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Cinema, arte, spettacolo e filosofia spicciola.

  • Corsi Gratuiti per il settore audiovisivo (Regione Lazio) – Tecnico del suono e Montatore cinematografico e audiovisivo

    Corsi Gratuiti per il settore audiovisivo (Regione Lazio) – Tecnico del suono e Montatore cinematografico e audiovisivo

    Riceviamo e pubblichiamo su segnalazione degli organizzatori.

    Con il progetto M.I.C.S.A. – Miglioramento e Innovazione delle Competenze per il Settore Audiovisivo il Centro Europeo di Studi Manageriali propone due iniziative gratuite, con lo scopo di accrescere le competenze degli operatori del settore, promuovere l’internazionalizzazione e l’innovazione del settore audiovisivo laziale. Il progetto prevede due percorsi formativi della durata di 160 ore e due seminari indirizzati a disoccupati residenti o domiciliati da più di 6 mesi nella Regione Lazio.

    I corsi sono finanziati dalla Regione Lazio e dall’Unione Europea POR-FSE 2014–2020. L’iniziativa ha lo scopo di promuovere l’innovazione del settore audiovisivo laziale accrescendo le competenze degli operatori del settore.

    Le attività si sviluppano nell’ambito delle iniziative finanziate dalla Regione Lazio e dall’Unione Europea POR- FSE 2014–2020 con le risorse della Sovvenzione Globale MOViE UP 2020, uno strumento di intervento attivato con l’obiettivo di formare e sviluppare le competenze degli operatori del settore audiovisivo. Nell’ambito del progetto M.I.C.S.A. sono previsti due percorsi formativi uno per “Tecnico del suono” e uno per “Montatore cinematografico e audiovisivo” e due seminari con testimonial e professionisti del settore.

    DURATA E CONTENUTI DEI CORSI

    Tecnico del suono – 160 ore

    Il tecnico del suono è una figura professionale che si occupa della gestione dell’audio in ogni tipologia di attività o evento che preveda l’utilizzo di microfoni, mixer, diffusori acustici, registratori ecc. Nell’ambito cinematografico e della produzione audiovisiva si occupa della gestione dei dialoghi, dei suoni di ambiente, dei rumori e di tutte le fonti audio in generale, nella fase di produzione e post-produzione.

    Argomenti del corso:

    • Principi base del settore audiovisivo
    • Principi di acustica, segnale audio e microfoni
    • Ripresa e registrazione, gli elementi strutturali e ambientali delle location
    • Soluzioni tecniche di ambientazione sonora
    • Post-produzione audio
    • Modulo di Lingua inglese, linguaggio tecnico di settore
    • Comunicazione e competenze relazionali nel contesto lavorativo

    Montatore cinematografico e audiovisivo – 160 ore

    Il Montatore cinematografico e audiovisivo è una figura che esegue le operazioni di montaggio delle fonti audiovisive, ordinando e connettendo le sequenze, scegliendo immagini e suoni idonei a garantire la continuità narrativa indicata nella sceneggiatura. Attraverso il montaggio elabora la versione finale del prodotto audiovisivo (film, documentario, filmato video-giornalistico videoclip, corto, promo…).

    Argomenti del corso:

    • Teoria e tecnica del linguaggio cinematografico
    • Basi del montaggio analogico e digitale
    • Composizione della struttura narrativa
    • Montaggio dei media in una sequenza
    • Maschere effetti e transizioni
    • Color correction e color grading
    • Modulo di Lingua inglese, linguaggio tecnico di settore
    • Comunicazione e competenze relazionali nel contesto lavorativo

    Requisiti di partecipazione: i corsi sono riservati a 30 disoccupati o inoccupati (15 per percorso) maggiorenni e residenti o domiciliati da almeno 6 mesi nella Regione Lazio in possesso del diploma di scuola media superiore. I partecipanti dovranno inoltre risultare iscritti ad un Centro per l’impiego. È preferibile possedere esperienze pregresse o uno spiccato interesse nel settore.

    Modalità di iscrizione al corso

    Per partecipare ai corsi gratuiti è necessario presentare la propria domanda di ammissione, redatta in carta semplice e con allegata la documentazione relativa al possesso dei requisiti richiesti.

    La domanda di ammissione al corso dovrà pervenire entro il termine improrogabile del giorno 10/03/2022 alle ore 16.00 mediante posta elettronica al seguente indirizzo:

    formazione@centroeuropeo.it

    oppure a mezzo posta ordinaria o raccomandata al seguente indirizzo:

    Centro Europeo di Studi Manageriali – Via Lavanga 97/99 – 04023 – Formia (LT)

    Bando e domanda di iscrizione sono disponibili al seguente link: centroeuropeo.it/corsi-gratuiti-settore-audiovisivo

    Durata: 160 ore formazione + 6 ore di seminario (per ogni percorso)

    Modalità: formazione a distanza, i corsi si terranno attraverso la piattaforma Cisco Webex.

    Al termine dei percorsi previo superamento dell’esame finale, verrà rilasciato un attestato di frequenza.

    Per informazioni è possibile contattare i seguenti recapiti:

    Tel. 0771-771676 – email: formazione@centroeuropeo.it – Ulteriori informazioni sono disponibili sui siti: www.centroeuropeo.it – www.movieup2020.it

  • Come progettare gli interni di casa: arredamento di lusso e design italiano

    L’arredamento di lusso è un settore in continua crescita, che anno dopo anno offre proposte in linea con le tendenze hot del momento. Abbiamo così la possibilità di creare ambienti residenziali piacevoli, esteticamente accattivanti, funzionali. Il design migliore è senza dubbio quello italiano. I prodotti Made in Italy al 100% infatti consentono di portare nelle nostre case il meglio del Bel Paese, un paese che sa vivere alla perfezione in bilico tra il glam e le tradizioni. Ecco alcuni utili consigli per progettare al meglio gli interni di casa con gli arredi glam e di lusso che il Made in Italy oggi offre.

    Il richiamo agli anni ‘50

    Il migliore arredamento di lusso del 2019 offre atmosfere vintage, che traggono ispirazione dagli anni ‘50. Sono atmosfere raffinate, chic e molto ricercate, la scelta ideale per tutti coloro che vogliono donare originalità alla loro abitazione.

    Gli arredi di lusso in stile vintage sono lussuosi e sofisticati, è vero, ma allo stesso tempo anche estremamente confortevoli. Perché una casa non deve mai essere solo ed esclusivamente bella, deve sempre essere funzionale ad ogni attività che lì si desidera portare avanti. Deve essere accogliente, ospitale, così che sia sempre possibile sentirsi a proprio agio e riuscire, tra quelle quattro mura, a ricaricare le energie al meglio alla fine di una lunga giornata.

    La semplicità prima di tutto

    Tutti gli arredi di lusso che è possibile scegliere per la propria casa hanno un sapore piuttosto minimal. La semplicità prima di tutto quindi, quella semplicità che è eleganza allo stato più puro e che simboleggia un stile sobrio che sa evocare benessere, che sa rendere ogni ambiente ancora più accogliente. Gli arredi sono semplici perché in possesso di linee pulite, geometriche, e di elementi che decorano ma sempre sottovoce, senza mai alzare in modo eccessivo i toni, per ambienti ultra rilassanti.

    Ovviamente però per poter garantire una semplicità eccellente ai propri ambienti residenziali è di fondamentale importanza anche il numero di mobili e complementi di arredo da inserire nella stanza. Mai lasciarsi andare agli eccessi! Ogni ambiente residenziale della propria casa deve essere lasciato libero di respirare e proprio per questo motivo lo spazio non deve essere invaso, ma solo riempito, una differenza questa fondamentale.

    Le produzioni artigianali italiane e le loro piccole imperfezioni

    Il design italiano più lussuoso non offre solo produzioni in serie, ma anzi punta il tutto per tutto sulle produzioni artigianali. Si tratta di mobili e complementi di arredo che quindi hanno sempre qualche piccola imperfezione, segni distintivi questi che rendono quel prodotto qualcosa di unico e capace, proprio per questo motivo, di dare un valore aggiunto all’ambiente circostante.

    Le migliori produzioni artigianali sono quelle in legno, meglio se grezzo, poco trattato, oppure anticato. Anche le versioni in ottone invecchiato sono però una validissima scelta, un oro sporco questo che ha un vago sapore vintage e che riesce a creare punti luce incredibili all’interno della stanza.

    Attenzione alla tappezzeria

    Per progettare degli interni di casa che possano dirsi lussuosi, glam e al passo coi tempi che corrono, consigliamo di curare con estrema attenzione la scelta della tappezzeria. I colori predominanti per questo 2019 sono quelli che traggono ispirazione dalla natura e anche le fantasie migliori sono quelle naturali. Si va in questo modo a donare all’ambiente quella tranquillità che solo gli spazi verdi sono in grado di offrire, che consente di provare serenità e di godere in modo piacevole della propria abitazione.

    Ogni singolo dettaglio deve essere lussuoso

    Quello che è importante ricordare, è che ogni singolo dettaglio che entra in gioco in una casa deve essere lussuoso e di design. Non si deve prestare attenzione quindi solo ed esclusivamente ai mobili e ai complementi di arredo.

    Chi ha in casa degli animali, deve scegliere accessori lussuosi e cucce di design da inserire all’interno dell’abitazione. Coloro che hanno un hobby particolare, come ad esempio la creazione di gioielli handmade, devono dare vita ad un angolo o ad uno studio dove sia possibile respirare design e raffinatezza. Solo in questo modo niente viene lasciato al caso!

    Arredamento di lusso anche per le camerette dei bambini

    Molti credono che gli arredi di lusso così come li abbiamo appena descritti siano adatti per la cucina, per il soggiorno, per la camera da letto matrimoniale, per il bagno, ma non per le camerette dei bambini. Come se le camerette dei più piccoli non meritassero un po’ di sano design!

    Sono oggi invece innumerevoli le proposte di design Made in Italy per i bambini, per trasformare le loro camere in ambienti lussuosi, ma allo stesso tempo adatti alla loro tenera età e ai loro giochi. Si tratta di una scelte eccellente, per creare armonia tra i vari ambienti di casa e per aiutare anche i bambini a capire quanto il design sia fondamentale per condire la propria quotidianità al meglio.

  • Guida pratica alle fantasie erotiche nel cinema: 9 film da non perdere

    Le fantasie sessuali sono il classico argomento “caldo” che viene rigorosamente banalizzato: da produzioni cinematografiche poco accorte, ad esempio, così come da dibattiti sterili e discussioni che più miopi non si potrebbe. È difficile o raro racconteremo le nostre, in effetti (salvo casi particolarmente gradevoli), e quasi sempre ripiegheremo sulla stantìa immagine dell’idraulico e della casalinga – e buonanotte a tutto il resto.

    Per ora ci concentriamo su dieci film da noi selezionati che raccontano, a loro modo, altrettanti tipi di fantasie erotiche.

    Nymph()maniac

    Il film di Lars Von Trier è un vero proprio saggio di fantasie erotiche, o di sessualità a 360° vissuto tra immaginario e reale. La storia di Joe, una donna affetta da ninfomania, che racconta la propria storia ad uno sconosciuto e ripercorre tutte le esperienze sessuali avute. Parliamo di fantasie che diventa realtà, in questo caso, che la donna sembra aver sperimentato in qualsiasi forma fin dalla più tenera età.

    Un excursus a tratti insostenibile perchè, di fatto, per Von Trier la sessualità viaggia a braccetto con la dimensione mortifera e abusante, rendendo il contesto più psichiatrico e nichilista di quanto il titolo stesso, ad una lettura superficiale, potrebbe suggerire.

    Al netto di una dimensione sessuale rappresentata senza gli orpelli e le vanità tipiche della pornografia classica, il film presenta una interminabile carrellata di pratiche sessuali, quasi sempre sonorizzate in presa diretta.

    Tra queste troviamo: essere penetrate in modo asettico e senza preliminari, fare sesso sottomissivo con un uomo potente, fare sesso nel bagno di un treno con uno sconosciuto, erotizzare un’insegnante, fare sesso con più uomini contemporaneamente, praticare sesso orale in modo forzoso.

    Recensione completa

    Histoire d’O

    Su eros e letteratura si dovrebbe scrivere a parte, e ce ne sarebbe abbastanza per la produzione di più di un saggio; questo film si basa su un romanzo del 1954 di Pauline Réage, alias Dominique Aury, una scrittrice francese che svelò di essere l’artefice della storia solo nel 1994. Quella di Jaeckin è una riduzione cinematografica con tutti i limiti del caso, ovviamente, ma che trovo emblematica come espressione di vari generi di fantasie erotiche.

    L’intera storia, strutturata come un dramma a tinte gotiche, è incentrata sul sado-masochismo, in particolare una fotografa di cui conosciamo solo l’iniziale, O.,  che viene iniziata ad una serie di perversioni masochiste (sculacciate e frustate, a cui la protagonista si sottopone consapevolmente) che culminano con le iniziali dell’amante marchiate letteralmente a fuoco sul deretano.

    È il mondo del bondage, fuori da ogni tabù, e forse difficilmente qualsiasi altra pellicola a tema (a cominciare dalle sovra-citate Cinquanta sfumature di grigio e annessi) sarebbe mai arrivata a questi livelli.

    A dangerous method

    In questa sede viene messo sullo schermo una delle fantasie considerate forse più inaccetabili in assoluto, ovvero una fugace relazione sessuale (peraltro sado-masochista) tra paziente e psichiatra.

    Il “un menage a trois intellettuale” (come è stato definito da Cronenberg stesso) riguarda Freud, Jung e Spirlein, ed è una storia che introduce la sessualità repressa in un contesto “parlante” – la terapia della parola diventa da mera valvola di sfogo e circostanza in cui escono fuori traumi inconsci a potente afrodisiaco e fonte di attrazione nel mondo reale difficile da eludere, come gli esperti di questo ambito sanno.

    Il focus del film rimane sostanzialmente annesso all’epistemologia, allo status attuale della psicoanalisi ed alla sua credibilità (dal consueto punto di vista materialistico del regista canadese), mentre la rappresentazione di una scena sadomaso tra la Spirlein e Jung, con tanto di sculacciate e conseguente orgasmo, rimane molto impressa nella memoria.

    Recensione completa del film

    Videodrome

    Per quanto sia un film incentrato sui mass media e sul loro potere condizionante (all’epoca della TV come mezzo di comunicazione di massa, quando ancora internet era usato probabilmente solo dai militari), introduce il cyber sex o sesso virtuale, a distanza, prima di qualsiasi altro film.

    In un contesto spesso onirico ed in bilico tra immaginario e realtà vediamo come uno schermo possa diventare oggetto del desiderio, senza che i corpi si tocchino tra loro ed esplicitando, al tempo stesso, il loro rispettivo toccarsi. La “Nuova Carne” in grado di interagire con la macchina e ampiamente teorizzata nel film passava, probabilmente, anche da qui.

    Recensione del film

    Cam

    Partendo indirettamente dai presupposti di Cronenberg in Videodrome questo film sembra chiedersi cosa succederebbe se le identità virtuali di un nickname in una videochat e quelle reali  della persona che si immedesima in un personaggio si sdoppiassero. La camgirl protagonista inscena di tutto, incluso un finto suicidio – snuff applauditissimo dai fan, e pone una sessualità nuova all’attenzione del pubblico, in cui ognuno finisce per fare da sè concedendo all’altro il “lusso” di mostrarsi.

    Recensione del film

    Malena

    La protagonista (Monica Bellucci) è oggetto di ripetute fantasie erotiche da parte di altri personaggi, trovandosi ad essere la donna più bella del paese di neanche trent’anno. Il tredicenne Renato Amoroso sviluppa una vera e propria ossessione nei suoi confronti, e per soddisfare le proprie fantasie arriva a  rubarle gli slip, usarli come feticcio e poi rimetterli a posto (ci sarebbe qualche parola da spendere sul fatto che venga scoperto dai genitori nel farlo, a partire dalla rottura del tabù). Non solo: Malena cede alla necessità (che poi è anche una fantasia comune) di concedersi ad uomini potenti, mentre Renato la immagina nelle vesti più diverse mentre continua a masturbarsi pensando a lei (Jane di Tarzan, Cleopatra, la fidanzata di un gangster, una pin-up e addirittura la Madonna).

    Eyes Wide Shut

    Le fantasie erotiche in questo ultimo lavoro di Stanley Kubrick sono quasi tutte di parola, nel senso che vengono raccontate – anzitutto – dai personaggi e poi provate a concretizzare. Ed è proprio la confessione in sè a dare il via all’intreccio, culminando in una forte gelosia – che potrebbe ricollegarsi, almeno in parte, all’immaginario di Possession.

    Gli “occhi ben chiusi” del titolo sono quasi certamenti quelli della sessualità repressa: dopo aver fumato marijuana (e presumibilmente prima di consumare un rapporto) Alice (Nicole Kidman) racconta al marito Bill (Tom Cruise, che poco prima aveva riaffermato la propria fedeltà) una fantasia sessuale che aveva avuto: essere posseduta da un giovane ufficiale di marina, per poi abbandonarlo e fuggire con lui. La fantasia di per sè può sembrare stantìa, ma il sesso basato su rapporti di potere e coercizione anche sottintesa è, secondo ad esempio lo psicologo Michael Bader, estremamente comune come fantasia erotica tra le donne.

    Blue velvet

    Velluto blu di David Lynch è un film intricato e complicatissimo, in cui la sessualità rappresenta solo una delle molteplici dimensioni che caratterizzano l’opera. In questo caso la fantasia sessuale dominante è quella di Frank, un personaggio spregevole che inala un gas prima di dedicarsi a pratiche voyeur – ovvero obbligare la co-protagonista, Dorothy, ad assumere diverse pose, manipolandone la volontà. Il velluto blu del titolo è il tratto distintivo del feroce criminale che ne fa uso per imbavagliare o soffocare le vittime dei suoi soprusi, strappandolo dal vestito della cantante.

    Crash

    Anticipando la tendenza polimorfa della sessualità moderna, in cui molti precedenti limiti sono sfumati o aboliti, Crash è una perla considerevole in fatto di fantasie sessuali: quelle descritte minuziosamente dall’omonimo romanzo di Ballard, nello specifico, e che – per certi versi – già in forma scritta evocano immagini erotiche tratte dallo studio di uno psicoanalista.

    L’oggetto del feticismo è legato sia alla diffusione di foto snuff di autentici incidenti (che sono usati, assieme ai video degli stessi, come fossero pornografia), sia all’uso dell’automobile in sè, in particolare nella forma di eccitazione dovuta allo sfiorare la morte. Un gioco pericoloso, ovviamente, quello della sessualità annessa ad eventuali incidenti stradali, che venne demonizzata da buona parte della critica (curiosamente in modo asettico e aprioristico, che erano le modalità con cui il film sembra “naturale”).

    Approfondimento: il sesso è ancora tabù (?)

    Se ancora oggi, di fatto, stiamo a discutere sull’effettiva presenza di desiderio sessuale nelle donne o  sulla contemporaneità dell’orgasmo come espressione del feeling di coppia (entrambi da annoverare nei falsi miti sulla sessualità), è chiaro che non sarà banale affrontare l’argomento. Mentre predisponevo il materiale per questo micro-saggio che ho voluto pubblicare nel blog, riguardavo vecchi e nuovi film e leggendo un po’ di libri a tema; ad un certo punto mi ha colpito come possa essere difficile raccontare una qualsiasi fantasia erotica senza banalizzarla.

    È un problema enorme, a ben vedere, per un articolo che si prefigge di raccontare le 9 migliori fantasie erotiche mai viste al cinema, e merita una breve digressione per inquadrare meglio il discorso. La soggettività della scelta, ovviamente, fa parte della definizione stessa di fantasia – e della difficoltà nel far “matchare” i gusti propri con quelli di altri partner, in molti casi.

    Raccontare una fantasia erotica rischia quasi sempre di svilirla

    Sembra quasi che il solo metterla per iscritto ne possa ridurre l’impatto, rischiando di renderla una scena da fumetto di serie Z mentre, di contro, un eccessivo livello di dettaglio la faceva diventare volgare e auto-indulgente. Ho trovato questo tabù inconscio quantomeno curioso da approfondire, oltre che necessario da premettere ad una trattazione del genere.

    Tra eros e comico, un velo di Maya da non svelare

    Riassumo brevemente le mie considerazioni in poche altre righe; in primo luogo, mi pare che nel raccontare fantasie erotiche a qualsiasi livello succeda la stessa cosa che avviene quando si prova a spiegare una battuta comica. La battuta X, infatti, fa ridere solo se ascoltata in diretta, meglio ancora se è la prima volta che la sentiamo e se ci sono altri a goderne con noi. Per una fantasia erotica Y avviene quasi lo stesso: funziona sentirla in diretta e contestualizzata, molto meno se un amico ce la racconta in un contesto avulso. Vale anche la pena di evocare il motto attribuito a Woody Allen: il sesso è stata la cosa più divertente che ho fatto senza ridere. Nel descrivere le scene sarò molto auto-indulgente, e naturalmente invito anche voi a fare lo stesso.

    Se viviamo in una società edonista, i tabù provengono tutti dall’inconscio

    In secondo luogo mi viene in mente la distinzione lacaniana tra Immaginario, Simbolico e Reale: a ben vedere una fantasia vive essenzialmente nella dimensione immaginaria, possiede significati che possono attingere al simbolico ed è tanto “migliore” per quanto provi ad essere ancorata al mondo reale (e vale la pena di appuntare che la concretizzazione di fantasie erotiche finisce spesso per essere deludente nella realtà).

    Lacan stesso, come spiegato dallo splendido saggio di Zizek uscito qualche anno fa, aveva intelligentemente evocato una situazione sociale invertita: siamo infatti passati da una società è portatrice di divieti e l’inconscio di pulsioni sregolate, ribaltata nell’assunto che sia la società a essere edonista e sregolata, mentre è l’inconscio che regola. Di fatto, quindi, le pulsioni erotiche fantasiose sono legate alla realtà come all’inconscio di ognuno di noi, molto spesso con una logica invertita.

    Le fantasie erotiche leniscono i sensi di colpa

    Il saggio di Michael Bader Eccitazione (Raffaello Cortina Editore, 2002) può aiutare a portare avanti il discorso, a questo punto: in esso l’autore (psicologo e psicoanalista di Los Angeles) elenca e dettaglia varie fantasie erotiche di ex pazienti, identificandone le cause più comuni: molte di esse sono un sostanziale antidoto ai sensi di colpa più diffusi, incluse le fantasie di stupro, il voyeurismo, il feticismo e le fantasie attive e passive. La descrizione di queste fantasie è puntuale, all’interno del libro (ovviamente tutte anonime e senza attribuzioni specifiche), e fanno impressione per la loro vividezza, alla quale ho provato nel mio piccolo ad ispirarmi.

    Bader, di fatto, sembra sostenere che non esistano fantasie sessuali propriamente turpi o da biasimare di per sè (cosa diversa e distinta da quello che si fa nella realtà, ovviamente).

    Di fatto, in molti paziente Bader ha anche identificato un curioso capovolgimento di fronte: gli uomini e le donne più aggressive sul lavoro o con i figli cedevano più facilmente a fantasie masochiste o passive, così come i più solitari e frustrati sessualmente sognavano segretamente relazioni con mistress e padroni per provare a deresponsabilizzarsi. Si arriva ad una conclusione interessante, clamorosa e fonte di ulteriori spunti: se un uomo ammette di avere pure fantasie su una lolita, ad esempio, non dovrebbe essere accusato automaticamente di pedofilia – per lo stesso motivo per cui non si dovrebbe biasimare di incoerenza una femminista militante che abbia fantasie di sottomissione ad un uomo potente.

    Sesso “spietato”

    Vale la pena di evocare, a questo punto, il concetto di spietatezza sessuale introdotto nel libro, la quale – nonostante il nome inquietante – smentisce l’idea dell’eccessivo altruismo dei singoli, di una tenerezza generica che spesso fa da schermo a tabù e credenze patogene di vario genere – il tutto in nome di un “calcolo” personalistico del piacere proprio, prima che di quello altrui, al fine di recuperare una sessualità completa ed armoniosa per entrambi i partner.

    Di fatto, nella società moderna questi concetti tendono ad essere relegati a misconosciuti libri di psicologia, e caratterizzano una sorta di velo di Maya che è considerato quantomeno inopportuno e spiazzante svelare da parte della società.

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  • La furia iconoclasta del politicamente corretto (anche nel cinema)

    Ormai tutti parlano di politicamente corretto, si tratta di argomenti che finiscono spesso su Google Trends e ciò avviene in circostanze quantomeno bizzarre, a mio modo di vedere. Da faro guida della sinistra storica, infatti, l’evocazione del politicamente corretto è finita per mutare geneticamente, tanto da diventare mero argomento di polemiche sterili (prevalentemente da social, e quasi al pari di cose tipo “dittatura sanitaria“), che portano la discussione tipicamente “da nessuna parte” e, in qualche modo, se ne vantano pure.

    Alla base della difesa del politicamente corretto, in molti casi, vi è spesso un atteggiamento iconoclasta, di anelata distruzione di ciò in cui una società moderna non potrebbe più sopportare, e questo naturalmente si è tradotto in più casi nel chiedere il ban di film politicamente come niente-popo-dimeno-che… Grease. Grease! Avessero detto Wes Craven avrei forse capito di più, spero che nessuno dica mai una cosa del genere e vale la pena, a questo punto, indagare sulla questione in modo approfondito. Per quale motivo la difesa del politicamente corretto deve per forza di cosa passare per la distruzione di qualcosa, nello specifico di un qualsiasi film che ha come unica colpa il voler porre una questione in modo non convenzionale?

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    Cinema e “correttezza”: un binomio difficile da sempre

    Ed è chiaro che in questo contesto il cinema non poteva esimersi da quella medesima furia distruttrice, che – intendiamoci da subito – a volte è addirittura sana, ripensando ad esempio a Nietzsche ed al suo pluri-citato Chi deve essere un creatore non fa che distruggere. Si può distruggere per ricostruire, insomma, ed è anche normale che certe simbologie e modi di pensare cedano il passo ai tempi che corrono.

    Il problema, tuttavia, è che dietro la furia iconoclasta del XXI secolo, quella che ha chiesto la censura a vita di Morituris o (per citare un esempio più popolare) ha fatto abbattere la statua di Colombo ed imbrattare quella di Montanelli, non è perfettamente chiaro cosa ci sia dietro a livello di implicazioni. Non sono così sicuro, insomma, che sia un distruggere per ricostruire, ma che piuttosto sia una distruggere per “poi si vedrà“, o peggio ancora “non ci poniamo neanche il problema del poi“.

    Politicamente corretto è in genere un atteggiamento legato, per definizione, ad una condotta o comportamento improntato al pieno rispetto dell’identità politica, etnica, religiosa, sessuale, sociale, ecc. di altri soggetti. Di per sè, in effetti, per una persona che si ispiri a valori politici progressisti dovrebbe essere sostanzialmente normale, ma soprattutto non può nè dovrebbe diventare un manganello da ostentare e usare a sproposito contro chi non la pensa come noi.

    Che cos’è davvero il politicamente corretto

    Di per sè sarebbe un concetto sacro ed inviolabile per chiunque, a meno che uno non sia di idee particolarmente radicali. Di fatto, è un qualcosa che finisce paradossalmente per farsi odiare da chiunque o quasi, anzi è spesso un parafulmine contro il quale prendersela a morte nelle discussioni più spinose, perchè questi buonismi, signora mia, ci hanno stufato davvero, visto che siamo brave persone che pagano le tasse (oddio, quasi sempre).

    Ormai non abbiamo idea di cosa sia il politicamente corretto, ad oggi, ma siamo anche dell’idea di doverlo difendere ma (arrivo al punto che mi sta a cuore), al tempo stesso, non può nè deve ridursi ad una questione di mero principio lava-coscienza, come purtroppo è diventato per alcuni.

    Il cinema, la censura e il politically correct

    Sul discorso generale sul politically correct, senza imbrigliarci in discorsi che rischierebbero di consumarsi su se stessi senza dire nulla – questo coerentemente coi tempi di post-verità che viviamo, nostro malgrado, per i quali ognuno ha la propria verità e se osi mettere in discussione quella altrui sei comunque un povero scemo – lo stesso concetto paritario alla sua base ha finito per assumere spesso una valenza differente da qualche tempo fa: è sempre stato un mantra intoccabile, il politicamente corretto, e guai a chi osava violarlo. Ad oggi ha finito per essere banalizzato con concetti tipo “buonismo”, che poi è una versione da bambini educati di certi immarcescibili modi di dire sull’amore per l’analità o sui culi propri ed altrui.

    Il cinema, ad esempio, ha violato il politicamente corretto il più occasioni, spesso con intenzioni differenti da quelle che gli venivano attribuite dalla critica: coinvolgendo non solo cineasti effettivamente ambigui (e ce ne sono tanti, anche se poi è difficile anche citarli: non sia mai che lamentino la mancanza di politicamente corretto da parte nostra…) ma anche altri intelligentemente provocatori, forse a volte un po’ troppo esoterici e (quasi sempre, direi) obiettivamente innocenti. Certe letture della critica sono sempre state un po’ naive, un po’ superficiali o agghiaccianti: se un cineasta mostra violenza, per intenderci, per certe critica è automaticamente a favore della violenza – e per favore non ditelo a Kubrick, Carpenter, Romero, Cronenberg e compagnia.

    La lotta sterile per politically correct

    C’è una lotta lecita per il politicamente corretto, ma in questa fase non la metteremo in discussione: vorrei focalizzarmi su quella di facciata, che di per sè sarebbe anche roba di poco conto se non fosse che, in molti casi, arriva ad evocare la censura delle opere “sgradite”, il che a mio modo di vedere è semplicemente grottesco.

    Penso ad esempio a La città delle donne di Fellini, boicottato dalle stesse femministe che avevano partecipato al lavoro, che rimane un film di cui, se oggi si accorgessero nuovamente della sua esistenza, sarebbe un delirio di polemiche e, anche lì, osanna della censura sulla falsariga di “quando c’era lui” (“lui” ovviamente è un censore qualsiasi, ed è in parte incredibile come molta gente dal pensiero progressista evochi la censura in queste circostanze). Penso a Film d’amore e d’anarchia, un film che mette in discussione il martirio a scopo politico e che, non mi meraviglierebbe per l’epoca, potrebbe essere teoricamente tacciato di conservatorismo o di non fare gli interessi da ‘a sinistra che tutti amano ma poi, almeno in Italia, nessuno vota. Si veda anche Il maestro e margherita, altro film epocale sull’iconoclastia ed il conformismo anche dove non ce lo aspetteremmo, che è stato effettivamente accusato di scarso politically correct.

    Non sottovalutiamo la catarsi

    Il punto è che se da un lato certi tabù non possono essere violati come se nulla fosse, ed in questo ci guardiamo bene dall’assecondare certo pubblico snobistico e/o egoista, il quale accetta di vedere sullo schermo qualsiasi cosa per il gusto dell’estrema fiction (esempio classico: amanti di film snuff o presunti tali), resta anche vero che è una questione di linguaggio: se certi film non avessero violato certi tabù non avremmo forse neanche assistito – voglio essere ottimista per una volta – all’evoluzione della società come la conosciamo oggi.

    Aver visto certi film anche “sgradevoli”, di fatto, se da un lato ha suscitato reazioni scomposte ad esempio in nome della possibilità di emulazione da parte dei “gggiovani“, ha fatto anche in modo di ottenere un effetto catartico su tante altre persone, tant’è che nessuno cita mai la catarsi a proposito di certo cinema e anzi, sembra quasi che la parola sia stata dimenticata dai più.

    Iconoclasta: Critico, spregiudicato e irriverente, di principi e credenze comuni; spinto o motivato da un’indiscriminata polemica distruttiva.

    Catarsi (intesa come redenzione o purificazione) che ha un molteplice significato: nell’antica Grecia era considerato un vero e proprio rito magico di purificazione dell’anima, inteso a mondare il corpo e l’anima da ogni contaminazione. Nella psicologia corrisponde ad un processo di sostanziale liberazione da esperienze drammatiche o conflittuali, derivanti dall’individuazione delle autentiche responsabilità e conseguente rimozione del senso di colpa. Della serie: andare oltre il senso di colpa che attanaglia il genere umano, di lovecraftiana memoria, e seguire un po’ il processo di accettazione e rinascita dello sceriffo Ed Tom Bell in Non è un paese per vecchi. La sensazione generale è che nei discorsi legati al politicamente corretto si tenda a difendere il “fortino” a prescindere, e (quantomeno in relazione ad opere audio-visive) la catarsi la gente non sappia nemmeno cosa diavolo sia (e non voglia neanche saperlo).

    Politicamente corretto e cinema anni 70

    Sono stati giusto gli anni 70 a produrre un gran numero di film politically uncorrect, in effetti, e vale la pena soffermarsi su qualche esempio a riguardo.

    Gran parte del poliziottesco anni ’70, ad esempio, era accusato di conservatorismo, se non addirittura di fascismo: contestualizzando all’epoca dei figli dei fiori e delle comuni peace & love, forse, c’era da aspettarsi che piacessero più film modello Il serpente di fuoco che non Milano odia. Ma quelle critiche al genere risultano francamente esagerate, lette oggi, anche perchè la realtà ci ha insegnato cosa significa davvero virare verso lidi di repressione e conservatorismo (si vedano le mattanze del G8 nel 2001, o certa gestione semplicistica e sbrigativa delle vicende di ordine pubblico legate al Covid-19), tutte cose che nemmeno il regista più reazionario e amante del sadismo avrebbe mai immaginato.

    Senza dimenticare che poi, di fatto, tutto quel cinema poliziottesco faceva riferimento a situazioni rigorosamente romanzate, che si ispiravano al cinema d’azione USA (che certo non era proprio di sinistra) e che facevano sensazione soprattutto perchè erano vicine a noi, e non c’era alcun Clint Eastwood o nessun Jack, fuck o go-go-go che ne denotassero chiaramente la fiction. In due parole: quei film facevano paura, continuano a farne tuttora ed è forse da questo che derivavano gran parte delle accuse. Su questo non c’è considerazione consolatoria che possa reggere in alcun modo evocarne la censura, che è un modo sbrigativo (anche qui) per le autorità per risolvere questioni spinose, come la realtà di certi stati ci ha insegnato.

    Non si sevizia un politicamente corretto

    Avrei potuto citare molti, moltissimi film ed analizzarne le scene cardine accusate di “scarso politicamente corretto”: ne sarebbe venuto fuori un ebook, a quel punto, per cui ho preferito concentrarmi su quella della “maciara” pestata dai paesani in Non si sevizia un paperino di Lucio Fulci. Di per sè la scena è tremenda, impressionante e profondamente orrorifica: Florinda Bolkan interpreta la maga-veggente del paese, usata come capro espiatorio per via della misteriosa scomparsa di alcuni bambini (per i quali si adombra la possibilità di un serial killer pedofilo). Da un certo punto di vista si potrebbe obiettare l’esistenza di una rappresentazione realistica di una violenza di gruppo su una donna, cosa che peraltro certe cronache ci hanno purtroppo raccontato.

    Ma qui il punto è duplice, e – anche se dovrebbe essere scontato – vale la pena ricordarlo per punti:

    1. giudicare dalla singola scena senza aver visto il film è una cattiva idea in genere, perchè ci priva del contesto. Il contesto è fondamentale, e per inquadrare bene il discorso pensiamo ad un episodio deprecabile in un telegiornale, ad esempio: un conto è vederlo in un TG commentato da un giornalista, decisamente un altro è trovare il filmato in un sito underground senza commento e con l’audio in presa diretta.
    2. non è difficile identificare i paesani picchiatori come l’elemento malvagio della storia, visto che sono quasi sempre sospettosi e a caccia di un colpevole senza processo; in una parola, è il populismo di provincia il “cattivo” della vicenda, ed è questo che apre a notevoli letture sulla falsariga, ad esempio, di Cane di paglia;
    3. l’abuso di politicamente corretto è “perdonabile”, anche secondo i canoni oltranzisti dell’iconoclastia classica, proprio perchè il messaggio di fondo si fonda sul punto precedente;
    4. il fatto che Fulci abbia costruito la sequenza in questi termini deve essere contestualizzato alla storia ed alle sensazioni catartiche, per l’appunto, che vuole suscitare nel pubblico (esempio: pensare a quanto sia tremenda la violenza, soprattutto se rappresentata in modo realistico come avviene qui);
    5. la presenza di Quei giorni assieme a te della Vanoni costruire un chiaro-scuro in cui la violenza delle immagini finisce per da contraltare alla dolcezza della musica e delle parole (tanto più che la canzone parla di un’amante abbandonata per via dell’egoismo del partner: cosa che vediamo anche nel film, quando la donna chiede aiuto e le macchine, pur vedendola, passano oltre nell’indifferenzac)
    6. il fatto che un film mostri una cosa del genere non vuol dire certamente, a questo punto, che inneggi ad una situazione del genere, perchè altrimenti varrebbe anche per i telegiornali che mostrano sequenze al limite dello snuff – all’ora di pranzo, peraltro.

     

    Bisogna anche ricordare che in molti casi le polemiche sul sessismo, ad esempio, nascono da contesti abbastanza anomali, quasi costruiti a tavolino: la polemica su Grease di qualche tempo fa, ad esempio, nasceva letteralmente da un tweet di uno/una sconosciuto/a che ha fatto “diventare notizia”, se ricordo bene, il Daily Mirror. La realtà delle testate web nell’era della post verità è questa: bisogna scrivere, sempre e comunque, e lo faremo, anche a costo di inventare notizie di sana pianta. Ricordiamocelo, la prossima volta che esce fuori una notizia del genere, magari. Il problema del sessismo ovviamente c’è, ma portarlo avanti per via di un singolo film – evocandone la distruzione o la censura – è, di fatto, un modo molto scadente per affrontare il problema (e serve, peraltro, solo ad ingrassare le casse dei siti che su queste notizie ci campano, in qualche modo).

    E se vale il discorso che abbiamo appena affrontato, a questo punto, possiamo abolire il senso di colpa e l’evocazione della distruzione dell’opera anche per la pluri-citata scena di Amore mio, aiutami di Alberto Sordi, anche qui oggetto di polemiche sempre sulla stessa instancabile falsariga.

  • Qual è la differenza tra il caffè di casa e l’espresso del bar

    L’italiano per antonomasia, soprattutto del Sud, ama il caffè. A qualunque ora del giorno una buona tazza fumante di “bevanda stimolante” come la chiamano gli arabi, rimette in sesto chiunque ne abbia bisogno.

    Il caffè piace quasi a tutti, ma oltre ad essere una semplice bevanda è anche uno status, in modo di vivere.

    Essendo parte integrante della nostra cultura, bisogna saperlo preparare e saperlo gustare.

    Per questo motivo ci sono molti pareri contrastanti tra loro, per i quali il caffè di casa è più buono dell’espresso del bar e viceversa.

    Ma davvero oggettivamente si può scegliere tra i due quale sia più buono?

    Ecco qual è la differenza tra caffè ed espresso.

    Le differenze tra caffè casalingo e caffè da bar: gusto e consistenza

    La prima cosa che vogliamo sottolineare è che non esiste un caffè più buono dell’altro e viceversa.

    La moka, se fatta come si deve e usando miscela di qualità può avere un gusto unico e inconfondibile. Così come il caffè espresso ha il suo aroma e la sua bontà.

    La differenza sostanziale concerne il modo di prepararlo e la consistenza del caffè stesso. Se farlo a casa, per quanto ristretto possa essere, vuol dire bere una tazzina più leggera, prenderlo al bar vuol dire prediligere un caffè più denso e cremoso.

    Da ciò ne consegue l’importanza della componente personale e soggettiva in merito al caffè che si preferisce.

    Se una persona preferisce il sapore della moka, un’altra predilige la forza dell’espresso da bar, ma nessuno può dire quale sia più buono in assoluto.

    La preparazione differente

    Sempre in termini di differenza, la preparazione gioca molto sul sapore finale.

    Il caffè da moka che si fa in casa richiede molta attenzione sulla quantità e qualità di acqua, sull’intensità della fiamma, sul tipo di miscela e su quanta polvere si versa nel filtro.

    Di contro quello il caffè del bar è preparato utilizzando delle macchinette apposite, che effettuano tutto il procedimento di preparazione in autonomia, e che rilasciano poi una bevanda più strong rispetto a quella che fornisce la macchinetta da fuoco che usiamo a casa.

    Ma andiamo a vedere più nel dettaglio come si preparano.

    Come si fa il caffè in casa e come è fatto al bar?

    Come detto poco fa, una delle principali differenze tra caffè ed espresso risiede nel modo in cui si prepara la bevanda. Essendo processi differenti, danno dunque un sapore che non si equivale all’altro.

    Come si prepara il caffè in moka? La struttura della macchinetta casalinga la conosciamo: nella caldaia sottostante si versa l’acqua, in cui si immerge l’imbuto un filtro ad imbuto dove si mette in posa la polvere di caffè.

    Grazie al calore della fiamma, e alla pressione vaporosa che fuoriesce, l’acqua si mescola alla miscela che a sua volta si disperde, diluendosi, dando vita alla bevanda che tutti amiamo.

    La macchinetta espresso del bar ha un funzionamento diverso. Per quanto i passaggi possano essere simili, si usa una tecnica diversa.

    Qui il caffè si ottiene facendo passare per circa 30 secondi un getto d’acqua calda sotto pressione attraverso uno strato di caffè macinato e pressato. Onde evitare che la polvere di caffè finiscano nella tazza, la miscela viene protetta da un filtro di carta.

    Questo processo e la pressione esercitata dalla macchina fanno si che l’espresso sia decisamente più corposo e aromatizzato.

    La temperatura dell’acqua

    A fare ulteriore differenza è poi la temperatura dell’acqua e in particolare la pressione con la quale questa passa attraverso il filtro ed il caffè.

    Questo processo con la macchina da bar avviene in modo diverso e il caffè risulta più forte.

    Possiamo dire quindi che la netta differenza è proprio questa: il caffè espresso più corposo ed più denso perché la preparazione non avviene con lo stesso meccanismo della moka. Usando stessa acqua e stessa miscela in moka e macchina da bar, verranno fuori inevitabilmente due caffè diversi.

    Inoltre, gioca un ruolo importante anche la quantità di polvere che si mette nel filtro. Senza contare che per quanto piccola, la differenza potrebbe essere anche sull’acqua usata.

    Talvolta quella dei locali pubblici è protetta da un filtro quindi con meno calcare, ma anche in casa si fa uso di filtri per evitare anche solo un piccolo sapore del più famoso dei sali minerali.

    Caffè, buono in ogni caso

    Qualcuno dice che la differenza tra i due caffè risiede nel fatto che l’espresso da bar sia più carico di caffeina, ma non è così. A fare la differenza nel sapore è la qualità di caffè utilizzata mista alla sua preparazione.

    Ciò non toglie che tutto dipende da ciò che il proprio palato preferisce. C’è chi ama il caffè da moka, chi invece ama quello del bar, chi invece beve entrambi e li predilige in esequie.

    E forse la vera differenza è la cura dei dettagli, primo fra tutti la scelta della miscela. Quest’ultima deve essere eccellente, profumata così da dare il sapore e la consistenza giusti alla bevanda.

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