Ospite Inatteso

  • Guida pratica al cinema sado-masochista

    Guida pratica al cinema sado-masochista

    Se associate automaticamente il BDSM alle frustate e ai completini in pelle, siete abbastanza fuori strada – o meglio, non è che le frustate ed il piacere procurato dal dolore non ci siano, ma il BDSM significa molte cose, è di fatto uno strano acronimo o sigla che sta per, rispettivamente, Bondage & Disciplina, Dominazione & Sottomissione oppure, ancora, Sadismo & Masochismo.

    Quanto piacciono i film BDSM

    Stando alle statistiche di Pornhub, tanto per citare un dato relativamente attendibile, all’epoca dell’uscita del trailer del film “50 sfumature di grigio” ci fu un’impennata di ricerche relative a questo mondo nel sito, e (per quello che ne sappiamo) per una piccola maggioranza erano persone di sesso femminile a volerne sapere di più. Il senso di dominazione sul partner (o sulla partner, a seconda dei casi) è, in alcuni casi, benzina per riaccendere e fare fuori la monotonia dei rapporti, e naturalmente l’immaginario del cinema non poteva esimersi dal prendere in considerazione questi aspetti.

    Koirat eivät käytä housuja

    50 sfumature di grigio

    Il cinema BDSM, in sostanza, va molto al di là del film che tutti hanno visto senza ammetterlo, ovvero 50 sfumature di grigio: formalmente un vero e proprio inno ai piaceri della sottomissione e dei rapporti squilibrati, uscito nell’anno 2015. Non proprio un film pregevole, a dirla tutta, ma ebbe se non altro il merito di riportare quelle atmosfere ad una dimensione “pop”.

    Histoire d’O

    Ovviamente non finisce qui e, a dirla tutta, non sarebbe nemmeno il caso di fermarsi qui: i migliori film del genere, come sempre, ci aspettano dietro l’angolo. Un esempio classicone potrebbe essere ad esempio Histoire d’O: anche se il trailer su Youtube non rende esattamente l’idea, è un film per iniziarsi alla pratica BDSM e fa capire una cosa fondamentale – nel BDSM, e perché si possa chiamarlo tale, non c’è alcuna costrizione, coercizione o plagio, come potrebbe sembrare agli utenti terrorizzati lì fuori. Semplicemente, la figura sottomessa dello schiavo (slave) è felice del proprio ruolo, e definisce apertamente la relazione in questi termini con una figura di padrone (master) che definisce il tutto a sua volta, e completa il cerchio.

    La storia del film racconta esattamente questo: la giovane fotografa “O” viene iniziata, di comune accordo con l’amante, all’interno di un castello a Roissy, dove subisce varie pratiche sessuali sado-masochiste, al termine delle quali sarà identificata come schiava per sempre. L’interpretazione del film fu proposta a vari attori e registi famosi (Alejandro Jodorowsky, Anulka Dziubinska, Brigitte Fossey, Christopher Lee), che non accettarono per motivi diversi – tra cui il fatto che la parte doveva essere considerata “sconveniente”, per l’epoca – e alla fine furono Corinne Cléry e udo Kier ad essere i protagonisti, per la regia di Just Jaeckin.

    Maitresse (1976)

    Tulpa

    Recensione qui

    Delitto a luci rosse (J. Schumacher, 1999)

    Altro film che divenne un cult a fine anni 90, e che racconta di un poliziotto che indaga su un potenziale snuff movie (i film in cui la violenza ripresa è autentica e non simulata; in questo, e per i suoi accenni al sado-masochismo, Videodrome rimane uno dei saggi più completi sul tema, assieme probabilmente a Snuff 102).

    Schramm

    Un horror thrille girato con il realismo dello snuff, molto più spaventoso di qualsiasi horror abbiate mai visto; contiene anche un accenno alla dimensione masochista – molto esplicita e difficilmente filmabile, se vogliamo – che vive il protagonista, un tassista frustato ai suoi ultimi giorni di vita. Recensione qui su questo blog.

    La frusta e il corpo

    La frusta e il corpo prese in considerazione il sadomachismo già a inizio anni ’60, quando il tema era sicuramente molto più tabù di quanto non fosse oggi. Sicuramente è uno dei film più importanti di Mario Bava, forse il capolavoro assoluto del regista che qui affronta, in chiave gotica, del morboso rapporto tra il barone sadico Menliff e la cognata Nevenka.

  • 5 fumetti horror da non perdere

    La dimensione horror ha sempre fatto parte dell’immaginario legato ai fumetti, ed è stato consacrato da varie pellicole cult negli anni 80 e 90 (basterebbe pensare a riguardo, ad esempio, a Creepshow, che omaggiava apertamente il mondo dei fumetti low cost di genere horror, e si basava su micro-episodi dalla sceneggiatura abbastanza simile a questo formato). Ad oggi, il mercato si è decisamente espanso e non è più da considerarsi una nicchia, anche perchè non serve neanche più andare alle fiere del fumetto per procurarsi certi fumetti horror e, di fatto, anche nelle librerie se ne trovano per tutti i gusti.

    Quelli che vorrei segnalare in questo articolo sono alcuni dei titoli che mi sono particolarmente piaciuti in questi anni, scoperti un po’ per caso.

    Black Hole

    Uno dei miei fumetti horror preferiti, dai tratti cupi ed esistenzialisti ed in cui l’horror è metafora di malattia infettiva: i “mostri” sono bocche che si spalancano nei corpi delle persone, come orifizi inattesi e spaventosi oltre che sessualmente allusivi. Charles Burns, statunitense classe 1964, mostra tutto il suo talento. In Italia è edito dalla Coconino Press e potete riscoprirlo e acquistarlo qui.

    Jacula

    Ideato da Barbieri, Cavedon e Cambiotti, rientra di diritto nelle riscoperte assolute del genere horror italiano, che in questi caso strizza molto l’occhio al sottogenere erotico. Questa mini-saga racconta di Jacula, una vampira che vive a fine Ottocento e che si ritrova ad essere insolitamente immune ai raggi del sole. Ogni sua storia è sovrapposta, in modo più o meno credibile, con qualche tematica di tipo erotico, con diversi punti di contatto con il genere della commedia all’italiana.

    Dissacratorio, diretto e abbastanza facile da reperire (molti mercatini dell’usato mettono a disposizione quei numeri a prezzi stracciati), è sicuramente un fumetto di culto ed è assolutamente imperdibile per tutti i fan del cinema di genere.

    Hellraiser – La brama della carne

    Un piccolo capolavoro edito dalla Bao Edizioni, che riprende le tematiche della saga cinematografica ultra-splatter e la declina in modo piuttosto fedele alla storia originale. Fino a qualche tempo fa era reperibile anche in ebook, ad oggi sembra disponibile solo in edizione cartacea e, anche qui, è abbastanza facile da reperire.

    Lo trovi qui

    Psycopathia Sexualis

    Un fumetto molto interessante e sottovalutatissimo, di fatto: Psycho Pathia Sexualis è un fumetto antologico a cura di Miguel Ángel Martín (noto anche per Brian the brain). In questo caso abbiamo un’antologia di brevi racconti che illustrano pratiche masturbatorie e parafilie di ogni genere, storie di serial killer (John Wayne Gacy e Edward Gein vengono citati), il tutto con uno stile totalmente cinico e distaccato. Non è un horror nel senso gotico o più stretto del termine, ma certamente fa riflettere sugli orrori della società di oggi. Funny fact: in Spagna il fumetto ebbe il patrocinio del ministero della Cultura, in Italia (tanto per cambiare) venne censurato e messo sotto sequestro da parte della magistratura per un certo periodo. Nel 2001, l’editor Jorge Vacca venne assolto per non sussistenza del fatto.

    SPLATTER (Rizzoli Lizard)

    La rivista di Paolo Di Orazio è sempre stata uno dei punti di riferimenti assoluti del genere: edito dalla casa editrice ACME, almeno inizialmente, è stato successivamente ripreso e ripubblicato in tempi recenti. Un vero e proprio magazine, quindi, che ospitava anche servizi e speciali oltre a riportare fumetti con micro-storie horror anche qui estremamente debitrici al genere americano anni 80 e 90. Molto discusso perchè nel numero Primi Delitti (1989) riuscì a vendere circa 12.000 copie, ma venne sostanzialmente censurato e fu accusato di istigazione a delinquere durante un’interrogazione parlamentare, circostanza che finì per causarne, di fatto, la temporanea chiusura.

  • Il Joker di Phillips è un personaggio struggente e rinnovato

    Il Joker di Phillips: ne stanno ancora parlando dopo mesi, ma le cose hanno preso una piega abbastanza preoccupante. Joker, al di là del dilemma morale, è diventato la raffigurazione epica e romanticheggiante della figura del single emarginato e deriso da tutti, e questo – ovviamente – per l’opinione pubblica è tutt’altro che un merito.

    Come sappiamo questo film fa emergere una figura di Joker diversa, diversissima da quella del fumetto: un vero e proprio reietto, feroce, incazzato con la società e la cui la sua controparte “buona”, ovvero Batman, ancora non esiste, ed assume una connotazione praticamente irrilevante. La crudeltà di Joker, peraltro, non è affatto “fuori norma” come potrebbe sembrare a prima vista, anzi parrebbe essere in linea con quella del villain medio di qualsiasi altro film horror o thriller (pensiamo, ad esempio, agli omicidi beffardi di Freddy Krueger contro vari ragazzini “colpevoli”, il più delle volte, di essere depressi, insicuri o trascurati dai genitori).

    Joker trova liberatorio ogni suo atto ed il pubblico, almeno in parte, gode con lui per qualsiasi atto consumi in nome di tale liberazione. Ma molte persone, di fatto, non sembrano vederla esattamente in questi termini, tanto che accusano Joker di fornire un alibi a tutti i misogini mondiali (l’articolo del Rolling Stone di EJ Dickson discute esattamente questo, ad esempio) per commettere i peggiori crimini. Altri, invece, rimarcano da un punto di vista femminista come il problema sia radicato nella colpevolizzazione della donna ad ogni costo – e su questo chiunque dovrebbe leggere, a mio avviso, Perchè l’amore fa soffrire della sociologa Eva Illuiz. Certe situazioni, in altri termini, sembrerebbero derivare da un’impostazione passatista, ossessionata in modo irragionevole da traumi freudiani, dai quali (personal opinion) prima ci riusciamo a liberare, uomini e donne, meglio sarà.

    Non si sfugge alle categorizzazioni del web, e questo è un fatto ormai assodato: il termine incel, oltre a dare l’idea di una persona letteralmente chiusa in gabbia, sembra avere avuto origine sul sito Reddit, un “Facebook” forse fatto un po’ meglio, oltre che più incentrato sui contenuti che sulle persone. Incel infatti significa involuntary celibate, in sostanza “single per colpa degli altri” o celibe involontario che dir si voglia. Un tipo umano che, ricorda John Bleasdale, anni fa non poteva che suscitare tenerezza da parte degli amici e delle varie donne che lo vedevano più come un amico (ma-che-bravo-ragazzo, dai che troverai di sicuro la persona giusta – sottinteso: prima di finire in una tomba e marcire tra i vermi, da solo, per sempre). Oggi, come estremo paradosso, questa figura assume connotati addirittura pericolosi: varie stragi sono state compiute da singole persone, nel recente passato, che adducevano motivi legati alla misoginia (l’articolo linkato cita, ad esempio, Elliot Rodger e James Holmes). Ed in questo è stato immediato per certa parte dell’opinione pubblica, spesso fomentata da idee di natura sessista e da una comprensione malintesa del problema, additare il film come “causa” primaria del problema. Sembra di essere tornati ai tempi cupi in cui Marylin Manson veniva quasi accusato di omicidio (la strage di Columbine), oppure a quelli in cui i Judas Priest finivano in tribunale perchè accusati di aver istigato un omicidio da parte di due loro fan.

    L’accusa generica rivolta all’arte, soprattutto a quella che “fa discutere”, di empatizzare con la violenza ed arrivare ad ispirarla è ben nota: almeno dai tempi in cui Arancia Meccanica ispirò malamente certe sotto-culture giovanili, oppure quando pensiamo al personaggio epico del tassista di Taxi Driver(anch’esso rigettato dalle donne che amava). L’unica cosa che trovo interessante in tutta questa diatriba (che per il 95% assume connotati molto vicini alla teoria della montagna di merda: secondo quest’ultima, un idiota puo’ sempre produrre piu’ merda di quanta tu riesca a spalarne), in effetti, è che in primis si considera (sbagliando) l’incel medio come una figura prettamente maschile, denotando così indirettamente – a mio avviso, quantomeno – l’idea di una donna dominatrix a prescindere (una cosa che neanche nei porno di più infima categoria) che sceglie in modo anarcoide ed irrazionale (e quasi sempre doloroso per il friendzonato di turno) il proprio compagno. Cosa peraltro falsa, perché ci sono molte incel donne e questo è semplicemente scontato, anche solo per un fatto statistico e considerando il semplice fatto che la solitudine ed il rigetto, per come nascono e prolificano oggi, sono asessuati per definizione. Ci vorrebbe, forse, più sensibilità per capirlo, ma eravamo troppo occupati a scrivere sui social e commentare in modo discutibile le foto delle varie modelle e modelli.

    Sui social spopolano le foto di uomini e donne che riescono ad ottenere “successo” sui social (qualsiasi cosa ciò possa significare) semplicemente postando se stessi ignudi, e ci sono già servizi che permettono ai più esibizionisti di essere pagati per mostrare le foto più spinte. Nulla di male se uno sceglie scientamente di farlo, ovviamente: ma, per cortesia, non torturate gli incel più di tanto, dato che già è difficile, per looro, vivere la vita sentimentale senza prendersi perennemente sportellate nei denti – e, in genere, chi si ritrova in questa situazione non ha la minima idea di come uscirne in modo ragionato. E questa cosa fa soffrire, tanto, e non serve davvero a nulla scomodare becero sessismo di battaglia (donne vs uomini, uomini vs donne, uomini vs cani) o – peggio che peggio – sputtanare il cinema e la musica che amiamo per tale presunta “giusta causa”. Non è giusto per loro, in primis, e non lo è neanche per gli alfieri del cambiamento, bravissimi a teorizzare il problema e raramente abili di mettere in pratica comportamenti migliori o, se preferite, più umani.

    Credo anche, in tutta onestà, che si possa essere incazzati con la società senza essere per forza misogini o maschilisti: una società che impone, del resto, modalità di corteggiamento pre-codificate ed impossibili da mettere in pratica per tantissime persone, e questo – alla lunga, tra fraintesi e spallucce come se piovessero – diventa insostenibile e frustrante per chi, a modo proprio, considera un corteggiamento anche una richiesta leggermente più marcata di uscire assieme, qualche volta, di prendere un caffè, di andare al cinema assieme e così via. Richieste snobbate, ignorate, per cui gli incel vengono spesso anche ridicolizzati, e le cui chat finiscono su paginette Facebook “ironiche” che si divertono ad usarle per aumentare i propri like. Ormai l’accoppiamento tanto agognato che ci fa credere la macchina social in cui siamo immersi, nostro malgrado, sembra che debba passare per forza per un’esposizione, un mostrarsi come non si è, un’esibizionismo ed un mostrare le “fotine” sexy, che sta diventando sempre più conformistico ed imbarazzante.

    Gli incel, di loro, non dovrebbero più vergognarsi del proprio status (ed è l’unica critica che mi sento di fargli), e anzi dovrebbero imparare ad ironizzare sullo stesso: non che questo risolva il problema, ma è già un inizio. Rendere insostenibili i propri timori esistenziali è alla base di qualsiasi horror, del resto, e proprio il genere horror insegna indirettamente a non farne un dramma, ad esorcizzarli, a volte a combatterli affidandosi semplicemente ad una nuova, mutata immagine di se stessi. Se pero’, in tutto questo, dando per buono che l’incel sia solo ed escusivamente un maschio etero (e non è così, come abbiamo visto), l’atteggiamento medio di certe donne tende a criminalizzarli a prescindere, e considerarli sfigati e socialmente pericolosi: mi spiace, non se ne esce.

    Queste stesse donne, forse (non sto generalizzando: non tutte) dovrebbero scendere dal piedistallo che le sta intrappolando, perché spesso sono le prime a costruirsi la gabbia di apparenza ed adorazione da parte dei propri conoscenti che poi, alla fine dei conti, le manderà in crisi, facendole sentire gli “oggetti” che mai avrebbero voluto diventare. Forse è un discorso troppo complesso per tantissimi e tantissime di noi, e a questo punto – con una punta di sarcasmo – l’augurio migliore che si possa fare a queste persone è quello di precipitare in uno schema prefissato, in una trappola mentale in cui la scelta del partner non sia sincera, mai, bensì dettata dalla necessità, dalla paura della solitudine, magari da interessi commerciali: un bel ritorno ad una mentalità che dovrebbe essere superata da almeno un secolo, e che non fa onore, per nulla, ai vari leoni e leonesse da tastiera che si slogano le dita sull’argomento.

  • Movies on the rocks: 5 film legati al mondo del whisky

    Qualsiasi cinefilo dovrebbe già sapere del rapporto privilegiato con cui J&B e alcolici di ogni marca hanno convissuto per molti degli anni ’70: tanti film venivano finanziati, almeno in parte, grazie a queste sponsorizzazioni più o meno occulte, mediante inquadrature buttate lì o apparentemente casuali con tanto di product placing bene in vista. Ma un alcolico in particolare, in effetti, è onnipresente nella cinematografia mondiale: un distillato prodotto generalmente in Scozia e Canada, con molte varianti presenti in altri paesi tra cui Giappone, Irlanda e Stati Uniti.

    Per inquadrare meglio questo rapporto particolare, partiamo da uno dei nostri rapporti extra-coniugali preferiti.

    American Pie

    La mamma di Stiffler è la MILF per eccellenza, ed in pochi ricordano che, in una scena particolare di american Pie, prova a sedurre il giovane protagonista: si avvicina al tavolo da biliardo, resta sorpreso dalla presenza della donna, nel frattempo l’atmosfera sta diventando decisamente hot.

    Qualsiasi adolescente imbranato anni 90, se non ha vissuto questa situazione almeno una volta nella vita (le mamme degli amici, a volte…), ha sicuramente visto e rivisto questa scena leggendaria, mentre la mamma di Stifler sorseggia un ottimo scotch, di quelli invecchiati 18 anni. Quasi quanto la differenza di età tra il seducibile adolescente e Jennifer Coolidge…

    Lost in translation

    Pluri-premiata pellicola di qualche anno fa, è uno dei film più famosi di Sofia Coppola. Il personaggio principale è un malinconico ed intenso Bill Murray, dotato di classe ed eleganza ed ingaggiato per uno spot pubblicitario. In particolare si tratta del whisky giapponese Suntory, lavoro per cui verrà pagato circa 2 milioni di dollari.

    Dal tramonto all’alba (la nostra recensione)

    Per molti è uno dei Tarantino/Rodriguez più divertiti e divertenti per il pubblico, dato che è diviso in due parti ben distinte che sono, di fatto, di due generi differenti (poliziesco-noir e horror puro). Un mix che potrebbe evocare quello dei più strani cocktail che avete assaggiato durante i bagordi notturni, e fin dalla prima indimenticabile sequenza: campo lungo su un deserto sconfinato, uno sceriffo che compra degli alcolici poco prima di una rapina in atto – con una tensione che, nel frattempo, è diventata palpabile.

    Che sia il caso di bere qualcosa per tenersi su, del resto, sembra una vera e propria necessità, considerando ciò che sta per succedere al Titty Twister.

     

    Shining

    Che si tratti di un Kentucky Bourbon, di un ottimo whisky irlandese, di un Blended Malt Scotch o di un Glenfiddich Scotch whisky, il rapporto tra whisky e cinema è sempre stato forte: il personaggio di Jack Torrance in Shining usava sorseggiare spesso proprio un bourbon senza ghiaccio (almeno stando alla ricostruzione onirica e sinistra in cui assistiamo nello Shining di Kubrick), servito dall’irreprensibile Lloyd.

    La scena del bar, del resto, è forse una delle più incisive e sinistre mai registrate in un classico dell’horror diventato, col tempo, un vero e proprio oggetto di culto per kubrickiani e non.

     

    INGLORIOUS BASTERDS

    Il film di Tarantino vede, ancora una volta, un richiamo ancora più esplicito al mondo del whisky: una volta che la copertura del tenente Archie è stata fatta definitivamente saltare, l’uomo si accende una sigaretta e dice con grande calma (come Giucas Casella, canterebbe Elio)

    c’è un girone speciale all’inferno riservato alle persone che sprecano il buon scotch

    Successivamente, lancia il bicchiere con una mano e preme il grilletto con l’altra. Per saperne di più, leggete la nostra recensione.

  • Film e siti di incontri: cosa ci insegna Hollywood sull’online dating

    Le dinamiche del dating sono sempre più presenti nelle nostre vite, e vari film – come abbiamo discusso anche qualche giorno fa – hanno tenuto conto di questo aspetto a livello narrativo; la logica del flirt casuale, del resto, segue in larga parte film come Appuntamento al buio (1987, Blake Edwards), ma anche un classicone come Harry ti presento Sally, una commedia sentimentale che possiede tuttavia un discreto valore per come presenta le cose, ed anticipa la manìa della friendzone tanto in voga oggi. Se due persone sono empatiche e fanno amicizia, potranno mai finire a letto assieme?

    Nemmeno un regista completo come Kubrick o Lynch, probabilmente, saprebbe rispondere a questa domanda in modo certo; ma i film, in generale, potrebbero considerarsi delle ottime consolazioni per i single depressi al fine di aiutarli ad uscire da un tunnel, oppure guidarci nella scelta del partner più affine a noi. Non c’è dubbio, del resto, sulla grandissima popolarità dei siti di questo tipo, a volte un po’ troppo spinti (secondo alcuni): del resto navigare nei siti di incontri per adulti lo fanno un po’ tutti, uomini e donne, per quanto non sia forse troppo comune da riconoscere in pubblico. Ciò crea dei presupposti interessanti da cui far partire le nostre riflessioni.

    Prima di rivolgerci ad uno di questi servizi di dating online (e ci abbiamo pensato più o meno tutti, in tempi di magra, giusto?), abbiamo paura: e la paura più grande è quella dell’ignoto, suggeriva il buon Lovecraft. Il cinema thriller ed horror ha saputo esorcizzare queste paure virtuali mediante pellicole come il controverso Hard Candy, ad esempio, che racconta la storia di un rapporto tra un uomo ed una ragazzina che nasce proprio in un chat, in cui pero’ le cose non sono assolutamente come potrebbero sembrare. Cosa possiamo imparare da quel film? Che le cose non sono quasi mai quello che sembrano, e che bisogna sempre stare attenti alle persone che incontriamo: potrebbero non volerci uccidere per forza, ovviamente, ma è bene comunque approfondire un minimo’ la conoscenza anche solo prima di arrivare alla classica “botta e via“.

    Del resto è impossibile non pensare ad un altro film come Cam, in cui le camgirl (le ragazze che hanno un rapporto esclusivamente virtuale con i propri partner) perdono la propria identità: per cui ricordiamoci che dall’altra parte c’è sempre una persona reale, e non dobbiamo nè fare gli stalker nè i leoni da tastiera. Una dinamica molto simile, del resto, è stata descritta in un film come The Den, nel quale l’erotismo si esplica mediante chat su Skype, ma poi degenera in una realtà che diventa terrificante dato che sembra esserci di mezzo un serial killer che agisce nel dark web. Morale della favola: ok le chat come mezzo di comunicazione pratico e veloce, ma vedersi per bere qualcosa assieme rimane da sempre, anche nell’era del dating online, il modo migliore per confrontarsi e conoscersi sul serio.

    Secondo alcune statistiche ufficiali, ci sono oltre 23 milioni di utenti registrati su piattaforme di dating in tutto il mondo: e la stima è quasi certamente al ribasso, data la grandissima varietà di piattaforme che offrono questa possibilità. Non tutti i frequentatori di questi servizi sono degli squilibrati, ovviamente, e con un po’ di fortuna potremo trovare un compagno o una compagna anche noi: del resto, per citare il buon cinema di Herbert Ross , “Provaci ancora, Sam!” – e tanto per ribadirla col cuore in mano, Sam sei Tu – che mi stai leggendo.

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