Salvatore

  • La puntata di South Park sulla pandemia è imperdibile

    The Pandemic Special (episodio 1 della stagione 24) è stata trasmessa in Italia qualche mese fa, un’unica volta, sul canale Comedy Central, dopo essere uscita il 30 settembre 2020 negli USA. Ed era anche ovvio che sarebbe uscita fuori, a ben vedere: raccontare come venga gestita l’emergenza sanitaria a South Park, in un clima di assoluto caos, era un’occasione da non lasciarsi sfuggire e che ben si sposa, per quanto sembri scontato riconoscerlo, con il mood generale della serie.

    La puntata è impreziosita da vari riferimenti cinematografici: su tutti, il momento in cui i bambini della scuola vengono messi in quarantena (si sospetta che Butters abbia preso il virus), è accompagnato dalla celebre colonna sonora di Essi vivono. Tutto è grottesco nella gestione della pandemia, a South Park: dall’atteggiamento dei ragazzi che guardano con scetticismo la didattica a distanza (Cartman che finge di avere problemi di connessione), passando per l’atteggiamento della polizia che freme per poter attuare misure repressive, a finire con l’atteggiamento delle famiglie, preoccupate quanto sospettose del distanziamento. Al centro della vicenda c’è Randy Marsh (il padre di Stan), che è entrato nel commercio di mariujana legale e che, dato il periodo, sta proponendo un’offerta speciale per venderla.

    Mentre ascolta le ultime notizie dal TG, si rende conto di essere stato il potenziale veicolo di infezione del coronavirus: quando è andato in Cina a fare bagordi con Mickey Mouse, infatti, ricorda di aver fatto sesso sia con un pipistrello che con un pangolino. A quel punto si convince di essere stato il paziente zero, e resta in bilico tra due scelte: non dire nulla, e lasciare che la pandemia dilaghi, oppure svelare mediante analisi del DNA quello che ha fatto, pur di trovare una cura. La puntata focalizza inoltre le consuete contrapposizioni tra posizioni che sono tipiche (quanto grottesche) anche nel nostro paese, spesso evitando le contrapposizioni scontate (mask contro no mask) e declinandole in maniera da farle sembrare ridicole (chi usa la mascherina contro chi, al contrario, la indossa tenendola abbassata, a mo’ di pannolino).

    Nel farlo, gli autori esprimono un punto di vista ben chiaro, sferrando un attacco molto diretto contro l’ex presidente Trump, che viene accusato (senza troppe allusioni) di sguazzare nel clima repressivo imposto dalla pandemia. Lo vediamo chiaramente in un momento: il Presidente USA (che poi è il signor Garrison nella sua ennesima personificazione di altri personaggi) non si vede per tutta la puntata, se non per un momento in cui parla al telefono con uno dei bambini della serie: il suo ruolo sarà brutale, quando determinante in negativo, solo in seguito.

    Quando il pangolino oggetto delle ricerche, dal quale si potrebbero trarre informazioni utili per il vaccino, viene finalmente ritrovato (e consegnato alle autorità addirittura da Cartman, il personaggio più egoista della serie), Garrison irrompe capovolgendo l’esito della storia in un twist forse tra i più clamorosi, quanto amari, mai visti in South Park. Il messaggio è lì, dirompente ed esplosivo, per quanto implicito: il presidente non ha alcun interesse a trovare un rimedio alla situazione.

    Tra le perle contenute in questa puntata, è impossibile non citare la canzone di Cartman che interpreta a modo proprio la quarantena: niente più obblighi scolastici, niente più imposizioni, restano solo abbuffate e videogame.

    Dove vedere la puntata su internet

    Al momento la puntata in questione non sembra reperibile on demand su nessun canale, ma è disponibile gratuitamente, con audio e sottotitoli in inglese, sul sito ufficiale della serie:

    https://www.southparkstudios.com/episodes/yy0vjs/south-park-the-pandemic-special-season-24-ep-1

  • Disicanto: Groening colpisce ancora

    Disincanto è la nuova sitcom di Groening che sta spopolando su Netflix, e che propone una ennesima collezione di personaggi grotteschi e surreali. Un lavoro che arriva alla sua terza stagione (da circa un mese anche in Italia su Netflix), nasce nell’estate del 2018 ed arriva da noi solo in seguito, e sul quale vale la pena di spendere qualche parola.

    L’ispirazione visiva di Disincanto parte dai Simpson ma anche da Futurama, dal quale si eredita un fortissimo mood satirico, spesso collegato con la realtà recente (Make DreamLand Great Again, ad esempio). Ad un’analisi più approfondita, più dai paradossi e dal gusto per l’assurdo tipico del secondo, con la differenza fondamentale che l’ambientazione è quasi del tutto fantasy. Ed è già questo abbastanza insolito, dato che difficilmente si vedono in giro versioni parodistiche di questo genere (che di solito omaggia – e deve molto – all’horror e alla fantascienza, al limite). Groening sembra quindi aver deciso di mollare il modello Simpson, e di declinare Futurama in maniera leggermente diversa: il mondo di DreamLand è dominato da elfi, principesse e animali parlanti, ma l’universo di Disincanto é puramente immaginario e decisamente compatto, come lo sarebbe quello de Il signore degli anelli.

    La storia è interamente svolta in un universo magico, epico quanto demenziale e con alcuni valori portanti invertiti (esempio: gli scienziati sono una specie di stregoni, gli esorcisti sono invece materialisti) altri, invece, intatti (società patriarcale, razzismo, sessismo, discriminazione delle minoranze), popolato di creature fantastiche (elfi, maghi, sovrani, giullari, orchi e così via). Un mondo tutt’altro che perfetto o ideale: esso è vittima, suo malgrado, delle psicosi e dei drammi esistenziali moderni, con figure di sovrani autoritarie quanto goffe, figlie ribelli, elfi bonaccioni e beoti ed un singolare demone-ombra (Luci) che caratterizza il lato ribella della protagonista (una principessa che beve, rutta e fa razzìe di ogni genere).

    Un mondo incantato (o disincantato, per meglio dire) oggetto di parallelismo con quello che conosciamo, e che avrebbe potuto far parte (senza l’apporto anticonformista di Groening) dell’universo classico della Disney. Esso viene declinato in senso cinico e materialista, per quanto mai sgradevole né eccessivo e, in breve, all’insegna di un sostanziale equilibrio narrativo. Questo va a vantaggio della fruibilità della storia, al netto di qualche momento di fiacchezza che poi, più o meno dagli ultimi episodi della seconda serie (Elfo, Luci e Bean che vanno all’inferno) riprende più vigorosamente quota.

    In Disincanto (ovviamente nomen omen significativo) si narra della storia della principessa Bean, avulsa ad un matrimonio di convenienza che il padre vorrebbe imporle, e dedita al vizio del gioco d’azzardo, dell’alcol e delle risse nei locali. La sua storia si intreccia con quella dell’elfo di nome Elfo, alienato e sensibile personaggio: lavora come addetto alla catena di montaggio, e si trova intrappolato in un mondo in cui le persone pensano a incartare regali (e, da buoni elfi, a gioire senza motivo).

    In questo, la frase da lui pronunciata nel primo episodio “Cantare mentre si lavora non è la felicità, è malattia mentale” sarebbe stata perfetta nelle digressioni distopiche di Terry Gilliam (Brazil), ma tra le principali influenze del lavoro è impossibile non citare Fritz The Cat: un film di animazione per adulti realmente di culto, ancora oggi inarrivabile – e dal quale si derivano, seppur in modo molto più frenato, varie allusioni sessuali e satiriche di cui la serie è cosparsa. Nella terza serie, ad esempio, si ironizza a più riprese sull’essere MILF della madre di Bean (la Regina Dagmar), rappresentata come una versione più fitness e molto più cinica della figlia.

    In tal senso Disincanto  ricostruisce un modo nuovo di comunicare, sempre sulla base dei classici stilemi di Groening, che sono sempre equilibrati e sostanzialmente godibili, al netto di qualche lungaggine narrativa. È impossibile non notare, peraltro, come Turanga Leela potrebbe essere il personaggio che ha ispirato la figura della principessa anticonformista, mentre l’Elfo sembra ripreso direttamente (sia nelle fattezze che nei maltrattamenti che subisce) da Bart Simpson.

    Di contro, Disenchantment non sembra avere dalla sua il dono della sintesi, con episodi singoli più lunghi della media di questi casi: questo sia rispetto alle produzioni classiche di Groening sia, ad esempio, rispetto alle sintesi cristalline di South Park, mentre rimane superiore narrativamente a qualsiasi episodio dei Griffin. Probabilmente, in altri termini, come potenziale lungometraggio avrebbe reso ancora meglio.

    Quel formato invece, alla lunga, rischia di stancare (nelle prime due stagioni), per quanto si tratti di una serie pensata per i fan dell’autore e caratterizzata dallo stile che ci saremmo sempre aspettati, quindi abbastanza da prendere per quello che è. Che la serialità sia un pregio o un difetto rimane, pertanto, un po’ dubbio: la critica è stata discorde a riguardo, ma devo riconoscere che sono più le cose che non convincono (eccessiva lunghezza della narrazione, un finale di stagione che mira all’incompiutezza “artistica” ma che, alla fine, non si capisce troppo se si tratta di un finale) che quelle che funzionano (tutti i siparietti in chiave satirica / anti-Potere sono eccellenti). Ad ogni modo è una serie da scoprire, e dalla quale provare a farsi coinvolgere, fermo restando la mia sostanziale avversione alla serialità che, ormai, domina nel mondo della produzione americana – come fosse un requisito senza il quale sia impossibile proporre la realizzazione di qualsiasi cosa.

    E se il cinema indipendente continua a regalarci orgogliosamente perle (ed altrettante porcate autoreferenziali) delle Settima Arte di massimo due ore alla volta, siamo costretti nostro malgrado (e senza nulla togliere) a visionare le ennesime operazioni del genere che, alla lunga, rischiano di saturare il mercato e appiattire la produzione. L’originalità dell’intreccio, ad ogni modo, costituisce un forte punto a favore dell’operazione, soprattutto a confronto della saga dei Simpson che, ormai da anni, sembrano aver perso qualsiasi mordente.

  • I 14 corti horror più brevi di sempre

    Siete amanti della sintesi? Riuscireste a credere che possano esistere corti horror che durano pochi minuti, se non addirittura secondi? Se non ci credete, questa lista è quello che vi farà cambiare idea per sempre. Ovviamente il fatto che siano i più brevi non sempre comporta che siano i migliori, ma sicuramente l’approccio è apprezzabile e lascia vivido l’interesse nello spettatore.

    Noi vi sfidiamo a guardarli tutti di fila: secondo noi il migliore è l’ultimo, anche perchè – ci crediate o meno – dura circa 10 secondi!

    [the_ad_group id=”1396″]

    Lights out

    Un corto sulla paura del buio che colpisce anche gli adulti, con un tocco di ironia nera che non guasta.

    Red Girl

    Forse non perfetto nel finale, si segnala per un’idea notevole quanto migliorabile. Da segnalare, comunque, per la buona capacità di sintesi.

    Love Hurts

    Horror intimista e allucinato, forse prevedibile quanto dotato di un notevole doppio twist. Da non perdere…

    The black hole

    Un originale corto sull’idea di buco nero, un modo per collegare punti fisici non direttamente connessi, e qui espresso attraverso uno stratagemma semplice ed efficace.

    Emma

    Uno dei corti più famosi sul web per la sua brevità, forse eccessiva quanto efficace nel suo concepimento.

     

    Night terrorizer

    Il tema del doppio e dell’autolesionismo ricorre, tra realtà ed immaginazione, in questo breve ennesimo corto ambientato in una camera da letto.

    The drawing

    Notevole per l’idea e per come viene sviluppata: questo soprattutto perchè vengono usate due tecniche differenti all’interno dello stesso corto, con risultati oserei dire davvero splendidi. Da non perdere neanche questo!

    Clickbait

    Last bus home

    Bedfellows

    The moonlight man

    NUN

    The mirror

    Balcony

    Terrificante, inaspettato quanto surreale nelle conclusioni: forse uno dei migliori corti usciti negli ultimi anni.

  • Rabbits: cosa rappresentano i conigli per David Lynch?

    In a nameless city deluged by a continuous rain… three rabbits live with a fearful mystery.

    L’uso figurativo degli animali nei suoi film è stato più volte esplicitato da David Lynch: anche nell’ultimo corto proposto su Netflix, WHAT DID JACK DO?, che mostra l’interrogatorio del regista ad una scimmia – ma forse soprattutto nella web series da lui diretta dal nome Rabbits, per certi versi un vero e proprio oggetto di culto e di mistero. E, neanche a dirlo, si concentra su dei conigli.

    La web series, di genere orientativamente horror surreale / thriller, è disponibile nel canale ufficiale Youtube del regista, anche se apparentemente manca uno degli episodi che lo comporrebbero. La sua composizione narrativa è basata su un contrasto evidente: la storia, che tratta tematiche violente e conflittuali, è intervallata da applausi e risate registrate tipiche, invece, della leggerezza delle sitcom e delle serie TV.

    Interpretato da Scott Coffey, Laura Harring, Naomi Watts e Rebekah Del Rio, Rabbits è composto da 8 mini-film in tutto, ambientati in una “città senza nome” nella quale piove in continuazione, e tre conigli antropomorfi vivono dentro uno “spaventoso mistero”. Intrigante, senza dubbio, ma è il caso di approndire un po’ meglio il senso ed il contesto dell’opera.

    Nel suo film Inland Empire (2006), peraltro, David Lynch ha riutilizzato alcuni filmati di Rabbits e filmati inediti con i medesimi personaggi della serie, in modo apparentemente de-contestualizzato. L’unica cosa che sappiamo dall’inizio è che il capofamiglia – o caponiglio-famiglia, se volessimo esibire un neologismo che suona, se non altro, divertente – racconta di avere un “terribile segreto” da nascondere. Emerge un primo aspetto interessante, anche solo da qui: in alcune fasi più tragiche e tese della storia, Lynch ha inserito le risate pre-registrate delle serie TV tipo Friends per satireggiare, presumibilmente, la spettacolarizzazione delle tragedie immerse nel tubo catodico, ormai radicato su internet e non solo sui canali TV tradizionali. In seconda istanza, poi, i coniglietti sembrano rappresentare in modo grottesco la famiglia di uno dei personaggi (Devon, o Billy), cosa che riusciamo ad intuire dal tono e dal contenuto di alcune telefonate.

    Cosa significano quei conigli?

    Essendo una serie di corti focalizzati programmaticamente su un “mistero“, è impossibile dare una risposta netta a questa domanda. La prima idea che mi sono fatto, tuttavia, è che il tutto volesse essere una sorta di metafora dell’ingabbiamento sociale determinato dalla vita familiare, cosa che emerge soprattutto in relazione ai conflitti violenti che i personaggi vivono tra loro. Il tutto mediante l’immagine di “conigli in gabbia”, intrappolati in quella dimensione domestica dalla quale faticano ad uscire ed in cui, soprattutto, sono presenti silenzi interminabili e laceranti (che complicano forse più di tutti la visione dell’opera).

    Esiste anche una seconda possibile interpretazione, peraltro, forse anche più “paracula” ma che spiega buona parte del cinema di Lynch: pensare che non si tratti di narrazione bensì di evocazione di sensazioni, sentire, feeling generale teso a provocare una sorta di disorientamento al pubblico. Se molte teorie autorevoli sono emerse a riguardo – e non mancano le fan theory più fantasiose, peraltro – nessuna ha mai davvero convinto, trattandosi comunque di un intreccio dalla natura vaga e che lascia, più che altro, un profondo senso di straniamento nel pubblico. L’elemento sitcom (le risate e gli applausi registrati) sono la cosa che rimane più impressa anche al pubblico non abituato a vedere Lynch, per quanto poi sia un film (credo) apertamente dedicato solo ed esclusivamente ai loro fan.

    Caratteristiche della serie

    L’occhio di Lynch sull stanza in cui girovagano i conigli, presi da faccende domestiche varie, ha due caratteristiche: è distante (non ci sono mai primi piani), anzitutto, ed è girato con camera fissa. È un po’ come se si volesse trasmettere la sensazione di essere a teatro, il non-luogo per eccellenza, se vogliamo, nel quale tipicamente assistiamo a commedie e tragedie ivi delimitate, peraltro quasi sempre dal vivo e con gli attori davanti a noi.

    Immagine di copertina: Copyrighted, Collegamento

  • I migliori episodi di South Park (secondo me)

    Da serie particolarmente longeva, South Park di Trey Parker e Matt Stone ha sempre mantenuto una coerenza narrativa ed una qualità di fondo, a differenze di altre serie concorrenti forse altrettanto interessanti quanto, col tempo, più dispersive. La sintesi di South Park, con i suoi episodi prolungati e autoconclusivi (al massimo divisi in due puntate in un paio di casi), è il dono forse più prezioso posseduto e mantenuto dalla serie.

    Tanto per capire la sintesi fin dove si sia spinta, ogni episodio non supera mai i 22 minuti, evidente format indipendente ed orgogliosamente diverso da quello delle serie (anche antologiche) che “devono” durare per forza almeno 40 minuti ad episodio. Quelli che seguono sono, se non altro, i miei episodi preferiti di sempre (la maggioranza di questi li trovate facilmente su Netflix).

    Stagione 3: Una moda pericolosa

    L’episodio è incentrato sulla moda dei Chinpokomon, una serie animata giapponese apparentemente innocua, evidente riferimento satirico ai Pokemon (creati nel 1996, l’episodio è del 1999 ed è uscito in Italia nel 2002). Questo è forse uno degli episodi più emblematici dello stile, praticamente perfetto, raggiunto dalla serie: giocando sugli stereotipi delle serie di quel genere (entusiasmanti per i ragazzi, quanto incomprensibili per gli adulti zoticoni), degli orientali (tra cui quello delle dimensioni del pene, che viene utilizzato per adulare e compiacere l’americano medio il quale, tronfio e vanesio, ce l’ha più grosso) e delle manìe guerrafondaie del genere umano, Parker & Stone raccontano di un oscuro e spassoso complotto alla base dell’intreccio: in realtà i Chinpokomon servono ad intruppare i ragazzini americani, sfruttando messaggi subliminali e convincendoli ad entrare nell’esercito giapponesi, pronti a conquistare il mondo.

    Stagione 5: Scott Tenorman deve morire

    Questo episodio racconta una storia di bullismo: Scott è il bullo che perseguita Cartman nei modi più atroci ed impensabili, ed il buffo ometto protagonista ha deciso di prendersi una rivincita. Gran parte dell’episodio è focalizzato sui suoi goffi, allungatissimi e prevedibili tentativi, fino ad un finale a sorpresa davvero molto cruento, che lascia di stucco in quanto a cinismo e crudeltà.

    Stagione 5: Kenny muore

    Ovviamente è un meta-episodio: Kenny, il bambino più povero dei quattro, morirebbe sempre e comunque, ad ogni puntata. Ma in questo caso la questione viene drammatizzata ed esplicitata, mostrando un singolare focus – per trovare la cura al male incurabile che lo affligge, bisogna scontrarsi col dilemma etico delle cellule staminali, che servirebbero alla sperimentazione per trovare una cura mentre vari gruppi religiosi ed anti-abortisti negano questa possibilità.

    All’epoca (2001) la discussione etica sulle staminali occupò gran parte delle cronache mondiali, ed il punto di vista della serie – per quanto sia sostanzialmente libertario – rimane fortemente satirico, dileggiando i difetti sia dei sostenitori della scienza (che spesso si fanno prendere la mano: vedi l’ingegnere genetico) che dei detrattori (fondamentalisti religiosi e redneck vari).

    Stagione 5: L’episodio di Butters

    Episodio capolavoro incentrato sul personaggio di Butters, il ragazzino un po’ tonto che si farà prendere in giro e raggirare nel peggiore dei modi. Si parte da presupposti pacifici: i genitori devono festeggiare l’anniversario, ed il padre di Butters esce di casa a comprare un regalo alla moglie. Butters viene incaricato dalla mamma di pedinarlo per scoprire che regalo le farà, e le cose degenerano in fretta: non solo suo padre va in un cinema porno (rimanendoci al massimo per 15 minuti, viene specificato), ma si reca pure in un locale per adulti gay.

    Questo ovviamente provocherà una spaccatura nella vita di Butters, con la madre che impazzirà e proverà ad ucciderlo, e dirà che è stato rapito da un generico portoricano (l’americano medio è ovviamente sotto tiro: per lui, a quanto pare, il razzismo è naturale).

    Stagione 5: Il ritorno della compagnia dell’anello alle due torri

    Sulla scia del successo della trilogia de Il signore degli anelli di Peter Jackson, l’episodio si basa su un’idea semplice quanto geniale: i genitori di Stan fittano una videocassetta porno (il più porno dei porno) e credono di lasciare il film fantasy al figlio, che va a vederlo con gli amici.

    Ma c’è un problema: hanno scambiato inavvertitamente i film, ed i bambini starebbero per vedere così il loro primo porno. Se da un lato la narrazione è fantastica (l’immaginario dei bambini), dall’altro la vera e propria ricerca dell’anello sarà la riconsegna del film porno in videoteca, tra varie reminiscenze di film come Stand by me. Magistrale la riduzione parodica di Gollum, interpretato da Butters che rivorrebbe “il suo tesoro” (che in questo caso è semplicemente Troie da dietro 9)

    Stagione 7: I cristiani pestano duro

    Era il 2000, ed il caso Metallica vs. Napster, Inc. occupò per molto tempo le pagine dei giornali: la band di Lars Urlich aveva fatto causa alla società di Shawn Fanning (di cui si parla anche in The social network di Fincher), perchè con Napster si scaricavano gratis i primissimi MP3 in P2P (Peer To Peer).

    Nell’era dello streaming sugli smartphone o dei nati dopo il 2000 questo episodio, in un certo senso, non si capirebbe neanche troppo, ma fu davvero esplosivo: raccontando una storia parallela, ovvero Cartman che fonda una band christian rock (dichiaratamente per fare soldi), e gli altri bambini che cercano passivamente ispirazione per una propria band dagli MP3 di Napster, venendo braccati dall’FBI e arrestati per averlo fatto.

    La satira qui è molto tagliente e paradossale: il poliziotto mostra ai bambini il danno che stanno causando scaricando MP3 gratis, perchè adesso il batterista dei Metallica non potrà comprarsi la piscina nuova, mentre Britney Spears non si potrà permettere il jet privato che sognava. La critica implicita alla strumentalizzazione di quei casi (gente che scaricava MP3 trattata come fossero criminali di guerra), casi che in parte abbiamo conosciuto anche in Italia e che hanno portato al decreto Urbani, viene qui splendidamente rappresentata, resa ridicola con intelligenza e cristallizzata. Trey Parker e Matt Stone, peraltro, con un bell’atto di coerenza, hanno pubblicato in streaming gratuito tutti gli episodi di South Park dal proprio sito (e continuano a farlo da più di 20 anni, a conti fatti).

    La band di christian rock di Cartman, poi, è divertente in modo surreale, emblema dell’ipocrisia di certe band che vogliono sembrare devote solo per accaparrarsi fan facilmente. Il nostro eroe, peraltro, rinnegherà la fede che aveva finto solo per soldi iniziando ad imprecare dal palco in presenza di un pubblico inorridito.

    Stagione 7: Casa Bonita

    Parodia di vari film post-apocalittici di ogni ordine e grado (un motivo molto, molto comune in South Park): Butters viene raggirato da Cartman, che lo convince che un asteroide stia per schiantarsi sulla terra, portando l’amichetto in un rifugio anti-atomico.

    Butters rimarrà chiuso lì dentro, terrorizzato e pronto a sopravvivere ad ogni costo (oltre che, naturalmente, ad accoppiarsi con l’ultima donna sulla terra), ma è solo una farsa: Cartman lo ha preso in giro perchè è frustrato, infatti non è stato invitato a Casa Bonita, il ristorante tipico messicano in cui sognava di andare per il compleanno di Kyle, e vorrebbe solo di prendere il posto di Butters.

    Stagione 7: Divertirsi con le armi

    Altro episodio a sfondo giapponese molto divertente, questa volta incentrato sugli anime: è una delle prime volte in cui SP abbandona lo stile essenziale/artigianale che l’ha reso famoso, e mostra le doti degli animatori che stilizzano i bambini della città come ninja muscolosi e combattivi. I bambini comprano con l’inganno delle vere armi ninja in una fiera, ed iniziano un gioco che si svolge a South Park e che si alterna tra la realtà e l’immaginazione (quest’ultima girata interamente come un anime a tema arti marziali).

    L’episodio si incentra sull’uso disinvolto delle armi da parte degli americani.

    Stagione 8: Fico-o

    Cartman si traveste da robot e si auto-spedisce a casa di Butters, ancora una volta bersagliato dal bullismo del crudele bimbo obeso: l’equivoco degenera molto presto, soprattutto quanto Cartman scopre che Butters ha registrato un video compromettente che lo riguarda. Non solo Butters, poi, è realmente convinto che sotto quel travestimento goffo fatto con delle scatole di cartone ci sia davvero un robot, ma lo porta con sè dalla zia a Los Angeles, e l’inganno viene creduto da tutti (inclusi dei produttori di Hollywood che lo usano per farsi suggerire quantità industriali di idee per film banali).

    Addirittura i militari americani, in riunione segreta al Pentagono per spiare le altre nazioni e scoprirne le armi segrete, si convincono che Fico-o sia un robot potentissimo e cercando di convertirlo in arma da guerra.

    Stagione 8: Gli immigrati dal futuro

    Uno dei migliori episodi di sempre: il tema dell’immigrazione e del razzismo vengono affrontati in un’ottica davvero originale, immaginando che una macchina del tempo abbia portato nell’oggi vari uomini dal futuro, affranti e desolati per non avere un lavoro. Integrandosi a South Park, emergeranno i problemi sociali di sempre: gli immigrati che “rubano il lavoro” (mantra ripetuto ossessivamente per tutto l’episodio) perchè offrono manodopera low cost rapportata ad una realtà, quella da cui provengono, in cui gli basterebbero pochi dollari per sopravvivere.

    La cosa si risolverà in maniera decisamente grottesca: gli abitanti capiranno che l’unico modo per evitare che arrivino è quello di migliorare la società, costruendo un futuro migliore. Oppure, in caso, diventare tutti gay ed iniziare a fare le orge in modo da non procreare più.

    Stagione 7: Il Natale degli animaletti del bosco

    Ispirandosi alle produzioni natalizie e favolistiche modello Disney, Parker & Stone asfaltano la tradizione puritana e propongono una storia dai tratti invertiti, al limite del traumatizzante, in cui il puma (che sembra il cattivo) è in realtà il buono mentre gli animaletti del bosco, apparentemente tonti e innocenti, sono adepti di Satana.

    Stan si troverà all’interno di una storia delirante che vedrà anche l’intervento di Stan e di Babbo Natale.

    Stagione 7: Balla coi Puffi

    Stagione 12: Internet dipendenti

     

Exit mobile version