Salvatore

  • Speciale Ciprì e Maresco: cinema e dadaismo musicale

    Speciale Ciprì e Maresco: cinema e dadaismo musicale

    Lo zio di Brooklyn del titolo è un personaggio che non dice una parola nell’intero svolgimento della trama, e che l’unica che dirà (quando vorrebbe rivelare il proprio nome) sarà coperta da un sonoro peto. Giocando sui toni del grottesco all’italiana brutalizzati ed essenzializzati dentro una Palermo che sembra post-apocalittica, Ciprì e Maresco realizzano questa opera prima nel 1995, dovendo buona parte della propria fama all’attenzione che gli volle dedicare Enrico Ghezzi su Rai Tre.

    Girato nel bianco e nero più ruvido che si possa immaginare, fu caratterizzato da personaggi grotteschi, isterici e rivoltanti. All’epoca fu in grado di innescare polemiche a non finire sul contenuto del film, senza che nessuno capisse che i due registi stavano inventando qualcosa di nuovo, qualcosa che sarebbe stato (spesso malamente o confusamente) imitato da molti altri: un cinema d’essai che sbeffeggia e parodizza prima di tutto se stesso, poi la critica snob (c’è il personaggio del critico musicale, che spesso sbaglia e non trova le parole giuste per esprimere concetti che, nelle intenzioni, vorrebbero essere parecchio elaborati), e poi attacca almeno una parte del pubblico delle sale.

    Viene quasi in mente, a riguardo, il mai abbastanza compreso “Largo all’avanguardia, pubblico di merda” di Roberto “Freak” Antoni e dei suoi Skiantos. Il codice comunicativo dei personaggi è stravolto rispetto a qualsiasi canone cinematografico, o addirittura di buon gusto: molte scene sono cinicamente inquadrate da lontano, e i due nani protagonisti, ad esempio, comunicano mediante rutti.

    [il dadaismo] rifiuta gli standard artistici, come dimostra il nome dada che non ha un vero e proprio significato, tramite opere culturali che erano contro l’arte stessa.

    Soprattutto le canzoni interpretate nel film sembrano voler rivestire un’importanza fondamentale – e con dei tratti dadaisti, nell’uso delle parole, in alcuni passaggi.

    (rivolto alla camera) 1,2,3,4…

    Ma cosa fa?

    Conto gli spettatori! … 5,6,7, …

    Il fimm da schifo! Il fimm fa schifo! Dove vai, lurido cane rognoso! Uno spettatore se n’è andato via.

    Lo Zio di Brooklyn: il degrado penetra nei classici della musica italiana

    Il contesto del film è interamente popolare, e dai tratti rozzi e semplicistici, tanto da suscitare una sensazione straniante fin dall’inizio. Già dal trailer, del resto, si intuiva che molto del film sarà determinato dall’accostamento tra i temi sobri ed eleganti della musica italiana vs. volgarità e peti vari.

    Il riferimento, qui, sembra essere la celebre esibizione di Wanda Osiris di uno dei suoi brani più famosi, Sentimental, in cui la diva scendeva le scale durante il canto – in modo malamente imitato dal buon Paviglianiti (attore palermitano scomparso nel 2000).

    Parte del feeling generale de Lo zio di Brooklyn è incentrato sul tema della desolazione, della solitudine e dell’amor perduto, almeno a sentire le parole delle canzoni proposte: il film non ha una colonna sonora vera e propria, per cui è lecito andare a riascoltare le canzoni che sono state reinterpretate per l’occasione dagli improbabili, trash e grotteschi personaggi.

    Cammela (Chianese, Palombo)

    In questa sequenza il personaggio di Anciluzzu canta “Carmela” (di Gugliermo Chianese and Salvatore Palombo) mentre aspetta le patate che ha chiesto al vicino. La scena ha una valenza teatrale e fortemente straniante, avviene senza un esplicito motivo e si avverte una costante dell’intera pellicola: i personaggi cantano e, nel contempo, danno l’idea di voler fuggire dallo schermo, trovando rifugio tra quegli stessi spettatori che, paradossalmente, finiranno per rigettarli.

    Mamma di Cesare A. Bixio e Bruno Cherubini

    La sequenza vede un personaggio cantare (fuori campo) il celebre ritornello di Mamma di Bixio, Cherubini con forte inflessione siciliana, stonando spesso e volentieri, degenerando in un improbabile falsetto, mentre due personaggi (il mago Zoras e Lo Giudice, protagonista di uno dei medley più importanti del film) si fissano ad un tavolo.

    Poco dopo, gli gli verrà consegnato una collana, che non dovrà togliere per nessun motivo perchè dagli improbabili effetti magici.

    Ancòra di G. R. Testoni

    Uno dei brani più indimenticabili del film, a questo punto, è Ancora di G. R. Testoni. Il testo del brano è intatto, e mantiene la sua carica grottesca: sembra che il personaggio sia un improbabile musicista di strada, che cerca l’approvazione di quel pubblico tanto “temuto” di cui sopra.

    https://www.youtube.com/watch?v=7d355UPxTKk

    Chella llà (U. Bertini)

    Al minuto 13:00 circa, per citare un ulteriore esempio, si può gustare una versione parodizzata ed ultra-ermetica di “Chella lla” (originale scritto da Umberto Bertini e musicata da Di Paola/Taccani), intervallata da pernacchie ed insulti (“Suca!”), oltre che da un testo leggermente cambiato.

    Uuuula! Vàsami, vàsami, vàsami, prrr!

    Chilla lla chilla lla

    te pare ca mpazzisc e poi me sparo

    polli… tutti polli sono!

    Playboy di G. Lo Giudice

    Playboy di Giovanni Lo Giudice, tanto per fare un esempio ancora più dada, ripete ossessivamente la parola del titolo con un testo delirante, probabilmente improvvisato sul momento dall’attore.

    Il testo recita pressappoco questo:

    playboy, playboy, playboy,

    playboy, playboy, playboy

    no, non sono un playboy,

    sono un ragazzo romantico,

    che crede ancora nell’amor,

    perciò ti dico no,

    il playboy oggi è quello che ha i soddi,

    anche se è basso, pelato o grasso

    Il senso del brano, sconnesso e volutamente fuori tempo in molti passaggi, assume una valenza grottesca se inquadrato nel giusto ambito: bisogna pensare che non ci sono personaggi femminili nel film, e che – soprattutto – poco prima abbiamo assistito alla famosa (ed oggetto di infinite polemiche) scena di zoofilia con una mula.

    Lo stesso tema ricorre in seguito all’interno dello stesso film, dove assume una parvenza dai toni più tragici, rassegnati e desolanti. Che senso ha, a quel punto, essere un playboy – se comunque vivi in una città abbandonata, dai tratti post-apocalittici, in cui basta avere i soldi per vivere bene, e potresti diventare un Casanova anche se sei basso pelato o grasso?

    Curtiello cu curtiello (Fiorini, Di Domenico)

    Questo pezzo viene proposto durante il minaccioso interrogatorio di Tommasino nei confronti di due diseredati, che ne elogiano (nonostante tutto) le doti canore.

    L’originale è stata interpretata tra gli altri da Mario Merola, ed è nota per la sua versione cinematografica.

  • Perchè i pirati fanno “aaaaar”?

    Da che mondo è mondo, i pirati fanno AAARRR mentre parlano. Vi siete mai chiesti il perchè? In questo articolo proverò a svelarvi l’arcano, in modo che possiate dare finalmente un senso a questa giornata (piovosa, almeno qui).

    Nell’immaginario televisivo nostrano a fare il verso “AAARRRR” è il Capitano Horatio McCallister dei Simpson: non un pirata, ma comunque un “vecchio lupo di mare” stereotipato. Nell’immaginario popolare dei marinai sono in effetti molto comuni versi quali: “arrr”, o “harr”, “ahoy” oppure “aye”, o ancora Rrrr!”, Yarrr!, Arrr, Argh, Ahaaaarr e Yargh. Ma per quale motivo?

    La questione assume una certa importanza – tanto che l’Urban Dictionary ha dedicato ad arrr una voce specifica.

    Secondo un post di Reddit dedicato a questo importantissimo argomento, un verso del genere farebbe parte del modo di parlare degli inglese del West Country, tanto da farlo sembrare un paese frequentato da pirati per antonomasia (can confirm, I live here and everyone sounds like pirates), con particolare riferimento alla lingua cornica (Cornish) ed alla sua presunta cadenza.

    A quanto pare il grugno tipo “Arrr” – con tutte le varianti viste in precedenza – fa la propria comparsa nel cinema nel 1934, con il film L’isola del tesoro (Treasure Island), tratto dall’omonimo romanzo di Robert Louis Stevenson, per poi rifare la propria comparsa nel racconto del 1940 “Adam Penfeather, Buccaneer” di Jeffrey Farnol. Ha consolidato poi la propria fama mediante il classico del 1950 L’isola del tesoro della Disney, un film che dovrebbe essere rimasto inedito ad oggi (è molto più noto il cartone animato uscito in seguito) e di cui è disponibile il seguente frammento su Youtube – purtroppo senza alcun “aarrr” al suo interno.

    L’opera comica The Pirates of Penzance,  non presenta riferimenti ad arrrr nello specifico, per quanto molti personaggi tendano a marcare la presenza delle “r” nelle parole che pronunciano i vari pirati, come ad esempio “hurrah!” e “pour the pirate sherry“.

    Andando a guardare qualche altra informazione a livello storico, si scopre dell’esistenza della giornata internazionale “Parla come un pirata” (19 settembre), ovvero la International Talk Like a Pirate Day (ITLAPD) inventata nel 1995 da John Baur (nome piratesco: Ol’ Chumbucket) e Mark Summers (o Cap’n Slappy), due americani dell’Oregon.

  • Che cos’è il cinema indipendente?

    Quando si pensa al cinema indipendente probabilmente vengono in mente i prodotti cosiddetti d’essai, oppure pellicole il cui significato diventa profondamente meditativo, riflessivo, in altri tempi avremmo scritto “non commerciale”. Eppure le realtà di questo genere vivono una propria bellezza per via del fatto che non solo non si “piegano” alle logiche di mercato, bensì propongono l’autenticità del pensiero dell’artista. Nonostante questo, in molti sono portati a pensare che si tratti di prodotti necessariamente di un certo genere (ad esempio horror o thriller), oppure di una predefinita “corrente di pensiero”, etica o politica. Le cose non stanno così, di fatto: basti pensare, ad esempio, ad uno dei più celebri film con il popolare attore Jim Carrey (“Se mi lasci ti cancello“): una pellicola molto sui generis – nel quadro si una storia d’amore tra due persone, si tratta di persone che si fanno cancellare i ricordi dolorosi mediante una nuova tecnologia – eppure decisamente “popolare” tra il pubblico.

    Le caratteristiche principali dei film cosiddetti “indipendenti”, tra i quali annoveriamo quindi un’infinità di sfaccettature, sono quindi due: sono a volte realizzati con pochi mezzi tecnici (ma spesso con competenze artistiche di grande livello) e, al tempo stesso, viene lasciata totale libertà espressiva al regista, che non deve rendere conto a nessuno dei contenuti del suo film. In questo modo capita spesso che i film indipendenti siano fuori dal comune per i significati indotti o comunque per lo spirito generale, che oltre ad avvalersi spesso di attori non noti finisce per lanciare una “frecciata” culturale per combattere il conformismo generale. È questo che finisce, alla fine, per spaventare il grande pubblico “generalista”, che invece preferisce farsi guidare nelle sue scelte dai produttori, i quali insistono morbosamente sui medesimi temi e generi per avere mera garanzia di rientro economico. Tutto questo finisce per generare una sorta di circolo vizioso, che il cinema indipendente cerca di spezzare proponendo prodotti magari fuori dalla righe ma – in molti casi – qualitativamente di grande valore. Ovviamente, a dirla tutta, esistono film di qualità e scadenti sia in una “corrente” che nell’altra, ma il punto è che non sempre i prodotti di valore riescono a trovare il giusto spazio.

    Storicamente un grande impulso ai film indipendenti si ebbe a metà degli anni ottanta con le prime videocamere, e più recentemente con i modelli digitali, che hanno permesso a schiere di giovani registi di evitare i costi proibitivi delle pellicole tradizionali, dei noleggi delle attrezzature, della stampa dei negativi, etc. Anche la cosiddetta post-produzione è molto più economica e veloce, grazie al significativo aumento delle prestazioni dei PC, all’introduzione dei DVD e al contemporaneo sviluppo di software semi-professionali sempre più sofisticati (utilizzati per il montaggio, la correzione del colore, i titoli di testa etc.), spesso completamente free o a costi davvero irrisori. La crescente popolarità degli “indie” ha costretto recentemente gli studi di Hollywood a creare delle piccole filiali per poter entrare a loro volta in questo nuovo mercato. Di conseguenza, oggi, non è più così netta la differenza fra ciò che è realmente indipendente e ciò che non lo è: per fare un esempio, il succitato Eternal Sunshine of the Spotless MindSe mi lasci ti cancello, del 2004, considerato un film indipendente, vanta un cast che non sfigurerebbe in un grande blockbuster, la sceneggiatura di un autore pluripremiato, e un budget iniziale di decine di milioni di dollari. D’altra parte, attori di fama internazionale sono molto attratti dal fenomeno indie, tanto da arrivare ad autoridursi il compenso pur di prendere parte ai progetti più interessanti.

    (tratto parzialmente da Wikipedia, rielaborazione di Salvatore Capolupo)

  • Speciale Griffin: satira modello Borat e altre storie

    I Griffin (Family Guy) sono una delle serie più celebri a livello mondiale e più amate dai fan; le loro citazioni cinematografiche sono frequentissime, ed è anche per questo che non hanno faticato ad entrare nella cultura pop. Ma come è nata questa serie e come si è evoluta?

    Le origini: Larry & Steve

    Nella prima versione di Peter e Brian (all’epoca Larry & Steve) la coppia cane/padrone si presentava in questi termini decisamente diversi, e solo su spinta della Fox i due personaggi sarebbero diventati quelli che i fan conoscono.


    Fair use, Link

    L’episodio pilota di Larry & Steve fu ideato da Seth MacFarlane e venne prodotto da Hanna & Barbera, caratterizzato da tipiche situazioni slapstick e privo, almeno in prima istanza, delle istanze satirico-demenziali che poi diventarono un marchio di fabbrica dei Griffin. L’episodio fu finanziato inizialmente con 50.000 dollari, molto poco se si pensa che di solito gli investimenti per una serie sono di almeno tre ordini di grandezza superiori.

    Griffin vs Monty Python

    Istanze demenziali che sembran derivare almeno in parte dal feeling dei Monty Python, con le medesime sceneggiature basate sul paradosso, sul flashback scollegato dalla trama, su elementi parodistici e sull’esagerazione. Quello che cambia, tuttavia, sembra essere lo spirito che anima le due creazioni: da un lato un’evoluzione dello humour inglese nella direzione suggerita dal teatro dell’assurdo di Ionesco, dall’altro la demenzialità di film come Hot shots! o Una pallottola spuntata che in seguito sarebbe diventata di natura politica e sociale.

    L’umorismo dei Griffin deve molto a quello dei Monty Python, che era quasi sempre colto, raffinato, spesso brutale e mai inintellegibile o fine a se stesso. Lo dimostrano questi frammenti di Flying Circus in cui parodizzano un film d’essai  e l’idea di deja-vu.

     

    Griffin vs Fritz the cat

    Non si tratta ovviamente del primo cartone per adulti a sfondo esplicitamente violento o sessuale: basterebbe ricordare anche solo Le nove vite di Fritz il gatto, per convincersene, il quale pero’ deriva dalla cultura beat e hippy anni 70, mentre i Griffin sembrano prendere spunto da ciò che fa ridere gli americani oggi (l’esempio più eclatante mi sembra ad esempio Borat: un comico criticato, amato o odiato senza mezzi termini).

    Griffin vs Simpson

    Si sono sprecati negli anni i parallelismi tra Griffin e Simpson, ad esempio, per quanto ognuna delle due serie presenti peculiarità che li rendono difficilmente paragonabili: ed un celebre mashup che mescola i personaggi di entrambi le serie di qualche tempo fa (l’episodio E alla fine si incontrano della tredicesima serie) rende omaggio proprio a questo aspetto.

    Questo è un altro esempio di contrapposizione modello Simpson in cui si satireggia sia il raffronto Peter – Homer che, soprattutto, la figura del belloccio George Clooney al quale si perdona qualsiasi cosa.

    Che i Griffin siano una serie longeva, del resto, è confermato dal grande successo e popolarità che si sono ritagliati in questi anni, arrivando (a partire dalla prima serie del 1999) a ben 17 stagioni e la bellezza di 329 episodi ad oggi.

    Un altro frammento significativo è, a mio avviso, quello in cui si ironizza profeticamente su una pandemia.

    Lo slapstick dei Griffin

    Nei Griffin lo slapstick è comico quanto portato alla realtà, come è possibile notare da molte gag tipiche dei cartoni classici della Disney in cui la fisicità dei personaggi diventa organica – non più pupazzi animati bensì esseri umani che si sfracellano tuffandosi in un deposito di monete.

    In questo la presenza dello splatter a sorpresa, inserito cinicamente anche in contesti in cui non te lo aspetteresti, è una caratteristica tipica di molte gag dei Monty Python: ad esempio nella gag del Signor Creosoto, oppure quando il personaggio volante di Terry Gilliam viene abbattuto con un colpo di fucile.

    Peculiarità di Family Guy

    I Griffin, peraltro, sono molto abili a sceneggiare l’attualità e a ridicolizzarla, come nel frammento in cui Peter era “nella polizia di Instagram” per censurare i bikini bridges in voga, generalmente, d’estate.

    Credo che i Griffin siano una serie assolutamente innovativa e ricca di pregi ed originalità, per quanto sia dotata di una discontinuità di fondo: i primi episodi hanno ceduto il passo alla demenzialità fine a se stessa, soprattutto nelle ultime stagioni, in cui la trama è diventata poco più di un fatto incidentale. Ed in cui la parodia dell’action movie e della violenza insistita di certe pellicole evidenzia, già da sola, un paradosso.

    https://giphy.com/gifs/happens-some-domain-adOtLr5zfWHjW

    Non è raro che mi sia capitato di vedere episodi dei Griffin molto divertenti, alternati con puntate francamente difficili da seguire e, alla lunga, meno umoristiche di quanto si vorrebbe pensare.

    L’amore per il cinema di questa serie

    Che gli autori dei Griffin amino il cinema è fuori discussione: moltissime trovate come quella della lotta eterna tra il pollo gigante e Peter sono tipicamente Pythoniane e, al tempo stesso, ironizzano sulla durata e la plausibilità delle scazzottate degli action movie USA, ridicolizzandoli e omaggiandoli al tempo stesso.

    Questa tendenza cinematografica è stata esaltata all’ennesima potenza in un costossissimo e folle episodio: quello in cui una storia banale come il licenziamento di Peter dalla fabbrica di birra viene virtualmente riletto da tre registi, tra i quali figura anche Quentin Tarantino. Un esercizio di stile in piena regola, insomma: l’episodio omaggia Kill Bill Vol.1 e Peter torna a vendicarsi del capo vestendosi, per l’occasione, non da Bruce Lee ma da clown di Mc Donald’s. E lo splatter, ovviamente presente, richiama quello del violentissimo epilogo nel ristorante, con la Sposa circondata dai feroci assassini.

    C’è poco da aggiungere, a riguardo: la puntata è un piccolo capolavoro della serie, un autentico spasso per qualsiasi cinefilo che, peraltro, assisterà alla stessa storia girata da Wes Anderson (con tanto di spocchia ottocentesca, voce fuori campo e lustrini) e naturalmente da Michael Bay, in cui Peter è un operaio muscoloso e sciupafemmine e tutto l’episodio è caratterizzato da personaggi muscolosi e situazioni tipiche di film anni novanta come Giorni contati.

    https://www.youtube.com/watch?v=3tGwD-0zDso

    Umorismo sopra le righe

    Sia Griffin che Monty Python, in certi passaggi, non riesci a coglierli: nei Griffin succede perchè quel tipo di umorismo si lascia, a mio avviso, travolgere dalla sua stessa foga, nella smania di mostrare cose sempre originali certi passaggi, semplicemente, sono non sense puro. Nei Pythons invece succede perchè facevano satira su personaggi dell’epoca, e sarebbe come se tra 30 anni provassimo a vedere le imitazioni di Fiorello senza conoscere gli originali a cui si riferisce. Col tempo, poi, ci si stanca e la serie perde mordente, è inevitabile – e fisiologico se vogliamo. Stesso problema che presentano buona parte degli episodi dei Griffin e gli ultimi del Flying Circus dei Monty Python, ad esempio, che non riescono più a sorprendere come prima (per quanto l’umorismo colto del quintetto inglese rimanga comunque una spanna superiore, a mio umile avviso, a qualsiasi trovata folle presente in Family Guy).

    Creare momenti memorabili, del resto, nel bene o nel male non è una dote di chiunque, ma spesso non basta per scatenare la forza effettivamente comica di un episodio.

    L’effetto collaterale è che molte delle gag dei Griffin – ed è l’unica sostanziale critica che mi sento di fare, ad oggi – fanno ridere esclusivamente di riflesso, ma in molti casi risultano poco comprensibili e quasi contorte nel loro incedere.

    Un umorismo dissacrante

    In genere, i Pythons erano attentissimi a scegliere i bersagli della propria satira, e provocando in modo borderline ed avendo l’astuzia di ricorrere alle meta-battute per sdrammatizzare. Un esempio che tutti conoscono è tratto dal Royal Episode 13, uno dei più popolari in assoluto dei comici nel quale si incentrano molti passaggi sul fatto che addirittura la regina d’Inghilterra debba guardare lo show. Dopo aver caricato i vari episodi, la parte finale vira su uno humour più macabro della media: nello sketch del becchino (Undertakers sketch, che non è non quello dei becchini che si rinchiudono nella bara a vicenda, bensì un altro con i soli Idle e Cleese), un figlio annuncia alle pompe funebri della madre appena scomparsa. Per tutta risposta, non solo gli viene suggerito di mangiarsela, ma anche di scavare una fossa per vomitarci dentro nel caso in cui dovesse pentirsi in futuro di averlo fatto. L’episodio si conclude con la reazione (molto probabilmente simulata) da parte del pubblico, che era effettivamente presente in studio durante lo show e che protesta duramente per quelle battute, arrivando ad inscenare una rissa con gli attori: a quel punto, titoli di coda.

    Ci sarebbe potuto stare anche nei Griffin, dove viene dissacrata letteralmente qualsiasi cosa: l’uso di marijuana e di droga in genere, gli stereotipi sulle razze, il sessismo (quasi sempre dal punto di vista del maschio medio americano USA, peraltro), il provincialismo, il cinismo (spesso del tutto gratuita, c’è da dire), le controversie politiche. Ci sono anche la sospensione del tempo in momenti interminabili (il ginocchio di Peter), i flashback quasi sempre scollegati dalla trama (e a volte un po’ stravolti dal doppiaggio, purtroppo), la parodia di film e serie celebri (negli USA) con il sottofondo rassicurante dei musical anni 60 e del lounge di Frank Sinatra.

    Quella che segue è una tipica gag riuscita dei Griffin, ad esempio: una gag in cui viene evidenziata l’incapacità latente del protagonista a sapersi districare nelle situazioni difficili, e viene inoltre parodizzato il feeling tipico (esagerato quanto impropabile) dei film d’azione alla Steven Seagal.

    Un umorismo controverso

    Non mancano momenti più criticabili, ovviamente: la gag (considerata sacrilega dal comico Daniele Luttazzi, non a torto) evidenzia quanto possa essere insidiosa certa comicità demenziale: che in questo caso, per inciso, banalizza un orrore reale (i rastrellamenti nazisti) contrapponendolo all’innocente fame di patatine di Peter.

    https://www.youtube.com/watch?v=RB1BQvDx6Kw

    La questione si potrebbe risolvere in questi termini: su cosa si può fare umorismo o satira che sia? Su qualsiasi cosa, verrebbe da dire: pero’ la tua scelta, soprattutto nella nostra tradizione culturale, dice molto di te, quasi tutto. Perchè se fai umorismo sulle vittime del nazismo è un conto, decisamente un altro è se lo fai sui nazisti (prendo l’esempio politico perchè, tra quelli controversi, mi sembra il più chiaro da esporre).

    Mettere tutto sullo stesso piano come fa l’autore, alla fine, porta su una strada scivolosa, in cui la direzione del qualunquismo è quasi obbligata, soprattutto in tempi in cui certa politica pericolosa si è appropriata di termini come “buonismo”. E non è che, in definitiva, basti essere cinici e senza pietà verso chiunque per far ridere: perchè quello, al massimo, è un criterio che potrebbe garantirci popolarità sui social networ.

    Bisogna capire, in definitiva, cosa faccia ridere noi, perchè in genere quello che ci fa ridere (una gag su Anna Frank, su un omosessuale o su un politico americano) finisce per dire parecchio di noi stessi.

    Quello che è sicuro è che, ad oggi, i Griffin si sono insidiati nella cultura pop, uscendo dalla nicchia che li caratterizzava nelle prime serie (disegnate in modo più approssimativo rispetto ad oggi, ovviamente), e cedendo il passo ad episodi di qualità altalenante: a volte riusciti, riuscitissimi e quasi perfetti, altri semplice giustapposizione di frammenti scollegati tra di loro, dall’effetto spiazzante quanto fine a se stesso.

     

  • Speciale Bojack Horseman: le migliori puntate

    BoJack Horseman: la storia di BoJack Horseman, capitolo uno, 1×1

    Puntata basilare per conoscere i personaggi della serie, a partire da Diane (la ghostwriter) che viene ingaggiata per scrivere la biografia dell’attore Bojack Horseman, un cavallo antropomorfo insicuro ed emotivamente instabile, con probabili storie di droga e alcol alle spalle. È importante per penetrare da subito il mood della serie (che non è semplicemente l’umorismo dadaista dei Griffin, o quello cinico di South Park) e comprenderne il nichilismo di fondo, che non è per forza fine a se stesso: negli episodi successivi molte soluzioni saranno proposte, ma quasi nessuna sarà realmente risolutiva. Bojack Horseman è una serie filosofica e profonda, che narrerà temi importanti come il senso della vita, il suicidio, l’eccesso per dimenticare il dolore ed il senso dei legami tra esseri umani, di qualsiasi tipo possano essere. Con ironia a volte, con serietà altre, e con un senso di sospensione che rimane costante per tutto lo svolgimento della narrazione.

    Zoe e Zelda 4×1

    Questa puntata racconta l’ascesa e la caduta della rock opera scritta da Todd, migliore amico di Bojack nonchè suo coinquilino abusivo da molti anni. Il lavoro è discutibile dal punto di vista artistico ma, al tempo stesso, pone l’accento sul rapporto controverso tra Todd e Bojack, in cui il secondo finisce quasi sempre per abusare psicologicamente del primo.

    Se l’episodio racconta in modo molto critico il mondo dello show business ed il suo cinismo innato (uno dei giudicatori del lavoro di Todd, come si vedrà, è un serpente antropomorfo), serve anche a definire uno degli ulteriori punti cruciali della narrazione: Diane che, pur attratta e corrisposta da Bojack, finirà per sposare Mister PeanutButter, attore di una serie anni ’80 rivale di Horsin’ Around.

    Zoe e Zelda sono, in questo contesto, due personas dai tratti psicologici ben definiti: Zelda è il simbolo delle persone estroverse, solari e spiritose, in grado di adeguarsi facilmente ai contesti più diversi ; Zoe è una persona riservata o più orientata su cinismo e introversione. Gli Zoe della serie, inoltre, sembrano essere più intelligenti dei personaggi ispirati a Zelda. Zoe e Zelda si ispirano inoltre ad una serie americana anni 90 incentrata su due gemelle dalla personalità contrapposta, dal titolo Sister, Sister.

    I fatti avranno numerosi richiami nel seguito, e saranno approfonditi nel dettaglio, personaggi di Zoe e Zelda inclusi.

    Finale deprimente, 1×11

    In questo significativo episodio la biografia di Bojack (pensata in modo egocentrico, ma scritta diversamente e non autorizzata dall’interessato) viene pubblicata e diffusa sul web, facendo uscire fuori il personaggio che non avrebbe mai voluto: confuso, fallito, pasticcione e alcolizzato. Questo distrugge l’autostima del personaggio e sarà determinante per tutti gli altri episodi successivi, nei quali sarà sempre più evidente la sua incapacità di dare seguito a qualsiasi relazione e di riaffermarsi come attore, dato che il suo personaggio non sarà neanche utilizzato (e sarà costretto a promuovere un film in cui è stato interamente ricostruito in modo digitale).

    Parte dell’episodio è girato come un trip allucinogeno dai contorni horror, in cui alcune visioni sono riconducibili sia a Climax di Gaspar Noè (che uscirà qualche anno dopo) che a La cosa di John Carpenter. Alla richiesta all’autrice della biografia, amica (e flirt mai corrisposto) Diane di confermargli che non sia una cattiva persona, la ragazza non risponde.

    Pesce fuor d’acqua, 4×3

    Questa puntata è ideale per chi non conoscesse la serie per nulla, o volesse farsi un’idea: a prescindere dai presupposti, infatti, Bojack si ritrova in un mondo sottomarino per la premiere del suo film. Non vive a suo agio la situazione: non sa comunicare con i personaggi acquatici, viene deriso per come risponde alle domande, si esprime a gesti ed è costretto a portarsi dietro un cavalluccio marino dimenticato dal padre subito dopo il parto. L’intero episodio è quasi del tutto privo di dialoghi, sulla falsariga delle produzioni indipendenti alla Gummo, e si focalizza sull’orrore dell’incomunicabilità.

    Fermate le rotative, 7×3

    Episodio poco citato quanto fondamentale per delineare la personalità contraddittoria e anti-eroica del protagonista: anzitutto escono fuori alcune sue egoistiche relazioni clandestine (una con il flirt dell’amico ingenuo Todd, l’altra con la sua addetta stampa). Esse finiscono per rilevarsi lo specchio di ciò che davvero è Bojack: un attore accecato dalla fama, che instaura due relazioni contrapposte (una occasionale da dominatore, e l’altra da autentico sottomesso), entrambe del tutto inutili a farlo sentire meglio.

    La puntata è improntata come un lungo flashback in cui il protagonista si confida, come in una approfondita seduta psicologica, con un misterioso personaggio (una donna inquadrata sempre di spalle) che continua ad inviargli a casa copie di una rivista che non ha mai richiesto. Alla base dell’episodio, inoltre, una campagna di marketing per il suo film Secretariat, in cui il cartellone diventa uno specchio (allegoria principale dello stesso) in cui ognuno può impersonare il protagonista, sempre per precisa volontà di Bojack. Peccato che, grottescamente, questa trovata non sia l’ideale per dei cartelloni pubblicitari giganti che, ovviamente, riflettono solo il cielo.

    È andata bene – 12×3

    Episodio molto significativo anche questo, perchè incentrato sul passato di Bojack e sul senso della sua vita: dopo l’iniziale idea di girare un seguito di Horsin’ around, la serie che l’aveva portato al successo negli anni Ottanta dandogli fama, sesso e soldi, il protagonista va nel panico e medita il suicidio. Deciso a schiantarsi con l’automobile, ci ripensa dopo aver contemplato un gruppo di cavalli in corsa davanti a lui. Forse perchè a volte bisogna fermarsi a riflettere, forse perchè nessun obiettivo potrà mai soddisfarti, forse ancora perchè (senza scomodare Emil Cioran) non è la destinazione che conta, ma come ci arrivi.

    Pensieri e preghiere – 5×4

    Questa puntata è particolarmente ricca di aspetti interessanti: da un lato è una delle puntate più critiche e satiriche verso l’ipocrisia della società americana, che favorisce la libera vendita delle armi, ma se ne scandalizza (e le vieta) solo quando Diane diventa promotrice dell’idea di far girare le donne armate per difenderle dai molestatori. Al tempo stesso, la puntata in questione indaga in modo feroce sulla personalità di Bojack, che è un personaggio ancora più contraddittorio (ed umano) di quanto non sia mai stato. Il suo cinismo, infatti, si evidenzia come sia stato anche frutto del rapporto conflittuale con la madre, che lo ha sempre maltrattato e che ormai non lo riconosce neanche più.

    La struttura dell’episodio è quella tipica delle commedie americane, in cui il protagonista ha qualcosa da farsi perdonare (dalla ritrovata figlia, dalla madre, da varie donne con cui ha avuto relazioni rigorosamente mordi e fuggi), il che è anche un leitmotiv ricorrente della serie in generale. Tale ricerca, pero’, non è finalizzata ad uno scopo nobile o commovente: serve soltanto a rimarcare le convizioni negative e nichiliste di Bojack, ormai radicate e immutabili. Il protagonista arriva ad improvvisare una puntata di Horsin’ Around nell’ospizio, perchè finalmente la madre possa riconoscerne i meriti e, al tempo stesso, possa ribadire apertamente l’odio che nutre nei suoi confronti. Per quanto spiazzante (e a volte ostentatamente cinico), Pensieri e preghiere è uno degli episodi più profondi, intelligenti e ricchi di significato di Bojack Horseman.

    Odiato dal mondo, 6×13

    È una delle puntate decisive della serie, nella quali – quasi sulla falsariga di film come Requiem for a dream – assistiamo al collasso del protagonista: nonostante abbia fatto riabilitazione e sia uscito dal tunnel della droga e dell’alcol, Bojack soffre di attacchi di panico, continua a punirsi senza mai riuscire a redimersi, è ferito, incompreso e sempre più distaccato dal mondo che, un tempo, credeva essere nelle sue mani. E l’episodio chiave è quello che segue, ed è forse il più intenso e drammatico di tutta la serie. Un’intervista doppia a Bojack, concessa per via delle indagini di due reporter privi di scrupoli, se all’inizio migliora la sua immagine si trasforma in un boomerang: le domande incalzanti sul suo passato lo mettono in difficoltà, e confessa infine una terribile verità. Non solo la morte dell’amata Sarah Lynn, all’epoca ragazzina simbolo della serie Horsin Around, è stata causata da lui, ma ne ha abusato sessualmente mentre erano sotto l’effetto di eroina e cocaina, fingendo in seguito che il decesso sia stato accidentale. La notizia è un disastro mediatico: l’immagine dell’attore è distrutta, viene condannato a pagare un risarcimento milionario alla famiglia di lei e, come se non bastasse, viene anche sfrattato.

    I rimandi ai fatti di cronaca modello Bill Cosby (ma anche Harvey Weinstein) diventano espliciti: l’uomo famoso o di potere che viene distrutto da misfatti scoperti in seguito. Del resto l’unico personaggio rimasto dalla parte di Bojack afferma che il pubblico infierisce su di lui, e gode nel vederlo fallire, soltanto per sentirsi superiore: magra consolazione, visto che l’unica proposta lavorativa che riesce a fargli è quella di girare The horny unicorn (“l’unicorno arrapato“, titolo originale dell’episodio evidentemente “camomillato” nella versione nostrana): un film porno o erotico che dovrebbe essere l’unico genere, ormai, che Bojack possa affrontare senza attirare critiche. Non possono non venire in mente, a questo punto, A Serbian film e le sue allegorie contro la politica parassitaria e la mercificazione dell’informazione.

    La trasposizione simbolica dei personaggi è diventata, in questa sede, esplicita e controversa: per quanto il tono sia tutt’altro che giustificativo o accomodante, proviamo pena per il protagonista, abbandonato ormai da qualsiasi amico abbia mai avuto. Qualcuno, in un momento di riflessione, potrebbe essere portato a porsi più di una domanda sull’etica dei media e sui toni inquisitori che accompagnano certe storie di cronaca, per quanto terribili e traumatiche possano essere, e su come la società dello spettacolo possa, in fondo, creare e distruggere a piacimento qualsiasi VIP. Il focus, del resto, è anche incentrato sul doppio ruolo ricoperto dai vari attori americani che vediamo nella serie: positivi, felici e disumanamente allegri in pubblico – quanto depressi, violenti o viziosi nel privato . Per alcuni, del resto, il pensiero che Cosby (per citare lo scandalo sulla falsariga del quale l’episodio sembra voler romanzare) sia stato condannato per stupro è – per assurdo – quasi difficile da accettare, proprio per via del personaggio divertente che interpretava negli anni 80 (i Robinson) ponendo una questione filosofica sull’ambiguità tra l’attore visto come uomo e come personaggio.

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