Perchè scrivere un diario? Perchè scrivere un libro? Perchè scrivere in corsivo? Perchè scrivere fa bene? Perchè scrivere poesie? Perchè scrivere una lettera?
Per introdurre l’argomento “perchè scrivere un diario” abbiamo ricopiato, in prima istanza, i primi sei suggerimenti di Google che appaiono anche a voi, presumibilmente, iniziate a cercare la frase “perchè scrivere“.
Google aggiunge la parola un, e successivamente si diverte (?) a disseminare le domande più frequenti sull’argomento fatte da noi utenti. Del resto, ci chiediamo, cosa ci spinge a scrivere? Rispondere a questa domanda è un modo per capire se e quando valga la pena tenere un diario.
Se è vero che basta l’esigenza di scrivere per iniziare a farlo, il che diventa una buona ragione e tanto basta, è anche vero il monito di Stephen King a riguardo: il modo migliore per imparare a scrivere è quello di praticare la scrittura, oltre al fatto non inessenziale di leggere molto, leggere di tutto. Imparare a scrivere presuppone infatti saper individuare uno stile che si è in grado di emulare, non semplicemente mettersi davanti ad una tastiera e battere sui tasti. Secondo il simpatico teorema della scimmia instancabile, del resto, avendo a disposizione un tempo sufficientemente lungo anche una scimmia messa davanti ad una macchina da scrivere riuscirà a comporre qualsiasi testo di qualsivoglia lunghezza. Deve essere visto anche questo, pensiamo, come un monito, un avviso, una vera e propria raccomandazione per tutti gli aspiranti scrittori di diari. E noi che scimmie non siamo, almeno non formalmente nè biologicamente, per quanto discendiamo dalle stesse, ci ritroviamo a fare i conti con la variabile tempo, sempre. Quando ho frequentato corsi di scrittura, del resto, ci consigliavano spesso di fare questa simpatica attiva usando un cronometro, ponendo un tempo massimo, per evitare di diluire troppo il testo e scrivere mappazzoni senza capo nè coda, imponendo al testo di asciugarsi a dovere.
Motivi validi per tenere un diario, del resto, ne possiamo snocciolare quanti ne vogliamo.
Se scrivo un diario posso tenere traccia dei progressi e annotare le cose che mi piacciono di più, o magari di meno. Scrivere un libro, in genere, non è un’idea sempre consigliabile: ci sono tanti di quei libri in giro che quasi passa la voglia. Scrivere in corsivo serve a sottolineare passaggi, citare, dare enfasi, con buona pace di Elisa Esposito la prof di corsivo, amiooo. Scrivere non fa bene: non che faccia male come il fumo e l’eccesso di alcol, intendiamoci, ma di sicuro rischia di farci impelare nel blocco dello scrittore il che non è mai un bene, a ben vedere. Scrivere una lettera fa benissimo, in genere: anche una email, purchè l’Altro sia disposto a leggere e non si tratti, naturalmente, della Lettera Rubata di Edgar Allan Poe (che pare sia il caso di lasciare dove di trova, qualsiasi cosa contenga).
Dare risposte così nette resta quantomeno azzardato ed è impressionante come, ad oggi, nessuno si sia posto il problema delle risposte facilone ai problemi esistenziali. Alcuni scritti, come ricorda il bellissimo racconto sulla lettera rubata di Poe, è bene che restino secretate, che siano riservate solo agli occhi di chi scrive per sempre, dato che il loro significato muta a seconda di chi legge (e questa è una cosa che chi tiene un blog dovrebbe sempre ricordare).
Lungi da noi, ancora una volta, addentrarci nei meandri delle spiegazioni letterali o puntuali dei fenomeni: questo modo di ragionare ci porta fuori strada, e potrebbe farci addurre alla scrittura un ruolo che non ha. Vero che possa essere a volte terapeutico scrivere quello che ci passa per la testa, ma se l’attività non viene controllata o razionalizzata può diventare un problema. Tantomeno possiamo eccedere all’opposto, pensando che non serva scrivere nulla e si debba rimuginare all’infinito sui propri pensieri creativi.
Per cui inviterei chiunque a scrivere, alla fine: può aiutare a formalizzare un pensiero, aiutare uno sfogo, tirare fuori ciò che ci tortura indegnamente oppure può aiutare a cristallizzare pensieri, momenti da ricordare, congelarli nell’attimo della carta che si posa sul foglio e rilascia quel tenue, e riconoscibile tra mille, odore di inchiostro.
Foto di copertina: a portrait of edgar allan poe, DALL E
Le immagini di questo articolo sono realizzate in 8 bit, seguendo la falsariga della grafica dei vecchi videogame anni 80 e anni 90, e riportando una scena emblematica di vari film più o meno famosi. Il risultato è tutto da gustare ed ovviamente per i più incalliti cinefili. Buon divertimento!
L’autore è l’utente leshzor di Imgur, la board di immagini gratuita molto nota sul web.
Una classifica di horror assurdi può sembrare assurda, neanche a dirlo, nella misura in cui diamo il significato al termine inteso come “incomprensibile“, sconveniente, inetto; se invece lo riconduciamo all’originario terminale latino absurdus, ovvero (tra gli altri significati) dissonante, ecco che la classifica acquisisce un nuovo senso. Il concetto base è che sulla dissonanza dai canoni artisti di ogni genere, da John Cage a Frank Zappa, passando per David Lynch e Stanley Kubrick, hanno costruito la propria arte, che poi qualcuno ha chiamato avanguardia. Ma poichè il tempo va sempre avanti in modo irreversibile, potrebbe non aver senso discutere di anti-tradizione o avanguardia che dir si voglia: non per altro, ma ciò che era avanguardia 20 o 30 anni fa oggi è considerati da alcuni quasi vecchio, a momenti.
Questa selezione è sicuramente condizionata da quello che ho visto personalmente e, per questo, potrebbe mostrare lacune o scelte da sopprimere secondo alcuni. Eppure, alla prova dei fatti, non ho mai cambiato l’ordine e la sostanza dei film pur aggiungendone, in tempi recenti, altri sei. Ecco a voi, pertanto, i film più absurdi del genere horror che si possano immaginare. Film un po’ assurdi, certo: ma occhio a considerarli film senza senso perchè forse, a quel punto, potrebbe essere un fatto soggettivo o condizionato da credenze, convinzioni soggettive, letture fatte e ulteriori eventuali visioni a tema.
# 20 Flesh of the void
Lo metto in questa posizione non per demeriti artistici (come discusso nella recensione, qualcosa di interessante c’è) quanto perchè si tratta probabilmente dell’apoteosi dell’horror assurdo recente: niente dialoghi, niente trama (o quasi), solo una giustapposizione psichedelica di cruenza e ritualità oscura per uno dei film certamente da citare in questi casi.
# 19 Quella casa nel bosco
A differenza di altri lavori “fuori dalle righe” più o meno analoghi, Quella casa nel bosco gioca al citazionismo più becero, che accarezza qualche velleità modello Postal o Borat versione horror. Alla prova dei fatti, è uno slasher horror come decine ne sono stati fatti, eppure la sostanza lo rende vagamente weird e, per questo, merita un posto qui. Recensione qui
# 18 Pontypool
Nell’horror di concetto Pontypool dovrebbe occupare uno dei primi posti in assoluto, per quanto poi si tratti, con discreta probabilità, del classico lavoro più discusso che visto. Impossibile parlarne, ad oggi, senza lasciar trapelare nemmeno un pezzetto di quel gusto per l’assurdo che lo caratterizza. Recensione qui
# 17 The house
Film di animazione a episodi, tre in tutti, in cui l’assurdità risiede più che altro nelle singole trame, accomunante dal tema della casa (l’attaccamento irrazionale, il senso di appartenenza, la vanità di averne una lussuosa). Niente male per un prodotto che è passato un po’ in sordina su Netflix, in tempi recenti, e che merita un rewatch se non si fosse fatto prima. Recensione qui
#16 Tetsuo
Fanta-horror cupo e delirante (resta e si conserva come icona cyberpunk, ovviamente, ma si può annoverare nell’horror absurdi per via del tipo di regia non causale e di alcuni effetti speciali considerevoli), girato con un montaggio frenetico ed artefice di un intreccio mai completamente chiarito. Forse uno dei film più importanti del “bizzarro cinematografico” di ogni tempo. Leggi la recensione
#15 Possession
Possession rientra tra i film sostanzialmente privi di genere, per quanto possa considerarsi un thriller simbolista – il dramma è incentrato sull’ossessione e la gelosia – peraltro a tinte particolarmente cupe, con diversi passaggi poco lineari o bizzarri: classificato anche come horror psicologico, sfugge a qualsiasi tentativo di classificazione. Recensione completa qui
#14 Grotesque
Non arriva all’apice a cui aspirerebbe, per la verità, anzi mostra qualche pecca a livello narrativo e sostanziale: rimane una tappa obbligata all’interno di qualsiasi maratona dell’horror fuori dalle righe. Non per tutti, soprattutto per via della violenza e del sesso esplicito, su cui il regista insiste senza remore. Qui la recensione completa del film
Uno dei film che mi ha maggiormente affascinato nella produzione filmica anni ’70 che ho imparato ad amare negli anni; un lavoro tutt’altro che banale, italiano (quando certo cinema aveva ancora senso farlo) e ricco di suggestioni. Recensione qui
Uno degli horror più politici mai realizzati: una satira gran guignol di Brian Yuzna contro l’ipocrisia della società benestante occidentale. Senza dubbio una delle migliori chicche horror del cinema americano anni 90. Recensione completa qui
#11 Baskin
Un horror notevole e passato inosservato dalle nostre parti, e che merita una piena rivalutazione. A livello di contenuti, di mezzi e di ritmo sicuramente tra i migliori horror mai visti sullo schermo negli ultimi decenni. L’elemento bizzarro non scherza nemmeno qui, ovviamente. Recensione
#10 Silent night, bloody night
Proto-slasher piuttosto interessante, oscuro e sinistro: archetipico di un certo modo di fare horror tra personaggi, scenari e situazioni tipicamente americane. Un cult molto valido e, nel suo genere, da riscoprire ancora oggi (solo in inglese). Recensione
https://www.youtube.com/watch?v=uriQfxtfd_M
#9 Suicide club
Diretto nel 2002 dal visionario Shion Sono (già noto per il delirante Strange circus), Suicide Club (noto anche come “Suicide Circle“) è un film riuscito solo a metà: se da un lato scatena suggestioni impulsive, in parte non riesce a coinvolgere come dovrebbe. Nonostante tutto, nel bizzarro cinematografico ci sta tutto Recensione
Coinvolgente e decisamente spaventoso (sfido chiunque a proseguire la visione entro la prima mezz’ora, nonostante il fatto non ci siano di mezzo splatter o assassini sanguinari). Per il pubblico dallo stomaco d’acciaio, s’intende, un’opera perfetta e riuscitissima, che metaforizza l’esistenza come se fosse un’esibizione circense. Da giudicare dopo averlo visto per intero o, in alternativa, rinunciare del tutto all’impresa fin dall’inizio. Recensione qui
https://www.youtube.com/watch?v=wUBTVug4SP8
#7 The Human centipede
Quello di The human centipede è un perverso quanto sostanziale body-horror, privato della vena tecnologica cronenberghiana ed avvolto in una spirale di cinismo e disgusto senza limite: Six riporta la carne alla carne, riduce dei corpi nudi a bestiame da macello e senza, per questo, voler intendere alcun sottotesto sociale – almeno, non in superficie. recensione
#6 Possession
Relegato (nonchè snobbato) quale cinema d’essai, Possession è la concreta dimostrazione di come l’horror possa, volendo, esprimere drammi tangibili ed essere uno strumento di comunicazione ineguagliabile. Possession, pur non essendo strettamente un horror, risulta oggi come piccolo capolavoro di cinema del terrore, nonostante qualche stranezza nella narrazione che riesce comunque a farsi seguire anche dal grande pubblico, e che incanta per la drammatica interpretazione di Isabelle Adijani. Nulla a che vedere con possessioni demoniache: il tema del film è l’ossessione di un marito geloso verso la consorte. Qui la recensione completa del film
#5 Begotten
È uno dei film più cercati su questo blog (recensione qui) e sono da qualche tempo convinto che sia inutile o dannoso parlarne troppo. Un’evocazione surrealista (ancora una volta) e irrazionale in una sorta di mito biblico rivisitato in chiave horror. Detta in modo diverso, un horror che sembra derivare dalla produzione teatrale dell’assurdo: privo di dialoghi, dalla trama appena accennata e ricco di lunghi, insostenibili silenzi e misteri.
#4 Eraserhead
Forse la più cupa espressione della complessa poetica di David Lynch: un passo obbligato per la conoscenza del cinema weird da parte di fan e coraggiosi pionieri, tutti gli altri spettatori dovrebbero considerarsi temerari, per provare a vederlo.
Il cult del regista brasiliano José Mojica Marins (che arrivò a vendersi la casa pur di avere il budget per girare il film) che inaugura ufficialmente l’horror nel proprio paese. Nella sua modestia di impianto (non si tratta di un z-movie come tanti) rimane una perla del genere, sicuramente più sensata, compatta ed accattivante di altri fiacchi imitatori.
Qui la recensione completa.
#2 L’angoscia
Piccola escursione thriller di Bigas Luna piuttosto singolare, non troppo nota ed inaspettatamente truce, surreale e divertente. I piani della realtà si confondono abilmente senza diventare mai un mero esercizio stilistico: il film avvince e … coinvolge, è proprio il caso di dire, fino all’ultima, meravigliosa scena.
Concludo con questo per il suo immenso valore artistico, ovviamente, ma anche per i misteri e le curiosità che da sempre ne accompagnano la visione, a partire dal doppio finale. Girato secondo i canoni dell’espressionismo, il film di Wiene si presenta come un film seminale adatto, oggi, probabilmente solo agli appassionati di cinema “assoluti” o, al limite, agli hacker di pellicole alla ricerca di immagini insolite. Com’è ovvio non esiste parlato a livello di suono, ma solo una lunga ed alienante colonna sonora curata da Giuseppe Becce. Notevole anche per la presenza della figura di un probabile zombi ante-litteram.
Fin dalla sua nascita, la fantascienza ha saputo prevedere il progresso della tecnologia, a volte con precisione sorprendente. Oggetti e dispositivi visti per la prima volta sul grande schermo sono oggi parte integrante delle nostre vite, e l’umanità ha saputo compiere imprese che un tempo sarebbero state viste come esempi di stregoneria. Scopriamo dunque alcune delle pellicole che hanno saputo mostrare sul grande schermo innovazioni poi diventate realtà.
Minority report (2002)
Vent’anni fa Steven Spielberg indovinò parecchie cose in questa pellicola interpretata da Tom Cruise e liberamente ispirata da un racconto di Philip K. Dick. Nel futuro di Minority report non avvengono più omicidi grazie a un sistema basato sulla premonizione del crimine e sulla punizione preventiva. Nel film compaiono pubblicità personalizzate, che chiamano insistemente per nome il protagonista. Pur se non a questi livelli, gli annunci pubblicitari mirati sono oggi quasi inquietanti nella loro precisione, ottenuta tramite i cookie che tracciano ricerche e traffico web. Nel film si vedono anche auto senza pilota, la cui introduzione si sta già discutendo, computer con interfaccia touch che ricorda molto i moderni smartphone, e anche la tecnologia di riconoscimento facciale che oggi si utilizza per sbloccare diversi dispositivi. Riguardandolo oggi, può venire voglia di entrare nel mondo tech per contribuire allo sviluppo di nuove innovazioni, e indubbiamente se si vuole iniziare a programmare da zero non c’è mai stato momento migliore. Un corso intensivo come Hackademy di Aulab aiuta ad avvicinarsi alla disciplina in tre mesi, insegnando basi di coding, le metodologie di lavoro più efficaci, oltre alla forma mentis necessaria per studiare poi altri linguaggi e, perché no, collaborare alla creazione di tecnologie che oggi sono ancora fantascienza.
2001: Odissea nello spazio (1968)
Il capolavoro visionario di Stanley Kubrick riuscì a immaginare molte delle tecnologie che sono diventate di uso comune, come le videochiamate e i tablet. Anche gli assistenti virtuali sono oggi una realtà con la voce rassicurante di Alexa o Google Assistant, fortunatamente ancora immuni dalle tendenze omicide dell’inquietante supercomputer HAL 9000.
Nel film vediamo poi una stazione spaziale, che precede di tre anni la messa in orbita nel 1971 del primo modello da parte dell’Unione Sovietica. La stazione messa su schermo da Kubrick è basata su un vero progetto della NASA, nel quale la struttura ruoterebbe su se stessa per creare un effetto di gravità artificiale.
Guerre stellari (1977-1983)
Sebbene il franchise creato da George Lucas stia ancora sfornando nuovi prodotti, ci riferiamo qui alla trilogia originale uscita tra il 1977 e il 1983. È vero che la storia si avvicina forse più al genere fantastico, ma di certo ha saputo prevedere un paio di innovazioni divenute realtà. Nel primo film, la principessa Leila appare a Obi-wan Kenobi sotto forma di ologramma 3D, una tecnologia utilizzata oggi con successo per organizzare concerti live di artisti scomparsi o, nel caso della popstar animata giapponese Hatsune Miko, mai esistiti. Passando ai progressi medici, il braccio bionico che Luke utilizza dopo uno scontro con Dart Fener è adesso una reale possibilità per pazienti che hanno subito l’amputazione di un arto.
Viaggio nella luna (1902)
Vero pilastro della storia del cinema e considerato il primo film di fantascienza mai realizzato, la pellicola muta di George Méliès ha anticipato, come suggerisce il titolo, l’allunaggio. Non sorprende che ci abbia visto così lungo, considerato che l’opera è in parte ispirata a un racconto di Jules Verne, famoso per la sua abilità nel prevedere invenzioni e scoperte future. Certo, i viaggiatori di Méliès si trovano davanti una situazione ben diversa da quella che si presentò a Neil Armstrong e compagni nel 1969, ma ciò non intacca il fascino e il valore della pellicola.
Star Trek (1966 – in corso)
Pur consistendo in realtà in diverse serie e film, la saga di Star Trek merita una menzione speciale. Le avventure dell’Enterprise e del suo equipaggio non hanno solo anticipato invenzioni, come il traduttore universale, ma le hanno addirittura ispirate. L’inventore del primo cellulare, Martin Cooper, citò infatti tra le sue fonti di ispirazione proprio i dispositivi per la comunicazione del Capitano Kirk. Inoltre, file mp3 e iPad con funzione touch si possono a loro volta annoverare tra le tecnologie che devono molto a Star Trek.
Stando a Wikipedia inglese (in genere affidabile, almeno nella nostra esperienza) gli Squallor sono assimilati al genere della comedy music, e furono attivi tra il 1973 ed il 1994. A quanto pare, pero’, erano già attivi verso la fine degli anni ’60. Immersi professionalmente nell’ambiente della produzione discografica dell’epoca, vivevano ogni giorno a contatti con i maggiori musicisti dell’epoca, mal sopportandone i vezzi e le vanità; e fu così che fondarono gli Squallor, ispirandosi nello stile alla visione di un suggestivo film (Il mio amico il diavolo di Stanley Donen, ed in particolare al cantato-parlato sfoggiato da uno dei personaggi).
Siccome noi frequentavamo i cantanti, che sono i peggiori scassacazzi mondiali, quando facevamo gli Squallor ci sfogavamo contro i cantanti, quelli seri.» (Alfredo Cerruti)
Nella loro carriera realizzarono 14 album in studio, dalle copertine allusive e dai titoli provocatori, e anche due film – uno dei quali, Uccelli d’Italia, divenne uno dei capisaldi del trash assieme ad Arrapaho. Non si esibirono mai dai vivo ma, ancora oggi, sono ricordati come una band innovativa e “avanti” rispetto alla media: non semplicemente come proto-rock demenziale, ma anche come espressione di una musica dadaista, dai tratti sbroccati e provocatori, che sarebbe rimasta scolpita nell’immaginario collettivo italiano per anni.
Di seguito una rassegna ragionata dei migliori 11 brani degli Squallor, ovviamente secondo noi.
Ti ho conosciuta in un clubs
Al netto dell’inglese maccheronico di clubs, è una parodia dei brani romanticheggianti dell’epoca (era il 1973), il brano parte con una delle contrapposizioni più lapidarie e geniali mai scritte:
ti ho conosciuta in un clubs, eri bellissima, ma avevi un solo difetto: non c’eri.
38 luglio
“Il pezzo” degli Squallor sull’amore perduto, impresso nella memoria dei fan da sempre e, a quanto risulta anche dal documentario sulla band – venne totalmente improvvisato da Alfredo Cerruti – Tratti illogici, incoerenti e volutamente demenziali attraversano quasi tutto il brano, con uno splendido arrangiamento e l’effetto straniante di una semantica votata al dadaismo e al non-sense. L’effetto fu devastante: era nato un nuovo genere musicale, in cui la musica era in linea con quella ripulita e perbenista dell’epoca ma che, al tempo stesso, era totalmente folle dal punto di vista semantico.
La storia è quella di un elettrotecnico, che vive dei tormenti da amore non corrisposto. Almeno, così sembra.
Appare evidente l’influenza del brano Drimbel Wedge and the vegetation tratto dal film Bedazzled (Il mio amico il diavolo), principale fonte di ispirazione della band. Per la cronaca, nel film Stanley è una rock star la cui fama sarà di breve durata, usurpato da un nuovo arrivato chiamato “Drimble Wedge and the Vegetation” (George) che intona il brano con tono di voce staccato, fermo e soprattutto parlato (uno stile molto riconducibile al marchio di fabbrica Cerruti degli Squallor) del proprio disinteresse per chiunque, a parte se stesso.
Probabilmente, per certi versi, una sorta di parodia del movimento britannico psichedelico in voga all’epoca, o di artisti come il primo Syd Barrett.
Arrapaho
La colonna sonora dell’omonimo film (per la cronaca, ne hanno prodotti due: Arrapaho e Uccelli d’Italia), oggetto di culto nel mondo dei b-movie ancora oggi.
Marcia longa
Pezzo considerevolissimo per via di una singolare caratteristica: ci sono due voci narranti sovrapposte, una sul canale destro l’altra sul canale sinistro. A parte l’effetto psichedelico che prova questa scelta, sentire i due commentatori fare la cronaca di un evento sovrapponendosi, insultandosi ed arrivando allo zenith dadaista-surreale con un mitico:
Abbastanza sulla falsariga del pezzo precedente, vede ancora una volta la voce narrante che racconta di improbabili case. Tra le perle del brano, il narratore che non sembra sapere più cosa dire, ad un certo punto, per poi esplodere in un epico “ma comme cazz è ‘llonga ‘sta marcia!”.
Come vedete, su una casa c’è già uno che si vuole suicidare perché l’ha appena vista E’ di sedici piani, bianca, con delle stanze dove centra solamente di sbieco Perché si centra di chiatto non centra E appena ha visto l’architetto, i due si sono afferrati per il collo C’è voluto l’intervento dei pompieri per staccarli
[…]
Questa è la casa per la sarta: come vedete, è una casa di ‘mmerda C’ha un monolocale intrinsico senza luce, così la sarta cuce ad occhio
Cornutone
Il computer Amedeus
Uno dei pochi pezzi con synth, in cui si notano vari dettagli sbroccati parodici sull’avvento degli home computer (era il 1985) quanto, sentiti oggi, profetici:
Ho due software, uno che fa i bucchini, e un altro che lo piglia in culo, nuovi giochi elettronici che servono a insegnare ai nostri figli come chiavare.
Pret a Porter
Pezzo dichiaratamente anti-clericale, è presentato dal personaggio di Fravolone e si gioca su un’ipotetica sfilata di moda di un gruppo di preti. Si tratta di un travisamento volontario e demenziale dell’espressione prêt-à-porte, in francese “pronto a portare“.
Berta
Alla base dell’episodio raccontato, una delusione d’amore: lui torna disperato quanto sbroccato da lei, che a sua volta non le manda a dire.
Senti pirla,a me, nun me passa manco p”o cazzo ra mochetta ‘e Zambelletti, ‘e chella bucchina ‘e mammeta, ‘e capito? ‘I stò pe cazzi re miei, ‘e sorde ‘e tengo, a fella ‘e carne m”a magno tutt ”e juorne, a te e sta’ seiciento ‘e merda ch t’hanno accattato ‘e genitori tuoi. Ahhhhhh. Io mi alzo la mattina: me faccio nu bello bagno, me magno n’uovo, e chi cazzo mo fa fa?
Mi ha rovinato il ’68
Non potevo che chiudere la rassegna su questo pezzo, uno dei pochissimi ad essere cantati e noto (oltre che per l’arrangiamento, come al solito mostruoso) per la splendida voce di Totò Savio, il quale racconta dei tormenti di un ex sessantottino – ed in cui ovviamente il 69 non è semplicemente l’anno successivo ma anche, per non dire soprattutto, una posizione sessuale.
Il ’68 lo passammo in trincea
gridando forte giù le mani dal Vietnam Era la storia che apriva strade nuove
e finalmente fu il 69.
E non mi pento del mio passato
ma il ’68 mi ha rovinato. Generazione maledetta la mia
noi siamo ancora l’Italia che scia Verso il domani, verso il non si sa
perché fa rima con la libertà.
Quante illusioni occupazioni e cortei e
lacrimogeni e botte per star con lei Finché una notte al fuoco dei falò Mi disse scusa e un altro si chiavò.
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