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Cinema, arte, spettacolo e filosofia spicciola.

  • Oroscopo sarcastico del mese di marzo

    Oroscopo sarcastico del mese di marzo

    Se la vita fosse giusta, le stelle ti darebbero buone notizie.

    Se.

    Ecco l’oroscopo di marzo, senza fronzoli, senza pietà, senza speranza.

    ♈ ArieteL’eroe delle scelte sbagliate

    Ti lancerai in decisioni senza pensarci, convinto di essere un genio, e finirai per spiegare ai tuoi amici perché adesso hai un debito in criptovalute e un dromedario nel garage.

    ♉ ToroIl monolite immobile

    Irremovibile come al solito: se l’universo ti mandasse un meteorite, non ti sposteresti. Il che, in realtà…

    ♊ GemelliIl talk show ambulante

    Passerai il mese a parlare con chiunque, su qualunque cosa, convinto di essere affascinante. Gli altri non ti stanno ascoltando, ma annuiscono educatamente mentre mandano messaggi a qualcuno più interessante di te.

    ♋ CancroLa tragedia ambulante

    Marzo sarà lungo per te. E soprattutto per chi ti sta vicino.

    ♌ LeoneL’ego su due gambe

    Marzo ti farà scoprire una cosa terrificante: la gente esiste anche quando tu non sei presente.

    ♍ VergineIl revisore fiscale dell’universo

    Marzo ti regala grandi opportunità di crescita. Ma non sappiamo dove.

    ♎ BilanciaL’eterno indeciso

    Il resto del mondo va avanti senza di te.

    ♏ ScorpioneIl villain della sua stessa vita

    La gente ti ignora perché ha altro da fare.

    ♐ SagittarioIl turista esistenziale

    Guarderai molti video su Youtube.

    ♑ CapricornoIl robot del lavoro

    Se marzo avesse una colonna sonora per te, sarebbe il rumore di una stampante inceppata.

    ♒ AcquarioL’inventore di problemi immaginari

    A marzo avrai idee rivoluzionarie che cambieranno il mondo. Nella tua testa.

    ♓ PesciIl campione olimpico di sognare a occhi aperti

    Ti aspettano grandi cose! O almeno così credi.

  • Guida pratica al meme NPC

    Il termine “NPC” (Non-Player Character), originariamente utilizzato nel contesto dei videogiochi per indicare personaggi non controllabili dai giocatori, ha acquisito una nuova dimensione nel panorama culturale e filosofico contemporaneo. e alla sua funzione ludica, il meme “NPC” è diventato una metafora per descrivere individui percepiti come privi di pensiero critico o autonomia, paragonandoli a personaggi che seguono schemi predefiniti senza consapevolezza o introspezione. (immagine: By anonymous – https://knowyourmeme.com/memes/npc-wojak, Fair use, https://en.wikipedia.org/w/index.php?curid=64521200)

    Il meme “NPC” è emerso nel 2016 su piattaforme come 4chan, dove un utente anonimo ha suggerito che alcune persone si comportano in modo simile agli NPC dei videogiochi, ripetendo frasi fatte e mostrando una mancanza di profondità nel pensiero. Questppresentazione è stata graficamente associata al meme “Wojak”, che raffigura un volto stilizzato e privo di espressione. Col tempo il meme ha guadagnato ulteriore attenzione, venendo utilizzato in contesti politici per criticare coloro che aderivano a ideologie percepite come conformiste o prive di originalità. Non di rado, il meme è usato in senso spregiativo o di sfottò, per indicare qualcuno che non partecipi attivamente alla socialità oppure non voglia o non sappia esporsi politicamente.

    Nel contesto sociale, il meme PC è stato adottato – a volte in forma offensiva – per criticare individui o gruppi considerati incapaci di formare opinioni autonome, accusati di seguire passivamente le narrative prevalenti senza un’analisi critica. Questa analogia suggerisce unaietà in cui alcune persone operano come automi, reagendo agli stimoli esterni senza una vera comprensione o riflessione. Tuttavia, è importante notare chuso del termine in questo modo può essere percepito come offensivo, poiché implica una svalutazione dell’umanità e dell’individualità dell’altro. (vice.com)

    Se consideriamo gli esseri umani come dotati di coscienza e capacità di introspezione, l’idea di etichettare qualcuno come “NPC” implica una negazione di queste qualità, riducel’individuo a un’entità programmata e prevedibile. Questo porta a riflettere su temi come l’autenticità, l’indivudalità e la complessità dell’esperienza umana. Da una prospettiva filosofica, il meme “NPC” solleva questioni sulla natura della coscienza, dell’autodeterminazione e del libero arbitrio.

    Inoltre, l’uso del meme può essere interpretato come una critica alla società contemporanea, suggerendo che molte persone operano in modalità “automatica”, accettando passivamente infzioni e norme sociali senza un esame critico. Questo fenomeno potrebbe essere visto come una conseguenza della sovrastimolazione informativa e della cultura dei social media, dove la profondità del pensiero è spesso sacrificatafavore di reazionimmediate e superficiali.

     

  • Che cos’è davvero l’ideologia woke

    La cultura o ideologia “woke” è un termine che ha guadagnato popolarità negli ultimi anni, specialmente nei contesti sociali e politici, e si riferisce a una consapevolezza e attenzione particolare verso le questioni di giustizia sociale. Originariamente, “woke” è un termine dello slang afroamericano che significa “essere svegli” o “essere consapevoli”, e si è evoluto per indicare una maggiore coscienza e sensibilità riguardo a vari temi come il razzismo, il sessismo, l’ineguaglianza economica, i diritti LGBTQ+, e altre forme di discriminazione e ingiustizia. Resta vero che in molti contesti, inclusa l’Italia, il termine “woke” viene spesso utilizzato in maniera dispregiativa o come insulto. Questo uso riflette una reazione contro alcune delle idee e delle pratiche associate alla stessa. Come già l’idea del politicamente corretto e della cancel culture, si tratta di una terminologia a retaggio quasi esclusivo di idee conservatrici.

    Un concetto che è stato svuotato, distorto e manipolato in modi che sarebbero ridicoli, se non fossero tragici. Quello che dobbiamo comprendere è che il termine, alla sua origine, aveva una radice di consapevolezza sociale. “Woke“, in inglese, vuol dire letteralmente “sveglio“, “risvegliato“, un risveglio rispetto alle ingiustizie sociali, in particolare quelle legate al razzismo e alle disuguaglianze di classe. Era, insomma, una presa di coscienza dalla realtà brutale in cui viviamo. Ora il problema con il “woke” oggi è che è diventato una sorta di spauracchio, una minaccia invocata dai conservatori e dai neoliberisti, come se fosse il nuovo mostro sotto il letto. Ma in che senso? Il vero mistificatore qui non è il “woke” come concetto di consapevolezza sociale, ma piuttosto come esso viene manipolato e travisato da chi ha interesse a preservare l’ordine capitalistico.

    Il “woke” non è una minaccia per la società; è una risposta al fallimento di una società che non ha mai veramente affrontato il razzismo, la discriminazione e la disuguaglianza economica.

    Se guardiamo alle critiche conservatrici, troviamo un fenomeno interessante: quasi mai viene usato il termine “svegliato” o la traduzione italiana “risvegliato”. Perché? Perché questo sarebbe troppo chiaro, troppo facile da smascherare come un movimento che si basa sulla presa di coscienza. Invece, si preferisce usare “woke”, che suona strano, esotico, come qualcosa di distante dalla realtà della gente. È come se volessero mantenere una distanza tra ciò che è radicale e ciò che potrebbe veramente cambiare le cose. Così, la critica conservatrice al “woke” non è mai una critica all’effettiva consapevolezza sociale, ma una critica a una forma di resistenza, alla possibilità di cambiamento, che minaccia lo status quo. Per certi versi l’assurdità è che si mette in discussione un concetto che è legato a un movimento di liberazione e giustizia sociale. Chi ha paura del “woke” in realtà ha paura di una vera trasformazione sociale, una che sfida le strutture di potere che perpetuano la disuguaglianza. È il classico caso di chi difende la stabilità di un sistema che ha creato queste ingiustizie e non vuole fare i conti con la sua responsabilità storica.

    La minaccia è quella di un sistema che si ostina a negare il bisogno di cambiamento radicale. E, stranamente, è proprio chi sostiene lo status quo che ha paura della “sveglia”.

    Aspetti basilari del “woke

    Mentre la cultura woke ha come obiettivo la promozione della giustizia sociale e l’eliminazione delle discriminazioni, il termine “woke” è spesso usato come insulto per criticare un atteggiamento percepito come eccessivo o intollerante, soprattutto nel contesto di una polarizzazione politica e culturale. Vediamo i principali aspetti di questo fenomeno:

    1. Stereotipi e Caricature: Spesso, chi usa “woke” in modo dispregiativo lo fa per ridicolizzare o criticare chi è percepito come eccessivamente sensibile, politicamente corretto o moralmente superiore. In questi casi, “woke” diventa sinonimo di estremismo ideologico o di intolleranza verso opinioni diverse.
    2. Critiche alla Cancel Culture: Una delle principali critiche alla cultura woke riguarda la “cancel culture” o “cultura della cancellazione”, dove individui o gruppi vengono boicottati o esclusi per comportamenti o opinioni considerati inaccettabili. I detrattori vedono questo fenomeno come una minaccia alla libertà di espressione e un metodo coercitivo di imposizione di norme sociali. La “cancel culture” (o “cultura della cancellazione”) è un concetto che suscita molte discussioni e controversie, e la percezione della sua esistenza e delle sue implicazioni può variare ampiamente. Alcuni vedono la cancel culture come una minaccia reale alla libertà di espressione, mentre altri la considerano un fenomeno esagerato o persino immaginario.
    3. Polarizzazione Politica: In molti paesi, inclusa l’Italia, l’uso di “woke” come insulto è spesso parte di una più ampia polarizzazione politica. Chi critica la cultura woke può farlo per difendere valori tradizionali o per opporsi a ciò che vede come un cambiamento sociale troppo rapido o radicale.
    4. Resistenza al Cambiamento: Spesso, il termine “woke” viene usato in maniera negativa da chi è resistente o contrario ai cambiamenti promossi dai movimenti per la giustizia sociale. Questo può includere opposizione alle politiche di diversità e inclusione, ai diritti LGBTQ+, o alle campagne contro il razzismo e il sessismo.
    5. Appropriazione e Degradazione del Termine: Con il passare del tempo, il termine “woke” ha subito una trasformazione nel suo significato originale. Inizialmente un termine positivo che indicava consapevolezza e impegno sociale, è stato poi appropriato e degradato dai suoi detrattori per discreditare e ridicolizzare coloro che sostengono tali cause.

    Il termine “woke” è in altri termini un’espressione inglese che ha assunto diversi significati e sfumature nel corso del tempo. Originariamente, “woke” è stato utilizzato nel contesto dei diritti civili e della giustizia sociale per descrivere l’essere consapevoli delle ingiustizie razziali e sociali. Nel corso degli anni, però, il termine è stato oggetto di dibattito e ha assunto anche connotazioni più ampie. Oggi, “woke” è spesso usato per riferirsi a una sensibilità o attenzione elevata nei confronti delle questioni sociali, politiche e culturali, come il razzismo, il sessismo, l’omofobia e altre forme di discriminazione. Tuttavia, può essere anche usato in modo critico per indicare un eccesso di sensibilità o percepita ipocrisia nell’affrontare tali temi. In quest’ultimo senso, il termine è spesso utilizzato per criticare persone o movimenti che sembrano enfatizzare in modo eccessivo la loro consapevolezza sociale, a scapito di altri aspetti della discussione.

    Storia del termine woke

    L’uso del termine woke (dal 2012 circa) nel dibattito politico si collocava inizialmente nell’ambito del Black Lives Matter, il movimento attivista che lotta contro il razzismo attraverso periodiche manifestazioni, soprattutto negli USA e in particolar modo nei confronti di frequenti episodi di violenza razziale. Se la pagina Wikipedia di BLM è particolarmente chiara e dettagliata, quella del termine Woke – nell’ipotesi che le tassonomie e le interpretazioni fornite dagli autori di Wiki siano indice, in qualche modo, di una qualche chiarezza collettiva a livello di significato – sono semplicemente confuse.

    Woke viene usato anche in Italia da diversi Youtuber, che sfruttano un po’ l’onda del trend (come del resto proviamo, nel nostro piccolo, a fare anche noi), un po’ finiscono per metterla su un piano che aderisce al bastian-contrariarismo, al pregiudizio spiattellato come manifesto culturale, al gusto di andare “contro” qualcosa che diventa (secondo loro, ma soprattutto secondo i loro seguaci) pensiero critico.

    L’idea a mio avviso assurda è che la carta dell’anti-marketing sia, in definitiva, già abbastanza per collocarsi nella propria nicchia – anche a costo di diventare promotori di pensiero becero e anti-culturale (pensiamo ad esempio ai corsi di seduzione che si alimentano, in molti casi, sull’insoddisfazione sociale da incel). E nel mentre vale la pena ricordare ciò che pensava Hicks sull’anti-marketing.

    Che vuol dire woke

    Il termine “woke“, di per sè, si riferisce in genere a un atteggiamento o una consapevolezza sociale riguardo alle ingiustizie, in particolare legate alle questioni di discriminazione, disuguaglianza e identità. In alcuni contesti, l’uso del termine “woke” sembra voler essere stato associato a un’eccessiva sensibilità politica o a una mentalità eventualmente rigida, che è una mentalità insidiosa perchè finisce per farci aderire ad una mentalità maschia, circolare, autoreferenziale, autogiustificativa, che fa addirittura sembrare “eccessiva” la rivendicazione sacrosanta di un diritto.

    Woke mind virus“, come scrisse una volta Elon Musk su Netflix e sulla sua deriva “politicamente corretta“, a suo dire, può quindi essere impiegato per descrivere un modo di pensare che, secondo alcuni, si starebbe diffondendo troppo rapidamente o in modo troppo dogmatico, influenzando il dibattito pubblico in modo controverso o negativo.

    Le critiche alla cultura “woke” sono interessanti forse più della cultura woke stessa, ammesso che sia quantificabile e qualificabile e che non rientri, come temibile anche per il politicamente corretto, nel nugolo dei nemici immaginari che servono ad avere un bersaglio contro cui scagliarsi, fare dibattiti o scrivere libri. Di fatto, quelle critiche sono interessanti perchè non possono essere ridotte a un’unica provenienza politica, per quanto poi woke venga usato quasi sempre come termine discriminatorio da conservatori di vario ordine e grado. Più in generale questa forma di critiche sono affette da diagonalismo, se preferite sono trasversali, figlie di un irreversibile sparigliamento delle carte che subiamo ormai da molti anni, nella società in cui viviamo.

    Le critiche alla cultura “woke” possono provenire da diverse prospettive e posizioni politiche, e se a volte possono presentare punti di vista vagamente interessanti, in altri casi sono figlie degeneri di benaltrismo, qualunquismo, presunto acume sociale, sfoggio di culturame alternativo e soprattutto desiderio egotico di porsi al di sopra della massa a cui tutti, senza eccezioni, ci riteniamo superiori.

    Vale anche la pena di chiedersi come questa ennesima tassonomia del pensiero, questo tag che etichetta il modo di pensare delle persone (o cerca di farlo, in qualche modo) non sia diversa dall’uso del termine incel (involuntary celibate), ad esempio, e di come il diagonalismo faccia la propria comparsa in una mentalità tendenzialmente sempre più liquefatta, per cui dalla stessa persona potrebbero arrivare discorsi contro il nazi-femminismo (ad esempio) ed essere a propria volta accusati di essere woke nei confronti del razzimo.

    La pagina sul termine Woke di Wikipedia, ad esempio, è attualmente imbottita di dettagli poco chiari in merito, ad esempio la descrizione delle motivazioni che spingono i conservatori all’uso del termine:

    cio che invece la maggior parte delle persone considera normale buona educazione, per esempio non usare termini dispregiativi per persone di colore

    oppure un esempio di quello che caratterizza questo genere di discussioni, ovvero il fenomeno del puntacazzismo:

    Il termine awake, tuttavia, viene tuttora utilizzato dagli oppositori dell’ideologia woke e politicamente corretta per distinguersi appunto dai sostenitori e portavoce di quest’ultima, da qui lo slogan “Awake, not woke”

    Se in questi termini sembra in sostanza di assistere ad un catfight scoordinato e vuotamente irriverente, vale la pena ricordare che le tassonomie si diffondo con facilità sui social, e vale la pena evocare la regola 12 di internet: “tutto quello che scrivi potrà essere usato contro di te“, unita alla successiva regola 13: “tutto ciò che scrivi potrà essere travisato e trasformato in altro“. Che è anche quello che è successo a Pepe The Frog, da webcomic a fumetto simbolo dell’alt-right trumpiana senza soluzione di continuità, con tanto di causa vinta dall’autore.

    Punti chiave della cultura woke

    Ecco alcuni punti chiave sulla cultura woke:

    1. Origini: Il termine è emerso nel contesto della lotta per i diritti civili negli Stati Uniti, in particolare all’interno della comunità afroamericana, come espressione di consapevolezza riguardo alle ingiustizie sociali e alla necessità di restare vigili contro le discriminazioni.
    2. Evoluzione: Negli anni recenti, “woke” è diventato un termine più ampio utilizzato per descrivere chiunque dimostri una particolare sensibilità verso le questioni sociali e sia impegnato in movimenti per il cambiamento sociale e l’uguaglianza.
    3. Critiche: La cultura woke è anche oggetto di critiche. Alcuni ritengono che il termine venga usato in modo eccessivo o che porti a un atteggiamento di superiorità morale. Altri criticano il fenomeno della “cancel culture” associato alla cultura woke, dove persone o aziende vengono pubblicamente condannate e boicottate per comportamenti o opinioni considerati inappropriati.
    4. Impatto: La cultura woke ha influenzato vari settori della società, tra cui media, politica, istruzione e industria. Ha portato a un maggiore dibattito sulle politiche di diversità e inclusione, e a cambiamenti nelle pratiche aziendali e istituzionali.

    In sintesi, la cultura woke rappresenta un movimento che promuove una maggiore consapevolezza e azione contro le ingiustizie sociali, ma è anche oggetto di dibattito e critiche riguardo alle sue implicazioni e modalità di espressione.

    Monologo standup sulla cultura woke

    [Rivolgendosi al pubblico, con tono deciso e un po’ stizzito]

    Ah, questi “woke”… ma chi si credono di essere? Quando ero giovane io, il mondo andava avanti senza tutte queste storie, senza dover stare attenti a ogni parola che esce dalla bocca! Oggi sembra che non si possa dire più nulla senza offendere qualcuno. “Oh, non puoi dire questo, non puoi dire quello”, e perché mai? Perché qualche gruppo di ragazzini che vive su internet ha deciso che ora bisogna cambiare tutto? Che ora bisogna stare sempre sul chi vive per non urtare la sensibilità di qualcuno?

    I “woke”… mah, io li chiamo “svegliati”, ma non nel senso buono! Sembrano sempre pronti a saltare addosso a chiunque non si allinei con il loro modo di pensare. Hanno quest’idea che il mondo debba essere un posto perfetto, dove nessuno si offende mai e tutti si sentono sempre accettati. Ma vi pare normale? Quando ero giovane io, si cresceva affrontando le difficoltà, non scappando da esse. E invece questi qui cosa fanno? Si rifugiano dietro uno schermo e si mettono a fare le prediche su come dovremmo vivere, come dovremmo parlare, come dovremmo pensare. È tutto sbagliato!

    E poi, questa tecnologia! I social, internet… non fanno altro che amplificare le loro lamentele. Ai miei tempi, se avevi qualcosa da dire, lo dicevi in faccia! Adesso invece scrivono tutto su Twitter, Facebook, TikTok, e pensano che le loro opinioni siano l’unica verità. Non c’è più il rispetto per le opinioni altrui, non c’è più la discussione vera. Se non sei d’accordo con loro, sei automaticamente un nemico, un “bigotto”, un “ignorante”. E tutto questo per cosa? Per sentirsi superiori, per sentirsi moralmente migliori.

    E non parliamo di questa ossessione per i “pronoun”, per “inclusività”. Ora devi chiedere il permesso pure per usare “lui” o “lei”. Non si può più parlare di uomo o donna senza fare attenzione a non offendere qualcuno che magari non si identifica in nessuno dei due. Ma stiamo scherzando? Questo mondo sta diventando assurdo, vi dico! Ai miei tempi, le cose erano semplici. C’era un uomo, c’era una donna, e punto. Non c’erano tutte queste complicazioni.

    E sapete cosa mi fa più arrabbiare? Che queste idee stanno prendendo piede ovunque! Nelle scuole, nelle università, persino nei posti di lavoro. È come un virus che si diffonde e che non possiamo fermare. Io, però, non mi arrendo. Non mi farò piegare da queste sciocchezze. Non ho bisogno di un gruppo di “svegliati” che mi dica come vivere la mia vita. Ho vissuto abbastanza a lungo per sapere cosa è giusto e cosa è sbagliato, e non sarà una moda passeggera a farmi cambiare idea.

    [Concludendo, quasi con rassegnazione]

    Ah, se solo potessero vedere quanto è ridicola questa loro battaglia… Ma tanto, tra qualche anno, quando cresceranno, si accorgeranno da soli di quanto tempo hanno sprecato a cercare di cambiare un mondo che, in fondo, non cambierà mai davvero.

  • L’orrore del semplicismo

    Per qualche strano motivo questo blog si è posizionato, per diversi mesi, sulla ricerca “Lacan spiegato semplicemente” (con questo articolo). Come tutti i contenuti del sito, per inciso, è stato modificato e aggiornato varie volte, e mai c’è stata l’esplicita intenzione di posizionarlo su quella ricerca. Per cui non interessa troppo da un punto di vista della SEO tecnica quanto, più sottilmente, da quello del novero dei tutorial “X spiegato semplicemente“, con X variabile da “carbonara” a “filosofia zen”.

    X spiegato semplicemente è parte dello zeitgeist che stiamo attraversando, lo spirito di un tempo che aborre (come avrebbe detto Mughini) la complessità, e vorrebbe spingere il riduzionismo al punto di rendere elementare ogni concetto, ogni idea, ogni cosa, anche a costo di stravolgerne la sintassi o la semantica. Il frutto marcio di questo atteggiamento è spiegato almeno in parte dal semplicismo che spinge milioni di persone a seguire gli influencer più improbabili, che fanno del semplicismo bandiera. Viene in mente l’account Youtube dal nome How To Basic che, in tempi non sospetti – andiamo a memoria, almeno una decina di anni fa – propose uno dei tutorial fake più visti di sempre: un iPhone che veniva utilizzato per preparare una ricetta, per essere sbattuto nell’uovo, impanato, impastato e infine demolito a martellate (il video purtroppo sembra scomparso dalla rete, ed è stato rimpiazzato da un “how to basic” molto più serio). Era un video non sense che mescolava la manìa evergreen per i prodotti Apple (e la loro presunta “sacralità”) con quella emergente delle video-ricette, che spiegano passo passo e in modo semplice (aridaje) come preparare qualsiasi tipo di piatto. Quel canale prendeva in giro, a suo modo, la tendenza al semplicismo che la rete ha sempre preteso di avere, in fondo, e a cui nessuno che compaia nel mondo dei tutorial / how to sembra essere immune.

    Sono tantissime le persone che cercano spiegazioni comprensibili a cose per le quali non hanno tempo, voglia e modo di approfondire. Non mancano le suggestioni che arrivano da Google Suggest: stoicismo, induismo, buddismo, p value (sic), effetto serra, spiegati semplicemente. Vale anche per cose come il sesso, neanche troppo paradossalmente, come è possibile rendersi conto spulciando un po’ Google. Spiegare tutto in modo semplice – qualsiasi cosa significhi – è il mantra della rete e di gran parte di quella più pop, senza contare che secondo autori come Ceruti/Bellusci (nel saggio Abitare la complessità) il semplicismo può diventare una potenziale anticamera del populismo e della sua annessa normalizzazione.

    Il tema del semplicismo è stato trattato variamente in letteratura scientifica, e trova tra i suoi principali esponenti Paul Watzlawick e la scuola di Palo Alto: nel libro Change si riferisce la ricorrenza di quelle che gli autori chiamano “semplificazioni terribili“, le quali si riducono in nuce al meccanismo della negazione. Un meccanismo di protezione dell’Io variamente studiato dalla psicoanalisi, del resto, che qui trova espressione in forma duplice: non si tratta, infatti, solo di semplificare la complessità (il che spesso si traduce, a livello pratico, nell’aggirare le regole o negare i diritti altrui), ma anche di aggredire chiunque faccia notare il diniego. Una negazione che, spiegano gli autori, si traduce a più livelli, dato che si nega la complessità e al tempo stesso si nega di averla negata, il che in termini prettamente logici porterebbe ad una affermazione. Il semplicismo ortodosso, in un tragico e grottesco contrappasso, il più delle volte finisce puer per complicare o aggravare il problema originario, quando non generare frustrazione a più livelli (ad esempio se si partiva da preconcetti o ipotesi semplicemente sbagliate, senza riconoscerlo).

    Il ricorso al semplcismo nasconde una forma di negazione della complessità del mondo che, lungi dall’essere di nicchia, è molto diffusa e radicata in parte di noi. Invece di affrontare le sfide intellettuali con serietà e approfondimento, si preferisce “sbrigarsi”, riducendo ogni argomento a qualcosa che, proprio per la sua superficialità, diventa più facile da digerire. Ma questa facilità è ingannevole. La spinta del semplicismo non è innocua e non andrebbe sottovalutata. Il rischio è che, a forza di semplificare, ci priviamo di ciò che conta.

  • Come hackerare la società

    Secondo l’esperto di sicurezza Bruce Schneier (autore del libro La mente dell’hacker), il genio riesce sempre ad hackerare il desiderio. Questa massima suggerisce che ogni sistema, per quanto apparentemente solido, nasconde falle che possono essere scoperte e sfruttate da menti ingegnose. Questo principio, nato nel contesto della cybersicurezza, si applica perfettamente alla fantapolitica sociale e all’accelerazionismo, due filoni del pensiero speculativo che esplorano il futuro del potere, della governance e delle strutture sociali.

    Hackerare il potere

    L’accelerazionismo è una corrente filosofica e politica che vede il progresso tecnologico ed economico come un motore inarrestabile, capace di sovvertire le strutture tradizionali della società. Gli accelerazionisti credono che l’unico modo per trasformare il mondo sia spingere al massimo le forze della modernità, fino a un punto di rottura. In questo contesto, “hackerare” il sistema significa trovare falle nei meccanismi del potere e sfruttarle per spingerlo oltre i suoi limiti.

    Esempi di queste strategie speculative includono:

    • Automazione e IA radicale: L’introduzione su larga scala dell’intelligenza artificiale per scardinare l’ordine lavorativo e politico.
    • Criptovalute e decentralizzazione: L’uso di blockchain per svincolare l’economia dal controllo delle istituzioni centralizzate.
    • Memetica e guerra dell’informazione: Strategie di comunicazione virale per influenzare la politica e la società a livello globale.

    Se da un lato queste idee promettono una liberazione dal giogo delle strutture di potere tradizionali, dall’altro pongono interrogativi inquietanti sulla loro sostenibilità e sulle possibili conseguenze negative.

    La fantapolitica sociale esplora scenari futuri in cui la governance viene radicalmente trasformata da nuove tecnologie, ideologie o eventi critici. Romanzi di fantascienza e speculative fiction hanno spesso anticipato sviluppi della società moderna con inquietante precisione. Alcuni degli scenari più discussi possono includere, ad esempio:

    • Governi algoritmici: Stati governati da IA imparziali che ottimizzano risorse e decisioni, eliminando il fattore umano e le sue debolezze.
    • Corporazioni sovrane: Multinazionali che superano gli stati nazionali per imporsi come nuove entità di governo.
    • Post-democrazia e realtà virtuale: L’erosione della politica tradizionale a favore di simulazioni immersive che offrono ai cittadini l’illusione della partecipazione.

    La domanda cruciale è: queste sono visioni di un futuro migliore, o nuovi modi di controllare la società in senso alienante e negativo? Se il futuro è un sistema da hackerare, chi avrà il potere di riscrivere le regole? Le figure emergenti del domani potrebbero essere gli hacker sociali, individui o gruppi capaci di manipolare sistemi economici, politici e tecnologici per indirizzare il cambiamento.

    In un mondo sempre più interconnesso e governato dall’informazione, la lotta per il controllo della realtà si sposta su nuovi fronti:

    • Manipolazione delle narrative: Fake news, deepfake e propaganda algoritmica come strumenti di dominio.
    • Hacking biologico e potenziamento umano: Tecnologie di editing genetico e biohacking per ridefinire i limiti della condizione umana.
    • Esodo digitale e nuove forme di cittadinanza: Popolazioni che abbandonano le nazioni tradizionali per costruire comunità virtuali autonome.

    La metafora dell’hacking applicata alla politica e alla società ci pone di fronte a un bivio: possiamo usare le crepe del sistema per costruire un mondo più giusto e libero, o ci limiteremo a sfruttarle per massimizzare il controllo e la disuguaglianza? Il futuro, come sempre, dipenderà dalle mani che riusciranno a decifrare il codice e riscriverlo secondo la loro visione.

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