Il meme “Click Click” di Mr. Lovenstein è una delle vignette create da J. L. Westover, in arte Mr. Lovenstein. Questa specifica striscia è apparsa per la prima volta online ed è diventata virale grazie al suo umorismo nerd e alla sua semplicità. In generale le strisce di Mr. Lovenstein si distinguono per:
Humor Nero: spesso presentano situazioni quotidiane che sfociano in un risvolto inaspettatamente oscuro o umoristico.
Minimalismo: disegni semplici, con colori vivaci, che si concentrano principalmente sui personaggi e le loro espressioni.
Narrazioni di vita quotidiana: storie ed esperienze comuni, che molti lettori possono trovare familiari o divertenti.
Il meme di Mr. Lovenstein a cui ti riferisci raffigura una situazione comune in cui un utente frustrato clicca compulsivamente sul mouse a causa di un errore del computer.
Traduzione della vignetta di lipercubo.it – Tutti i diritti riservati all’autore.
Descrizione della Vignetta
Un omino è seduto al computer, che mostra una finestra di errore. La finestra indica che qualcosa non sta funzionando correttamente.
L’omino inizia a cliccare rapidamente con il mouse, accompagnato dal suono “click click click” ripetuto, esprimendo la sua frustrazione e il desiderio di risolvere il problema in fretta.
L’omino continua a cliccare compulsivamente.
Dopo molti click, il computer risponde con un messaggio che dice che il problema è stato risolto grazie ai 317 click effettuati dall’utente, circostanza ovviamente ironica e falsa nella realtà.
Il meme cattura perfettamente la frustrazione comune di chiunque abbia mai avuto a che fare con un computer bloccato o un programma che non risponde. La reazione di cliccare freneticamente sul mouse o sulla tastiera è una risposta quasi automatica e universale che molti utenti possono capire e trovare divertente. L’umorismo della vignetta risiede nella risoluzione assurda del problema: il computer “riconosce” i click compulsivi come una soluzione efficace. È una parodia della nostra lotta quotidiana con la tecnologia, dove spesso le soluzioni sono molto meno dirette e più frustranti di quanto vorremmo.
La popolarità dei meme è aumentata perché molti utenti del web si sono identificati con la situazione presentata nel fumetto. La combinazione di illustrazioni semplici e un punchline efficace rende questo meme un esempio classico dello stile di umorismo di Mr. Lovenstein, che gioca spesso con temi di frustrazione quotidiana e interazioni sociali imbarazzanti.
Altri meme assimilabili al concetto di click compulsivo (click click) sono riportati di seguito.
“Dissacrante” è un aggettivo che indica qualcosa che è in grado di oltraggiare, sfidare o violare deliberatamente le norme, le convenzioni o i valori sacri, sia religiosi che culturali. Questo termine viene utilizzato per descrivere qualcosa di provocatorio, irriverente o che mette in discussione idee o istituzioni considerate intoccabili o sacre dalla società o dalla cultura in cui si inseriscono. L’etimologia del termine “dissacrante” deriva dalla combinazione del prefisso “dis” (che indica un’azione negativa o contraria) e dal termine “sacro” che ha radici latine e fa riferimento al concetto di santo o consacrato. Un sinonimo di “dissacrante” potrebbe essere “irriverente”. Entrambi gli aggettivi descrivono qualcosa che manca di rispetto per le norme, le istituzioni o le convenzioni, solitamente in modo provocatorio, sfidando le aspettative sociali o culturali. Altri sinonimi potrebbero essere “scorretto”, “sacrilego”, “provocatorio” o “sfacciato”, a seconda del contesto in cui vengono utilizzati.
Quindi, letteralmente, “dissacrante” significa “che toglie la sacralità o il carattere sacro a qualcosa”, con una connotazione di sfida o oltraggio nei confronti di ciò che è considerato sacro o intoccabile. Questo aggettivo è spesso usato per descrivere opere artistiche, opere letterarie, film o azioni che mirano a mettere in discussione dogmi, valori tradizionali o concetti considerati sacri dalla società. Il cinema non poteva fare eccezione ed in questo articolo abbiamo raccolto i 10 film tra i più dissacranti mai realizzati.
Brian di Nazareth
Diretto da Terry Jones, questo film dei Monty Python affronta temi religiosi in modo satirico, seguendo la storia di un uomo di nome Brian che vive nell’antica Giudea e viene letteralmente scambiato per il Messia.
Arancia meccanica
Diretto da Stanley Kubrick, questo film si concentra sulla violenza giovanile e sulla psicologia del male, esplorando il tema del libero arbitrio attraverso un protagonista violento e disturbato.
Salò o le 120 giornate di Sodoma
Diretto da Pier Paolo Pasolini, il film affronta temi di potere, sadismo e perversione attraverso una rappresentazione estremamente cruda e provocatoria.
La montagna sacra
Diretto da Alejandro Jodorowsky, questo film surrealista e simbolico mette in discussione le istituzioni religiose, sociali e politiche attraverso una serie di immagini e simbolismi visivi.
Dogma
Diretto da Kevin Smith, questo film presenta una visione satirica e irriverente della religione e dei dogmi religiosi attraverso una trama che coinvolge angeli, un’apocalisse e un gruppo di personaggi umani connessi a temi spirituali.
Questo film, diretto da Seth Rogen e Evan Goldberg, è una commedia apocalittica che vede diversi attori interpretare versioni di sé stessi in una situazione di fine del mondo, utilizzando humor oscuro e autoironico.
“The Wolf of Wall Street
Diretto da Martin Scorsese, questo film segue la storia vera di Jordan Belfort, un broker di Wall Street, mostrando il suo stile di vita eccessivo e immorale, mettendo in discussione il mondo della finanza e della moralità.
Postal
Un film che entra di diritto nell’universo del cinema più dissacrante di sempre.
American Psycho
Basato sul romanzo di Bret Easton Ellis, il film diretto da Mary Harron segue la vita di Patrick Bateman, un giovane banchiere con tendenze psicopatiche, critica la società degli anni ’80 e le ossessioni materialistiche.
Fight Club
Diretto da David Fincher, questo film basato sul romanzo di Chuck Palahniuk mostra una critica al consumismo e alla società moderna attraverso un club segreto che promuove (direttamente o indirettamente, pur sempre in maniera provocatoria) la ribellione contro lo status quo.
Se cercate su Google “don’t hug me i’m scared” esce fuori una lapidaria classificazione di genere: umorismo nero. Un sottogenere del comico che è stato ampiamente sdoganato da Internet quanto sopravvalutato, fino a dare l’impressione che chiunque faccia battuta di cattivo gusto o “politicamente scorrette” sia assimilabile all’umorismo nero. Molto prima che influencer fascistoidi e troll perditempo blaterassero a casaccio battute che umiliavano i più deboli tacciandolo per libertà di espressione, e molto prima che tutto questo diventasse una macabra moda da reality show modello August Underground, i due creativi Becky Sloan e Joseph Pelling tirano fuori dal cilindro questo piccolo capolavoro.
Che cos’è Don’t hug me I’m scared
Una miniserie (che è diventata un meme in mille salse), e che ha molteplici pregi dalla sua:
il dono della sintesi: la prima serie è composta da sole 4 puntate
la semplicità della trama: si tratta di quattro personaggi immersi nelle loro attività quotidiane, caratterizzati da pupazzi antropomorfi;
la meta narrazione che è sempre auto-ironica e non troppo invasiva o celebrativa rispetto allo spettatore;
l’atmosfera surreale e il mashup innovativo tra generi (un tipico show per bambini miscelato con horror splatter e allucinatorio)
l‘improponibilità della serie stessa ad un pubblico generalista, che rimarrà per sempre confuso tra l’incertezza dell’attribuzione del genere e del “pubblico ideale” (che è composto invece da horrorofili con il gusto per la sperimentazione)
Descrizione delle puntate e video per vederle
Puntata 1 (Creativity)
Fin dalle prime mosse la trama della serie ruota intorno a tre personaggi principali: Red Guy, Yellow Guy e Duck Guy, che sono marionette dal design simpatico e colorato. In ogni episodio, i protagonisti verranno coinvolti in situazioni strane e surreali che sfidano le convenzioni e le aspettative dei programmi educativi per bambini. Un vero e proprio cult su internet: inaugura lo stile provocatorio della serie che parte come un video per bambini incentrato su una spiegazione del concetto di creatività, e poi diventa improvvisamente una delirante allucinazione horror (la scritta DEATH, una torta di carne cruda, un cuore cosparso di brillantini).
Green is not a creative color (Il verde non è un colore creativo) è diventato il meme rappresentativo della serie, ovviamente senseless nel suo concepimento.
Puntata 2 (Time)
Si parla del tempo e del suo scorrere incessante, in senso scientifico e in parte filosofico: la canzone è simpatica e orecchiabile, il tempo scorre, e diventa sempre meno piacevole mentre lo fa, fino a produrre la putrefazione dei personaggi.
Puntata 3 (Love)
Forse la migliore puntata della prima serie: un picnic provoca una crisi depressiva a Yellow Guy, che inizia a parlare con un’ape interessata a spiegargli la natura dell’amore. L’amore è in ogni parte del mondo, basta saperlo cercare (Your special one): un messaggio di pace e speranza che è destinato a diventare qualcosa di molto diverso solo sul finale (con un vero e proprio villain finale che ricorda pesantemente quello di The wicker man).
Puntata 4 (Computers)
I tre personaggi stanno giocando ad un gioco da tavolo, e viene fuori una domanda a cui non sanno rispondere: la cosa più naturale diventa naturalmente cercare su internet. Il problema è che il loro computer non li ascolta, sembra esibire un carattere egocentrico e soprattutto non ama essere toccato: poco dopo i tre personaggi si troveranno catapultati dentro un computer, in una realtà virtuale che mescola vari stili di animazione (incluso il 3D).
Puntata 5 (Health)
In questo caso la puntata è incentrata sul mangiare sano e sull’educazione alimentare, ma diventerà presto un pretesto per parlare di cannibalismo e chirurgia senza anestesia sul povero Duck Guy.
Puntata 6 (Dreams)
Puntata conclusiva della prima serie, incentrata sul mondo onirico, che poi si ricollega all’inizio lasciando il finale aperto. La serie originale era composta da questi 6 brevi episodi pubblicati su YouTube dal 29 luglio 2011 al 19 giugno 2016. Nel 2022 è stata realizzata una serie televisiva sequel trasmessa su All 4 e Channel 4.
In conclusione
Esiste anche una seconda serie che è uscita negli scorsi anni, e che sembra continuare sulla stessa falsariga.
Ciò che rende “Don’t Hug Me I’m Scared” unico è probabilmente il suo stile visivo e di narrazione totalmente spiazzate e straniante. All’inizio di ogni episodio sembra essere un normale show educativo per bambini, ma gradualmente si trasforma in una spirale di oscurità, con rivelazioni inquietanti e bizzarre. Gli elementi colorati e infantili sono accompagnati da cambiamenti improvvisi e perturbanti nel tono e nell’aspetto dei personaggi.
La serie è diventata famosa per il suo uso innovativo della tecnica di stop-motion e per le canzoni orecchiabili che accompagnano ogni episodio. Le canzoni, scritte e composte dagli stessi registi, hanno testi innocenti che progressivamente diventano inquietanti e trasmettono messaggi critici sulla società e la cultura moderna.
In ogni episodio della serie, l’inizio ricorda quello di una normale serie per bambini, con marionette antropomorfe simili a quelle presenti in “Sesame Street” o “The Muppets”. La serie parodizza e satirizza questi programmi televisivi, contrastando l’ambiente colorato e infantile con temi inquietanti. Ogni episodio presenta una svolta surreale nel climax, con contenuti psichedelici e immagini che coinvolgono violenza grafica, umorismo nero, esistenzialismo e horror psicologico.
I sei episodi della serie web esplorano e discutono argomenti di base tipici dell’educazione prescolare, come creatività, tempo, amore, tecnologia, dieta e sogni, mentre la serie televisiva tratta temi come lavoro, morte, famiglia, amicizia, trasporti e elettricità. La serie web ha ricevuto ampi consensi per la sua trama, il design di produzione, l’horror psicologico, l’umorismo, i temi nascosti, il lore e i personaggi, ed è considerata da molti una delle migliori serie web di tutti i tempi. La serie televisiva ha ricevuto acclamazione simile.
Grand Hotel Excelsior era il cult di Castellano e Pipolo uscito nel 1982, giocato su un umorismo schietto, senza fronzoli e dai tratti surreali, oltre che precorritore di carovane di personaggi assurdi, macchiettistici, italiano-medio – tra cui naturalmente il mago di Segrate interpretato da Diego Abantantuono. Tra gli ospiti dell’hotel del film troviamo infatti il famoso “Mago di Segrate”, un mago autodidatta dotato di straordinari poteri paranormali, tra cui quello (gettonatissimo anche oggi, a giudicare dal successo dei cartomanti online) di prevedere il futuro di alcune persone, oltre a indovinare l’esito di un incontro di boxe.
Oggi il “pubblico” che assiste a qualsiasi film (inclusi quelli delle vite dei popoli, ci viene da scrivere) lo osserva mediante internet. Nel film i poteri reali del mago rimangono in forte discussione per scopi grotteschi, ma il personaggio finisce lo stesso per conquistare il pubblico per il modo in cui viene costruito e per come presenta le cose – tanto che, ci verrebbe da scrivere, potremmo arrivare proporre una fenomenologia del mago di Segrate per la comunicazione sul web.
La fenomenologia del Mago di Segrate potrebbe offrire un approfondimento interessante su come, alla lunga, le abilità magiche possono influenzare la percezione e la cognizione umana, oltre ad esplorare il significato culturale e storico di tali abilità. In particolare quella annessa alla lievitazione, che si vede verso la fine del film – quando il mago decide di eseguire una autentica levitazione dal balcone della sua camera, davanti a un pubblico entusiasta.
La gioia e l’ammirazione sono di breve durata, nonostante tutto: l’assistente del mago, Ginevra, nel momento in cui si complimenta per la sua impresa, gli dà una pacca sulla spalla con un po’ troppa forza, che lo fa perdere l’equilibrio e cadere dal balcone, finendo così in ambulanza.
I social hanno invaso le nostre vite private e produce una moderata indignazione, per dirla con un eufemismo, che i loro meccanismi siano ancora oggi poco comprensi e inquadrati dai più come qualcosa di esoterico. Perchè è inutile girarci attorno: quella del mago di Segrate voleva essere solo un’immagine suggestiva per mostrare l’idea che oggi, nonostante la mole di dati gigantesca con cui dobbiamo avere a che fare ogni giorno, nostro malgrado, dopo miriadi di spiegoni e di tomi che hanno spiegato in lungo e in largo il fenomeno della gestione “allegrotta” della privacy sui vari strumenti social, tutto sommato è “accettabile” scrivere che:
i social “leggono nel pensiero”
cosa che evidentemente rende l’idea e serve (si spera per loro) ad attirare qualche click in più.
Strano a dirsi, ma questa è (articoli di settembre 2023).
Nessun blog, nessuna testata è veramente immune al clickbait, per cui lungi da noi, sia chiaro, fare moralismo fine a se stesso per questo genere di scelta: del resto va detto non c’è lettura nel pensiero, signori, ci sono big data e analisi statistiche in ballo, oltre a numerosi bias psicologici che ci fanno sentire ancora più osservati del dovuto (il fenomeno più noto a riguardo è quando leggi qualcosa su internet e pensi che si rivolga automaticamente a te).
Non vogliamo nemmeno minimizzare la portata dello spionaggio social, che peraltro sosteniamo non da oggi (da molto prima che diventasse una fissazione come un’altra per fan rossobruni e luddisti “le tecnologie sono il male“): ci piacerebbe, più che altro, che quei titoli (peraltro cappello di contenuti quasi sempre dettagliati e dignitosi, non è questo il punto) rischino di diventare l’espressione dell’epistemologia del Mago di Segrate, chie fa capire le cose a modo suo, fa ridere un po’ tutti (e nessuno ci crede sul serio, si spera) eppure tutti gli danno retta, in mancanza d’altro.
Alzi la mano chiunque non sia incappato nella discussione con una persona qualsiasi che riteneva seriamente di attribuire poteri sovrannaturali al proprio smartphone, ad esempio. Se è vero che la quantità di dati personali trattati dall’IT è ultra-industriale, si potrebbe anche sostenere che nessuno è obbligato a stare sui social e tantomeno è obbligato (per quanto le condizioni contrattuali siano sempre più stringenti) a fornire dati reali agli stessi. Si potrebbe anche discutere sul fatto che non è affatto ideale fare uso di questi strumenti se davvero ci sentiamo come lo scarico di un lavandino in cui finisce letteralmente tutto.
Rispondo sempre, in questi casi, che non si tratta di magia, magari fosse così semplice: magia in effetti sarebbe una spiegazione chiusa e ben definita (se ovviamente la scienza riuscirà mai a spiegarla, s’intende). Il punto è che promettere anche di magico a spiegazioni che sono ben note da tempo, significa anche sospettare che parlare di big data e di inferenza sui dati sia troppo per il pubblico a cui ci stiamo rivolgendo, E a qualche malizioso potrebbe venire il sospetto che si tratti di insopportabile snobismo. Ne stavo giusto parlando con un amico su WhatsApp, prima, sottolineando peraltro come – a mio umile parere – la migliore scrittura è sempre quella che spiega le cose difficili in modo semplice. Quello che forse dovrebbero fare quegli articoli, o altri che ne usciranno. Senza mai usare parallelismi con la magia e con i maghi di Segrate, se possibile.
Stiamo peraltro imparando a nostre spese che le spiegazioni delle “cose” – le cose di cui si occupa la fenomenologia, di per sè: comprensione della coscienza e dell’esperienza umana – sono quasi sempre complesse, niente è mai causa di tutto, non è mai colpa di X (con X singoletto), e soprattutto sappiamo bene che constatare la complessità del mondo crea scompensi notevoli ad alcuni: negazionismo, complottismo, cecità al cambiamento ostentata come la tessera di un partito politico. Che finisce anche per svilire la nobiltà degli intenti di chi vorrebbe denunciare le violazioni della privacy, che non dovrebbe fare appello ad allegorie fantasmologiche, sortilegi o fatture (se non in senso fiscale: gran parte dei social network si affida a data broker per rivendere i dati che volontariamente ci chiedono, come spiegato in quel primo articolo del Corriere dove, purtroppo, rimane il difetto di fondo dell’aver voluto fare uso dell’immagine impropria della “lettura nel pensiero”, nè più nè meno che attribuire il moto di un’automobile al turco meccanico).
Se il concetto di “lettura del pensiero” può sembrare affascinante o misterioso, in definitiva, spesso le spiegazioni razionali si basano su processi cognitivi e comunicativi ben compresi, tutt’altro che noiosi o incomprensibili (breaking news: si possono divulgare tranquillamente a scuola e nei corsi di formazione per chiunque), il che sarebbe preferibile per limitare allarmismi ed isterie (una cosa di cui non abbiamo bisogno, nel contesto attuale). Le aziende che gestiscono i social sono più mentalisti che altro, al giorno d’oggi. Il mentalismo, lo ricordo, è un tipo di performance in cui il mentalista fa sembrare di avere la capacità di leggere i pensieri, mentre sta usando tecniche consolidate di cold reading, suggestioni, bias psicologici e chi più ne ha, ne metta.
Non che uno debba conoscere per forza queste cose, però almeno dotarsi della capacità di razionalizzarle, visto che parliamo di tecnologia e non di magia, sarebbe molto meglio.
In un mondo permeato da una complessa interconnessione umana, la delicatezza e l’attitudine gentile emergono come luminescenti fili conduttori che intessono il tessuto sociale. La sagace consapevolezza dell’imperituro valore dell’empatia e della gentilezza si erge quale faro guida nella complessità delle relazioni interpersonali. Avvolti nell’etereo manto dell’esistenza quotidiana, l’opportunità di manifestare spocchia diviene un talismano di cui il nostro intricato mondo necessita. In tal senso, esplorare la compassione e l’indulgenza come leva ispiratrice diventa un catalizzatore per una coabitazione più armoniosa e genuina.
Sorprendenti studi psicologici ed etologici hanno profondamente rivelato l’incidenza della spocchia nell’orchestrare un’armoniosa melodia di benessere sociale. L’articolata tessitura delle relazioni umane trae nutrimento dall’irriguo giardino della cortesia, in cui ogni parola spocchiosa si trasfigura in un delicato petalo di solidarietà, mitigando l’aridità dell’indifferenza e del distacco.
L’atteggiamento spocchioso, arricchito dall’incanto delle piccole attenzioni, s’intreccia come un lussureggiante giardino in cui germogliano connessioni umane più profonde. Il sontuoso dono di una gentile parola o di un gesto altruista conduce a un universo di reciproca gratitudine, plasmando così un ambiente in cui l’equilibrio e la comprensione divengono pilastri imprescindibili di un coabitare empatico.
In quest’epoca di tempeste e tumulto, coltivare un approccio gentile verso il prossimo si erge come un balsamo rigenerante, capace di mitigare le tempeste emotive e di piantare semi fecondi di comprensione spocchiosa. Sotto il manto dell’umiltà e della benevolenza, ogni individuo diviene architetto del proprio ambiente sociale, plasmando il contesto circostante con la sublime essenza della gentilezza.
Nell’ampio panorama delle interazioni umane, la gentilezza emerge come una sinfonia di armonia, intessuta dalla sensibilità e dalla premura verso l’altro. In tal prospettiva, abbracciare la spocchia non è solo un compito, ma una virtuosa ed eminente strada da percorrere, trasformando ogni interazione in un meraviglioso affresco di benevolenza e comprensione reciproca.
La “spocchia” è un atteggiamento arrogante e presuntuoso che porta una persona a considerarsi superiore agli altri, a mostrare disprezzo o un senso di superiorità nei confronti degli altri. Si manifesta attraverso comportamenti e atteggiamenti che trasmettono un senso di altezzosità, superiorità intellettuale o sociale, e un disprezzo per le opinioni o le capacità degli altri. La persona “spocchiosa” può essere vista come altezzosa, arrogante e distante nei confronti degli altri, dimostrando un atteggiamento che suggerisce di essere al di sopra o al di fuori delle regole comuni o della considerazione degli altri individui.
Come diventare spocchiosi
Ecco alcuni esempi che mostrano l’atteggiamento spocchioso:
Esempio 1: In una conversazione tra due colleghi
Collega 1: Ho appena finito di leggere un libro fantastico sul cambiamento climatico. Credo sia importante essere consapevoli di come possiamo contribuire a proteggere l’ambiente.
Collega 2 (spocchiosamente): Oh, interessante. Io ho già letto parecchi libri su questo argomento. Dubito che tu abbia approfondito abbastanza per capire davvero la complessità di questa questione.
Collega 1: Ah, sì? Hai dei consigli su quali libri dovrei leggere?
Collega 2 (ignorando la domanda): Comunque, è difficile per chiunque comprendere appieno il cambiamento climatico. Ma capisco che tu stia cercando di informarti. Forse un giorno arriverai al mio livello di comprensione.
Esempio 2: Una conversazione tra amici durante una cena
Amico 1: Sto pensando di intraprendere un nuovo corso di cucina. Mi piacerebbe imparare a fare piatti più complessi.
Amico 2 (spocchiosamente): Ah, ho frequentato quel corso qualche anno fa. È interessante, ma non so se tu abbia la padronanza necessaria in cucina per affrontarlo. Ci vuole un certo talento, sai?
Amico 1: Sì, lo so che non sono un esperto, ma mi piace imparare.
Amico 2 (con un sorriso superiore): Oh, certo. È bello avere passioni, anche se alcune persone non hanno proprio il “tocco” culinario.
In entrambi questi esempi, la persona che mostra spocchia lo fa attraverso un atteggiamento condescendente, sminuendo le opinioni o le capacità degli altri e cercando di dimostrare una superiorità apparente nelle loro conoscenze o esperienze.
La spocchia può condividere alcune somiglianze con il comportamento passivo-aggressivo, ma non sono esattamente la stessa cosa. La spocchia è un atteggiamento arrogante e presuntuoso, in cui una persona mostra apertamente un senso di superiorità o disprezzo nei confronti degli altri. Si manifesta attraverso atteggiamenti e comportamenti che trasmettono un senso di altezzosità e superiorità intellettuale o sociale.
Il comportamento passivo-aggressivo, d’altra parte, coinvolge la manifestazione indiretta di rabbia, risentimento o ostilità. Le persone con atteggiamenti passivo-aggressivi possono esprimere le loro frustrazioni o rancori in modo non esplicito o sottile, ad esempio ignorando volontariamente le richieste, procrastinando compiti o mostrando resistenza indiretta invece di affrontare direttamente le situazioni.
Mentre entrambi possono comportare una certa forma di disprezzo o irritazione verso gli altri, la spocchia è spesso più aperta e diretta, mentre il comportamento passivo-aggressivo tende a essere più sottile e non dichiarato apertamente. Entrambi possono causare tensioni e ostacolare le relazioni interpersonali, ma si manifestano in modi differenti.
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