Un giornalista viene ritrovato apparentemente morto dentro un parco: in realtà è ancora vivo, ma non riesco a muovere un muscolo pur avendo ancora la capacità di pensare.
In breve. Il primo film di Aldo Lado (Chi l’ha vista morire?, L’ultimo treno della notte) è probabilmente uno dei più sorprendenti che abbia mai girato: segue la struttura di un giallo argentiano e riesce, soprattutto, ad accarezzare l’horror più incisivo senza inutili eccessi.
Film decisamente interessante e poco valorizzato dalla critica, che tendenzialmente lo capì poco (le recensioni sul Davinotti, ad esempio, sono discordanti e quasi tutte impietose). Introdotto da una tagline piuttosto classica (When things are not what they seem, ovvero quando le cose non sono quello che sembrano) che sembra dire pochissimo di per sè (le apparenze decostruite diventeranno un classico del cinema horror, da Society in poi), ma che rivela un impianto molto originale. Qualcosa che all’epoca deve avere molto sorpreso il pubblico, che si trovano di fronte una realtà surreale e spaventosa: il protagonista è apparentemente morto, ma riesce ancora a pensare. Si scoprirà che questo stato catatonico è stato indotto da una serie di circostanze, per le quali molta critica arrivò a parlare di vera e propria fanta-politica.
Dead? I’m dead? Can’t be. I’m alive. Can’t you tell I’m alive? I’ve got to make them see. You! Listen to me! Look at me! Can’t you hear me? Maybe it’s a nightmare. I’ll try to wake up. I’ve got to move. Yeah, a finger. Ca’ Can’t! I must! Don’t leave me like this. Help me! HELP ME!
Vedere Greg Moore portare la propria compagna (Mira) ad un party in cui sono tutti ricchi, potenti ed anziani non potrà che far pensare al succitato cult di Brian Yuzna, tanto da suggerirne una potenziale ispirazione. La trama si sviluppa come un flashback dei ricordi del giornalista, intervallati dai tentativi di un amico chirurgo che cercherà in ogni modo di rianimarlo. Riuscirà Gregory a svegliarsi prima che la sua ora arrivi definitivamente? Lo scopriremo solo nell’ultima scena, quella che probabilmente ha consacrato la fama di questa opera prima di Lado, a mio modo di vedere, come uno dei migliori film di genere giallo-thriller.
Esiste un piccolo mistero sulla scelta del titolo, dato che non è esplicitato quali siano le “bambole di vetro” (il titolo originale è The Short Night of the Butterflies, ovvero La corta notte delle farfalle, le farfalle – che, si dice nel film, “non volano più“, uno degli indizi per ricostruire l’enigma). A meno che non si voglia pensare alle bambole di vetro come alle ragazze tenute in stato catatonico e sostanzialmente controllate dalla setta, per quanto questa cosa non sia forse sufficentemente rimarcata dall’intreccio (a parte Mira, solo un’altra ragazza dimostra esplicitamente di aver subito questa sorte: l’americana presentata a Gregory durante il party, poco prima che la sua compagna scompaia nel nulla).
C’è da sottolineare la parvenza rivoluzionaria dello spaventoso quid della trama, ovvero la capacità di tenere il cervello attivo di una vittima, dandogli esternamente la parvenza di morto. Il non-morto cerca disperatamente di comunicare con l’esterno ma non riescono a sentirlo, e questa cosa viene schiaffata in faccia allo spettatore dopo qualche minuto di film: uno spaventoso stato catatonico che evoca, almeno in parte, il soldato tenuto in vita forzatamente protagonista di E Johnny prese il fucile di Dalton Trumbo.
“Omen” è una parola latina che si riferisce a un presagio o a un segno, spesso associato a eventi futuri o a cambiamenti imminenti. Può essere considerato un segnale, positivo o negativo, che si crede sia significativo o predittivo di ciò che accadrà in seguito.
Ad esempio, se qualcuno ha un sogno inquietante che poi si avvera esattamente come nel sogno, potrebbe considerare quel sogno come un “omen” di qualcosa di negativo in arrivo. Allo stesso modo, alcuni credono che certi eventi naturali, comportamenti degli animali o fenomeni atmosferici possano essere considerati “omen” di futuri eventi.
Etimologia e significato di omen
La parola “omen” ha radici nell’antica lingua latina. Deriva dal latino “omen”, che significava letteralmente “segno” o “presagio”. Questa parola latina a sua volta deriva dal verbo “omo”, che significa “osservare” o “guardare attentamente”. Nell’antica Roma, gli “omen” erano considerati segni divini o presagi che venivano interpretati dagli auguri per prevedere il futuro. Gli auguri osservavano attentamente i fenomeni naturali, come il volo degli uccelli, il tuono, i fulmini, la forma delle nuvole, e interpretavano questi segni come indicazioni degli dei riguardo a eventi futuri. La credenza nell’interpretazione degli “omen” era parte integrante della pratica religiosa e politica dell’antica Roma e svolgeva un ruolo significativo nelle decisioni e nelle azioni della società romana. Con il passare del tempo il concetto di “omen” si è diffuso anche in altre culture e lingue, mantenendo il suo significato di segno o presagio di eventi futuri. Anche oggi, la parola “omen” viene utilizzata per riferirsi a segni o presagi che vengono interpretati come indicazioni del destino o del futuro imminente.
In senso più ampio, la parola “omen” può essere utilizzata anche in senso figurato per descrivere qualsiasi segno o indicazione di qualcosa che accadrà in futuro, sia che sia interpretato come un avvertimento o come una promessa di cose a venire. La parola si riferisce a segni o presagi che anticipano eventi significativi o inquietanti. La parola è utilizzata per evocare un senso di mistero, tensione e potenziale pericolo, sia nella canzone dei The Prodigy che nel film “The Omen”.
“Omen” dei The Prodigy: “Omen” è una canzone del gruppo musicale britannico The Prodigy, pubblicata nel 2009 come singolo estratto dall’album “Invaders Must Die”. Nel contesto della canzone, “omen” potrebbe essere interpretato come un presagio o un segno di qualcosa di potente, forse di una tempesta imminente o di un evento catastrofico. La parola è usata in modo evocativo per creare un’atmosfera intensa e inquietante nella canzone.
“Omen” il film: “The Omen” è un film horror del 1976 diretto da Richard Donner. Nel film, “omen” si riferisce al presagio del nascituro Damien, il cui vero padre è il Diavolo. I presagi includono fenomeni come tempeste violente, animali che reagiscono in modo strano e segni religiosi, tutti indicativi della natura malefica di Damien e degli eventi oscuri che circondano la sua esistenza. L’uso del termine “omen” nel titolo suggerisce che questi presagi sono indizi della natura sinistra del personaggio principale e degli eventi che lo circondano.
Da due settimane Archive 81 – Universi alternativi di Rebecca Thomas si trova sulla cresta dell’onda tra gli spettatori di Netflix, anche in Italia – dove è comparsa con tanto di buon doppiaggio (tanto vale scriverlo a chiare lettere). Classe 1984, la Thomas è nota per il film (ispirato a Pasolini, per la cronaca) Electrick Children e per un episodio (il primo ) di Stranger Things, oltre che per questo Archive 81 prodotto e distribuito da Netflix e Atomic Monster, con Paul Harris Boardman e James Wan (Insidious, Saw: L’enigmista) come produttore esecutivo.
VHS ritrovate, ambientazione da inizio anni 80, tensione e distorsioni temporali ci conducono in una dimensione narrativa complessa, accattivante e che si preannuncia piuttosto lunga. Ma cosa c’era in quelle videocassette?
Trama
Dan è un esperto di archivistica in grado di recuperare vecchi nastri di VHS d’epoca, riportandoli in condizione di poter essere visionati. Durante il proprio lavoro si imbatte nella singolare storia del condominio Visser, distrutto da un incendio ed i cui condomini sembrano scomparsi nel nulla. Una multinazionale di cui non si sa nulla nemmeno dal web, nel frattempo – la LMG – lo contatta per proporgli un restauro pagato una cifra spropositata, da svolgersi in una casa sperduta modello Shining. Inutile sottolineare che durante il proprio lavoro succederanno strane cose: i personaggi dei filmati VHS sembrano quasi rivolgersi a lui, e la figura del padre del protagonista (prematuramente scomparso) apparirà all’interno di uno dei nastri.
E se la LMG fosse un’enorme multinazionale di giochi da tavolo? […]
Recensione
La genesi dell’opera è senza dubbio curiosa perchè, tanto per cominciare, è stata prodotta sulla falsariga narrativa dell’Inferno di Dante Alighieri. Quantomeno, il riferimento è sostanziale: il protagonista si chiama Dan (T.), mentre il suo accompagnatore sarà, come si scoprirà, Virgil. Ma non solo: non mancano i personaggi di Beatrix, il cerchio (riferimento a quello dantesco) e naturalmente, essendo una serie thriller horror, Kharon, il Caron dimonio. Alla base della trama gli aspetti più inquietanti legati alle videocassette VHS (per qualche strano motivo quel formato video induce una specie di paura ancestrale) nonchè alla storia, confermata solo in parte, che alcune di esse fossero state commercializzate come snuff (ovvero filmati in cui si assiste a morti reali, di animali o persone, non sceneggiate o simulate). L’inferno di Archive 81 non sembra dissimile da quello mortifero, inquietante e a suo modo ordinario di Antrum.
Fosse solo una serie TV modello mockumentary horror, forse, non varrebbe forse neanche la pena approfondirla: certo, i riferimenti ad elementi fondanti di film come V/H/S, The last horror movieThe poughkeepsie tapes, S&MAN non sono da poco, e restano sostanziali. Ma c’è dell’altro, e basta vedere i primi trenta minuti dell’episodio pilota (su Netflix, ovviamente) per capacitarsene. Peraltro, gli stessi vengono declinati dentro Archive 81 (dove 81 fa riferimento all’anno 1981, per capirci) nel senso più paranoico possibile. Ed è chiaro che Dan è un archetipo, oltre che letteralmente dantesco, del protagonista medio di serie come Ai confini della realtà, travolto o coinvolto da un gioco più grande di lui, forse manipolato da tante scatole cinesi panottiche, in cui tutti possono spiare tutti. Nulla di diverso dal mondo qualunquista e iperconnesso in cui viviamo, in effetti, e di cui questo Archive 81 si mostra in tutta la propria preoccupazione, tensione e paranoia, per una serie che è (solo per comodità) di genere horror sovrannaturale e che, ad oggi, conta otto episodi in tutto. Molto probabilmente e come da tradizione, non si fermerà neanche a questi ultimi.
Del resto il buon Dan, difensore della propria privacy dalle incursioni internet (come dice a più riprese lui stesso), a parte essere un personaggio romeriano – un solitario, oppresso dalla società e di etnia afro-americana, come il Duane Jones / Ben de La notte dei morti viventi – è uno scettico convinto: non crede al sovrannaturale, lo rigetta e nasconde un passato traumatico (aveva pure un padre docente di psicologia, come se non bastasse). Un vero e proprio en plein di stereotipi psico-sociali – e, anche solo per questo, vittima designata delle peggiori sofferenze di qualsiasi opera di questo tipo.
Opera molto diretta, pertanto, ispirata ad un sottogenere mockumentary preciso e a suo modo archetipica (nonostante l’idea di fondo non sia nuova), diretta brillantemente da una regista con le idee chiare. Girata, peraltro, riportando alla luce le narrazioni classiche di pseudo-snuff exploitativi, paranoici e gran guignoleschi come quelli citati: il mood paranoico e spaventoso non è cambiato, e farlo diventare una serie TV relativamente pop non era cosa banale.
Tanto più se nel farlo si evitano gli eccessi dei vari filmacci qui citati, rimanendo su un equilibrio visuale e comunicativo di sostanza, che si riflette, soprattutto, in un horror lucido quanto onirico, anche solo nella trovata dei “paralleli comunicanti” mediante nastri VHS. Nastri, questi ultimi, simbolo di un tempo che non c’è più, di un filmato amatoriale che è simbolo quasi implicito di scheletro nell’armadio, filmato amatoriale come locuzione più ambigua che mai (..amatoriale in che senso?). Un cinema ritrovato on the road, parte del vissuto di ognuno di noi,un espediente narrativo in parte abusato ma che qui, nonostante tutto, si rinnova con saggezza nel gioco di ricicli del caso.
Archive 81 è anche debitore di (ovvi?) echi ottantiani, gli stessi che serie come Stranger Things hanno saputo sfruttare (forse in vaga modalità poser, in quel caso), sulla falsariga del dubbio ancestrale che un qualche parente di qualsiasi famiglia custodisse sempre e comunque VHS atipiche nell’armadio della nonna. Ma anche solo (se preferite) del sano, classico e archetipico effetto nostalgia, lo stesso rievocato periodicamente da radio e TV – nonchè sbeffeggiato da South Park mediante la trovata dell’uva parlante, i ricordàcini.
Effetto che in questa sede va al di là della semplice evocazione modello “si stava meglio quando si stava negli anni 80″: grazie alla trovata dei mondi paralleli alternativi, di fatto, dentro Archive 81 il sottogenere acquisisce, finalmente, nuova linfa. Suscita, a suo modo, curiosità rinnovata, anche nel pubblico meno propenso o più disilluso da mille mostri e villain considerati poco attuali o poco credibili. Il tutto anche grazie all’idea di un protagonista credibile quanto insolito, affiancato da una sorta di doppelganger femminile con cui ovviamente, si instaurerà fin da subito una sorta di legame psichico. Due protagonisti – forse volutamente, a questo punto – fuori norma, romeriani e carpenteriani a tutti gli effetti perchè multi-etnici, umani e coinvolgenti.
Ci basta questo per farci amare, una volta tanto, una serie TV: specie noi che difficilmente le apprezziamo, in generale, siamo felici di essere smentiti.
Cast
Mamoudou Athie – Dan Turner Dina Shihabi – Melody Pendras Evan Jonigkeit – Samuel
Ariana Neal
Matt McGorry
Martin Donovan Martin Donovan …
Daniel Johnson Daniel Johnson …
Kate Eastman Kate Eastman …
Charlie Hudson III Charlie Hudson III …
Kristin Griffith Kristin Griffith …
Johnna Leary Johnna Leary …
Eden Marryshow Eden Marryshow …
Jacqueline Antaramian Jacqueline Antaramian …
Jaxon Rose Moore Jaxon Rose Moore …
Trayce Malachi Trayce Malachi …
Sol Miranda Sol Miranda …
Hilda Ivette Rodriguez Hilda Ivette Rodriguez …
Martin Sola Martin Sola …
Shay Guthrie Shay Guthrie …
Gameela Wright Gameela Wright …
Africa Miranda Africa Miranda …
Allyson R. Hood Allyson R. Hood …
Penelope Bauer Penelope Bauer …
Frances Chao Frances Chao …
Dennis Joseph Dennis Joseph …
Georgina Haig Georgina Haig …
Roger Petan Roger Petan …
Robert Kwiatkowski Robert Kwiatkowski …
Meg Hennessy Meg Hennessy …
Nick Podany Nick Podany …
Gilles Geary Gilles Geary …
Zach Villa Zach Villa …
Ellen Adair Ellen Adair …
Michelle Federer Michelle Federer …
Emy Coligado Emy Coligado …
Mitzi Akaha Mitzi Akaha …
Anaya Farrell Anaya Farrell …
Ken Bolden Ken Bolden …
Carla Brandberg Carla Brandberg …
Curtis Caldwell Curtis Caldwell …
Ebony Cunningham Ebony Cunningham …
Jay Klaitz Jay Klaitz …
Rosie Koster Rosie Koster …
Angela Nicole Hunt Angela Nicole Hunt …
Jake Andolina Jake Andolina …
Ahlam Abbas Ahlam Abbas …
Kaylin Horgan Kaylin Horgan …
Teri Clark Teri Clark …
Joseph Cannon Joseph Cannon …
Come ricorderanno i fan di X-Files, per quanto i personaggi di Mulder e Scully fossero al centro di quasi ogni episodio, di tanto in tanto ricevettero un aiuto significativo, nei loro sforzi per scoprire la verità di una serie di cospirazioni cosmiche, da un trio di singolari personaggi dai tratti caratteristici (tre sostenitori di teorie del complotto, per inciso). Si trattava di John Byers, Melvin Frohike e Richard Langly, protagonisti di uno spin off di X Files che entusiasmò vari complottisti, fin dall’epoca della sua uscita, per quanto sia stato abbandonato dopo una serie per la scarsità di ascolti. La serie in questione, per inciso, non è mai arrivata in Italia, e questo naturalmente ha finito per alimentare il mito cospirativo sulla serie stessa.
Di Witchblue – DVD originale della serie X-Files, Stagione 9, episodio n. 15 intitolato Modifica genetica, Copyrighted, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=2227589
I tre personaggi divennero meglio conosciuti come The Lone Gunmen (Pistoleri Solitari, letteralmente), nome che uscì fuori da uno spinoff di X-Files uscito nel 2001, circa sei mesi prima degli attentati dell’11 settembre. Il primo episodio andò in onda il 4 marzo 2001, con il titolo Pilot (probabile gioco di parole implicito tra “pilota d’aereo” ed “episodio pilota“), e narra una storia che sarebbe diventata familiare ai più: un hacker prende il controllo di un Boeing 727 e lo fa volare verso il World Trade Center, con l’intenzione di farlo schiantare contro una delle Torri Gemelle.
I Lone Gunmen riusciranno a contro-hackerare l’aggressore informatico e a scongiurare un disastro che poi, in seguito, sebbene in modalità leggermente diverse sarebbe avvenuto sul serio. Ovviamente la vulgata complottista divenne monolitica nell’affermare che quell’episodio avesse “previsto” gli attentati dell’11 settembre 2001. L’episodio arrivò in Australia, ad esempio, meno di due settimane prima di quella data fatidica che cambiò il mondo.
Suggestioni, chiaramente, prive di effettive prove su un fatto che oggi presenta un impatto emotivo diverso, su cui rimangono punti da chiarire (ovviamente) ma che, di fatto, negli USA fece scalpore pur passando in sordina (condizioni ideali per il fiorire di cospiracy theories).
La storia era particolarmente intrigante, peraltro, se si pensa che il personaggio l’hacker non era un lupo solitario o uno schizofrenico. La macchinazione, nella sceneggiatura, era frutto del lavoro di un’organizzazione segreta all’interno del governo, quello che oggi molti complottisti chiamerebbero deep state, la cui esistenza viene da sempre negata ufficialmente. Stando al loro piano segreto, se l’attentato avesse funzionato, si sarebbe data colpa degli attacchi al World Trade Center a uno o più dittatori stranieri che, citando la serie, “imploravano di essere bombardati“.
La trama di Pilot fu affrontata in modo riluttante sui media, il che naturalmente finì per alimentare le narrazioni cospirative sull’auto-attentato, costruito dagli USA stessi per avere un pretesto per fare la guerra. L’episodio passò in sordina per via della singolare coincidenza, soprattutto perchè, probabilmente, le reali vittime degli attentati fecero passare la voglia di proporre parallelismi di alcun genere.
Da un punto di vista psicologico o razionale potrebbe trattarsi di un caso di cherry picking collettivo (si selezionano accuratamente solo gli aspetti coincidenti con la realtà ignorando, ad esempio, che nel vero 11 settembre non figurò alcun attacco informatico), senza contare il più classico deibias di conferma, ovvero la tendenza a cercare ad ogni costo conferme di fatti che già crediamo, anche se esistono prove contrarie in merito. In fondo chi crede al complotto ci crede lo stesso (I want to believe è da sempre uno dei motti dei fan di certa ufologia), e non c’è modo di discuterne, come dimostrato da mockumentary come Operazione Luna, per quanto chiaramente la forte suggestione in questo caso rimanga, anche a distanza di anni.
La cosa che mi preoccupa è che, come scrittore di fantascienza, ti viene in mente che se puoi immaginare uno scenario del genere, anche il potere potrebbe farlo (Frank Spotnitz, produttore esecutivo della serie)
No, i Simpson non avevano “previsto il Covid-19”: non arriveremo a sostenere una cosa del genere. Pero’ abbiamo curiosato lo stesso in un vecchio episodio dei Simpson, visto per la prima volta in Italia all’inizio del nuovo millennio, qualche tempo prima di quell’11 settembre che ancora oggi ricordiamo.
La traduzione del titolo originale dell’episodio in questione sarebbe pressappoco “Il computer con le scarpe minacciose”, incomprensibile in italiano e reso giustamente, per questo motivo, Galeotto fu il computer e chi lo usò (serie 12, episodio 6). Per inciso il titolo originale The Computer Wore Menace Shoes omaggia, senza citarlo esplicitamente nell’intreccio, il classico film Disney The Computer Wore Tennis Shoes (Il computer con le scarpe da tennis del 1969, oggetto di un remake nel 1995).
The Simpsons – Galeotto fu il computer e chi lo usò (12×6)
Diretto da Mark Kirkland e scritto da John Swartzwelder, Galeotto fu il computer e chi lo usò è stato visto per la prima volta in Italia nei primi anni 2000, all’interno della 12ma serie, e racconta di Homer che decide di comprare un computer (anche a costo di farsi un quinto mutuo, come ammette lui stesso). Non solo: Homer apre un sito e lo riempie di gossip e fandonie, riscuotendo grande successo.
Inizialmente la home page del suo sito è solo singola pagina zeppa di GIF animate messe a caso (tra cui un Gesù ballerino e delle bocche parlanti), presto diventerà uno dei siti più popolari del momento.
Non temere testone, ora sarà il computer a pensare per noi!
Sulla falsariga dei buoni suggerimenti di Lisa, Homer travisa gli insegnamenti ed inizia a pubblicare nel proprio sito prima un po’ di gossip, poi vere e proprie fake news. Presto finirà confinato su un’isola deserta, ispirata a quella della serie The Prisoner, dove vengono rinchiusi per sempre tutti coloro che “sapevano troppo”. La puntata è forse uno dei migliori esempi dei Simpson old school, calato nel contesto tecnologico oggi a noi più che familiare, nonchè abbastanza diverso dai Simpson più recenti.
Homer, dicevamo, colpisce nel segno pubblicando gossip a volontà, firmandosi con lo pseudonimo Mister X: la logica errata e semplicistica con cui il personaggio ritiene che basti un nickname per essere anonimi su internet dovrebbe, al giorno d’oggi, essere familiare ai più.
Esisterebbe peraltro una scena tagliata, a quanto pare, in cui Homer digita parole chiave a caso su un motore di ricerca e finisce in un sito per adulti, poco dopo bloccato da Marge.
Si scopre che il gossip di Mister X nasconde delle verità: il sindaco della città possiede effettivamente una lussuosa piscina segreta all’interno del comune, Apu commercia ciambelle avariate, Krusty ha commesso un omicidio con occultamento di cadavere e Burns vende uranio ai terroristi. Si decide pertanto di conferire un premio Pulitzer all’anonimo autore delle inchieste, con Homer che solo ora svela la propria identità.
L’associazione esplicita tra io-virtuale e io-reale, ovvia nell’era dei social network, è l’inizio della fine per il protagonista dell’episodio.
Fin dai tempi di John Titor…
L’idea che un anonimo utente del web possa detenere la Verità e diffonderla su internet dovrebbe sembrare illogica ed incoerente fin dalle sue premesse, tant’è che nel cinema nemmeno il più oscuro e sconclusionato dei b movie è mai arrivato ad ispirarsi ad un’idea del genere. Al tempo stesso, pero’, fin dai primi 2000 ebbe molto successo la “saga” di John Titor, presunto soldato USA che aveva dichiarato su un forum (col nicknameTimetravel_0) di essere stato spedito indietro nel tempo (come in Terminator) per recuperare un vecchio modello di IBM.
I am a time-traveler from the year 2036. I am returning home after having retrieved an IBM 5100 computer from 1975 (cicap.org)
Tra le profezie narrate da Titor vale la pena di ricordare, per quel poco che vale, quella dell’arrivo del morbo della mucca pazza negli USA, la fine dell’azienda Microsoft e una guerra civile negli USA dal 2004 al 2015. La sua storia fu quasi certamente viral marketing e venne creduta da molti, mentre il fatto che alcune cose non siano avvenute venne giustificata dalla tipica non-falsificabilità del complottismo: se non è avvenuto nella nostra realtà, è comunque avvenuto in una diversa linea temporale del multi-verso.
Per diversi anni quella di Titor fu una urban legend oggetto di varie forme di debunking, tra cui quello di Paolo Attivissimo e del fisico Robert Brown, il quale delineò l’implausibilità della storia, accusandola di aver plagiato un paio di storie di fantascienza e definendola (su un sito ormai defunto)a sad reflection on the gullability of our culture (una triste riflessione sulla creduloneria della nostra cultura). Sulla gullability dei nostri tempi, del resto, bisognerà scrivere un saggio, prima o poi, facendo soprattutto lo sforzo di rendere non-insultante l’approccio nei confronti dei “credenti”. Certo, siamo felici di essere zeppi di libri di debunking che smontano teorie del complotto da ogni dove, ma non sembra siano bastati. Solo in pochi casi (o forse addirittura in nessuno) essi sono riusciti a redimere o far ritrattare qualcuno dei complottisti (sempre più convinti, in molti casi, nonostante le prove contrarie).
Lo scrittore Wu Ming 1, a riguardo, è stato lapidario: Smontare le teorie del complotto è facile. Il difficile è convincere chi ci crede a non crederci più. È difficile dargli torto, soprattutto nei tempi in cui viviamo.
La teoria del complotto sui vaccini nel sito di Homer
Le notizie scarseggiano: la gente non parla più in presenza di Homer, che manca di fonti ed è costretto così ad inventarsi le news. Una pratica che i numerosi casi reali di bufale pubblicate da giornali anche autorevoli ha finito per abituarci, soprattutto nell’era post 11 settembre, con un picco ulteriore a partire dal 2020 in occasione della pandemia mondiale.
Il clou dell’episodio in oggetto arriva nel momento in cui Homer scrive nel proprio sito che il governo vorrebbe controllare le menti delle persone mediante vaccinazioni di massa.
A questo punto una misteriosa organizzazione lo rapisce e lo deporta sull’isola di quelli che “sanno troppo“, mentre l’originale viene sostituito da un sosia identico nelle fattezze, e dall’accento tedesco. Un personaggio autoritario rivelerà in seguito al vero Homer che il motivo per cui i vaccini si fanno prima di Natale è per assicurarsi che la gente spenda per i regali, e che per questo motivo Homer sarebbe diventato un personaggio “scomodo” per il sistema. Si tratta di una satira gustosa e azzeccata rivolta al mondo del complottismo, peraltro declinata in tempi non sospetti in cui il massimo della conspiracy era sulle scie chimiche o, al limite, sulle reali dinamiche dell’11 settembre.
La “profezia” è sicuramente un termine scomodo (che vorremmo evitare), ma l’episodio assume ugualmente una valenza fondamentale anche oggi, nel contesto e nel mondo in cui viviamo. – Foto di copertina di desarrollosklm da Pixabay – Le immagini dell’episodio sono tratte dal blog simpsonssummaries
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