Recensioni

Raccolta di opere che qualcuno deve aver visto in TV, al cinema o in DVD. Trattiamo soprattutto classici, horror, thriller e cinema di genere 70/80. E non solo. Contiene Easter Egg.

  • Il maestro e margherita: il classico di Bulgakov riletto da Aleksandar Petrović

    Il maestro e margherita: il classico di Bulgakov riletto da Aleksandar Petrović

    Uno scrittore sta lavorando a un’opera teatrale di ispirazione biblica su Ponzio Pilato; nel frattempo Woland (alter ego di Satana in persona) e due oscuri figuri sembrano interessarsi all’opera.

    In breve. La trasposizione è semplificata rispetto al romanzo, ma nel complesso regge e dovrebbe (al netto delle consuete – quanto irrealistiche – manìe traspositive) onorare la memoria dell’opera da cui è tratto. Memorabile anche per l’atipica e fondante interpretazione drammatica di Ugo Tognazzi.

    Bisogna guardare un film direttamente. il cinema non è l’arte degli accademici, ma degli illetterati“: a formulare il pensiero appena riportato è stato Werner Herzog in persona – la citazione è tratta dal libro-intervista Incontri alla fine del mondo, Edizioni Minimum Faxconsiderato uno dei principali portavoce del cinema colto e impegnato, esponente della corrente del nuovo cinema tedesco e (potremmo aggiungere, a corredo) intellettuale controcorrente.

    Ho visto questo film mentre finivo di leggere il mattoncino appena citato, e non ho potuto fare a meno di collegare le due linee narrative. La visione de Il maestro e margherita andrebbe effettuata, infatti, dopo aver ribadito quella frase un paio di volte, imparandola a memoria e rifiutando per questo motivo qualunque parallelismo letterario-filmico che rischierebbe, di fatto, di essere fuorviante. Se è vero quello che ha affermato Herzog, infatti, possiamo concederci questa edizione de Il maestro e margherita addirittura (!) senza aver mai letto il romanzo. Senza pensare nulla altro di atipico, lo faremmo giusto per attribuirci un grado di libertà che non è così scontato concederci.

    Lo faremmo, in effetti, anche solo al fine di evitare di farci travolgere dalla barbosa questione della “propedeuticità” del romanzo – vedi il putiferio scatenato dalla versione filmica de Il signore degli anelli, ad esempio – e la consumata dicerìa secondo cui “il film è sempre inferiore al libro da cui è tratto“. Se istintivamente tendo a dare ragione a questa affermazione, infatti, ho comunque ritenuto che le due forme espressive cinema/letteratura siano, in fondo, del tutto scorrelate, sostanzialmente imparagonabili tra loro, e basterebbe citare anche solo Arancia meccanica per convincersene: entrambi pregevoli, sia nella forma di Burgess che in quella di Kubrick. E che a nessuno venga in mente di citare Shining, a questo punto, perchè questo discorso di indipendenza vale addirittura in quel caso (sono due opere diverse, tanto che le schermaglie tra scrittore e regista in merito, viste oggi, sono superate e forse più egotiste che altro).

    Tutto questo spiegone senza aver ancora citato nulla del film? (Purtroppo) sì, è necessario perchè l’opera è complessa, non quanto il romanzo ma quasi, e merita un approccio da parte dello spettatore che non sia nè saccente nè tantomenoe superficiale: la teatralità marcata dell’opera potrebbe, ad oggi, essere meno compresa di quanto non fosse per il 1972, periodo in cui lo sperimentalismo era quasi la norma o la necessità. La regia di Petrović è di natura sperimentale ma non tanto da disorientare lo spettatore, e riesce ad essere avulsa dallo stile lisergico di (forse) troppe opere del periodo. Quando ho scritto che questo film onora il romanzo, in effetti, ritengo che lo faccia non perchè ricostruisca i passi della storia originale in modo fedele (cosa che sarebbe stata alquanto improbabile in ogni caso), quanto perchè evidenzia in pochi tratti il mood letterario che ha reso famoso Il maestro e margherita.

    Poche, scaltre pennellate bastano al regista per delineare il tutto: la raffigurazione dell’artista appassionato e destinato alla miseria, l’atteggiamento ottuso dei burocrati censori, la figura satanica che si pone come autentico sovversore dell’ordine costituito, che Petrovic sembra esprimere contrapponendo il satanismo e la sua anarcoide libertà ad un mondo piatto, ateo quanto conformistico, feroce contro i dissidenti e burocratizzato in modo grottesco. E lo vediamo chiaramente nella scena raffigurata anche nella locandina, quella del pubblico a cui Woland fa scomparire i vestiti, sequenza che si presta peraltro a più di una interpretazione simbolica (se  il pubblico siamo noi, per intenderci, siamo “nudi” di fronte al fascino della trasgressione, per quanto l’ateismo potesse sembrare almeno inizialmente la “vera” libertà).

    Il sovvertimento culturale di Petrović è sostanziale, in parte forse sottovalutato da parte della critica e merita un elogio anche solo per questo, sulla falsariga della sua appartenenza alla celebre Onda Nera – nome inquietante dietro il quale si firmavano vari cineasti “semplicemente” critici verso il regime sovietico. La sua riduzione è del 1972, ed è opportuno chiamarla “riduzione” perchè assume un approccio inesorabilmente riduzionista (quanto efficace, a mio avviso) rispetto alla pluri-citata complessità del romanzo originale, in grado di far comunque evolvere due trame in parallelo senza perdersi in virtuosismi letterari che, se da una parte lo hanno reso una delle opere più celebri della letteratura russa, sarebbe state improbabili sullo schermo. Parte dell’impianto scenico di base viene comunque mantenuto, e si vede che lo script è molto lavorato quanto, in alcuni casi, forse troppo da b-movie (le sequenze delle decapitazioni, ad esempio, danno l’idea di una lavorazione sbrigativa, per così dire). Stando a IMDB, per la cronaca, si sono occupati di soggetto e sceneggiatura il regista in persona, Barbara Alberti, Amedeo Pagani e Romain Weingarten.

    Del resto questo approccio critico non dovrebbe scandalizzare gli appassionati o “puristi” dell’opera letteraria, perchè non è questo il punto; come abbiamo ribadito, dovremmo accettare che Bisogna guardare un film direttamente. il cinema non è l’arte degli accademici, ma degli illetterati. In fondo siamo quasi tutti tentati, credo, a credere a quelle parole, e proprio perchè a dirlo è Werner Herzog, un cineasta impegnato e impegnativo par excellence che in quel passaggio è quasi toccante per la sua semplicità e umiltà. E proprio perchè non è Peter Jackson o Nando Cicero (tanto per citare due estremi opposti) a pensarla così, ci sentiamo un po’ più legittimati a recensire l’opera rigettando a priori di proporre inquietanti paragoni col romanzo, anche in nome della scarsa filmabilità di default che si attribuisce spesso, ad esempio, ad H. P. Lovecraft. Se infatti lo scrittore di Providence è considerato da decenni molto difficile da rappresentare sullo schermo, Bulgakov probabilmente rasenta l’impossibilità e, di fatto, costringe a spostare il focus sulla regia e (non troppo) sullo script.

    Ci sono due elementi fondanti questa riduzione filmica del romanzo di Bulgakov, che chiameremo “riduzione” in senso sia letterale che figurato, proprio perchè sarebbe stato insano proporre una versione uncut dell’opera, cosa che – a quanto pare – è avvenuto in una sola circostanza ed ha richiesto una lettura radiofonica di circa 20 ore. Le accuse di banalizzazione e riduzionismo a Petrović sono quindi, in partenza, frutto di un bias cognitivo molto radicato anche nell’animo di tanti cinefili che sanno il fatto loro, e che sarebbe il caso di mettere da parte.

    Il maestro e margherita rimane ovviamente un film complesso e ricco di sottotesti, allusioni, allegorie e simbologie complesse da decifrare: al tempo stesso è chiaro come voglia essere una critica feroce al regime sovietico ed al suo materialismo dialettico, considerato dalla sceneggiatura un elemento esecrabile quanto in grado di appassire o degradare la realtà. I due elementi che caratterizzano l’opera di Petrović sono, a questo punto, il grottesco (che pervade l’intera opera con momenti davvero sublimi ed altri forse un po’ meno efficaci) e la drammatizzazione spinta nella recitazione degli interpreti. Di fatto la prima componente si declina con effetti speciali artigianali quanto coraggiosi nel loro impianto, con alcune sequenze che sconfinano quasi nell’horror oltre che nel fantastico.

    Il feeling drammatico è di derivazione evidentemente teatrale, ed è anche chiaro che il parallelismo tra la storia di Pilato rispetto a quella del Maestro Nikolaj Afanasijevic Maksudov è giustamente rievocata durante lo svolgimento della trama. Proprio quest’ultimo personaggio è mirabilmente interpretato da Ugo Tognazzi, in una delle sue tante interpretazioni drammatiche, oltre che probabilmente uno dei motivi per cui il film ebbe una discreta popolarità anche in Italia. Maksudov si strugge perchè la sua arte non viene compresa, anzi viene boicottata dai burocrati sovietici, che dall’altro della loro arroganza e impunità non accettano la sua visionarietà, il suo andare oltre il “sacro” materialismo, meno che mai i riferimenti filo-anarchici di critica al potere come violenza.

    Se volessimo individuare un difetto filmico, a questo punto, non possiamo fare a meno di citare alcuni apparenti vuoti narrativi che poi, di fatto, sono semplici pause prolungate: lo spettatore ci mette probabilmente un po’ a sintonizzarsi con questo aspetto, allo stesso modo in cui non faticherà a farsi affascinare dalla figura di Woland (un diavolo allusivo e potentissimo che, probabilmente, è un po’ il padre putativo di tanti altri demoni di forma umana visti sullo schermo di seguito).

    Il film procede più speditamente di quanto quelle pause possano suggerire, e permette quasi di azzardare che la riduzione sia stata sintetica al punto giusto, nonostante qualche inevitabile fusione narrativa che i fan di Bulgakov quasi certamente criticheranno. Nonostante questo, il mio parere positivo non cambia, e vale la pena dare (o ridare) ancora oggi una possibilità a questo lavoro, a dispetto della sua età e del fatto che riesce a farsi amare, come pellicola, anche senza conoscere l’opera originale. E questo, anche se sembra incidentale o di poco conto, non andrebbe sottovalutato.

  • Maxxxine

    MaXXXine (2024)

    MaXXXine è il capitolo finale della trilogia horror “X” di Ti West, che include anche X (2022) e Pearl (2022). Il film, scritto e diretto dallo stesso West, vede Mia Goth riprendere il ruolo di Maxine Minx, l’unica sopravvissuta al massacro avvenuto in Texas sei anni prima.​

    Ambientato a Los Angeles nel 1985, il film segue Maxine nel suo tentativo di sfondare a Hollywood come attrice. Mentre ottiene un ruolo in un film horror, The Puritan II, il suo passato torna a perseguitarla. Sullo sfondo degli omicidi del “Night Stalker”, una scia di sangue minaccia di svelare i suoi oscuri segreti.​

    Il cast include, oltre a Mia Goth, Elizabeth Debicki, Moses Sumney, Michelle Monaghan, Bobby Cannavale, Halsey, Lily Collins, Giancarlo Esposito e Kevin Bacon.​

    Distribuito da A24, il film è stato presentato in anteprima al TCL Chinese Theatre di Los Angeles il 24 giugno 2024 ed è uscito nelle sale statunitensi il 5 luglio 2024. Con un incasso mondiale di 22 milioni di dollari, è diventato il film di maggior successo della trilogia. La critica ha espresso pareri generalmente favorevoli, lodando lo stile e l’interpretazione di Goth, pur considerandolo da alcuni il capitolo più debole della serie. La pellicola è stata classificata “R” per “forte violenza, gore, contenuto sessuale, nudità esplicita, linguaggio e uso di droghe”​

    1. https://en.wikipedia.org/wiki/MaXXXine
    2. https://www.imdb.com/news/ni64684104/
    3. https://www.imdb.com/title/tt22048412/
    4. https://www.imdb.com/video/vi3448751641/
    5. https://www.imdb.com/news/ni64684473/
    6. https://www.imdb.com/news/ni64529360/
    7. https://www.imdb.com/video/vi2068169241/
    8. https://www.imdb.com/title/tt36056669/fullcredits/
    9. https://www.imdb.com/video/embed/vi1725941273/
    10. https://www.imdb.com/news/ni64683437/
  • the-blair-witch-project-daniel-myrick-eduardo-sanchez

    Tre studenti di cinema, Heather Donahue, Michael C. Williams e Joshua Leonard, si avventurano nei boschi del Maryland per girare un documentario sulla leggenda locale della Strega di Blair. Del gruppo si perdono le tracce. Un anno dopo, viene ritrovato il loro girato.+1

    Realizzato con un budget stimato tra i 35.000 e i 60.000 dollari, il film ne ha incassati quasi 250 milioni in tutto il mondo, diventando uno dei film indipendenti di maggior successo di sempre. Parte del suo trionfo è dovuto a una campagna di marketing che presentava gli attori come “scomparsi” o “deceduti”, confondendo il confine tra finzione e realtà.​

    Diretto da Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez, il film è un’opera che ha ridefinito il genere horror. La sua forza non risiede in ciò che mostra, ma in ciò che nasconde. Utilizzando la tecnica del “found footage”, la pellicola immerge lo spettatore in un’esperienza di terrore psicologico, dove la paura nasce dai suoni spezzati nel buio, dalle figure di rami appese agli alberi e dalla crescente disperazione dei protagonisti.​

    Nonostante il plauso della critica, che lo ha definito “straordinariamente efficace”, il pubblico si è diviso. Molti lo considerano un capolavoro di suggestione, altri lo hanno criticato per la camera a mano e l’assenza di un vero e proprio mostro visibile. Indipendentemente dalle opinioni, The Blair Witch Project rimane una pietra miliare: un esperimento cinematografico che ha dimostrato come la paura più grande sia quella che non si può vedere.​

    1. https://www.imdb.com/title/tt0185937/
    2. https://en.wikipedia.org/wiki/The_Blair_Witch_Project
    3. https://www.imdb.com/title/tt1540011/reviews/
    4. https://www.imdb.com/title/tt33265727/
    5. https://www.imdb.com/search/title/?title=The+Blair+Witch+Project
    6. https://www.imdb.com/title/tt1086249/
    7. https://www.imdb.com/title/tt20835992/
    8. https://www.imdb.com/news/ni64924149/
    9. https://www.imdb.com/title/tt32082826/
    10. https://www.imdb.com/video/embed/vi9044249/
  • Decadenza post-apocalittica: “2019 Dopo la caduta di New York” (S. Martino, 1983)

    In una New York post-apocalittica, bersagliata da soldati armati di balestra, raggi laser e legge marziale, un anti-eroe solitario viene inviato a salvare l’unica donna delle Terra non ancora contaminata dalla radiazioni, che potrebbe contribuire a ripopolare l’umanità sterminata da guerre nucleari. Un film del regista italiano Sergio Martino, ricco di suggestioni e rimandi ad altre pellicole.

    In breve: Martino realizza un film, anche se nominalmente in buonafede, brutta copia del cult di Carpenter, a cominciare da Parsifal che somiglia nettamente, come fisionomia, a Kurt Russell. Estremamente ottantiano come stile, da riscoprire ma non aspettatevi il capolavoro incompreso.

    … Marinetti considerò Parsifal il simbolo della decadenza della cultura occidentale (Parsifal, ultimo dramma di Richard Wagner)

    Nel 2019 New York (!) è ridotta ad un cumulo di macerie da una spaventosa guerra atomica: in questo scenario viene aperta la caccia all’uomo da parte dell’esercito vincitore (gli Eurac) sui vinti, massacrati o catturati per essere sottoposti ad esperimenti genetici. Parsifal è un guerriero assoldato dalla Federazione PanAmericana, assieme ad altri due misteriosi individui, allo scopo di mettere al sicuro l’unica donna rimasta che dovrebbe garantire la rigenerazione della razza umana, non ancora contaminata dalla radiazioni. I tre incontreranno una razza di mutanti (i Contaminati) e saranno catturati dagli Eurac, i quali sospettano una riorganizzazione della rivale PanAmericana. Dopo varie peripezie, tra cui l’incontro con dei nani mutanti e con uomini-scimmia armati di scimitarra (!), avverrà l’epilogo della storia, tutto sommato piuttosto prevedibile.

    “Il solito fottuto bastardo!”

    “Suppongo che questo significhi: sì”

    Se dovessi dare una sorta di ricetta per la realizzazione un film del genere di: prendere Interceptor (il Mad Max di Mel Gibson), miscelarlo con una bella spruzzata di Fuga da New York di John Carpenter, shakerare con cura ed osservare il risultato finale. In fondo la somiglianza di Michael Sopwik / Parsifal con Kurt Russel / “Snake” Plinski rende piuttosto raggelante qualsiasi paragone con il cult americano, sia perchè ambientato sempre a New York, sia perchè  c’è comunque di mezzo un mercenario che lotta contro tutti per salvare sè stesso (ed il mondo).

    Del resto Martino sembra aver detto che la sceneggiatura sarebbe stata scritta prima dell’opera carpenteriana, quindi dobbiamo pensare che – senza ulteriore malizia – si tratti di una somiglianza casuale che non degrada nel plagio: in altri termini un po’ come accaduto tra Pet Sematary di King e Zeder di Pupi Avati (due trame molto simili per due film piuttosto distanti geograficamente). Del resto il gioco delle ispirazioni e dei rifacimenti segue il noto principio di imitazione (inteso con valenza positiva), presente sia presso gli antichi romani sia, in tempi moderni, nella replica di “memi” riadattati e modificati sul web.

    2019 – Dopo la caduta di New York“, rimuovendo qualsiasi pretesa intellettualistica da cinema “serio”, è un tributo al post-apocalittico divertente e scorrevole, che esprime paura ancora attualissime e che non risparmia dettagli in quanto ad horror e splatter, rendendo riconoscibile una sorta di old-school italiana. Se non fosse per qualche dialogo improbabile, qualche situazione vagamente trash ed una pochezza di mezzi generalizzata, potremmo dire di aver assistito ad un film originale, con valide idee di fondo, ben girato e anche discretamente interpretato: del resto la cosa migliore della pellicola rimangono i momenti horror, che sono realmente oggetto di culto. La sceneggiatura, di per sè, era complessa da sviluppare senza sbavature e, in effetti, soltanto Carpenter ci è riuscito per ben due volte senza errori. Da ricordare infine che l’Uomo Scimmia è interpretato da George Eastman, il cinico “32” di “Cani Arrabbiati”, mentre trucchi e miniature del film sono di Antonio Margheriti. (recensione concessa in cross-posting su Cinema Italiano Database con il mio consenso)

  • Strange Circus: un trip filmico tra cosa è reale e cosa non lo è

    Una storia cattiva e ricca di shock emotivi per un ennesimo, incredibile, film sui generis.

    In breve. Riduttivo definirlo horror: un film completo, coinvolgente e altamente disturbing (sfido chiunque a proseguire la visione entro la prima mezz’ora). Per il pubblico dallo stomaco d’acciaio, s’intende, un’opera perfetta e riuscitissima, che metaforizza l’esistenza come se fosse un’esibizione circense. Da giudicare dopo averlo visto per intero o, in alternativa, rinunciare del tutto all’impresa.

    Dopo aver assistito a quello che molti indicano come il capolavoro spiazzante di Shion Sono, non mi sento in piena coscienza di consigliare questo film al primo che passa per la strada. Non che sia brutto, intendiamoci, ma è davvero una cosa che tocca le viscere per la sua crudeltà. Un po’ come avvenuto per Il centipede umano e per A Serbian Film – due “pugni nello stomaco” tutto sommato visionabili con qualche precauzione; qui siamo di fronte ad un film che esprime l’eccesso della violenza domestica, espressa in tutte le forme possibili (padre-figlia, madre-figlia, padre-madre). Il contorno grottesco delle figure circensi, del resto, servono molto poco a creare un clima caricaturale, perchè nessuno – credo –  avrà niente di cui sorridere per circa due ore. Soprattutto in Italia, dove siamo molto poco abituati a vedere film impostati in questi termini brutali, presi come siamo dai rigurgiti pseudo-intellettualistici dei trentenni che si comportano da tredicenni (ed al massimo accettiamo parte della produzione di Tarantino), e questo dovrebbe mettere in guardia il pubblico meno avvezzo al cinismo su pellicola. E attenzione, non parlo della violenza bizzarra alla Tarantino bensì di quella realistica, cattiva ed amara di American History X, per fare un esempio ben noto, elevata all’ennesima potenza.

    Stange circus narra, molto in breve, la vita di una povera ragazzina di appena dodici anni (Mitsuko), turbata dal padre pervertito – il quale non solo la obbliga ad assistere ai rapporti sessuali con la madre, ma inizia a dedicarsi attivamente all’incesto. Il segno di questa esistenza terrificante sembra riversarsi nel racconto di una scrittrice disabile: dunque tra uno scambio di identità e l’altro, come chiedono nel film stesso, “cosa è reale e cosa non lo è“?

    La cosa davvero sconvolgente, al di là dell’argomento decisamente morboso – che nel nostro paese avrebbe implicato articoli velenosi, polemiche nella TV spazzatura, richieste di ritiro dalla circolazione, accuse di oltraggio alla decenza, agli uomini, agli animali ed agli Dei – è stata a mio parere la capacità di Shion Sono di affrontare il tema spinoso (la pedofilia) senza sconfinare in dinamiche che qualcuno avrebbe trovato quantomeno ambigue o peggio autocompiaciute. Sì, perchè le scene più spaventose vedono il cinico preside (il padre), poco prima intento a fare moralismo sul bene e sul male e ad inneggiare all’amore verso i fanciulli – fare sesso con la consorte (la bella Masumi Miyazaki) mentre è in corso uno scambio di ruoli tra madre e figlia. Lo scambio avviene perchè il brutale padre-padrone rinchiude l’osservatrice (moglie o figlia, a turno) dentro la custodia di una viola, nella quale ha praticato un buco, e forzandola ad assistere all’amplesso.

    Tutto appare stravolto, a quel punto, per la piccola Mitsuko: anche il rapporto con la madre, inizialmente mite ed affettuosa, che diventa gelosa e indisponente nei suoi confronti. È l’idea di fondo ad essere profondamente disgustosa: e il tutto non diventa un mero pretesto per fare snuff, sia ben chiaro, perchè costruisce i presupposti solidi per un finale che, alla fine, compare limpido sotto gli occhi dello spettatore. Non aggiungo altro, per non rovinare la visione a nessuno, permettendomi di ricordare che lo stesso regista ha affermato che non è l’amore morboso verso i fanciulli ad essere il fulcro di questo suo lavoro.

    Del resto, circa trenta anni fa, per il semplice sospetto che un minorenne avesse visto il bel corpo di Barbara Bouchet (cosa che avrebbe potuto fare ugualmente con una rivista qualunque, per la verità) Lucio Fulci subì un processo in piena regola, nel quale dovette dimostrare che il minore che porta l’aranciata alla procace protagonista di “Non si sevizia un paperino” fosse stato sostituito da una controfigura. Nessuno vuole processare, si spera, Shion Sono, osannato come regista horror ma, in verità, autentico cinesta fuori dalle righe, capace di strutturare le sequenze, creare ambienti da sogno (o da incubo), confondere i livelli della realtà e dare il giusto input agli interpreti. Qualche reminiscenza che sconfina in Shining di Kubrick (i corridoi lunghissimi nei quali si consumano i misfatti) e qualche altra chicca sparsa nel film contribuiscono ad autorizzarmi ad affermare che “Strange circus” sia un grandissimo (e molto incompreso) lavoro. Non per tutti, anzi i più sensibili stiano alla larga, questo è certo, ma qui resto dell’idea che Sono abbia girato il suo personale “Arancia Meccanica“; e, in caso, scusate se è poco.

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