Un’intelligenza artificiale è in grado di riassumere un libro o uno specifico capitolo di un libro? Mentre scriviamo chatGPT non è ancora disponibile in Italia (se non mediante VPN), ed abbiamo voluto testare la sua efficacia nel fare il riassunto di un libro abbastanza semplice come Shining di Stephen King, ed uno molto più complesso come l’AntiEdipo di Deleuze Guattari.
Shining
“Scrive” ChatGPT:
“Shining” è un romanzo di Stephen King pubblicato nel 1977, che racconta la storia di Jack Torrance, un alcolista che accetta un lavoro come custode dell’Overlook Hotel, un hotel isolato nelle Montagne Rocciose che rimane chiuso durante l’inverno.
Per sommi capi ci siamo. Poi ho visto se riesce a riassumere in modo corretto capitolo per capitolo:
Ecco un riassunto per capitoli:
Capitolo 1: Il giovane Danny Torrance ha una visione inquietante e spiega al suo amico immaginario Tony che ha paura di andare a vivere all’Overlook Hotel con la sua famiglia.
Capitolo 2: Jack Torrance viene assunto come custode dell’Overlook Hotel e si presenta al suo nuovo datore di lavoro, Stuart Ullman. Ullman avvisa Jack dell’isolamento dell’hotel durante l’inverno e della sua storia oscura.
Capitolo 3: Wendy Torrance, moglie di Jack, parla con il dottor Edmonds, il medico che sta curando Danny, riguardo alle sue preoccupazioni sulla salute mentale di Jack.
Capitolo 4: La famiglia Torrance si trasferisce all’Overlook Hotel e Jack comincia a familiarizzare con l’hotel e i suoi abitanti.
Capitolo 5: Danny ha una visione della stanza 217 dell’hotel e di una donna morta che lo avverte di non andare in quella stanza.
Capitolo 6: Jack inizia a scrivere il suo romanzo, ma ha difficoltà a concentrarsi.
Capitolo 7: Wendy e Jack discutono della salute mentale di Jack e dei loro problemi finanziari.
Capitolo 8: Danny e Wendy visitano il labirinto di siepi dell’hotel.
Capitolo 9: Danny ha una visione del fantasma della donna morta nella stanza 217.
Capitolo 10: Jack inizia a sperimentare strane allucinazioni e incubi.
Capitolo 11: Danny ha una visione del sangue che scorre dalle pareti dell’hotel.
Capitolo 12: Jack continua a perdere la sua sanità mentale e inizia a comportarsi in modo sempre più bizzarro.
Capitolo 13: Danny si nasconde da suo padre nel labirinto di siepi.
Capitolo 14: Jack diventa sempre più violento e cerca di uccidere Danny e Wendy.
Capitolo 15: Danny utilizza i suoi poteri psichici, chiamati “Shining”, per chiedere aiuto a Dick Hallorann, un ex cuoco dell’hotel che ha anche il “Shining”.
Capitolo 16: Hallorann si dirige verso l’hotel per salvare Danny e Wendy, ma viene ucciso da Jack.
Capitolo 17: Danny e Wendy riescono a fuggire dall’hotel mentre Jack muore congelato nel labirinto di siepi.
Capitolo 18: Danny e Wendy si riprendono dalla loro esperienza traumatica e cercano di ricostruire le loro vite.
Sembra coerente per cui per compiti compilativi del genere ChatGPT funziona abbastanza bene, al netto di qualche dettaglio spazzato via (e probabilmente recuperabile formulando domande più precise).
AntiEdipo
Qui viene il bello della storia: ho chiesto a ChatGPT di che cosa parla l’antiEdipo, la celebre opera filosofica di Deleuze e Guattari, almeno per sommi capi, e mi ha risposto così. Il presupposto da cui partirei è che per far funzionare bene questo sistema è fondamentale che le domande non siano poste in maniera vaga o equivoca, per cui considerate questo esperimento come una sorta di stress test considerevole per una macchina del genere (L’antiEdipo è un’opera filosofica parecchio difficile da riassumere, oltre che caratterizzata da vari passaggi notevolmente complessi).
Il libro “L’AntiEdipo” di Gilles Deleuze e Félix Guattari – scrive ChatGPT – pubblicato nel 1972, è considerato un’opera fondamentale della filosofia del XX secolo. Il testo è una critica radicale alla psicoanalisi freudiana e alla filosofia tradizionale, proponendo una nuova teoria del desiderio e della produzione sociale. Gli autori sostengono che la repressione del desiderio, che la società moderna impone attraverso i meccanismi di controllo e di dominio, sia la causa delle nostre nevrosi e delle nostre frustrazioni. Inoltre, propongono una nuova teoria della “macchina desiderante” come strumento per la creazione di nuove forme di organizzazione sociale e di nuovi modelli di soggettività.
Insieme, Deleuze e Guattari hanno influenzato profondamente la filosofia, la psicoanalisi e la politica del XX secolo. La loro collaborazione è stata unica e ha portato alla creazione di opere innovative e rivoluzionarie come “L’AntiEdipo”. La loro filosofia è stata una sfida alle concezioni tradizionali di soggettività, desiderio e produzione sociale, aprendo nuove possibilità per la teoria e la pratica politica. Gilles Deleuze è stato uno dei filosofi più importanti del XX secolo. Nato a Parigi nel 1925, ha insegnato in diverse università francesi e straniere. È stato autore di numerosi saggi filosofici e ha sviluppato una filosofia originale e radicale, influenzata da autori come Spinoza, Nietzsche e Bergson. La sua opera è stata cruciale per lo sviluppo di diverse discipline, come la filosofia, l’estetica, la letteratura, la psicologia e il cinema. Félix Guattari, nato a Villa-Sisneros, in Algeria, nel 1930, è stato un filosofo e psicanalista francese. Ha lavorato a stretto contatto con Deleuze e insieme hanno sviluppato la teoria della “schizoanalisi”, una nuova metodologia per l’analisi e la cura delle malattie mentali. Guattari è stato anche un attivista politico, impegnato nel movimento del Maggio francese e nella lotta per i diritti degli oppressi. Ha scritto numerosi libri, tra cui “La rivoluzione molecolare” e “Les trois écologies”.
In linea di massima la forma sembra accettabile, ma è sulla sostanza dei capitoli che qualcosa non torna. Chiedendo infatti:
Scrivi un riassunto per punti , destinato ad un blog specialistico, che parli specificatamente del terzo capitolo del libro “L’antiEdipo” di Deleuze Guattari, evidenziando i punti principali tipo lista della spesa
Il terzo capitolo del libro “L’AntiEdipo” di Deleuze e Guattari si intitola “Savoir-Faire”.
In questo capitolo, gli autori affrontano il tema della produzione e della riproduzione sociale, esaminando i concetti di “soggetto” e “oggetto” in relazione al desiderio.
Secondo Deleuze e Guattari, il desiderio non è solo individuale ma anche sociale, e il suo scopo è quello di creare nuove connessioni e relazioni.
Il soggetto e l’oggetto non sono due entità separate, ma interagiscono continuamente, creando un flusso di desiderio e di produzione sociale.
Il “saper fare” è quindi una capacità che non riguarda solo l’individuo, ma anche la sua relazione con il mondo circostante e con gli altri individui.
Gli autori sottolineano l’importanza di una “politica del desiderio” che miri a liberare le forze creative della società e a creare nuove forme di organizzazione sociale.
In particolare, Deleuze e Guattari analizzano il concetto di “macchina desiderante”, che rappresenta un insieme di elementi (individui, oggetti, idee) in costante interazione e in grado di produrre nuove forme di desiderio e di creatività.
La macchina desiderante è in grado di superare le strutture gerarchiche e di generare nuove forme di organizzazione sociale basate sulla libertà e sull’auto-organizzazione.
Gli autori concludono affermando che il desiderio è un motore fondamentale della produzione sociale, e che la politica deve puntare a liberare le forze creative della società, favorendo l’emergere di nuove forme di organizzazione sociale e di nuovi modelli di soggettività.
Il focus non è tanto il contenuto dei singoli punti (che potrebbero considerarsi corretti, nonostante tutto, in linea generale), quanto il fatto che il terzo capitolo non si intitola affatto Savoir Faire, e non si trova traccia nell’indice del libro di un capitolo del genere. Sarebbe interessante che qualcuno scoprisse (la butto lì) da dove possa essere arrivato quel Savoir Faire, dato che è plausibile che sia stata usata dagli autori su altre opere e ChatGPT si sia confuso per questo.
Il terzo capitolo del libro in questione si chiama “Selvaggi, barbari, civilizzati“, ed è inutile farlo notare al software che diventa, di fatto, “negazionista”. Nega che si chiami così – basta prendere l’indice per verificarlo – e non accetta di aver sbagliato, neanche lo prende in considerazione (nell’articolo linkato avevo evidenziato come tuttora ChatGPT sbagli considerevolmente i nomi delle vie e le posizioni geografiche, arrivando al culmine del “delirio” quando afferma che la zona Cesarini è una zona di Roma (che in realtà non esiste).
Attenzione, quindi, a dare per buona qualsiasi cosa generi questo modello.
Provo a farglielo notare ma non accetta la correzione, anzi sembra “ostinarsi” a ritenere il contrario. Il capolavoro vero è che mi da’ ragione, ma poi continua a sostenere la stessa idea sbagliata precedente. Un bias considerevole, ovviamente anche da parte mia nel conferire sostanza o parvenza umana a questo strano “comportamento”, ma anche da parte dell’intelligenza che sembra barricata in una dimensione in cui i dati dedotti sono quelli, e non si possono cambiare (un cervello umano può cambiare idea e uno artificiale no?)
Riprovando a fare la domanda in seguito, ho ritrovato lo stesso problema: mi ringrazia ma poi ritorna sulla vecchia base di conoscenza. Mette in ballo pure Levi Strauss in modo anche qui molto casuale, privo di contesto e di giustificazione (anche qui non si trovano corrispondenze di opere mai scritte dall’autore di quel tipo).
Di fatto, sembra che la capacità di riassumere sia da definire un po’ meglio, e per quanto sia probabile che la forma delle domande sia stata rilevante per il caso, resta una circostanza da non sottovalutare per l’uso futuro del prodotto.
Foto di copertina: felix guattari cyberpunk visto da starryai
Mark Fisher muore suicida a soli 48 anni dopo essere diventato uno degli autori accelerazionisti di spicco e promosso le proprie idee con lo pseudonimo k punk.
All’interno del suo libro Realismo capitalista Fisher delinea un trattato compatto e ricco di riferimenti alla cultura pop su quello che viene definito realismo capitalista. Per farlo, fa partire la trattazione incentrando il focus sull’idea accelerazionista promossa da I figli degli uomini, un film di fantascienza post-apocalittica di Alfonso Cuaròn (noto anche per aver diretto in seguito un episodio di Harry Potter). Una fantascienza fuori dal mainstream che presentava qualche punto di contatto con 2019 dopo la caduta di New York di Sergio Martino: in entrambi si attraversa l’apocalisse come se fosse una condizione ordinaria, alla ricerca di una nuova Eva che potrebbe ridare vita al genere umano, condannata diversamente all’estinzione da uno stop delle nascite, causa eccessiva radioattività. È uno dei tanti film simbolisti e politici che abbiamo visto nei cinema, ma Fisher punta l’accento in particolare sull’attraversamento, sul fatto che l’unico modo per attraversare la crisi sia attraversarla, in qualche modo (the only way out is the way through: l’unica via d’uscita è attraversare le cose), per quanto poi il come finisca per possedere sfumature e modalità molto diverse, da teorie neutre politicamente a quelle di estrema sinistra o, alternativamente, estrema destra. Si presuppone che le nuove tecnologie e il capitalismo debbano essere accelerati il più possibile, partendo dal presupposto che sia impossibile fermarli e anzi, rischi di essere solo controproducente.
Mark Fisher (scatto di Nina Power). Credits: Nero Edizioni
Una normalità apocalittica, dicevamo, che non sembra nemmeno troppo difficile da immaginare, presi dai nostri piccoli e medi drammi quotidiani mentre assistiamo, del tutto inermi e quasi sempre scoraggiati, al declino progressivo di un’umanità allo sbando, tra clickbait, fake news e periodici annunci di imminenti apocalissi. Possibile – si chiede Fisher – che davvero non ci aspettino sostanziali cambiamenti di sorta, e che non rimarremo più spiazzati da quello che verrà? Nelle ultime pagine del libro, dopo aver attraversato vari argomenti (dal politico al sociale, passando per la psicoanalisi lacaniana e la critica marxista classica) una lapidaria risposta sembra esistere, ed è il massimo dell’esaltazione lirica dello stile dell’autore, che riportiamo qui integralmente:
“La lunga e tenebrosa notte della fine della storia va presa come un’opportunità enorme. La stessa opprimente pervasività del realismo capitalista signfica che persino il più piccolo barlume di una possibile alternativa politica ed economica può produrre effetti sporporzionatamente grandi. L’evento più minuscolo può ritagliare un buco nella grigia cortina della reazione che ha segnato l’orizzonte delle possibilità sotto il realismo capitalista. Da una situazione in cui nulla può accadere tutto, di colpo, torna possibile.”
Realismo capitalista è un’espressione ripresa da Fisher a partire da Michael Should e da un gruppo di artisti pop art tedeschi degli anni Sessanta, e fa riferimento all’arte basata sull’uso delle merci (oltre ad essere, ovviamente, un calco del realismo socialista noto in ambito politico. In quest’opera è da interdersi come il mood che pervade il capitalismo corporativo in cui viviamo, intento a frammentare ed atomizzare le singolarità, facendo sentire l’individuo “solo contro tutti” (in pieno stile liberista) e arrivando addirittura, scrive Fisher, a far considerare le malattie mentali come problematiche individuali senza legame sociale.
Vengono pertanto in mente i flussi a cui facevano riferimento Guattari e Deleuze nell’Anti Edipo, in risposta alla diffusa tendenza borghese nell’affrontare le problematiche psico-sociali nel salotto freudiano, come a dire: c’è dell’altro, esistono flussi che partono da un nodo ed arrivano ad un altro, mentre la dimensione psicoanalitica da sola non basta più a spiegare tutto. Va messo anche l’aspetto sociologico in ballo, anche perchè la propaganda capitalista sembra funzionare molto meglio di quella fascista o stalinista, e può rivelarsi complesso da comprendere e contestualizzare, se non lo si fa.
Karl Marx cyberpunk visto da DALL E
Una cultura che si limita a preservare se stessa non è una cultura, del resto: e questo dovrebbe essere più che sufficiente a trovare nuovi stimoli per risolvere i dilemmi moderni senza ricalcare stili e scelte fallimentari precedenti. Questo vale a cominciare dalla malattia mentale, con riferimento alla depressione che porterà Fisher al suicidio nel 2017, il cui lascito per le forze progressiste è esplicito: la sinistra dovrebbe urgentemente ripoliticizzare la questione psichiatrica, contestualizzandola alla critica del capitale, scrive l’autore. Il capitalismo stesso è, secondo l’autore, quel che resta quando ogni ideale è collassato allo stato di elaborazione simbolica o rituale: il risultato di questa accettazione passiva (o meglio ancora interpassiva) è un consumatore spettatore che arranca tra ruderi e rovine. Il capitalismo non può esistere, osserva Fisher, senza la nostra esplicita cooperazione.
Il capitalismo diventa, per Fisher, un mostro simile a La cosa di John Carpenter, informe e dai confini variabili, pronto a cannibalizzare qualsiasi aspetto sociale e quotidiano e a rendere inesistente, ad esempio, la sacrosanta distinzione tra vita privata e lavorativa. Portarsi il lavoro a casa sarebbe l’espressione del massimo disagio indotto dal capitalismo, ed il capitalismo è molto abile a desacralizzare e svilire qualsiasi credenza. Con un risultato tragicamente vero, del resto: senza dimensione sacrale, senza credere letteralmente in nulla, la dimensione simbolica lacaniana viene abolita.
Ricorrendo ad una delle sue consuetre omofonìe (les non-dupes errent, letteralmente i non creduloni vagano, che suona uguale a les noms du père, il nome del Padre) Lacan aveva sottolineato – come Zizek ha più volte rimarcato, per inciso – come la perdita del simbolico indotta sul seguace acritico del capitalismo possa avere conseguenze imprevedibili: chinque si consideri realista, cinico, disilluso, pragmatico (come avverrebbe anche per un incel, in effetti) può sbagliare esattamentecome chiunquealtro adoperi o creda, a qualsiasi livello, in un sistema simbolico. Anzi, peggio ancora: la dimensione pragmatica o iper-realistica rischia di risultare più ingannevole perchè distinta, di suo, da quella del Reale (se n’era accorto anche Baudrillard formulando i suoi simulacri, in effetti). Alla meglio, il Reale può essere una variabile X non rappresentabile di origine traumatica (secondo la psicoanalisi classica, almeno) che può essere al massimo intravista tra le spaccature o le contraddizioni della realtà che ci appare ogni giorno (i simulacri).
Definire il reale è complicato, nemmeno Lacan ha mai fornito una definizione dello stesso univoca e, in definitiva, “la cosa innominabile”, il realismo capitalista, se ne approfitta bellamente. To get real significa, nell’accezione hip hop stradaiolo ad esempio, confrontarsi con uno stato di natura in cui cane mangia cane, dove o sei un vincente o sei un perdente, dove sei spinto a sentirti sfigato se non ti spari un corso di seduzione online – e dove i più, neanche a dirlo, sono condannati di default a perdere.
L’unica maniera per mettere in discussione realismo capitalista è mostrare in qualche modo quanto sia inconsistente o indifendibile diventa una sola: ribadire che di realista, in qualche modo, questo capitalismo non ha nulla.
Single per scelta (degli altri). Vorrei, ma non posso. Fin troppi guru su internet vendono subdolamente corsi per fare qualsiasi cosa: diventare ricchi senza lavorare, essere in forma, sedurre una donna, sedurre un uomo, sottomettere i dipendenti, farsi ascoltare quando si parla in classe e via dicendo.
Ogni cosa, su internet, diventa un how to pseudo-aranzulliano che suggerisce qualcosa di perverso, oltre che sostanzialmente falso: l’idea che chiunque possa fare qualsiasi cosa. Questa visione machiavellica e burlesca, mostruosamente sicura di sè e altrettanto difficile da confutare, sembra frutto di un’idea dominante nel mainstream durante gli anni 80 e 90: quella dell’imprenditore individualista e atomizzato, che si è fatto da solo, un po’ gangster un po’ marpione. Una visione che si è infiltrata subdolamente nelle maglie della coda lunga, la long tail delle specificità di cui si parlava dall’articolo di Wired del 2004: mille micro-mercati frammentati, ognuno specificato da una specifica chiave di ricerca, in cui chiunque può infilarsi (che poi, bisogna vedere) e provare a fare soldi (almeno, in teoria, così dicono).
Un Super-Io boomer
Le frasi utilizzate da questo tipo di comunicazione – quella di troppi guru della comunicazione che ci raccontano, specie in versione TikTok e Youtube – sono le stesse di un grottesco Super-Io boomer, sprezzante del contesto, quasi intenerito dalla nostra ignoranza, che solleva un sopracciglio e ci suggerisce come fate a non capire una cosa così semplice. Sarebbe ora di iniziare a mettere in discussione questa visione frutto, tra le altre cose, di un capitalismo deregolamentato che sguazza liberamente su internet. Non diciamo questo a casaccio, ovviamente, ma con cognizione di causa: forse non tutti sanno che gran parte dei guru sfrutta il modello detto affiliate marketing. Se hai un canale di comunicazione digitale come un sito o un canale Youtube puoi vendere prodotti e servizi di terzi, e il sistema riconosce loro una commissione per ogni vendita effettuata.
Chiaro che, a questo punto, l’impostazione più diretta e accessibile per questo tipo di attività sia puramente discorsiva: ed è il motivo per cui sembra che questi guru ci “parlino” dritto al cuore, spesso sorprendendoci per l’apparente causalità con cui certe ads appaiono sui nostri dispositivi ogni giorno. Anche nel nostro blog ne facciamo uso, del resto: molte delle pubblicità che potrebbe capitarvi di vedere su queste pagine sono frutto di algoritmi contestuali che vi mostrano prodotti e servizi che potrebbero teoricamente piacervi, frutti di gusti, preferenze e scelte espresse su internet in passato.
Corsi di seduzione for dummies
Ho provato a cercare la parola “seduzione” su Youtube per scoprire un esempio emblematico e fulminante di questa comunicazione tendenzialmente aggressiva. Al netto dell’aspetto omologante che mette nello stesso calderone sessuologi e Youtuber, in molti casi è puro content marketing con il quale si cerca di vendere videocorsi e/o infoprodotti.
Il tutto creando anteprime in odor di clickbait e/o usando espressioni come (riporto a campione):
come attrarre ciò che vuoi dalla vita, essere artisti del rimorchio (sic), 10 test femminili da superare, seduzione passiva, come rendere una donna ossessionata di te, dritto alla meta, eccitare un uomo senza toccarlo, come conquistare una donna bella, modi “non da sfigati” per mostrare interesse a una donna, regole d’oro per conquistare un ragazzo, la più potente tecnica di seduzione, come uscire dalla friendzone, la donna non cerca l’uomo ricco ma quello…, come approcciare senza essere nervoso
e così via. È un linguaggio diretto a targetizzare una buona percentuale di persone di varia estrazione sociale, accomunati dall’avere difficoltà relazionali (anche qui, non a caso, generalmente demonizzate dalla società digital-capitalista), usando un modo semplice o semplicistico, accessibile e familiare. Vale la pena osservare, peraltro, come questo linguaggio sia un retaggio o addirittura un’imitazione di quello aziendalista: si parla produrre di più implicitamente, di ostacoli da superare, di essere o sentirci cazzuti, di ostentare sicumera, di non essere più dei poveri stronzi, di sedurre fino ad arrivare all’ossessione dell’Altro (film da rivedere: Possession e Audition), ma anche di lavorarci fino allo sfinimento, di credere in quello che si fa, di rigettare abomini quali la vituperata friendzone, di seguire le regole d’oro per diventare dipendente del mese.
Verrebbe da ridere se non ci fosse da piangere: i video con queste parole chiave producono migliaia o milioni di visualizzazioni ogni mese, ed è plausibile che almeno una piccola parte di quelle keyword possieda quello che si chiama in gergo commercial intent, in italiano intento commerciale, ovvero capacità misurabile di far guadagnare qualcuno. Tanto più, sono evidentemente rivolti prevalentemente ad uomini etero della società occidentale, tendenzialmente single e frequentatori assidui di internet: tanto che viene in mente che non sia vero e proprio incel marketing. Anche se non vale per tutti e non è il caso di generalizzare, buona parte dei video che Youtube e TikTok propongono su questo argomento sono targetizzati spudoratamente sulla figura del celibe involontario: lo user medio (maschio ed etero) che non riesce ad avere relazioni sessuali pur desiderandole.
Iperstizione incel
La definizione di incel o involutary celibate (celibi involontari, un neologismo che fonde due termini in una parola macedonia) è tutta un programma: la sua etimologia risulta infatti, a ben vedere, beffarda per definizione. Si tratta di celibi (ovvero: uomini non sposati) per scelta degli altri ovvero in modo non volontario, dato che (si assume) nessuno li abbia voluti. Un termine che, comunque la si pensi, suona vagamente discriminatorio in partenza. Nessuno li abbia voluti, o nessuno mai li vorrà, in assoluto, senza appello? Viene da chiedersi come facciano a sapere che le cose non cambieranno mai, per certi versi. Gli incel sono particolarmente bersagliati da vari user che considerano deprecabili le loro argomentazioni (soprattutto nel caso delle femministe, che arrivano a considerarli parte di un problema più vasto) per quanto, a mio avviso, non sembri funzionale bersagliarli ad oltranza (le discussioni infinite sono, in fondo, l’anima dei social). Gli incel sono tendenzialmente individui disillusi che, in quanto tali, hanno perso ogni peso simbolico della realtà: se è vero che i non creduloni vagano, alla ricerca di punti di riferimento, è un pensiero di Lacan e forse, in questo ambito, si potrebbe applicare. Un incel ha perso il contatto con gli aspetti simbolici del reale e finisce per vedere la realtà peggio di come sembra, per quanto si illuda essere “la realtà”. Bisognerebbe contestualizzare quelle informazioni in un contesto di scolarizzazione spesso carente o solo presunta, dove è anche possibile che internet abbia cullato nella classica “campana di vetro” certi individui, alienandoli dal contesto. Va anche considerato che il mondo incel – per quanto innegabilmente deprecabile e shockante nella sua essenza, questo è fuori di dubbio – resta una sottocultura nato e cresciuta sul web, una forma di trolling un po’ più teorizzato (sia pur malamente, come vedremo), vittima di bias cognitivi e/o imbevuta di complottismo, non proprio un gruppo sociale, politico o filosofico univoco. Chiunque può essere incel, e soprattutto qualsiasi uomo etero potrebbe temere, prima o poi, di esserlo diventato.
Non sbaglia Andrea Cuomo a scrivere, a riguardo, che queste persone si credono respinte dalle donne, forse prima ancora di esserlo, dato che il valore della credenza nel contesto di internet ha una valenza considerevole e, come insegnano varie teorie psicologico-sociali, la credenza può essere bloccante o introdurre bias cognitivi insidiosi. Esiste una complessa terminologia legata al mondo incel, quasi sempre basata su stereotipi: i chad, ad esempio, che sono i maschi alfa dominanti (anche qui, un termine assurdamente assolutistico e senza margine d’errore), i betabux (con riferimento al fatto che i maschi beta, a differenza degli alfa, debbano pagare bucks per una relazione), cuck (che evoca il cuckold o l’eccessiva compiacenza di certi uomini che li porta, di fatto, ad essere troppo poco virili per poter fare sesso). La logica incel e le sue regole ultra-codificate addirittura su Wikipedia – regole che ricordano le 77 regole di internet e che sono nate in un contesto analogo – è parziale e assolutistica, oltre ad essere pura iperstizione (alcune cose non succedono al soggetto, secondo la psicologia moderna, perchè il soggetto stesso si impone non debbano succedere senza rendersene conto). Questo vale tanto più che non tiene conto di vari studi di genere, del buonsenso o anche solo del fatto che, banalmente, non tutte le donne sono etero (e nemmeno tutti gli uomini, a dirla tutta).
Il fenomeno degli incel resta comunque, con tutte le sue discrepanze e la sua innegabile mascolinità tossica, al centro di (pseudo)dibattiti che, di loro, tendono a lasciare il tempo che trovano. Anche perchè si orientano su posizioni inconciliabili per definizione, mentre si tende ad identificare come incel quasi tutti i membri di community online (quindi, neanche a dirlo, user) accomunati dall’essere maschi, single, tendenzialmente litigiosi con le donne, generalizzanti nel pensiero e tanto assolutistici che alcuni di loro afferiscono a teorie suprematiste o razziste, o sono stati addirittura accusati di attentati ed episodi di violenza (citiamo a campione: il massacro di Isla Vista, la sparatoria all’Umpqua Community College, l’attentato di Toronto del 2018). Le teorie incel dicono tanto dell’humus sociale in cui tendono ad attecchire: ne esiste una, ad esempio, che si chiama LMS (Look, Money, Status), per la quale il successo relazione si misurerebbe soprattutto in termini di aspetto fisico, ricchezza e status / fama sociale.
Sono le dimensioni totalizzanti ed esclusive (oltre che semplicistiche, lo ribadiamo) che verrebbero in mente a chi frequenta il college, dall’adolescenza alla prima età adulta, dato che calcolano addirittura come media ponderata di queste tre variabili il “successo” ottenibile in una relazione. Vale anche la pena di osservare che termini come “avere successo” sono ricorrenti nel vocabolario dei corsi di seduzione, a questo punto, che spesso si prodiga in calcoli pseudo scientifici sull’argomento. La matematica a cui fanno riferimento sembra essere quella dei modelli lineari o dei sistemi di equazioni in più incognite, da programma scolastico medio – il che è esattamente ciò che avviene anche sul versante RedPill: questa ulteriore teoria, mutuata da Matrix, aggiungerebbe che il 1968 e la liberazione sessuale abbia finito per sbilanciare le opportunità relazionali in favore della donna, il che la farebbe diventare una sostanziale teoria del complotto contro gli uomini. Questo ha creato un territorio ideale perchè, finalmente, potessero attecchire nel mondo dell’estrema destra e potessero, nel contempo, essere targetizzati dai corsi di seduzione di cui sopra, cavalcando l’onda di un malcontento auto-ingenerato nel quale cause ed effetti, tragicamente, si confondono. È un dato di fatto che molti di questi soggetti catalogati (sia pur indebitamente, a volte) siano accomunati da bias cognitivi, e naturalmente rabbia, misoginia, razzismo, bassa autostima; ma non c’è solo questo in ballo. Secondo uno studio dell’Università della Georgia queste persone – desiderose di fare sesso quanto incapaci di trovare partner (persone che possono essere, si badi bene, sia vergini che reduci da rapporti passati non più ripetuti) – riportano, in un gruppo da loro analizzato, esperienze difficilmente paragonabili. Se è così non ha senso catalogarli in questo modo, e tutta la questione andrebbe derubricata a mera pseudo-scienza.
Quello che è stato visto, in effetti, è che un gruppo di celibi involontari finirebbe per essere tale sia pur per motivi, circostanze e con reazioni non paragonabili, troppo diverse per garantire omogeneità al gruppo. Questo sembrerebbe invalidare la categoria al punto da farla ritenere puramente discriminatoria, oltre che paravento indebito per chi è realmente misogino, antisociale o complottista già di suo. Pur fornendo feedback diversi in fatto di barriere, pregiudizi e app di dating, nello studio in questione i soggetti risultavano accomunati da una identica reazione negativa alla constatazione dell’essere (considerati) incel. Un po’ come se, in un certo senso, essere incel fosse quella che – per Mark Fisher e altri accelerazionisti – è una iperstizione, o se preferite una profezia che si autoavvera. Ciò che avviene quando un individuo, timoroso di eventi futuri sfavorevoli (come rimanere single a vita) finisce per comportarsi in modo da favorire quella (per lui) fatale profezia.
Nel documentario Hyperstition (2015) di Christopher Roth viene data una definizione esatta del termine: il processo per cui entità immaginarie diventano reali. Più o meno quello che succede nella testa di un terrorista prima di commettere un attentato, ad esempio. pressappoco ciò che spinge un politico che non crede di essere eletto a manifestare la propria sfiducia in campagna elettorale, provocando proprio ciò che lo terrorizzava. E per quanto il senso dell’iperstizione sia dirompente quanto legato ad un contesto politico (prima che sociale), non sembra un azzardo immaginarlo collocato nel contesto sociale degli incel, una tassonomia umana che probabilmente andrebbe vista con maggiore senso critico, invece di appiccicarla addosso senza troppa cognizione di causa. Liberandolo, soprattutto, il povero presunto incel dal senso di colpa e dalle aspettative sociali familiste di essere single. Quello studio è stato illuminante proprio in questa direzione: gli incel sono più turbati dall’idea di essere catalogati come incel che dal loro effettivo feedback relazionale. E questo suggerisce, a tutti gli effetti, che essere incel sia pura iperstizione, profezia che si autoavvera come quella che “induce paura sui mercati” e spinge i broker a vendere, provocando materialmente le crisi che loro stessi paventavano.
Non fare entrare nulla nella tua vita
Dopo la parentesi doverosa sul mondo incel vale la pena riprendere la terminologia del marketing per scovarne qualche altra falla. Per provare a inquadrare perfettamente il problema può essere utile riprendere Mark Fisher in Realismo Capitalista (edito in Italia da Nero Edizioni). Un’opera che dice tanto su come andava il mondo già anni fa, e che trova conferma in quello che stiamo vivendo oggi a più livelli. Il capitolo intitolato “Non fare entrare niente nella tua vita” porta la data del 6 ottobre 1979: una linea di demarcazione ideale che segna un avvenimento importante. Quel giorno infatti il FED o Federal Reserve System americano porta i tassi di interesse al 20%, per contrastare la crisi, definendo gran parte dell’economia così come la viviamo oggi. Da allora, il modello dominante diventa quello di film come Heat – La sfida: un mondo brillantinato e deregolamentato in cui Vincent Hanna è il protagonista do it yourself con problemi in famiglia, che vive ipnoticamente assorbito dal proprio lavoro e deve fronteggiare una letterale competizione (da cui il titolo). Da un lato emerge un tòpos sociale conosciamo bene: chiunque possiede almeno un amico stressato da lavoro ben pagato quanto subumano, unito a stress familiare che sembra, per certi versi, una scoria di cui disfarsi.
Il capitalismo digitale a cui aderiscono certi guru – non tutti, si spera – sembra in fondo aver bisogno della famiglia e della tranquillità (gran parte di chi segue un corso per sedurre lo fa in ottica stabilizzante, in qualche modo), istituzioni fondanti nonchè “premio di consolazione” per una vita di tribolazioni e sfruttamento di lavoro precario. Dall’altro, in modo imprevedibile e schizofrenico, tende a minare quelle fondamenta, spingendo il soggetto a lavorare sempre e comunque, portandosi il lavoro a casa e ri-organizzando il proprio sistema nervoso sul modello produzione/distribuzione. È l’aziendalismo come corrente politica, stile di vita quotidiano, faro illuminante.
In altri termini, raccontava la penna acuta di Fisher lavoro e vita privata tendono per definizione a diventare inseparabili. Ed è proprio ciò che quei corsi o “suggerimenti” promulgano, tanto è il dilagare di corsi che spiegano non solo come fare soldi ma, in un delirio estensivo e onanista, come stare al mondo. Alcuni di quei video sono disarmanti e grotteschi: pur di marketizzare il proprio canale, ad esempio, una Youtuber ha risposto alla domanda di un iscritto “dovrei accettare del sesso orale da una mia amica?” con un lapalissiano “fai quello che ti senti“, episodio che dimostra che certe cose non si possano insegnare (invalidando la sostanza di quello che si mette online) ma anche, e soprattutto, che non ha importanza che quell’episodio sia autentico o una burla: l’obiettivo è acquisire nuovi adepti su Youtube.
Lavorava troppo, quindi l’ho licenziata
Il capitalismo digitale in ottica fisheriana si affanna ad esprimere la propria preponderanza non solo a livello lavorativo, ma anche e soprattutto a livello di vita di ogni giorno: nelle cronache recenti tutti abbiamo visto l’immagine di Ester Crawford, la dipendente di Twitter che dormiva in ufficio, prontamente licenziata.
È l’ennesima espressione delirante dell’aspetto più sprezzante e beffardo del Super-Io boomer di cui sopra: devi essere furbo, non devi avere legami familiari, stai sempre in ufficio, la buona volontà non è un valore, in fondo ci piacciono i furbi, chi fa finta di lavorare ha la meglio su chi fa sul serio. L’aziendalismo è una bestia grottesca e per molti versi psicolabile, dato che premia a singhiozzo, spesso attribuisce meriti a casaccio – in una colorita sintesi fa quel cazzo che je pare, e tanto basta.
Un mondo di troll bipolari
Sui social le reazioni a questa notizia sono state polarizzate, come sempre accade: da un lato i “sindacalisti” contestavano la scelta, obiettando condizioni di lavoro disumane e via dicendo, dall’altro i “machiavellici” sbeffeggiavano la dipendente esaltando il “genio” di Musk. Sono due faccie della stessa medaglia: sono entrambi emblemi del troll di 4chan, superbamente dipinti da libri come quello di Gabriella Coleman (I mille volti di Anonymous).
Si polarizzano perchè è il mezzo social ad imporglielo, e poi esprimono posizioni opposte (e senza sfumature) per il sol fatto che il digitale non ne prevede la possibilità. Sono bipolari perchè oggi possono essere machiavellici e domani sindacalisti, e il capitalismo digitale non se ne accorge nemmeno. Verrebbe da scrivere, a questo punto, che al capitalismo non piacciano nè interessino le sfumature, gli diano quasi fastidio, siano considerate inutili orpelli filosofici di cui disfarsi prima possibile.
L’ontologia dominante della società iperconnessa, a questo punto, consiste nel banalizzare i problemi quotidiani di cui molti probabilmente si vergognano e dovrebbero forse affrontare per altre vie (se dei corsi di seduzione online hanno tanto successo e nessuno ne coglie l’assurdità, esiste un problema, ed è anche molto serio). Del resto il compito del digital capitalismo è anche di de-contestualizzare e togliere ogni valenza sociale addirittura alla malattia mentale (anche qui, i social sono emblematici di loro: su qualsiasi gruppo Facebook in cui ci si insulta reciprocamente è un proliferare di abusi e pseudo-diagnosi psichiatriche, grottesche quanto atomizzate, mentre su Google sono sempre più popolari ricerche tipo come difendersi da un narcisista). Il successo di corsi per vivere meglio sono frutto dell’aver fatto passare la depressione come un problema individuale (quando non lo è, e la società dovrebbe teoricamente prendersene carico), ogni tormento interiore degli user connessi come misterioso o mistico frutto di problematiche individuali, accentuando l’isolamento dell’individuo.
Fisher presenta un’intuizione in merito poco considerata, a questo punto, ovvero che una forza politica di sinistra debba prendersi carico dell’idea che la malattia mentale e le forme di depressione debbano essere ri-politicizzate, messe in circolo secondo linee di transito che riguardino la sfera sociale, politica e del contesto quotidiano.
Ancora Incel, maschi etero frustrati e altre storie
Del resto saggi epocali come l’Antiedipo di Deleuze / Guattari – di difficilissima lettura quanto, implicitamente, simbolo di tempi complessi da decifrare o esprimere in poche frasi, come invece vorrebbe il capitalismo stesso – parlavano di schizo-analisi e schizofrenia come condizione limite del capitalismo, si arriva ad un punto cruciale analizzando da vicino la natura stessa del capitale digitale. L’attuale capitalismo digitale presenta in effetti una natura bipolare, oscillando tra momenti di esaltazione (le “bolle” speculative) e momenti di cupa depressione (le crisi che periodicamente attraversa).
Esattamente come avviene agli individui incel – con tutte le riserve di cui sopra – a cui succedono due cose in parallelo: da un lato vengono sballottati sulle chat di dating, tra momenti in cui sembra che ci sia l’imbarazzo della scelta per la prossima partner a quello in cui, dopo aver pagato un abbonamento di varie centinaia euro, permane solo la scelta dell’imbarazzo. Dall’altro, come se non bastasse, essere single diventa per loro una colpa, esaltata dalla sensazione che danno i social di continui potenziali e bellissimi partner che non aspettano altro lì fuori, ed in cui se rimani solo è tutta colpa tua: anche perchè sei stato un povero scemo a non farti quel corso di seduzione online. La figura mitologica degli incel, a riguardo, si colloca a meraviglia nel contesto, prodotta da questo humus digitale: sono tipicamente maschi bianchi etero, spesso associati a ideologie di estrema destra (anche se non sempre), arrabbiati sociali e tecnicamente delusi dal genere femminile che hanno, probabilmente, idealizzato troppo. Rientrano in tutto quello che abbiamo raccontato finora, in effetti:
Questo mood non è esclusivamente colpa di chi fa impresa o di chi mette in circolo app (ed idee) funzionaliste quanto illusorie. Secondo autori come Olivier James (Il capitale egoista) il capitalismo (digitale, nello specifico9 istiga nell’individuo l’idea perversa che ogni sogno e ogni aspettativa possa essere realizzata, anticipando esattamente il mood “vincente” di fin troppi guru e motivatori su internet. Puoi vincere, basta che ci credi, è la pseudo-motivazione per eccellente di qualsiasi coach che provi a spiegarti
In una qualsiasi fantasiosa società imprenditoriale – scrive James – la delusione è alimentata dalla convinzione che chiunque possa essere Alan Sugar o Bill Gates, indipendentemente dal fatto che tale eventualità sia andata diminuendo dagli anni Settanta in poi. Il capitalismo egoista foraggia spudoratamente l’idea che la ricchezza materiale sia la chiave per la realizzazione personale, che i ricchi siano i vincenti e che per puntare in alto basti lavorare sodo, indifferentemente dal retroterra familiare, sociale o etnico.
Ancora più inquietante e significativa la sua conclusione: se poi non riesci, l’unico da biasimare sei tu.
Foto di copertina e a corredo dell’articolo: vari incel “immaginati” dall’intelligenza artificiale di DALL E.
Video imbarazzanti divertenti (perchè si sa, se uno non si diverte almeno un po’, signora mia).
Scene imbarazzanti.
Al di là di Paperissima
Video divertenti (più generico e paraculo, vero?). Sarà un caso, ma la long tail – che rappresenta l’insieme delle ricerche correlate alla principale, in questo caso “video imbarazzanti” – coinvolge ricerche sessiste: video imbarazzanti in tv donne, immagini imbarazzanti donne, calcio femminile momenti imbarazzanti. Non sembra una faccenda di poco conto, considerando che la coda lunga diventa “popolare” e si genera anche sulla base di ricerche più frequenti, mentre i proprietari dei canali video tende a venire incontro a ciò che il pubblico vuole e, insomma, domanda e offerta, siamo sempre lì. È possibile che siano un lascito virtuale di generazioni cresciute a suon di Paperissima, un programma che tendenzialmente non faceva ridere nessuno ma che tutti, forse un po’ passivamente, guardavamo. L’analisi va spinta necessariamente oltre queste prime apparenze: soprattutto se constatiamo che la maggioranza dei video imbarazzanti in questione sembrino targetizzati su un pubblico maschile, tendenzialmente machista e alla ricerca del dettaglio da spiare, voyeuristico, allusivo, e non semplicemente di una caduta tragicomica.
Un’interpretazione troppo seria?
Ma fattela una risata ogni tanto, dirà a questo punto l’uomo qualunque, chiunque non sia ritratto come soggetto del video imbarazzante, in effetti. Per definizione, del resto, l’etimologia di “imbarazzante” rimane impietosa: un video imbarazzante non fa altro che presentare o implicare difficoltà mettere a disagio. Se si guardano i primi 9 risultati forniti da Google in merito a questo tipo di ricerca, emerge chiaramente un mood legato ad un’idea sessocentrica da un lato, e oggettificante la donna dall’altro. I video di questo genere, ad oggi, sembrano incentrati solo su donne, questo sembra essere l’aspetto rilevante.
La ricerca è stata fatta in modo anonimo immaginando un utente non connesso a Gmail, in modo da neutralizzare eventuali bias dovuti a ricerche precedenti. La cosa incredibile è che, in altri termini, in questo tipo di ricerche sembra mancare completamente la possibilità che ad essere messo in imbarazzo possa essere un uomo.
Non vogliamo generalizzare più del dovuto, ovviamente, e ci guardiamo bene dal pensare che la cosa possa essere assolutistica o peggio, sia indicativa di un qualcosa. Semplicemente, stando ai fatti, emerge che questa ricerca ha una propria popolarità, probabilmente legata ad un mondo maschile alla ricerca di momenti imbarazzanti femminili.
Video imbarazzanti femminili come espressione di stereotipi di genere: mascolinità tossica
Prima di arrivare a qualsiasi conclusione, ouò trattarsi di una forma di perversione feticistica o comunque di alternativa per cercare uno stimolo o un’eccitazione sessuale? Leggendo Michael Bader, senza pensare agli scritti di Freud, il sospetto sembrerebbe fondato.
Si potrebbe a questo punto pensare ad una correlazione con il glossario BDSM, in prima istanza: tanto per cominciare ricerche del genere sono disponibili a qualsiasi momento del giorno e della notte, a comando, mentre siamo in ufficio o durante l’ora di cena, per quanto non si tratti di un vero e proprio 24/7 e manci del tutto la consensualità reciproca. È difficile immaginare che i soggetti femminili di questo genere di video abbiano dato il consenso ad apparire, per quanto probabilmente la cosa passi in cavalleria, per dirla alla carlona, anche sulla base di contratti televisivi più o meno permissivi. Il tutto, ovviamente, non prevede aftercare: dopo aver visto video del genere, in effetti, non c’è alcuna fase di affettività o check delle condizioni del soggetto, che rimane tendenzialmente isolato – e tanto basta. L’interpretazione non convince del tutto e non trova che elementi sporadici, da correlazione spuria, anche perchè è noto come le pratiche BDSM abbiano senso nell’ottica di una reciprocità che qui manca (evidentemente sbilanciata in favore della mistress o del master, ma che deve comunque esiste con il / la slave).
Video imbarazzanti (anche) a titolo di redenzione
Chi cerca su internet lo fa per soddisfare una curiosità o un desiderio, in fondo, seguendo le linee immaginarie del proprio Io o sfruttando simboli, canoni o tratti sociali ben specifici. Fa riflettere, a conti fatti, come la ricerca di video del genere si possa altresì collegare al significato puro di “redenzione” dal senso di colpa, lo stessodi cui parla Bader nel suo libro: un capovolgimento di senso per il quale uomini sessualmente inibiti (e tendenzialmente subordinati) cederebbero a fantasie erotiche in cui la donna viene umiliata o messa in difficoltà pubblicamente. Che restino fantasie o vogliano realizzarsi non è dato sapere, ma se contestualizziamo al mondo di internet (falsamente anonimizzante) è plausibile che si tratti di voyeurismo puro. In una certa chiave di lettura femminista, del resto, un aspetto del genere – cercare video imbarazzanti, di umiliazioni o peggio – viene interpretato come puramente oppositivo al genere femminile in sè: se è vero che questo aspetto esiste e non possiamo rinnegarlo, del resto, probabilmente l’analisi andrebbe addirittura spinta oltre.
Proprio perchè questi video vengono cercati, in fondo, è possibile che siano espressione di un malessere profondo, che comporterebbe la possibilità di doversi ridefinire le priorità (per chi li cerca, ovviamente). La psicoanalisi non può giustificare tutto, ovviamente, e resta vero che tanti dei soggetti che cercano video “divertenti” del genere (le virgolette sono d’obbligo, a questo punto) difficilmente si sottoporrebbero. Ecco che l’aspetto sociologico legato alla mascolinità tossica può offrire una pezza giustificativa: durezza a prescindere, la prima priorità. Rifiuto di qualsiasi aspetto che possa sembrare anche collateralmente femminile. Machismo. Senso di potere assoluto, soprattutto: posso cercare quando voglio questo genere di video, salvarmeli per poi ricaricarli in seguito. Quanti “veri uomini” (virgolette fondamentali, ancora una volta) ci sono, nel cyberspazio, che cercano video del genere? Quanti di loro sarebbero disposti ad ammettere il potenziale eccitativo insito in essi?
Dove sono cercati i “video imbarazzanti” in Italia?
Stando a Google Trends, il termine “video imbarazzanti” è cercato soprattutto in Lombardia, Veneto e Lazio, e prima di dedurre cose imbarazzanti e non veritiere – tipo che sono le regioni più sessiste o bislacche, a loro volta, è bene fare qualche riflessione più generale. Proveremo a chiederci perchè una tale ricerca abbia avuto tanto seguito e tanta eco, non tanto su base geografica – tanto è vero che su internet è tutto campionato e potrebbero, e sicuramente mancano, dati essenziali ad un’analisi decente. Non che nelle altre regioni non vengano cercati, ovviamente, tantomeno che le altre regioni siano indice di equilibrio: nulla del genere, sono solo i dati di Google, alla fine, e potrebbero essere biased come pochi.
Sta di fatto che siamo pieni di video imbarazzanti e anche le visualizzazioni non sono poche: di fatto, siamo nell’ordine dei milioni di visualizzazioni su Youtube. viene da chiedersi da cosa derivi l’attrattiva di una cosa del genere, e ci chiediamo chi sia anche la personas media, l’utente medio che ne usufruisce e li guarda presumibilmente tra amici al pub, o nel buio della propria cameretta.
In genere gran parte dei video imbarazzanti sembra riguardare nudità casuali, indotte dalle circostanze o determinate da vedo-non vedo quasi sempre non voluti. Di fatto, il video imbarazzante rientra in un episodio potenzialmente abusante che sarebbe da considerare non dico alla pari del revenge porn o del deepnude, ma pressappoco in quella direzione. Appare chiaro che, per quanto si possa biasimare la visione di contenuti del genere, sarà difficile togliere di mezzo ogni video divertente e imbarazzante del genere. Esattamente come avviene per altri video non consensuali che, prima o poi, qualcuno dovrà considerare come tali.
Ludwig Wittgenstein (1889-1951) è stato un filosofo austriaco-britannico, considerato uno dei pensatori più influenti del XX secolo. Nato in una famiglia benestante di Vienna, Wittgenstein studiò ingegneria a Berlino e poi filosofia a Cambridge, dove ebbe come professore Bertrand Russell. Durante la prima guerra mondiale, Wittgenstein combatté come volontario nell’esercito austriaco e poi, alla fine del conflitto, tornò a Vienna per dedicarsi alla filosofia. Nel 1921 pubblicò il suo primo libro, il “Tractatus Logico-Philosophicus”, che lo rese celebre. Il libro proponeva una teoria del linguaggio che considerava la logica come la base di ogni conoscenza. Dopo aver lavorato come insegnante in Austria e in Norvegia, Wittgenstein decise di ritirarsi a vita privata e nel 1930 si trasferì in una comunità rurale in Austria, dove lavorò come giardiniere e carpentiere. Durante la seconda guerra mondiale, si trasferì in Gran Bretagna e riprese a insegnare filosofia a Cambridge. Il pensiero di Wittgenstein si evolse nel corso della sua vita: nel secondo periodo, che iniziò negli anni ’30, abbandonò molte delle idee del Tractatus e sviluppò una nuova concezione del linguaggio come forma di vita, basata sulle pratiche sociali e culturali. Il suo lavoro successivo si concentra principalmente sulla filosofia del linguaggio e sulla filosofia della mente. Wittgenstein morì di cancro a Cambridge nel 1951, lasciando incompiuta la sua opera maggiore, le “Investigazioni filosofiche”, che sarebbero state pubblicate postume nel 1953. La sua influenza sulla filosofia contemporanea è stata enorme, e la sua opera è stata oggetto di dibattito e interpretazione continua.
Cosa sappiamo dei fratelli di Wittgenstein?
Ludwig Wittgenstein aveva quattro fratelli: Hans, Rudolf, Rudi e Paul. Qui di seguito fornisco alcune informazioni sui fratelli di Wittgenstein:
Hans: Hans era il fratello maggiore di Ludwig, nato nel 1887. Era un ingegnere di successo e si interessava alla costruzione di aerei. Durante la prima guerra mondiale, lavorò per la società Daimler e sviluppò un motore aeronautico. Dopo la guerra, emigrò negli Stati Uniti, dove divenne un importante produttore di aerei.
Rudolf: Rudolf era il fratello minore di Ludwig, nato nel 1891. Era un musicista talentuoso e studiò musica a Vienna con Arnold Schoenberg. Durante la prima guerra mondiale, fu ferito gravemente in combattimento e perse un braccio. Continuò a fare musica componendo con una sola mano.
Rudi: Rudi era il fratello più giovane di Ludwig, nato nel 1907. Era affetto da una grave forma di autismo e trascorse gran parte della sua vita in istituti psichiatrici. La relazione di Ludwig con Rudi fu molto intensa e complicata, e Wittgenstein dedicò molto tempo e denaro per aiutare il fratello.
Paul: Paul era il fratello più vicino a Ludwig per età, nato nel 1888. Fu un talentuoso pianista e compositore, e studiò musica a Vienna con Arnold Schoenberg. Durante la prima guerra mondiale, fu ferito gravemente e trascorse gran parte del resto della sua vita in sanatori psichiatrici. Wittgenstein dedicò molto tempo e denaro per aiutare anche Paul.
In generale, i fratelli di Wittgenstein erano persone eccezionalmente talentuose ma anche afflitte da problemi di salute mentale. La relazione di Ludwig con i suoi fratelli fu spesso difficile e complessa, ma rimase sempre molto legato a loro.
Come si può riassumere il pensiero di Wittgenstein?
Il pensiero di Wittgenstein si è evoluto notevolmente nel corso della sua vita, ma ci sono alcuni punti fondamentali che caratterizzano il suo lavoro. Di seguito ne elenco alcuni:
Linguaggio come gioco di linguaggio: Wittgenstein ha proposto una concezione del linguaggio come attività sociale e culturale, piuttosto che come sistema formale di regole. Secondo questa visione, il significato delle parole dipende dal contesto in cui vengono usate, e la comprensione del linguaggio richiede una partecipazione attiva in giochi di linguaggio specifici.
Il limite del linguaggio: Wittgenstein ha sostenuto che ci sono alcuni aspetti dell’esperienza umana che non possono essere espressi attraverso il linguaggio. Questi aspetti sono quelli che si trovano al di là del confine del linguaggio, e che possono essere solo mostrati, ma non descritti.
Il problema della certezza: Wittgenstein ha sostenuto che la nostra certezza su ciò che crediamo dipende in gran parte dalle pratiche sociali e culturali in cui siamo immersi. In altre parole, la verità e la falsità delle nostre credenze non possono essere stabilite indipendentemente dalla loro relazione con le pratiche sociali e culturali.
Il rapporto tra pensiero e mondo: Wittgenstein ha sostenuto che il nostro pensiero dipende dal mondo, ma che il mondo stesso è in parte determinato dal nostro pensiero. Questo rapporto reciproco tra pensiero e mondo è stato oggetto di studio nella filosofia della mente.
La filosofia come analisi del linguaggio: Wittgenstein ha proposto che la filosofia debba essere vista come un’analisi del linguaggio, piuttosto che come una disciplina teorica. In questo senso, la filosofia deve cercare di chiarire il significato di concetti fondamentali come “verità”, “causalità” o “libertà”, piuttosto che di sviluppare teorie o sistemi di pensiero.
Tractatus
Il “Tractatus Logico-Philosophicus” è l’opera filosofica più nota di Ludwig Wittgenstein, scritta tra il 1918 e il 1919. Il libro è diviso in sette sezioni, ognuna delle quali presenta una serie di proposizioni numerate.
Il “Tractatus” è un tentativo di risolvere i problemi fondamentali della filosofia attraverso l’analisi del linguaggio. Wittgenstein sostiene che il linguaggio ha una struttura logica profonda che riflette la struttura del mondo stesso. Il mondo è costituito da fatti atomici, cioè entità che sono indissolubilmente legate tra di loro. Questi fatti possono essere rappresentati attraverso proposizioni atomiche, cioè proposizioni che esprimono un fatto semplice e non possono essere scomposte in proposizioni più piccole.
Il “Tractatus” si articola in sette sezioni, che possono essere sintetizzate come segue:
Introduzione: Wittgenstein spiega il suo metodo e le sue convinzioni fondamentali.
Teoria della proposizione: Wittgenstein introduce la sua teoria della proposizione come immagine della realtà.
Teoria della verità: Wittgenstein sostiene che la verità di una proposizione dipende dalla sua corrispondenza con un fatto.
Ontologia: Wittgenstein descrive la struttura ontologica del mondo come composto da fatti atomici.
Teoria del pensiero: Wittgenstein sostiene che il pensiero è un’immagine mentale di una proposizione.
Etica: Wittgenstein sostiene che l’etica non è una questione di verità o falsità, ma è piuttosto una questione di valore.
Mistero: Wittgenstein conclude il libro con una riflessione sul mistero, sostenendo che ci sono alcune cose che possono essere mostrate, ma non descritte o spiegate.
In generale, il “Tractatus” di Wittgenstein ha avuto un’enorme influenza sulla filosofia del XX secolo, soprattutto sulla corrente del positivismo logico. Il libro ha suscitato anche numerose critiche e interpretazioni divergenti, ma rimane una delle opere fondamentali della filosofia analitica.
Ritratto di Wittgenstein come se fosse un uomo di oggi, visto da StarryAI
Ritratto di Wittgenstein come se fosse un uomo di oggi, visto da StarryAI
Ritratto di Wittgenstein come se fosse un uomo di oggi, visto da StarryAI
Ritratto di Wittgenstein come se fosse un uomo di oggi, visto da StarryAI
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