomas Anderson.
    10. Finale ambiguo: Il finale del film è aperto all’interpretazione dello spettatore e ha suscitato diverse teorie e discussioni tra i fan e i critici. Il finale straordinario e misterioso ha contribuito a rendere “Magnolia” un film memorabile e discusso.

    Queste curiosità aggiungono ulteriore fascino e profondità a “Magnolia”, rendendolo un’opera cinematografica affascinante e intrigante da esplorare.

    Spiegazione del finale Magnolia

    Il finale di “Magnolia” è un’esperienza intensa e surreale che mette in luce i temi chiave del film, come la casualità, il destino, la redenzione e la connessione umana. È una sequenza carica di emozioni, che offre uno sguardo complesso e profondo sulla natura umana e il modo in cui le nostre vite sono intrecciate.

    Attenzione: Spoiler a seguire per chi non ha visto il film.

    Di seguito una spiegazione dettagliata del finale:

    1. La pioggia: La pioggia nel finale simboleggia un momento di catarsi e purificazione per i personaggi. La pioggia può essere vista come una manifestazione esterna delle intense emozioni e tensioni interiori che i personaggi stanno vivendo.
    2. La pioggia di rane: Durante la sequenza finale, in un evento straordinario e surreale, cominciano a piovere rane dal cielo. Questo evento è un elemento surreale e allegorico che simboleggia l’imprevedibilità e l’incredibile natura della vita. È come se il mondo si stesse ribellando e reagendo in modo straordinario alle emozioni e ai drammi che i personaggi stanno vivendo.
    3. Le scelte dei personaggi: Molti dei personaggi si trovano ad affrontare momenti di svolta nelle loro vite durante la pioggia di rane. Si scontrano con la loro coscienza e cercano di trovare la forza di fare scelte cruciali che cambieranno il corso delle loro storie.
    4. La scena della pistola: Durante la pioggia di rane, il personaggio di Jim Kurring, interpretato da John C. Reilly, affronta una situazione drammatica. Viene chiamato a gestire una situazione in cui un ragazzo sta minacciando di uccidersi con una pistola. Jim riesce a calmare il ragazzo, convincendolo a lasciare la pistola. Questa scena rappresenta il tema della redenzione e della compassione.
    5. Il canto: Durante la pioggia di rane, i personaggi iniziano a cantare insieme la canzone “Wise Up” di Aimee Mann. Il canto è una sorta di catarsi collettiva, un modo per esprimere le emozioni che stanno attraversando. Anche i personaggi che erano stati isolati o chiusi a loro stessi si uniscono nel canto, sottolineando l’importanza della connessione umana.
    6. L’epilogo: Dopo la pioggia di rane, il film presenta un epilogo che mostra il destino dei personaggi principali. L’epilogo offre alcune chiusure alle storie dei personaggi, ma allo stesso tempo lascia spazio per l’interpretazione e la riflessione dello spettatore.
  • Tetsuo: The Iron Man: il cyberpunk vintage più bello che esista

    Un composto business-man provoca un incidente stradale ad uno sconosciuto; lentamente inizierà a trasformarsi in un ibrido uomo-macchina.

    In breve: fantascienza low-budget con elementi horror, trama sconnessa e richiami al primo Cronenberg. Una chicca cyberpunk originale quanto delirante, non agevole da visionare quanto cult all’ennesima potenza. Girato volutamente in bianco e nero, con stile delirante e con pochi mezzi (il regista interpretò una parte per ovviare ad esigenze di budget), è (come minimo) uno dei migliori film del genere.

    “Esiste una bipolarità: stress e amore. Amore perché la tecnologia ha permesso la crescita economica del Giappone, stress perché ha finito per opprimerci, e se vengo oppresso l’unico desiderio che provo è quello di una tabula rasa: distruggere, per creare qualcosa di migliore” (S. Tsukamoto)

    Uno dei cult più assoluti del cyberpunk cinematografico, rappresenta l’alienazione esistenziale prodotta da una tecnologia sempre più perfetta e sempre più disumana. Convulso incubo metropolitano, il cui senso è relegato alla visione completa della trilogia (Tetsuo 2 – Body Hammer del 1992 e Tetsuo 3 – The bullet man del 2009), nonchè esasperata riflessione sulla condizione umana e sul suo rapporto con la tecnologia. La trama, in questi termini, è poco più di un accessorio a malapena necessario.

    Tetsuo parte da un presupposto inquietante: come in Tokio Fist, il dolore è presentato come una parte inevitabile della vita.  Attraverso esso, infatti, si veicolano le uniche sensazioni autentiche rimaste all’Uomo (idea forse mutuata da Hellraiser), un Uomo intrappolato nelle gabbie della modernità, della vuota produttività, del senso del dovere, in una frustrazione che trova sfogo nella segreta perversione del dolore auto-inflitto.

    I non sequitur di “Tetsuo – The iron man” (e ce ne sono parecchi), tutt’altro che a portata di tutti, fanno parte di un’estetica da accettare come “patto” tra spettatore e regista, resi dignitosi da un modo letterario di fare cinema proprio perchè di natura squitamente cyberpunk. Un cinema come espressione di legame malato tra uomo e macchina, i cui massimi esponenti furono James Ballard e, almeno in parte, Philiph Dick. Il cyberpunk cinematografico, del resto, si è sviluppato in modo alquanto disorganico, e non presenta tratti riconoscibili ed esclusivi: questo non depone a vantaggio di un film del genere, e ne esaspera la scarsa visionabilità. È anche vero, comunque, che il suo sviluppo in forme più “commerciali” (penso alla saga di Matrix, e a tutto quel filone light che comprende, ad esempio, Johnny Mnemonic), non è riconducibile a questa corrente, per molti versi l’unica vera corrente cyberpunk. Una scena altamente simbolica del film, del resto – spesso dimenticata da (inutili) tentativi di delinearne la trama – si presenta allo spettatore quando il “metal fetishish” protagonista annuncia che “presto il tuo cervello diventerà di metallo“, e mostra “un mondo nuovo” al povero Tomoo (ormai interamente mutato): un campo di fiori fatto di ferro, con steli a forma di molle, a delinare un mondo “metallizzato” ovvero materialistico e per nulla umano.

    Il voler stare fuori dalle righe di Tsukamoto provoca un certo disorientamento nello spettatore medio, sfavorendo nettamente la visione di Tetsuo. Nonostante l’appeal un po’ troppo teorico, comunque, Tetsuo ha il merito di aver riconsegnato un’autentica dimensione artistica in chiave moderna al genere: e di averlo fatto in modo non banale o fine a se stesso, lanciando messaggi sovversivi quanto preoccupati sul nostro futuro. Innumerevoli i riferimenti ad altri film simili come stile e tematiche: si va dal classico Eraserhead di David Lynch (stile delle riprese, trama sconnessa) fino a Cronenberg, omaggiato all’inverosimile: ad esempio La Mosca, nella mutazione di una relazione a seguito di un cambiamento fisico (il trapano-fallico in questa sede, la mutazione in insetto di Brundle-mosca), e anche Videodrome, nell’uso dello schermo e della tecnologia come strumento di alienazione.

    Vi sono alcuni punti salienti della trama che, evidenziandoli, possono aiutare la comprensione dell’opera: anzitutto le fotografie di atleti collezionate all’interno della macchina – sembra infatti che il metal fetishish (interpretato da Tsukamoto in persona) non sia altro che un maratoneta che, probabilmente, cercava nuovi modi per incrementare le proprie prestazioni. Questo lo si deduce non tanto dalla sua corsa frenetica (all’inizio ed alla fine del film), quanto dal fatto che indossi una maglietta da corridore con una “X”, probabilmente il numero di gara dell’atleta.  L’ impiegato Tomoo Taniguchi (interpretato da Tomorowo Taguchi) e la fidanzata (interpretata da Kei Fujiwara) hanno prima investito il feticista, poi lo hanno trasportato via in macchina e, in preda al panico, lo hanno prima lasciato in un burrone e poi, per smaltire la tensione, hanno grottescamente fatto sesso – magari in preda ad una inquietante eccitazione sullo stile di Crash.

    Poco dopo la colazione, poi, vediamo Tomoo parlare al telefono con la donna, ed il fatto che i due ripetano vuotamente “Pronto?” potrebbe in qualche modo rappresentare il senso di colpa che li opprime. Alla fermata della metropolitana Tomoo incrocia una donna, contaminata da una “cosa” metallica informe (che, nonostante le dimensioni, sembra “contenere” o essere controllata a distanza dal metal fetishist) che le intacca la mano e la trasforma in una specie di androide, metà donna e metà macchina. La donna cerca di aggredire il salary-man protagonista – e questo perchè la vendetta del metal fetishish si sta concretizzando – rincorrendolo fino ai bagni della metropolitana, e poi fino a casa, dove grazie ad un cacciavite l’uomo ha la meglio, ma è comunque rimasto infetto dal metallo (l’idea del metallo come malattia è tipicamente da Cronenberg). Nella stessa ottica alienante è possibile rivisitare la scena in cui l’uomo sogna di essere sodomizzato dalla compagna, mutata anch’essa in una malefica danzatrice provvista di un tubo metallico in corrispondenza del pube. Tutto in Tetsuo è simbolo, tutto serve a creare suggestioni e a suggerire idee di una malata (quanto inevitabile) contaminazione tra metallo-demoniaco e uomo-corrotto.

    Il metallo, poi, sembra anche conferire una sorta di invulnerabilità a Tomoo, che non risente delle numerose coltellate subite dalla ragazza dopo aver tentato di aggredirla con il mostruoso (e citato a sproposito) trapano-fallico. Il delirio di effetti speciali del finale, poi, va seguito con grande attenzione, perchè mostra un’immensa e dettagliatissima ragnatela di tubi metallici, fili e circuiteria elettrica che fa meraviglia, di per sè, per una produzione low-cost. Molte sequenze sono state girate a passo uno, ovvero utilizzando un solo frame al secondo al posto dei consueti 25, creando un effetto di immagini “a scatti” usato qui in modo estremamente suggestivo.  Impressionante il modo in cui Tsukamoto, da qui, rende gli effetti speciali impressionanti e realistici: si vedano, ad esempio, i circuiti nel braccio di Tomoo.

  • Enemy: trama, cast, spiegazione e critica

    “Enemy” è un film del 2013 diretto da Denis Villeneuve e basato sul romanzo “The Double” di José Saramago. Il film è noto per la sua trama complessa e ricca di simbolismi, che ha portato a numerose interpretazioni e discussioni tra gli spettatori.

    La trama segue la vita di Adam Bell, un insegnante di storia noioso e insoddisfatto, interpretato da Jake Gyllenhaal. Un giorno, guardando un film, Adam nota un attore che assomiglia in modo sorprendente a lui. Adam inizia quindi a indagare sulla vita dell’attore, Anthony Claire, che è anche interpretato da Jake Gyllenhaal.

    Man mano che la trama si sviluppa, emergono parallelismi e simboli che suggeriscono che Adam e Anthony potrebbero essere la stessa persona, o almeno rappresentazioni simboliche di parti della stessa personalità. Entrambi i personaggi condividono una relazione complicata con le donne nella loro vita, che a loro volta sembrano avere connessioni e parallelismi.

    Il film è caratterizzato da una forte atmosfera onirica e surreale, con una fotografia cupa e una colonna sonora inquietante che contribuiscono a creare un senso di tensione e mistero. La narrazione ambigua e aperta a interpretazioni multiple ha portato a numerose teorie e discussioni tra gli spettatori sul significato e sulle implicazioni della trama.

    In definitiva, “Enemy” è un film che sfida lo spettatore a riflettere sul concetto di identità, doppio e la natura oscura della psiche umana. La sua natura enigmatica e simbolica lo rende un’esperienza cinematografica unica e coinvolgente per chi è disposto ad affrontare il suo mistero.

  • Bob Lazar Area 51 and Flying Saucers: un documentario sugli UFO che semina dubbi

    Si indaga su Bob Lazar, figura molto discussa nell’ambito ufologico: egli sostiene, fin dalla fine degli anni 80, di aver lavorato presso l’Area 51 al reverse engineering di una autentica astronave aliena.

    In breve. Lazar afferma di aver visto astronavi aliene all’interno dell’Area 51, e di conoscere da molto tempo l’elemento 115. La ricerca dei suoi titoli di studio e del suo curriculum vitae, non sempre reperibili, mina la credibilità della storia. Un complotto, una macchinazione ricorsiva o che altro?

    Extraordinary Beliefs è il nome della serie TV che accompagna l’episodio, in cui usualmente indagano su vari misteri, con un taglio ammiccante quanto funzionale al tipo di pubblico a cui si rivolgono. Nell’introduzione, ad esempio, la voce iniziale si interroga sul senso della vita, dell’esistenza e della formazione biologica di ciò che siamo. Subito dopo invita il pubblico a liberarsi di qualsiasi preconcetto, e a seguire l’incredibile storia che verrà raccontata.

    Il contesto: UFO, Area 51 e tecnologie “aliene”

    Le storie di UFO e di alieni sono da sempre al centro di controversie: esistono vari trend all’interno dell’ufologia, a cui si può dare credito o meno, e – al netto di trattazioni dell’argomento più o meno scientifiche o agiografiche – spesso la narrazione diventa puramente di impatto, sconfinando nei lidi dell’horror-fantascientifico (come avviene nei casi di avvistamenti o addirittura di presunti rapimenti da parte di alieni). Il documentario in questione, del resto, pone la questione con una certa prudenza, che nei fatti si traduce in un atteggiamento che non la mette troppo sul piano della credibilità – tant’è che premette la testimonianza dell’intervistatore (il celebre George Knapp) che lanciò per primo lo scoop con una prima intervista a Lazar, nel maggio 1989, che diede il via alle varie urban legend sull’Area 51. Il documentario affastella una serie di affermazioni e sembra più attento, nei fatti, allo storytelling che alla sostanza.

    Che cos’è l’Area 51?

    Area 51 è un nome che echeggia da tempo  su svariati libri più o meno attendibili, annessi all’ufologia (senza contare i siti web che ne parlano in maniera soprattutto sensazionalistica). Si tratta di una struttura negli Stati Uniti di dimensioni territoriali paragonabili alla Sicilia, associata all’Aeronautica e situata nel deserto del Nevada . Zona da sempre borderline e poco pubblicizzata ufficialmente (almeno, fino a qualche tempo fa), ha finito per alimentare teorie del complotto ufologiche di ogni tipo, diventando un po’ l’equivalente del monte Kadath per generazioni di appassionati del settore. Un luogo affascinante, misterioso ed attrattivo sul quale, fino al 2013, non si sapeva nulla di ufficiale (al netto di libri e trattati sul web non sempre troppo rigorosi scientificamente, per usare un eufemismo). Solo da quell’anno in poi, per la cronaca, la CIA ha acconsentito a declassificare i documenti inerenti la zona. Nel 1947 il Roswell Daily Record pubblicò la notizia del ritrovamento di un UFO associandola all’Area 51, che si rivelò solo in seguito (metà anni 90) un sistema di rilevamento dei test nucleari effettuati dall’URSS. Nella realtà, l’Area 51 viene utilizzata soprattutto per vari esperimenti nell’ambito di tecnologie militari degli Stati Uniti.

    Nove UFO presenti nell’area 51?

    Veniamo introdotti nell’Area 51 mediante filmati d’epoca di fine anni 80: una zona in cui, si sospettava già all’epoca, venissero provate armi molto potenti, e si stesse provando addirittura a costruire un veicolo imitando una tecnologia aliena. Si procede con la prima intervista a Lazar, che si presenta non inquadrato chiaramente, e con lo pseudonimo Dennis, il quale parla con KLAS-TV e racconta di aver visto, durante il suo lavoro nell’Area 51, nove veicoli alieni che venivano, secondo lui, dettagliatamente analizzati. Il suo compito, nello specifico, era quello di provare a capire come alimentarli, in modo da rendere quella tecnologia riproducibile. Le affermazioni dell’uomo sono colossali, ed il giornalista Knapp (che vinse all’epoca un premio dalla United Press Internation per il suo lavoro) racconta di aver indagato sulla credibilità della storia. Nel farlo, ricostruisce un puzzle nel quale – a ben vedere – mancano dei pezzi: ad esempio, non risulterebbe alcun titolo di studio acclarato a Lazar, ed alcune aziende dove era stato dipendente hanno dichiarato di non conoscerlo. Nelle liste dei dipendenti di altre aziende, tuttavia, il suo nome risulta (senza un titolo di studio universario, evidentemente, era impossibile entrarci), e senza entrare ulteriormente nel dettaglio si evince che la sua figura potesse essere – quantomeno – quella un tecnico specializzato che aveva operato nell’ambito della fisica avanzata, senza chiarire se a livello junior, senior e via dicendo (come diremmo oggi). Il documentario spiega tali discrepanze in maniera alquanto blanda, sottintendendo la possibilità che possa essere stato vittima di una macchinazione e ribadendo più volte di credere implicitamente alla sua storia.

    Bob Lazar e gli UFO

    Bob Lazar, classe 1956, al centro della narrazione, afferma di aver lavorato per anni nell’Area 51 e che viene riferito da Wikipedia come “cospirazionista” o “sedicente fisico“. Stando allo scaltro storytelling presentato, Lazar avrebbe lavorato ad un progetto riservato presso il sito S-4, dall’atmosfera cupa e militaresca, neanche ci trovassimo dentro The running man di Stephen King (la trascrizione di un’intervista suggestiva è sopravvissuta sul web grazie ad archive.org). Alcune affermazioni in merito, tra cui quella di aver visto due persone lavorare su un autentico alieno, vengono pero’ smentite e ridimensionate.

    Lazar avrebbe anche prelevato – in via non ufficiale – un campione dell’elemento 115, utilizzato secondo lui dai veicoli alieni per compiere viaggi interstellari, e finendo nei guai per averlo fatto (ritrovandosi varie forze di polizia ad ispezionargli casa). Nel documentario sentiamo molto le sue parole, ovviamente, supportate dal succitato Knapp, dalla moglie e dalla mamma di Lazar, a volerne evidentemente umanizzare la figura. Il tutto a voler suggerire – come è prassi per questo format, del resto – una sorta di “argomento” a supporto delle sue affermazioni.

    Cosa cambia crederci o meno, oggi, in tempi pandemici ed imprevedibili come quelli che viviamo? Poco o nulla, penso, ma al tempo stesso la gente rimane incollata alla poltrona a vedere documentari del genere. E fermo restando che, ovviamente, non credere a Bob Lazar non significa essere scettici a prescindere verso l’esistenza di forme di vita extraterrestri, il documentario è certamente gradevole e ricco di suggestione. Certo è che, come in qualsiasi film di fiction, è bene fare affidamento sulle massime doti di sospensione dell’incredulità, prima di vederlo, anche perchè il target di pubblico è chiaramente incentrato sul mood “I want to believe” (parafrasando il titolo del film di Chris Carter del 2008 tratto dalla serie X-Files).

    Bob Lazar: Area 51 and Flying Saucers è disponibile su Netflix per chiunque fosse interessato a guardalo. La suggestiva voce narrante, per inciso, del documentario (disponibile con sottotitoli in italiano) è di Mickey Rourke.

  • Ultracorpo: una fantascienza intelligente che riflette sulla discriminazione di genere

    Umberto lavora come idraulico, è il classico “uomo medio” insicuro e al tempo stesso affetto da machismo, il quale soddisfa la propria sessualità barcamenandosi, con pochi soldi, tra prostitute e pornografia. Per pura necessità un giorno finisce a casa di un ragazzo all’interno di un quartiere popolare: questi è omosessuale dichiarato, e la situazione provocherà una forte mutazione interiore…

    In breve. Interessante cortometraggio thriller cosparso di citazioni (a partire ovviamente dal cult dei celebri body snatchers, e finendo con una rappresentazione dell’orrore interiore da vero cinema d’autore), viene proposto come forte atto di denuncia anti-omofoba. Non tutti i personaggi sono curati con la stessa intensità, ed esiste per la verità qualche pecca a livello narrativo: ma il risultato colpisce dritto nel segno ugualmente, pur contenendo una sola vera sequenza allucinatoria riconducibile all’horror. Il resto è psicologia, e riesce a fare molta più paura.

    All’interno del mercato globalizzato e conformistico all’italiana, una ventata di aria fresca fa sempre piacere. E questo piccolo gioiello del regista Michele Pastrello certamente riesce ad andare orgogliosamente (e con intelligenza: non era facile) in controtendenza rispetto al “volemose-bene” che regna sovrano da diversi anni nelle nostre distribuzioni più grosse, riuscendo a farsi carico di un importante messaggio sociale senza alcun appesantimento. Film tecnicamente notevole, dotato di una fotografia suggestiva e tipicamente metropolitana, Ultracorpo parte da una celebre citazione del quasi omonimo film per arrivare a collegare, in modo forse prevedibile, il “baccello” alieno con una trasformazione interiore del protagonista. Una mutazione facile da indovinare, così come non sarà difficile intuire lo sviluppo delle vicende: un uomo come tanti, vittima delle proprie assurde convizioni che viene sopraffatto dal lato oscuro del cambiamento, e finisce per cambiare per sempre. Un passaggio che merita una visione per sua fortissima attualità: perchè la solitudine di Umberto, costellata di cura per il corpo nella palestra di casa e istinti repressi che tardano ad uscire fuori, esplode nella violenza nel modo più inatteso, e lascia un messaggio forte e chiaro. Un qualcosa che, nell’Italia delle aggressioni facili contro i “diversi”, lascia svariati spunti di riflessione.

    Il mio nome è Umberto. E sta succedendo qualcosa in me. Sì, c’è qualcosa che non va. Non ho un soldo in questi tempi di crisi, vivo in una vecchia casa che mi ha lasciato mia madre e devo accettare qualsiasi sporco lavoro pur di non sprofondare. Ma lì, in quel cesso di posto non dovevo andarci, non dovevo accettare. Maledetti soldi. Ora sono qui, con lui. No, ora se n’è andato, ma sento che i suoi occhi continuano ad osservarmi. Ce ne sono altri come lui in giro, ti attraggono a loro, l’ho capito ora ma non mi faccio ingannare. Sento che vuole il mio corpo: sento che può entrare. E’ un incubo. Devo rimanere sveglio e all’erta.

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