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  • Sopravvissuti: spiegazione finale, trama, cast

    Sopravvissuti“(in originale “Z for Zachariah”) è un thriller post-apocalittico ambientato in un mondo devastato da un’epidemia globale. La storia segue un gruppo eterogeneo di persone che cercano di sopravvivere in un ambiente ostile e desolato.

    La trama inizia con l’epidemia che si diffonde rapidamente, trasformando le persone infette in orde di feroci creature simili a zombi. Il protagonista, John, è un uomo comune che perde la sua famiglia nell’apocalisse e lotta per sopravvivere da solo.Durante il suo viaggio, John incontra altri sopravvissuti. Tra di loro ci sono Sarah, un’ex infermiera esperta nella cura delle ferite, e Michael, un ex militare abile nelle tattiche di combattimento. Il gruppo è costantemente minacciato dalle creature infette e dai pochi sopravvissuti rimasti, alcuni dei quali sono diventati pericolosi predatori.

    Cast

    “Z for Zachariah” è un film del 2015 diretto da Craig Zobel. Di seguito, trovi il cast principale del film con i nomi degli attori in italiano:

    • Margot Robbie nel ruolo di Ann Burden
    • Chiwetel Ejiofor nel ruolo di John Loomis
    • Chris Pine nel ruolo di Caleb

    Questi sono i principali attori che interpretano i personaggi chiave nel film “Z for Zachariah”.

    Chi è Zachariah

    Nel titolo “Z for Zachariah”, Zachariah si riferisce a un personaggio assente nel film ma che gioca un ruolo significativo nella trama.

    Nel romanzo omonimo scritto da Robert C. O’Brien, da cui è tratto il film, Zachariah è un prete cattolico che viene menzionato ma non compare mai fisicamente nella storia. Il personaggio di Zachariah è importante perché è il fondatore di una chiesa locale vicino alla valle in cui la protagonista, Ann Burden, vive da sola dopo una catastrofe nucleare. Zachariah è morto a causa delle radiazioni nucleari e la sua chiesa è rimasta intatta.

    Nel film, il personaggio di Zachariah è omesso, e invece il titolo si riferisce principalmente al nome della valle in cui Ann Burden sopravvive dopo l’evento catastrofico. Quindi, “Z for Zachariah” rappresenta simbolicamente la storia di Ann e della sua solitudine nella valle dopo l’apocalisse nucleare.

    Temi trattati nel film

    Il film “Sopravvissuti” affronta diversi temi profondi e complessi, tra cui:

    1. Sopravvivenza e isolamento: Il tema principale del film è la sopravvivenza di Ann Burden, l’unica sopravvissuta in una valle remota dopo una catastrofe nucleare. Il suo isolamento e la sua lotta per sopravvivere nella desolazione diventano un elemento centrale della trama.
    2. Relazioni interpersonali: Con l’arrivo di John Loomis e successivamente di Caleb nella valle, si sviluppano complesse dinamiche relazionali. Il film esplora come le relazioni si sviluppano e cambiano nel contesto dell’isolamento e della condivisione di una piccola comunità.
    3. Etica e morale: Il film pone diverse domande sull’etica e la morale in situazioni di estrema necessità. I personaggi si trovano spesso a prendere decisioni difficili e morali, mettendo in discussione i loro principi e valori fondamentali.
    4. Fede e spiritualità: La presenza della chiesa abbandonata e il passato del personaggio di Zachariah sollevano temi legati alla fede e alla spiritualità. Ann e John hanno punti di vista differenti riguardo a questi temi, e questo influisce sulla loro interazione.
    5. Amore e desiderio: Il film esplora la complessità delle relazioni amorose e dei desideri umani. La presenza di tre personaggi nel contesto isolato della valle crea tensioni e conflitti legati alle emozioni e al desiderio di connessione emotiva.
    6. Tecnologia e natura: Il film presenta una riflessione sul ruolo della tecnologia e la sua influenza sulla società, considerando anche gli effetti negativi che l’uso irresponsabile può avere sull’ambiente e sul futuro dell’umanità.

    In sintesi, “Sopravvissuti” affronta temi legati alla sopravvivenza, alle relazioni umane, all’etica, alla fede, all’amore e al rapporto tra tecnologia e natura. Questi temi si intrecciano e si scontrano nel contesto post-apocalittico del film, fornendo uno sguardo profondo e riflessivo sulla condizione umana in situazioni estreme.

    Romanzo da cui è tratto il film

    Il film si basa liberamente sul romanzo di fantascienza “Z for Zachariah” di Robert C. O’Brien, pubblicato postumo nel 1974. Il “triangolo amoroso” del film rappresenta una deviazione significativa poiché nel romanzo sono presenti solo due protagonisti: Ann e Loomis.

    Adattamento per la televisione

    L’adattamento originale televisivo è stato parte della serie della BBC “Play for Today”, trasmessa il 28 febbraio 1984, con Anthony Andrews nel ruolo di Loomis e Pippa Hinchley nel ruolo di Ann, e la storia ambientata in Galles dopo un olocausto nucleare.

    Spiegazione finale

    Avviso spoiler: la seguente trama riassume gli eventi del film “Sopravvissuti”.

    Nel corso del film, il gruppo cerca di raggiungere un luogo sicuro, una sperduta comunità fortificata, dove si dice che sia possibile ricostruire una nuova società. Lungo il tragitto, affrontano numerose sfide e pericoli, come attacchi di predatori umani e scontri con gli infetti.

    Durante il viaggio, le relazioni tra i sopravvissuti si evolvono. John e Sarah si avvicinano sempre di più, trovando conforto e speranza l’uno nell’altro in mezzo alla disperazione del mondo post-apocalittico.

    Tuttavia, a mano a mano che il gruppo si avvicina alla comunità sicura, scoprono che è stata corrotta dall’interno. Si troveranno di fronte a una decisione difficile: unirsi agli abitanti corrotti e abbandonare i loro principi morali per sopravvivere o combattere per mantenere la loro umanità e cercare una soluzione migliore. Verso la conclusione, il gruppo affronta un confronto mortale con i predatori umani e gli infetti, mettendo alla prova la loro forza, il coraggio e la fede nella possibilità di un futuro migliore.

    In un finale agghiacciante e toccante, alcuni membri del gruppo sacrificano la propria vita per permettere agli altri di raggiungere il luogo sicuro. John e Sarah riescono a raggiungere la comunità fortificata, dove sperano di iniziare una nuova vita, portando con sé la memoria dei loro amici perduti lungo il tragitto.

    Spiegazione alternativa del finale

    Il finale di “Z for Zachariah” è aperto e molto ambiguo, lasciando spazio a diverse interpretazioni. A questo punto della trama, il triangolo amoroso tra Ann, John e Caleb è giunto a un punto critico.

    Nel finale, John, Caleb e Ann decidono di ascoltare il messaggio radio proveniente dalla fuori della valle. Il segnale è debole e degradato, ma sembra offrire loro una possibilità di trovare altre persone sopravvissute e un futuro migliore. Tuttavia, prima di lasciare la valle, c’è un momento di tensione tra i tre personaggi. Ann vuole che John rimanga con lei nella valle, ma lui vuole partire con Caleb per cercare aiuto.

    Infine, John e Caleb iniziano a dirigersi verso la fonte del segnale radio, ma Ann, sentendosi abbandonata, spara un colpo di avvertimento con un fucile. Ciò crea un momento di sospensione, poiché non è chiaro se il colpo sia inteso come un vero tentativo di colpire i due uomini o solo un avvertimento emotivo.

    Le possibili interpretazioni del finale sono:

    1. Abbandono e solitudine: Una possibile interpretazione è che Ann si senta abbandonata dai due uomini e, nel tentativo di fermarli, metta alla prova il loro amore e la loro dedizione nei suoi confronti. Il colpo di avvertimento potrebbe essere un modo per far loro capire quanto sia importante la sua presenza nella valle.
    2. Sopravvivenza e speranza: Un’altra interpretazione è che Ann, pur essendo innamorata di John e desiderando la sua compagnia, comprenda che per sopravvivere e avere una speranza di futuro, è necessario che almeno uno dei due uomini lasci la valle per cercare aiuto. Il colpo di avvertimento potrebbe essere un segno di accettazione di questa realtà e della sua necessità di lasciar andare qualcuno che ama.
    3. Incertezza e ambiguità: Il colpo di avvertimento crea incertezza riguardo alle intenzioni di Ann e alle sue vere motivazioni. Potrebbe anche essere una rappresentazione della sua lotta interna tra l’amore per John e la consapevolezza delle circostanze disperate in cui si trovano.

    In conclusione, il finale di “Z for Zachariah” è aperto all’interpretazione e offre spazio per diverse chiavi di lettura. Esso riflette i complessi legami emotivi e morali tra i personaggi e sottolinea la difficoltà di prendere decisioni significative in un mondo post-apocalittico in cui la sopravvivenza è in gioco.

  • Snuff 102 è l’horror che non vorresti mai guardare

    Ne hanno parlato malissimo, è stato stroncato dai siti generalisti di cinema e non è stato neanche doppiato in italiano: ce n’è abbastanza, insomma, perchè me ne possa interessare in questo blog. Produzione argentina piuttosto infame in Italia, narra in stile shockumentary di un malatissimo serial killer che riprende le proprie vittime, e ne esce fuori un film incrociato con l’inchiesta di una giornalista…

    In breve. Un horror molto estremo, non esente da difetti nel suo impianto realizzativo, violento all’ennesima potenza e quasi compiaciuto di ciò che mostra. Eufemisticamente parlando non è roba che si vede tutti i giorni sugli schermi, e sarà anche tacciabile di una certa misoginìa di fondo – ma guardando la pellicola per intero l’opinione cambierà radicalmente. Uno dei film più spaventosi del nuovo millennio.

    C’è un fatto fondamentale da premettere: questo film non è davvero uno snuff, anche se il regista ha fatto davvero di tutto per farcelo credere. Del resto quando guardiamo un horror generico siamo sempre tentati – per una sorta di meccanismo auto-difensivo – a premettere (e a ripeterci) che “sia tutta finzione”. Questo rafforza le nostre certezze, le stesse che il regista vorrebbe far vacillare, spingendo i più convinti di noi a bollare come stronzata tantissime produzioni orrorifiche che si sono susseguite negli anni. E poi figuriamoci se esistono gli snuff: una fonte autorevole come Snopes ne parla, a ragion veduta, come di una bufala. Non voglio pensare al pubblico del fantastico e dell’horror come ad un gruppo di bambinoni che guardano film violenti solo perchè i genitori glielo hanno vietato: pero’ a volte temo che ce ne siano davvero tanti in giro, altrimenti nessuno (s)parlerebbe di “Snuff 102” o dei vari “Faces of death”.

    C’è fin troppo da vedere per gli amanti del gore in salsa semi-amatoriale (per quanto ne so il feeling è simile a quello dei film di Fred Vogel), e c’è anche un finale a mio parere sopra le righe. È anche importante, in questa sede, qualche precisazione collaterale, che quasi nessuno ha ritenuto di dover fare, preso com’era dal fare considerazioni emotive sul “capolavoro di qua, grande indecenza di là” e via delirando. Ma questo film vi addosserà un forte senso di ribrezzo, vi farà sentire totalmente coinvolti nella vicenda e, in altri termini, lascerà un pesante segno su qualsiasi essere umano che lo veda. La domanda da porsi è ben precisa: per quale motivo la ripresa con una videocamera di un atto violento che porta ad una morte reale finisce per farci più orrore dell’omicidio stesso? Perché, in altri termini, ci poniamo il problema solo quando ci mostrano un qualcosa che forse esisterebbe comunque, invisibile ai nostri sguardi? Forse per il fatto che, un po’ cinicamente, va sempre a finire che “occhio non vede, cuore non duole”?

    Snuff 102 pone questi interrogativi, ma solo per chi riuscirà a coglierli: tutti gli altri vedranno una stronzata inutilmente violenta, se non addirittura un film antitetico al genere femminile. Cospargendo di citazioni la pellicola – alcune delle quali sopra le righe, come “Perchè essere morali quando si può essere anonimi?” che fa riferimento dall’uso falsamente anonimizzante di internet – “Tutte le scene di tortura documentate nel film sono reali”, ci dicono i sottotitoli. Sì, buonasera: sappiamo com’è nata la strega di Blair, la cosa puzza ovviamente di bufala anche se il primo impatto col film è davvero molto realistico. Sembra di stare per assistere a qualcosa di malato, reale e folle: e la seconda citazione del film riguarda giusto la perversione, esplicata dall’usare il corpo altrui come se fosse un vuoto involucro.

    E poi, naturalmente, lo spiegone scientifico sulla misoginìa, un dato di fatto maledettamente confermato dalla storia. A Peralta piacciono le citazioni, evidentemente, visto quante ne ha cosparse nell’intera pellicola. Quando compare la sequenza di uccisione di un maiale, con la scritta che è tratta dal video illegale dell’uccisione di una persona, mentre nel video si vede “solo” lo sgozzamento dell’animale, e a quel punto qualche sopracciglio inizia a sollevarsi: l’approccio scelto dal regista appare sostanzialmente disonesto, guidato forse da logiche di marketing piuttosto logore. Dopo aver assistito a qualche scena macabra che mostra le vittime di un serial killer dedito sia agli omicidi ultra-gore che alla necrofilia, l’intreccio si incrocia con l’inchiesta di una giovane giornalista, e la considerazione più interessante arriva dopo una ventina di minuti: impossibile che esistano gruppi dediti al culto degli snuff, visto che qualche adepto finirebbe per denuciare gli altri, presto o tardi. È più probabile, invece, che un sociopàtico solitario possa voler riprendere i propri crimini in diretta, visto che non dovrebbe davvero rendere conto a nessuno delle follie che commette. Inquietante, e purtroppo abbastanza realistico: esattamente come l’andamento del film stesso, caratterizzato da una parvenza dichiaratamente immorale. Alcune scene a cui assisteremo di lì  a breve sono esageratamente violente, e sembrano ispirate ai testi più crudeli dei Cannibal Corpse (se state pensando a Fucked with a knife siete sulla strada giusta). Colonna sonora elettronica, se importa qualcosa, secondo me azzeccata, anche se – per i toni con cui è stato girato il tutto – a quel puntosarebbe stato preferibile un po’ di (in)sano goregrind.

    Tornando al film c’è molto non quadra: iniziare un film con un preavviso esplicito che si tratta di uno snuff (Avviso: nel DVD porno che avete comprato si vedono un sacco di tette e culi pornissimi), fa scattare – in parallelo al senso di disgusto – uno scetticismo di fondo, che ci spinge a bollare film del genere come spazzatura alla pari di “Casalingue amatoriali Vol. 102/b”. Hai voglia che riporti citazioni o mi fornisci spunti di riflessione filosofico-sociali: pseudo-snuff masturbatori che, per una strana ragione, siamo comunque invogliati a seguire fino alla fine nonostante gli inquietanti presupposti, e non ci sono prediche o moralismi che possano farci chiudere il televisore. Questo meccanismo di disgusto-fascino, vagamente ipocrita a ben vedere, è stato splendidamente descritto nell’ottimo Tesìs già undici anni prima del 2007: sarebbe forse il caso, quindi, oltre a guardare la pellicola appena citata, di scollarci di dosso definitivamente l’etichetta di “spettatori verginelli” , fermo restando che questo non è esattamente Horror o meglio, finisce per esserlo al 70% solo per via dei gusti bizzarri (per non dire insani) di parte del suo pubblico. Anche perchè chi vede “Snuff 102” sa tipicamente a cosa andrà incontro, per cui c’è davvero poco da discutere in merito. Pratiche alimentari a parte (visto che i maiali, ad esempio, molti li mangiano a prescindere da quante volte muoiano in “Snuff 102”), la crudeltà è stata purtroppo sdoganata a ben altri livelli; una violenza che  – nell’epoca dell’esibizionismo assoluto su internet, annesso alla sfera sessuale e non solo – conosciamo fin troppo bene. Insomma: sappiamo a cosa stiamo andando incontro, molti di noi hanno presente cosa propongano certi siti per incrementare le visite , e in un prodotto cinematografico regolarmente distribuito deve  ovviamente permanere la certezza, fino a prova contraria, che sia stata solo finzione.

    Evitiamo pero’ il razzismo culturale che ci fa considerare queste cose infinitamente distanti da noi, e inquadriamo il problema sempre nel contesto in cui si trova (esempio facile: l’ispirazione di Hostel per la dinamica degli omicidi, che avvenivano di comune accordo mediante un sito web all’interno di una rituale poi “risarcito” economicamente ai parenti della vittima). Non voglio fare di Peralta un eroe del nuovo millennio, ma resta indiscutibile che film così finiscono per diventare testimonianza indiretta di quanto sia diventata spocchiosa, insoddisfatta, maleducata – nel senso di “non abituata” al cinema di qualità – e indisponente una buona fetta del pubblico dell’orrore, e di cosa siano “costretti” ad inventarsi certi registi per andare loro incontro. Un regista che, in definitiva, realizza un discreto film, non esente da difetti e con un tasso di tensione sopra la media, che si sofferma pero’ troppo su aspetti violentemente voyeuristici, senza contare che un’ora e quaranta di durata è troppo, è una martellata sulla nuca che diluisce l’effetto globale della pellicola stessa. Un assolo interminabile senza una sola pausa: allora possiamo criticare modalità, regia, interpretazione e profanazione di corpi femminili (quello della donna incinta è ovviamente uno dei più sgradevoli), ma attenzione a certe considerazioni troppo “di pancia” che finirebbero per incrementare viralmente le persone che lo vedranno, facendoci passare per moralisti “a singhiozzo”. Teniamo ben presente quello che ho scritto all’inizio: per estensione, le scene di guerra dei TG ci farebbero convincere che i cameraman vadano lapidati perchè più colpevoli degli esecutori dei delitti.

  • Atto di forza: un capolavoro tuttora ineguagliato di fantascienza

    Nel 2084 Douglas Quaid è un umile operaio edile, con il sogno insoddisfatto di fare finalmente una vacanza su Marte: poichè non può permettersi di meglio, si rivolge all’azienda Recall, specializzata nel trapianto di ricordi fasulli nella mente dei clienti. Sarà l’inizio di una nuova storia che si confonderà con la vecchia…

    In breve. Sogno, realtà e vita reale: un buon archetipo di fantascienza cyberpunk da cui Cronenberg, a livelli decisamente più “colti” se vogliamo, saprà trarre “eXistenZ”; Verhoeven mostra comunque di sapersi cimentare abilmente con il tema del futuro distopico (come aveva fatto nel notissimo “Robocop”, del resto), mentre Schwarznegger interpreta dignitosamente un ruolo che non sembra essergli troppo congeniale. Per chi avesse letteralmente vissuto su Marte (!) e non lo sapesse, la storia è ispirata a “Ricordiamo per voi” di Philip Dick.

    Atto di forza, un cult di fantascienza anni ’90, nasce dal sodalizio tra Schwarzy ed il regista Verhoeven, all’epoca noto per Robocop (una fantascienza distopico-satirica considerevole anch’essa), film che aveva fornito discreta popolarità al regista. A quanto pare fu lo stesso futuro governatore della California a mandare lo script al regista e proporglielo, che Verhoeven accettò a patto di apportare alcune modifiche in senso realistico.

    L’accordo per realizzare Atto di forza venne firmato a fine del 1998, e venne filmato a Città del Messico per via delle sue architetture futuristiche. Oltre 500 persone furono coinvolte nella sua realizzazione, costruendo 45 set e rendendo Total recall uno dei film più costosi della storia, subito dopo Rambo (1988). Lo script venne lavorato a Dan O’Bannon, tra gli altri, che concepì la storia di Alien parallelamente a quanto aveva fatto per questo film. Il film avrebbe dovuto essere realizzato da Dino De Laurentiis, che sembra non vedesse di buon occhio il ruolo di Schwarzy – tant’è che poi il film venne comprato da Mario Kassar su pressione dell’attore.

    Un ruolo certamente inedito per il buon Arnold, in grado di conferire un discreto spessore psicologico e tormentato al proprio personaggio (inevitabile, trattandosi di Philip Dick). Menzione particolare, infine, per il personaggio di Sharon Stone, sex symbol ottantiano per eccellenza e qui dotata di una doppiezza magistrale. Tanto che si guadagnò la fama di “female Terminator” (il terminator donna) grazie ad un’interpretazione imprevedibile che le valse anche il ruolo di protagonista, poco dopo, in Basic Instinct. La colonna sonora del film, affidata a Jerry Goldsmith, è considerata dal musicista una delle migliori che abbia mai realizzato.

  • Pulp fiction: abbiamo ricostruito la trama in ordine cronologico

    La definizione dell’autorevole urban dictionary a riguardo della parola Pulp, difficile da tradurre in italiano, non lascia adito a dubbi: un film, un libro o una pubblicazione di altro tipo di argomento lurido e oscuro, come ad esempio un crimine. In molti casi gli argomenti di natura shockante sono affrontati come se fossero ordinari.

    Lìessenza di Pulp fiction è forse tutta qui, in quelle due frasi così incisive, a patto però che non diventi uno dei tanti film più discussi che visti, come tradizione cinefila imporrebbe subdolamente. Pulp fiction va visto, rivisto e assimilato per poterne apprezzare la bellezza antica, novantiana ed ovviamente pulp.

    Capolavoro di Quentin Tarantino del 1994, e non per modo di dire: diventato oggetto di cult per la fluidità fuori norma, per gli omaggi cinematografici e la molteplicità di riferimenti (Rocky Horror Picture Show e I guerrieri della notte, tanto per citare i più noti). Un film costruito su riferimenti da veri cinefili, capace di stordire, appassionare, spaventare e divertire: certamente l’opera “di cassetta” forse meglio riuscita di ogni tempo da parte del regista. Un regista che all’epoca era saldamente ancorato sulla rielaborazione del cinema di genere anni 70, prima della svolta pop recente che lo avrebbe consacrato al famigerato “grande pubblico”.

    La storia è sostanzialmente divisa in tre parti, e il regista ha deciso di spezzattarla e rimontarla in modo anti-casuale, stravolgendo l’ordine cronologico e riuscendo comunque a chiudere il cerchio in modo anticonvenzionale.

    In fondo non ha alcuna importanza che il regista ritagli per sè una parte minima (neanche troppo rilevante per la trama), e non importa neanche troppo che ci sia un cast di tutto rispetto (John Travolta, Samuel L. Jackson, Uma Thurman, Harvey Keitel il “risolvi-problemi” e Bruce Willis): il vero protagonista del film è il cinema amato dal regista, e declinato in decine di “salse” diverse, fatto di riferimenti – per la verità non sempre ovvi e spesso molto di nicchia.

    In ordine cronologico i fatti sono i seguenti: Vince (Travolta) si procura dell’eroina da uno spacciatore (Lance), e successivamente deve accompagnare la moglie cocainomane del suo capo (Mia, Uma Thurman) a trascorrere una serata in un caratteristico locale (Jack Rabbit Slim’s). La serata si conclude drammaticamente: la donna va in overdose per aver sniffato la dose appena procurata, e Vince la riporta al suo spacciatore al fine di praticarle in’iniezione di adrenalina al cuore. La donna si risveglia e concorda di non raccontare l’accaduto al marito.

    In questa fase viene fuori il “pulp” del film: dialoghi surreali, sarcastici, sul filo del rasoio ed estremizzati come da tradizione del cinema di genere. Il dialogo tra Mia e Vince, fatto di allusioni, imbarazzi ed nevrosi dei due personaggi è quasi l’archetipo dell’appuntamento tra due persone che sanno di non poter “spingersi oltre” pur essendo attratte l’uno/a dall’altra/o. Visivamente la scena più forte è quella della siringa al cuore, un capolavoro di tensione degno di Dario Argento, che Tarantino fece eseguire al contrario per rimontarla all’inverso.

    Successivamente Vince, assieme al suo collega Jules (S.L. Jackson), si reca in macchina da alcuni spacciatori, i quali possiedono una valigetta appartenente al loro capo (Wallace) dal contenuto misterioso (mai chiarito dal film). Nessuno sa cosa ci fosse nella valigetta: diamanti, soldi, quello che penso che sia (cit.), Sto cazzo™️… Che importa. Ha importanza solo che ne dibattiamo ancora oggi, forse. Dopo aver discusso (e dopo essere scampati miracolosamente all’aggressione da parte di un quarto spacciatore fino ad allora nascosto), i due uccidono senza pietà tutti i presenti nell’appartamento tranne uno, che porteranno con sè: poco dopo Vince gli sparerà a morte per errore all’interno della macchina. Jules si rivolge a Jimmie Dimmick (Tarantino) per avere un luogo dove fermarsi, e contatta mediante il loro capo il celebre sig. Wolf, il risolvi-problemi, il quale riuscirà a far ripulire l’auto senza lasciare traccia.

    In questa fase del film la violenza visiva (ed estetizzata) raggiunge il proprio apice, e si esaspera particolarmente l’uso del torpiloquio e del non politically-correct. Rimane nella storia la scena dell’omicidio in macchina ed il versetto biblico –  inventato – recitato a memoria da Jules.

    Poco dopo i due gangster vanno a fare colazione in un vicino fast-food, nel quale Zucchino e Coniglietta (coppia nevrotica di rapinatori alla Bonnie e Clyde) organizzano sul momento una rapina nel locale, facendosi consegnare tutti i soldi dai presenti. Il rapinatore (Tim Roth) incontra Jules, il quale dopo averlo affrontato a muso duro lo disarma. Alla fine decide di lasciarlo in vita, poichè l’essere sopravvissuto all’aggressione di poco prima lo ha fatto entrare in una fase mistica, che gli impedirà di proseguire a fare il gangster. Alla fine dona il contenuto del proprio portafoglio – quello con su scritto “Bad MotherFucker” – al rapinatore, che riesce ad fuggire con la compagna.

    Condotto quasi sulla falsariga del celebre “Un giorno di ordinaria follia” (durante la scena della finta-rapina al fast food dell’impiegato), questa fase del film caratterizza in modo eccellente altri due personaggi, e mostra l’ inatteso spessore dei personaggi di Vince e Jules.

    L’ex pugile Butch (Willis) tratta con Wallace di disputare un incontro truccato a pagamento: i suoi piani pero’ prevedono di incassare subito la somma pattuita, puntando poi su se stesso presso vari bookmaker e vincendo l’incontro, venendo meno ai patti. Nel frattempo riesce a rientrare nel motel dove lo attende la fidanzata: il giorno dopo si rende conto di aver dimenticato l’orologio appartenuto a suo padre e a suo nonno, e ritorna nel proprio appartamento a recuperarlo. Lì, pur trovando Vince ad attenderlo, riesce fortuitamente ad avere la meglio su di lui uccidendolo con l’arma che il gangster aveva lasciato sul tavolo proprio mentre usciva dal bagno.

    Mentre Butch è in fuga con la macchina, fermo ad un semaforo incontra casualmente Wallace in persona, e decide di andargli addosso con la macchina ferendolo (e ferendosi) gravemente. Da qui nasce un inseguimento a piedi che culmina all’interno di un negozio, gestito dal sadico Maynard che tramortisce i due e li porta nello scantinato per stuprarli. Mentre l’amico del proprietario, il poliziotto Zed, sta esercitando violenza sessuale sull’immobilizzato Wallace, Butch riesce a liberarsi e fa fuori lo “storpio” (lo schiavetto della coppia in tenuta sadomaso). Convinto inizialmente a darsela a gambe ritorna invece sui suoi passi, scegliendo accuratamente un’arma adatta a liberare Wallace (un martello, una mazza da baseball, una motosega ed infine una katana). Trafigge così Maynard, mentre lascia la vendetta per Wallace, che si preannuncia particolarmente lenta e dolorosa, estinguendo per riconoscenza verso l’ex antagonista il suo debito precedente. Butch ritorna al motel a bordo di un chopper e fugge da Los Angeles con la fidanzata.

    La parte conclusiva di “Pulp fiction” merita un posto d’onore all’interno della storia del cinema, non tanto per le citazioni sparse – tra cui evidentemente “Poliziotto sadico“, e quasi certamente qualche exploitation di nicchia di argomento sadomaso – quanto per il ritmo e lo svolgersi dell’intreccio. Probabilmente la parte migliore del film, recitata con grande spirito da Bruce Willis, e ricca di personaggi aggiuntivi e di micro-storie annesse (lo schiavetto, la tassista, la fidanzata del pugile).

    Alcuni dettagli del film potrebbero globalmente spiazzare il pubblico, che potrebbe non comprendere certi riferimenti o infastidirsi per l’autoreferenzialità del regista, senza contare la miriade di dettagli – che non riporto per brevità – che arricchiscono un film di quasi tre ore (!). In realtà sono proprio questi ultimi a costituirne la base della grandezza che si è tramandata fino ad oggi, offrendoci un’opera che riesce a non far sbadigliare neanche per un attimo.

    Un film che dice molto più di quanto possa raccontare una recensione, e che dipinge lo stile del primo Tarantino assieme a Le iene e Jackie Brown.

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