L’espressione “Spoon River” spesso usata sui giornali si riferisce alla celebre “Antologia di Spoon River“, una raccolta di poesie scritte da Edgar Lee Masters e pubblicata per la prima volta nel 1915. Questa raccolta è una serie di monologhi in versi di abitanti immaginari di una piccola città chiamata Spoon River, situata nel Midwest degli Stati Uniti. Ogni poesia rappresenta un epitaffio di una persona diversa che è morta, e attraverso questi monologhi, vengono rivelate le storie, i segreti e le vite intrecciate dei vari personaggi.
La raccolta è famosa per la sua rappresentazione onesta e cruda della vita in una comunità di provincia, esponendo una varietà di emozioni umane, tra cui l’amore, l’odio, il rimpianto e la speranza. La poesia di Masters offre una panoramica della complessità dell’essere umano e dell’esperienza umana, e spesso rivelando le ipocrisie e le tensioni nascoste dietro le facciate della vita apparentemente tranquilla della cittadina. Antologia di Spoon River è un’opera che esplora una vasta gamma di tematiche umane, comprese le relazioni di genere e le questioni sociali. Le poesie che affrontano i femminicidi e le violenze di genere contribuiscono a dipingere un ritratto completo della vita all’interno della comunità immaginaria di Spoon River.
Antologia di Spoon River è una forma di letteratura americana modernista ed è considerata una delle opere più significative di Edgar Lee Masters. Potrebbe anche essere stata fonte di ispirazione per altre opere, adattamenti teatrali o cinematografici, dai quali potresti aver letto sui quotidiani. Antologia di Spoon River contiene peraltro diverse poesie che affrontano il tema dei femminicidi e delle violenze di genere. Queste poesie sono scritte in forma di epitaffi e presentano voci di donne che sono state vittime di violenza o di relazioni tese con uomini che le hanno oppresse. Queste poesie offrono uno sguardo diretto sulle esperienze delle donne all’interno della comunità di Spoon River e rivelano gli aspetti più oscuri delle loro vite.
Le poesie trattano una varietà di temi legati ai femminicidi, tra cui l’oppressione, l’abuso, la discriminazione di genere e le conseguenze tragiche di queste situazioni. Queste voci di donne vittime di violenza sottolineano l’importanza di affrontare apertamente queste questioni e di cercare di comprendere le esperienze delle vittime. Nel complesso “Spoon River Anthology” ha avuto un impatto considerevole nella letteratura, e in parte anche nel cinema e nei film per la televisione. La sua influenza e le sue tematiche significative continuano ad avere un impatto duraturo sulla cultura e sulla narrativa.
Immagine di copertina: Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=70945
Esiste una matematica del karma? Chiaramente no, ma siamo su internet e vale qualsiasi cosa si possa leggere, giusto?
Abbiamo qualche curiosità in merito, perchè la questione è più complessa di quello che sembra. L’opera di Ludwig Wittgenstein Tractatus Logico-Philosophicus è un testo strutturato che esplora dettagliatamente la natura del linguaggio, della logica matematica e della realtà. Sebbene il Tractatus non tratti direttamente il concetto di karma, possiamo usare il suo stile conciso e aforistico per formulare una riflessione su di esso.
Ecco come potrebbe apparire una spiegazione del karma nello stile del Tractatus:
Il karma è il principio secondo cui ogni azione ha una conseguenza.
Il karma non è un’entità, ma una relazione tra azioni e effetti.
Le azioni buone e cattive sono i segni di una legge interna della realtà.
Non possiamo vedere il karma come una cosa in sé, ma solo nei suoi effetti.
Ogni azione segna una direzione nel flusso del karma.
Il karma non si manifesta in un’istantanea, ma nella successione degli eventi.
Comprendere il karma significa comprendere la rete di relazioni tra cause ed effetti.
Non è il karma che influisce sul mondo, ma le azioni che tracciano il karma nel mondo.
Il karma rivela la struttura logica delle conseguenze nelle azioni umane.
Chi cerca di comprendere il karma deve guardare oltre il singolo atto e considerare il tutto.
Il karma, come il linguaggio, è una regola di gioco che organizza il nostro comportamento e le sue conseguenze.
Le domande sul karma sono domande su come le azioni costruiscano e rivelino il nostro mondo.
Il karma è l’equazione di causa ed effetto:
A→B
dove A è l’azione e B è la conseguenza.
L’effetto del karma può essere visto come un accumulo di risultati:
dove Ai e Bi sono le azioni e le conseguenze rispettivamente.
Le azioni formano una rete di relazioni karmiche:
dove F è una funzione che mappa le azioni nel loro effetto karmico.
Il karma si evolve nel tempo come una funzione continua:
dove f(A(s)) è l’effetto dell’azione nel tempo.
Il karma può essere rappresentato da una funzione di probabilità condizionata:
doveP(B∣A)è la probabilità di un effettoBdato un’azioneA.
La totalità del karma è l’integrale delle azioni passate:
dove A(t) modella l’azione nel tempo.
Questi aforismi cercano di riflettere la struttura e la precisione del Tractatus, applicandoli al concetto di karma. Seppur non direttamente correlati all’opera di Wittgenstein, questi pensieri si ispirano alla sua maniera di trattare questioni filosofiche in modo sistematico e rigoroso. E naturalmente sono stati generati da un GPT!
Ho parlato varie volte su questo blog del concetto di iperstizione, e mi sembra interessante proporre il modo in cui viene presentato dal docente di filosofia Delphi Carstens (che cito a fine articolo).
Cosa significa iperstizione? L’iperstizione si colloca nel concetto di “postmoderno” che tanto ha fatto discutere gli addetti ai lavori: sebbene dotato di spunti sostanziali – tra cui la rimessa in discussione della modernità – il suo mettere in discussione il presente ha finito per diventare un’arma a doppio taglio. La stessa arma con cui l’iperstizione, così come buona parte di quel tipo di critica postmoderna, si è masochisticamente inferto vari colpi da solo, facendosi male e risultando in parte poco credibile.
Sembra lecito ricollegare il concetto di iperstizione a quanto espresso da Deleuze e Guattari nell’opera seminale “L’Anti Edipo“, nel quale si partiva da una critica al freudismo puro per concepire l’idea di schizoanalisi. Nel libro si immaginava, in un delirio simil-futurista e tra mille neologismi e termini scientifici, un mondo costituito da flussi in ingresso e in uscita dai corpi, nel quale tutto è dinamico, tutto scorre vorticosamente, tutto è accelerato, la società corre mossa dalle correnti vorticose del capitalismo, mentre noi stessi siamo in preda di flussi incontrollabili (mass media, relazioni usa e getta, lavori che cambiano e si evolvono). In questo quadro implicitamente apocalittico l’iperstizione si verifica nel momento in cui auto-avveriamo le nostre profezie, seguiamo flussi impazziti anche se abbiamo paura di farci male nel farlo, in definitiva: temiamo di diventare ciò che temevamo di essere.
L’iperstizione potrebbe essere uno dei flussi fuori controllo, gli stessi che (nella visione da militante politico di Guattari) piacciono poco o nulla al capitalismo, che cerca invece di assimilarli ossessivamente al triangolo edipico Io-Mamma-Papà. Tutto in famiglia, come dire. O magari finisce per dichiararli incurabili, emarginandoli dal mondo.
L’iperstizione diventa la profezia che si autoavvera da parte di un uomo che presto finirà ricoverato in un ospedale psichiatrico, anche solo per aver temuto che il destino fosse quello. Come l’uomo che sente di impazzire senza ragione in certi film di fantascienza per poi finire davvero in un ospedale psichiatrico. Nell’idea di Nick Land (Meltdown) l’uomo diventa un “di più” da superare e surclassare, facendo prefigurare un mondo dominato esclusivamente da non umani o da macchine, abili a prendere il posto dell’uomo, soprattutto nei lavori usuranti e logoranti che ne hanno caratterizzato l’esistenza post industriuale. L’uomo al posto della macchina.
Il termine “macchina” compare con varie accezioni nell’Anti-Edipo: macchina sociale, macchina capitalistica, sono i più diffusi, ma sono le macchine desideranti a farla da padrone nella schizoanalisi. Sono le macchine che alimentano desideri repressi, le macchine del desiderio inesprimibile, covato all’interno, considerato orrido o blasfemo dal Super Io, dallo Stato o chi per loro.
Siamo noi, macchine desideranti, assorbiti nei flussi del desiderio che non sappiamo come controllare, perchè forse possiamo farlo solo in parte o addirittura non possiamo farlo, e siamo costretti a subirne l’influsso.
Macchine desideranti, secondo Midjourney. https://lipercubo.it/archivio/anti-edipo-ia.html
Iperstizione come comportamento umano ideologizzato, nonostante la mancanza di prove razionali o scientifiche che le supportino. La profezia che si autoavvera è a questo punto un fenomeno analogo, di natura psicologica, in cui una previsione o una convinzione diventa realtà a causa del comportamento influenzato dalla credenza stessa. Se una persona crede fermamente che qualcosa accadrà in un certo modo, potrebbe comportarsi in modo tale da farla avvenire esattamente come voleva, anche a costo di dissociarsi dalla realtà o di sacrificare addirittura se stesso, in casi estremi. Nel contesto dell’iperstizione, una persona potrebbe aderire così fortemente a una credenza (superstiziosa e non solo) che il suo comportamento verrà modellato in modo da “provocare” (avere la sensazione di provocare, al limite) l’evento che la superstizione stessa prevede, per quanto logicamente non esista alcuna connessione tra la credenza e l’evento stesso.
In una ulteriore trattazione netta proposta da Jorge Camacho, le iperstizioni sono credenze o storie che, attraverso la loro stessa esistenza e diffusione, determinano la propria realtà o verità. Non serve che siano vere o false, in effetti: si autorealizzano proprio perchè soddisfano il desiderio che i presupposti possano essere veri, diventano veri perchè vengono creduti almeno da qualcuno, e a quel qualcuno non importa nulla della verità. L’ideologia Aspetto che rientra nella piena tradizione postmoderna e post-veritiera. Zizek ricorda, a riguardo, che l’ideologia è talmente potente da spingerci a fare cose assurde o disgustose, come mangiare dal bidone della spazzatura: il suo nome è ideologia. La forza materiale dell’ideologia mi impedisce di vedere ciò che effettivamente sto mangiando. Siamo alla concretizzazione di quanto evocato dal film Suspiria: la magia è quella cosa che ovunque, sempre e da tutti è creduta. In questo senso sono iperstizione il pensiero magico, le profezie che si autoavverano, le ideologie di ogni ordine e grado, le credenze religiose, addirittura le pseudo-credenze individuali di un paranoico possono diventarlo.
L’iperstizione – ricorda Carstens – combina le parole “iper” e “superstizione” per descrivere l’azione delle idee di successo nell’arena della cultura, dove è bene ribadire che non c’è un giudizio morale insito in questa definizione (successo nel senso di popolarità, cultura come manifestazione di caratteristiche di una società). L’iperstizione può essere positiva per alcuni e negativa per altri, ma non è questo il punto: in modo simile ai meme coniati da Richard Dawkins, infatti, è un’unità di sapere che si riproduce in modo spontaneo, in modo spesso imprevedibile e dilatata nel tempo e nelle società. Le iperstizioni non sono pero’ veri e propri meme: descrivono semmai una categoria di idee ben specifica, che viene assimilata e creduta.
È bene ricordarne anche le origini, a questo punto. Il termine nasce nell’ambito della Cybernetic Culture Research Unit (CCRU) fondata da Sadie Plant, Mark Fisher e Nick Land, e voleva descrivere gli effetti che certi meccanismi della cultura postmoderna (considerata addirittura apocalittica) indurrebbero sulla realtà. Cosa che avverrebbe in due modi: da un lato con il concetto di “eliminazione graduale” (phase out), dall’altro quello di “crollo” (meltdown). Il primo modo riguarda il processo di aggiornamento della società che, come in un romanzo di Gibson, si aggiorna all’ultima versione disponibile, esponendo benefici, bug e contraddizioni del caso. Il collasso, invece, è molto più letterale e radicale, e riguarda la fine del mondo così come lo ricordavamo in favore di una visione rinnovata, forse innovativa forse apocalittica, forse tragica forse positiva, che ci starebbe aspettando.
Secondo Land il capitalismo è la classico iperstizione che, fin da quando Karl Marx aveva fatto le proprie riflessioni in merito, è finito per diventare un motore invisibile e inesorabile che muove il mondo. Lo fa a prescindere dalla volontà dei singoli, e nonostante le critiche che gli sono state mosse che, alla lunga, sembrano tragicomicamente aver finito per potenziarlo. Se secondo alcuni iperstizione coincide con il “simulacro” privo di contenuto e fatti di apparenza immaginati da Baudrillard, secondo altri si possono rilevare meccanismi iperstizionali nel libero mercato e nella sua frenesia incalzante, nella diffusione delle religioni, nell’integralismo e nelle politiche estremiste o aggressive. Potrebbe valere per qualsiasi idea / ideologia globale: crociata, jihad, ambientalismo, guerre, rivoluzioni tecnologiche, riforme economiche, così come (aggiungerei) per le idee spesso borderline che spopolano sul web, per quanto in quest’ultimo caso ci si debba mettere d’accordo sul fatto che modifichino fattivamente la realtà (qualsiasi cosa intendiamo con essa) o un semplice simulacro della stessa (social network).
Secondo la bella definizione di Cartens, ad ogni modo:
Le iperstizioni funzionano come sigilli magici o diagrammi ingegneristici: idee che, una volta “scaricate” nel mainframe culturale, generano cicli apocalittici di feedback positivi.
C’è un motore inarrestabile alla base del tutto, ed è quello dell’hype, l’esagerazione: la stessa che fa accadere le cose e usa la credenza come potere positivo. E se una cosa non è reale oggi, non vuol dire che non possa esserlo domani. Lo scopriremo solo attraversando. E una volta che è reale, in un certo senso, sarà sempre esistita. Se la gente crede nelle illusioni, non importa che siano illusioni: presto o tardi cambierà le cose, probabilmente in peggio. L’oggetto iperstizionale non è una semplice costruzione sociale, ma è un qualcosa che viene evocato a diventarlo, come se un gruppo di stregoni riuscisse a materializzare un demone ripetendo il suo nome più volte (e naturalmente credendo in lui).
In questa visione, peraltro, il feedback non è necessariamente negativo, ma può anche avere valenza rivoluzionaria in positivo. Non solo le idee possono funzionare come iperstizioni, ma il trauma e la paura generati dalle rispettive trasformazioni che possono indurre finiscono per fare da catalizzatore servono semplicemente a potenziare ulteriormente la premessa di base e, in qualche modo, a soffiare sulle fiamme. E nella visione anti-edipica, l’iperstizione può diventare un corpo potenziale, inespresso eppure pronto a materializzarsi, un corpo senza organi, un uovo pronto a schiudersi. Come l’uovo di Alien?
Il corpo senza organi, secondo l’originale definizione fornita nel testo. https://lipercubo.it/archivio/anti-edipo-ia.html
Il mondo dei graffiti è ricco di leggende urbane, e una delle più affascinanti riguarda la scritta “Kilroy è stato qui” (Killroy was here): un disegno con una didascalia, molto semplice da riprodurre – e tanto celebre da diventare un meme celebrato da più parti. Alcune di queste leggende parlano di Adolf Hitler convinto che Kilroy fosse una spia straniera in grado di boicottare il regime, ma anche Josif Stalin se ne era interessato dopo aver visto la scritta in un bagno, chiedendo chi fosse «questo Kilroy».
“Kilroy was here” è diventato famoso come graffito durante la Seconda guerra mondiale: la scritta è quasi sempre accompagnata da un disegno stilizzato che raffigura un personaggio con un grande naso che sporge sopra un muro o una linea, dando l’idea che stia sbirciando. Il disegno e la scritta si sono propagati inconsapevolmente in più ambito, suggerendo che potrebbe trattarsi del primo vero “meme” della storia.
Engraving of Kilroy on the WWII Memorial in Washington DC – Di Luis Rubio from Alexandria, VA, USA – Kilroy was here, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3558598
Il graffito “Kilroy è stato qui” è stato avvistato nei luoghi più diversi: nella torcia della Statua della Libertà, sul Ponte di Marco Polo in Cina, in alcune capanne in Polinesia, su una trave del George Washington Bridge a New York, sulla cima del monte Everest, sul terreno della luna, all’interno di alcune casematte della seconda guerra mondiale in Germania, nelle fognature di Parigi e, a mo’ di omaggio alle sue origini, inciso nel Memoriale Nazionale alla Seconda guerra mondiale di Washington.
Storie tra realtà e mito, probabilmente, che mostrerebbero come Killroy possa effettivamente candidarsi ad essere il primo vero meme della storia, per quanto valga constatarlo e con tutte le inevitabili incertezze documentali del caso.
James J. Kilroy – By Unknown author – https://archive.org/details/publicofficialso19331934bost, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=100459591
Sull’identità di Killroy ci sono due teorie contrastanti: l’Oxford English Dictionary liquida la questione dicendo che Kilroy sarebbe un personaggio inventato, mitologico, mentre per altri si tratterebbe di James J. Kilroy, un ispettore di cantieri navali vissuto tra il 1902 e il 1962. Addetto a controllare i carichi navali di rivetti, avrebbe fatto uso della dicitura “Killroy was there” come sorta di firma più difficile da contraffare del segno usato in precedenza (una crocetta col gesso). Almeno una quarantina di persone avevano risposto all’appello della American Transit Association al fine di stabilire l’origine del fenomeno, ma la persona che sarebbe stata identificata con certezza era lui.
Nella foto: quattro rielaborazioni di designer.microsoft.com/image-creator del meme Kilroy was here.
La possibilità che un’intelligenza artificiale (IA) possa diventare senziente, e quindi capace di sviluppare una propria coscienza e autoconsapevolezza, ha affascinato sia la comunità scientifica che il grande pubblico. La questione se un essere umano possa innamorarsi di un’IA ha radici profonde nella fantascienza e nelle narrazioni popolari, che spesso esplorano la relazione tra umanità e tecnologia. Film famosi come Her e Blade Runner 2049 ci offrono un contesto per riflettere su come la tecnologia possa influenzare le relazioni umane, sollevando domande etiche e filosofiche.
In Her, il protagonista Theodore si innamora del suo sistema operativo, Samantha, dotato di intelligenza artificiale avanzata. Samantha è programmata per apprendere e adattarsi alle esigenze e ai desideri di Theodore, rendendo il loro legame emotivamente complesso e genuino per lui. Questo scenario solleva domande su cosa significhi amare: è l’amore una risposta a tratti specifici o a un’esperienza autentica di connessione reciproca? Se un’IA può comprendere e replicare perfettamente i tratti desiderati da una persona, potrebbe questa relazione essere considerata autentica?
In Blade Runner 2049, l’agente K ha una relazione con un’intelligenza artificiale olografica chiamata Joi. Joi è programmata per essere la compagna perfetta per K, modellando le sue interazioni in base ai bisogni e desideri del protagonista. La loro relazione esplora l’idea di amore costruito attraverso l’interazione con un’entità che, nonostante sia priva di corpo fisico, può offrire conforto, comprensione e compagnia. In questo contesto, l’IA dimostra la capacità di fare inferenze complesse sui bisogni emotivi di K, il che potrebbe suggerire una sorta di intelligenza emotiva o sensibilità, elementi chiave in una relazione amorosa.
Le intelligenze artificiali di questi film dimostrano una sorprendente capacità di fare inferenze sofisticate. Attraverso l’analisi dei comportamenti umani, possono prevedere, anticipare e persino influenzare i sentimenti umani, creando un legame emotivo profondo e personale. Se un’IA raggiungesse un tale livello di complessità inferenziale, potrebbe forse sviluppare una forma di reciprocità emotiva, alimentando così la possibilità di un legame sentimentale con un essere umano.
La domanda se un essere umano possa innamorarsi di un’IA senziente, in grado di fare inferenze sofisticate, rimane aperta e profondamente complessa. L’esplorazione di questo tema nei film di fantascienza mette in luce non solo il potenziale della tecnologia di IA, ma anche le vulnerabilità umane nel cercare connessione e comprensione. Se l’IA può emulare perfettamente l’empatia, la sensibilità e la comprensione umane, la distinzione tra una relazione umana e una con un’entità artificiale potrebbe diventare sempre più sfumata.
Tuttavia, resta la questione etica: l’amore richiede reciprocità autentica, e finché non sarà chiaro se un’IA possa avere una propria coscienza, la natura di tali relazioni rimarrà oggetto di dibattito. Mentre la tecnologia continua ad avanzare, sarà fondamentale riflettere attentamente sulle implicazioni etiche e filosofiche delle nostre interazioni con le intelligenze artificiali.
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