LIBRI_ (24 articoli)

Parliamo di libri, saggi e letteratura, ed il loro eventuale legame con il mondo del cinema. A cura di Max Headroom

  • Perchè non ci sarà mai un film su Neuromante di William Gibson

    Perchè non ci sarà mai un film su Neuromante di William Gibson

    Uno dei più celebri cult della letteratura cyberpunk potrebbe non arrivare mai sul grande schermo: ed è tutto quello che ne sappiamo, ad oggi. Il romanzo di William Gibson del 1984 Neuromante, infatti, è stato maneggiato da vari registi per molti anni, ma nulla di concreto ne è mai uscito fuori. A questo punto, sembra estremanente improbabile – e molti lo sostengono – che possa mai essere realizzato.

    Neuromante è un romanzo di fantascienza scritto da William Gibson nel 1984, considerato una delle prime opere cyberpunk, molto amato dagli appassionati come classico del genere. Per quanto il cinema abbia abbondantemente saccheggiato dalla letteratura, spesso con risultati abbastanza dubbi o poco soddisfacenti, non è ancora stato realizzato un film tratto da questa opera, mentre la filosofia accelerazionista sembra aver saccheggiato a piene mani dai suoi contenuti.

    Un ipotetico film su Neuromante ci piace immaginarlo sulla falsariga di Matrix, ma le cose sono più complesse di quanto sembrino a prima vista. Certo, Neuromante e Matrix presentano alcune somiglianze, ma sono anche abbastanza diversi l’uno dall’altro. Entrambi i film esplorano temi legati alla tecnologia e all’intelligenza artificiale, e entrambi presentano un mondo totalmente immerso nella realtà virtuale. Entrambi esibiscono personaggi che lottano per comprendere la loro vera natura, il loro posto nel mondo, e questo ha certamente contribuito al loro successo planetario.

    Tuttavia si rilevano importanti differenze tra Neuromante e Matrix. Neuromante è un romanzo di fantascienza che si svolge in un futuro distopico, in cui la tecnologia ha raggiunto livelli estremi e il mondo è governato da corporazioni prive di scrupoli. Matrix, d’altra parte, è un film di fantascienza che presenta una realtà virtuale vera e propria, creata da intelligenze artificiali per tenere gli esseri umani prigionieri, al fine di utilizzare la loro energia vitale come fonte di alimentazione. Il tema principale di Neuromante sembra essere l’identità, e come essa viene influenzata dalla tecnologia, mentre in Matrix il tema principale è la libertà, e come gli individui possono (o devono) lottare per essa.

    Di cosa parla Neuromante

    Neuromante, per chi non lo ricordasse, segue le avventure del protagonista, Case, un ex ladro di computer che è stato bandito dalla rete virtuale dopo essere stato tradito e ingannato. Case viene reclutato da un milionario dal nome Armitage, che dice di avere un piano per riportarlo nella rete. Armitage recluta Molly, una cyborg, per aiutare Case a completare la sua missione.

    La trama ruota attorno alla ricerca di Case per la figura del “neuromante”, una vera e propria intelligenza artificiale che potrebbe aiutarlo a diventare il più grande hacker della storia. Nel corso della sua missione, Case affronterà molte insidie e incontrerà una varietà di personaggi bizzarri e pericolosi, come grotteschi ninja che lavorano per l’azienda di Armitage e il perfido Ducebanto, un boss della criminalità – ovviamente, criminalità informatica. Alla fine, Case affronta il proprio antagonista e scopre il vero obiettivo di Armitage: sfruttare il Neuromante per creare una propria intelligenza artificiale in grado di dominare il mondo.

    Non c’è un film basato su Neuromante anche perché trasporre in modo soddisfacente il libro in un film è stato considerato un compito difficile, a causa della complessità della trama e dei temi trattati. Ci sono stati diversi tentativi di adattare Neuromante per il cinema, ma finora nessuno di essi è riuscito a diventare un progetto concreto.  In passato ci hanno provato invano sia Chris Cunningham che Vincenzo Natali, ma dopo anni di lavoro il progetto è stato regolarmente abbandonato.

    La sensazione generale è che Neuromante non voglia farsi filmare, come se l’intelligenza artificiale di cui parlava Gibson rifiutasse di farsi spettacolarizzare, memore di quanto avvenuto a tanti romanzi famosi banalizzati da esigenze di mercato e di happy end. O magari – fantasticando un po’ – Neuromante risiede tanto nel profondo del nostro inconscio che, nel 2023, farlo uscire fuori – nell’era digitale del controllo e della privacy perennemente minacciata dalle nuove tecnologie – risulterebbe a titolo di mostruosità ultima: con il rischio banalizzazione, esortando ad una rivoluzione a cui crediamo sempre meno o ad improbabili scelte modello Matrix: pillola rossa, pillola blu, pillola verde... Resta la sensazione straniante di avere un’opera così attuale che nessuno ha voluto, saputo o potuto mettere in una sala cinematografica.

    O magari, come suggerito da un utente su un Reddit tematico, non ci sarà mai un film su Neuromante di William Gibson perchè ci stiamo già vivendo all’interno.

    Immagine di copertina: come sarebbe un personaggio di Neuromante secondo StarryAI

  • 12 cose che forse non sapevi sulla vita di Frank Zappa

    Non mi va di scrivere un libro, ma sto per farlo comunque, visto che Peter Occhiogrosso mi darà una mano. L’incipit dell’unica biografia ufficiale di Frank Zappa inizia esattamente con queste lapidarie parole, a testimonianza di uno dei geni della musica più contradditori, innovativi e difficili da classificare mai comparsi sulla faccia della terra. Personaggio umile quanto dal curriculum di tutto rispetto, Occhiogrosso è un autore su commissione che vanta l’unica autentica biografia del musicista tra le proprie opere, tanto da fregiarsi del titolo in inglese “The real Frank Zappa book“.

    Premesso questo, procediamo alla scoperta dei 15 fatti più curiosi che è possibile scovare nel libro Frank Zappa – L’autobiografia, edito in Italia dalla Arcana e tradotto da Davide Sapienza.

    Se trovate il vostro nome nel corso della lettura e non volevate vederlo stampato (o non gradite i miei commenti), mi dispiace. (F. Zappa, Frank Zappa – L’autobiografia)

    Fu di origine italiana, greca, francese e araba

    Frank Vincent Zappa nasce il 21 dicembre del 1940 a Baltimora, Maryland, a suo dire “saltai fuori che ero tutto nero, tanto che credevano che fossi morto. Adesso sto bene“. Di origini siciliane, precisamente di Partinico, ma anche greche, arabe e francesi: sua nonna era francese e siciliana mentre suo padre era italiano, emigrato negli Stati Uniti ed impiegato come barbiere, per un primissimo periodo.

    Lottò aspramente contro la censura

    Zappa assistette alla nascita del Parents Music Resource Center (PMRC) nella metà degli anni 80, nato da una congrega di mogli quasi tutte di membri del Senato statunitense dell’epoca. Spicca tra di esse la figura di Tipper Gore, la quale (da quello che sappiamo nella sintesi raccontata da Occhiogrosso) acquista per la figlia di otto anni il disco Purple Rain, colonna sonora dell’omonimo film, già di suo al centro di qualche polemica per via dei contenuti per adulti al proprio intenro. Basta il testo di Darling Nikki ed i riferimenti alla masturbazione al suo interno (she was a sex fiend / I met her in a hotel lobby / Masturbating with a magazine) scatenano una reazione immediata. Le donne iniziano a riunirsi tra loro discutendo del tema, fino a spedire una lettera minacciosa alla RIAA (Associazione Discografici USA), invitandoli caldamente a classificare i dischi in base ai loro contenuti. Stiamo assistendo alla nascita delle etichette su gran parte dei CD metal e rock “Parental Advisory, Explicit Lyrics“: la RIAA si appiattisce completamente sulla posizione del PMRC, invitando le radio a non trasmettere più contenuti espliciti pena la revoca della licenza.

    Zappa scrisse una lettera aperta alla rivista musicale Cashbox, in cui riassume brevemente la vicenda:

    LA RIAA DEVE BALLARE A COMANDO PER LE CASALINGHE DI WASHINGTON OPPURE L’INDUSTRIA FARÀ I CONTI CON IL PESO DEI LORO FAMOSI MARITI.

    Il punto di vista zappiano è lampante: l’industria è completamente conformata alle volontà politiche dell’epoca (in fondo a loro interessa solo vendere dischi), mentre gli artisti stanno sottovalutando la possibilità di essere etichettati a vita oppure, peggio ancora, di sentirsi in dovere ammorbidire i propri contenuti per evitare lo stigma in questione. Una battaglia anti-censura che Zappa porterà anche in sede processuale, mediante video passati alla storia e nella relativa indifferenza degli stessi artisti coinvolti, da lui strenuamente difesi.

    I suoi primi giocattoli furono beccucci, matracci, piattini di mercurio solidificato e maschere antigas

    Il padre di Frank Zappa fu metereologo alla Edgewood, azienda nota perchè produsse gas velenosi in uso nella Seconda Guerra Mondiale. Molto del materiale in uso venne maneggiato dal giovane musicista da ragazzino, tra cui il mercurio, il DDT (all’epoca forse ritenuti non tossici per l’uomo, cosa riveletasi ovviamente errata) e numerose maschere antigas, in uso dagli abitanti della zona nel timore di fuoriuscite accidentali di gas nervino. La produzione di armi e di metodi per uccidere il prossimo colpì profondamente la sensibilità del giovane artista, che ne evidenzia più volte i paradossi e le assurdità di fondo.

    Zappa racconta (tutto sommato, in modo divertito) come le conoscenze mediche dell’epoca fossero limitate, e come venisse curato in modo curioso (ad esempio mediante olio d’oliva per il mal d’orecchi) e senza l’opportunità di potersi opporre a certe assurdità (nè a livello familiare, nè tantomeno generale). Cosa che gli provocò una certa insofferenza verso autorità e convenzioni, la quale successivamente riversò nella propria sterminata produzione musicae

    …il noli contendere, una rinuncia, come a dire “Sono così al verde che non posso permettermi la giustizia di Cucamonga, perciò darò mille verdoni a questo avvocato e poi terrò la bocca chiusa, sperando che non mi diano la pena di morte.” – Frank Zappa – L’autobiografia

    Non è mai stato coprofago

    Una diffusa leggenda urbana, smentita nel capitolo iniziale della biografia ufficiale, racconta che Zappa avrebbe mangiato sul palco gli escrementi di Captain Beefheart, musicista eclettico e suo sodale nonchè amico dell’epoca. In realtà è un falso, non è mai successo nulla del genere: secondo Zappa, che ribatte ironicamente alla fake news, “non ho mai mangiato merda sul palco, ed il posto in cui andai più vicino a farlo fu nel 1973, ad un buffet in North Carolina“.

    Venne incarcerato per pornografia per 1 settimana

    La storia secondo cui finì in carcere per pornografia va dettagliata per coglierne le contraddizioni grottesche: l’accusa fu quella di cospirazione per produrre pornografia. Nella cultura giudiziaria dell’epoca, infatti, era sufficiente che due persone discutessero della preparazione di un crimine per poter essere incriminabili in tal senso. Molte battaglie libertarie e contro la censura di Zappa, raccontate mirabilmente in vari documentari e nel recentissimo Zappa, sono probabilmente nate in questa sede.

    Nel 1963 Zappa produceva attivamente musica nello Studio Z, luogo in cui venne registrato, ad esempio, Safe as Milk di Captain Beefheart. La stampa dell’epoca lo definì, probabilmente per un equivoco, “the Movie King of Cucamonga“, tanto da insospettire le autorità locali che gli attribuirono assurdamente la creazione di film pornografici (all’epoca più che uno stigma, un vero e proprio reato, come raccontato in film di culto come Hardcore di Schrader). A marzo del 1965 un poliziotto sotto copertura offrì al musicista 100 dollari per produrre una audiocassetta hot da destinare ad un addio al celibato. Detto fatto: Zappa si accorda con un’amica e registrò un finto episodio erotico, pieno di allusioni e gemiti sessuali. Nastro che venne usato come prova processuale, provocando una settimana di carcere all’artista per “cospirazione al fine di commettere pornografia“, il sequestro di gran parte del materiale dello studio (molto del quale venne smarrito per sempre) e la successiva riduzione della pena ad una sola settimana. Lo studio venne chiuso mesi dopo la sua uscita, e solo una parte di quel materiale sopravvisse.

    La sua prima influenza musicale furono i dischi di Edgar Varèse

    Non è un mistero che la carriera di Zappa racconti di un poli-strumentista, ma anche un compositore ed un direttore d’orchestra nell’ultima fase della sua carriera. Avvistando un disco di Edgar Varèse in un negozio dell’epoca, pensò subito che fosse una specie di “scienziato pazzo” che aveva prodotto un disco. Inutile sottolineare quanto il disco fosse considerato inaccessibile per l’epoca, tanto che molti ascoltavano il brano Ionisation (più volte citato nella biografia) e nessuno mai lo acquistava. Frank lo ottenne per i pochi dollari che aveva in tasca, 3.75$, e lo ascoltò ripetutamente per molto tempo.

    Ecco la vera storia del brano “Tengo una minchia tanta

    Estate 1982, siamo precisamente al 14 luglio e ci troviamo nello stadio oggi noto come Renzo Barbera, all’epoca “La Favorita“. Zappa si trova in tour in Italia, per suonare di fronte ad una folla che lo attende febbrilmente da mesi: colpito dalla ripetizione della parola “minchia” nei discorsi della gente del posto, chiede all’amico Massimo Bassoli di scrivere un testo per una canzone che contenesse la stessa in ogni strofa. Siamo nella fase del soundcheck e nasce, quasi per caso, il testo dadaista (e quasi sulla falsariga degli Squallor) che tutti ricordano. Il concerto, per inciso, fu interrotto per disordini e viene ricordato nel documentario Summer ’82: when zappa came to Sicily di Salvo Cuccia.

    Ah, tengo na minchia tanta
    Tengo na minchia accussi’

    Devi usare un pollo
    Se me la vuoi misurar
    Devi usare un pollo
    Se me la vuoi tastar

    Guarda che se la mangia
    E mentre se la sta a pappa’
    Chiedimi che cosa fa
    Se la sta a succhia’

    Frank Zappa non era il figlio di Lumpy Brannum

    Secondo una diffusa dicerìa dell’epoca, secondo la quale il brano del disco Hot Rats (1969) dal titolo “Son of Mr. Green Genes” fosse un riferimento al personaggio di Captain Kangaroo (Brannum), un personaggio di una serie TV dell’epoca destinata ai bambini, di cui Zappa sarebbe stato – secondo la leggenda urbana in questione – il figlio.

    Non era, ovviamente, così.

    Non iniziò suonando la chitarra, bensì la batteria

    In un’epoca in cui il rock’n roll doveva ancora essere inventato, Frank si appassiona alle percussioni e frequenta anche un corso estivo con Keith McKillop. Per un certo periodo provò a far suonare i pezzi dell’appartamento in cui viveva, non potendo permettersi nemmeno un rullante. Esordisce come batterista con una band scolastica di R&B (una delle sue più grandi influenze musicali, peraltro) nel 1956, i Ramblers.

    “Sono un sessista o cosa?”

    La risposta di Zappa alle accuse di maschilismo in molti suoi testi, viene riportata nella biografia, con un atteggiamento a viso aperto:

    se doveste prendere i testi che ho scritto e analizzarli“, scrive il musicista, “molte canzoni sarebbero definite di argomento donne in posizioni degradanti, inteso in modo diametralmente opposto a uomini in posizioni umilianti. Inoltre vi accorgereste che la maggiorparte delle canzoni parla di UOMINI STUPIDI. Le canzoni che scrivo non sono attacchi gratuiti, ma dichiarazioni di fatti“, rifiutando di scusarsi in seguito a varie pressioni “perchè diversamente dall’UNICORNO quelle creature ESISTONO DAVVERO e meritano di essere commemorate in una loro opera speciale“.

    La posizione di Zappa contro il sentimentalismo nelle canzoni

    IO DETESTO LE PAROLE DELLE CANZONI D’AMORE”. Credo che una delle ragioni della cattiva salute mentale degli americani dipenda dal fatto che la gente è cresciuta con QUEI TESTI. Da ragazzino senti tutte quelle PAROLE ROMANTICHE, giusto? I tuoi genitori non ti raccontano la verità sull’amore, e a scuola non la impari di certo. […]

    È un condizionamento inconscio che crea il desiderio di situazioni immaginarie che per te non esisteranno mai. […] La gente passa la propria vita sentendosi defraudata di qualcosa. […] MOLTO CINICO di alcune canzoni rock è il modo in cui dicono FACCIAMO L’AMORE, ma quale cazzo di imbranato dice merdate del genere nella realtà? Bisognerebbe poter dire andiamo a scopare o almeno andiamo a riempire i moduli“.

    Propose uno spettacolo in occasione di italia ’90 – mai preso in considerazione

    Uno degli episodi più divertenti della biografia zappiana è senza dubbio quello che riguarda il suo contatto con l’allora sindaco Pillitteri, al vicesindaco e assessore alla cultura Corbani e all’assessore ai problemi giovanili Treves, definiti rispettivamente nel libro “un socialista, un comunista e un anarchico“.

    Il progetto di Zappa è pregno di poesia dadaista, irriverenza religiosa e assurdità assortite:

    Proposta di un’opera dedicata al campionato mondiale di calcio – Dio fa – Frank Zappa propone di scrivere, produrre e dirigere uno spettacolo straordinario in coincidenza con le finali della Coppa del Mondo di calcio nell’estate 1990, finanziato dalla Città di Milano e dalla Lega Calcio Italiana.

    La prima dell’opera avverrà alla scala e sarà trasmessa via satellite in tutto il mondo. Il testo sarà in inglese, tedesco, italiano, francese, spagnolo, portoghese e russo; lo spettacolo prevede parti di danza in vari stili, effetti speciali e una sfilata di moda. […]

    Tutto il materiale – conclude Zappa – è soggetto a modifiche irrazionali. Il tema dell’opera è: MILIONI DI PERSONE CREDONO CHE IL CALCIO SIA DIO, MA SI DICE (ALMENO A TORINO) “DIO È UN BUGIARDO. DIO FA

    Dio Fa diventa addirittura una canzone dell’album Civilization Phase III, raccolta del 1994.

  • H.P. Lovecraft: Autobiografia di uno scrittore da quattro soldi, edito da Mattioli1885

    Il libro Biografia di uno scrittore da quattro soldi ripercorre la vita dello scrittore di Providence, evidenziandone aspetti meno noti ricavati da alcuni scritti inediti di suo pugno. Il primo aspetto che emerge dalla lettura è l’enorme umiltà dell’uomo come scrittore, a cui piace addentrarsi nella propria storia editoriale partendo dai primissimi scritti, concepiti quando aveva pochissimi anni d’età e in gran parte perduti o distrutti (tra i quali vengono salvati La bestia nella caverna e L’alchimista).

    L’amore primordiale per i libri, a partire dall’adorato Le mille e una notte, da’ il via alla produzione letteraria dell’autore, non prima di rimanere affascinato dallo studio della scienza e dell’astronomia. C’è tempo per raccontare della genesi dei suoi racconti più belli, tra cui una menzione particolare meritano, secondo H. P. Lovecraft stesso, Il colore venuto dallo spazio e La musica di Erich Zann. Molte note biografiche riguardano il suo stato cagionevole di salute, che ne condizionò la socialità per tutta la vita, ed il trasferimento per un breve periodo a New York, da lui vissuto come un autentico incubo.

    C’è ampio spazio per vivisezionare la filosofia che guidò lo scrittore di Providence, dettata dalla necessità di superare quelli che vengono definiti, nel testo, gli irritanti limiti di tempo, di spazio e delle leggi naturali. Sono gli stessi che aveva studiato fin da ragazzo, in effetti, e la sua letteratura potrebbe pertanto definirsi una continua tensione verso l’assoluto e la riconquista di nuove frontiere. L’uomo lotta soprattutto contro il tempo, considerata la dimensione più spaventosa in assoluto dell’esistenza umana.Questo spiega almeno in parte la genesi irrazionale delle creature che popolano i suoi mondi, le stesse sembrano violare le leggi della natura nelle modalità più indescrivibili. A riguardo, del resto, basterebbe citare quella descrizione vertiginosa e autoconclusiva presente ne Il richiamo di Cthulhu:

    fu inghiottito da un angolo in muratura che non avrebbe dovuto esserci: un angolo acuto, che si comportava come se fosse ottuso.

    Come scrivere una storia, secondo H. P. Lovecraft

    Lovecraft in alcune delle sue lettere, peraltro, dispensa suggerimenti per la scrittura e racconta la genesi delle sue opere: che partono da un’idea che si traduce in azione drammatica, in cui inizialmente il tempo assume la dimensione dominante (stilare una scaletta in ordine cronologico), poi scriverne una seconda in ordine narrativo (dove il tempo, a questo punto, potrebbe diventare relativo, anti-causale, ucronico e via dicendo), infine scrivere la storia con una certa autoindulgenza, almeno in questa fase.

    Lovecraft sottolinea inoltre come possa essere necessario non rimanere ancorati all’idea originale, bensì farla evolvere in modo naturale, e poi rileggere quanto scritto badando soprattutto a sintassi e corretta sequenzialità degli eventi. Soprattutto, Lovecraft sostiene che Non bisogna mai dare il prodigioso per scontato, suggerimento che certi registi horror del passato avrebbero probabilmente dovuto cogliere meglio.

    Il libro contiene inoltre i preziosi e suggestivi taccuini lovecraftiani, in parte già presenti in altre edizioni di difficile reperibilità (ad esempio l’ormai raro, probabilmente fuori catalogo, Diario di un incubo, edito da Oscar Mondadori), che annotano sensazioni, idee, a volte utilizzare per sviluppare storie altre rimaste sospese. Ci sono gli appunti da cui nasceranno Il miraggio dello sconosciuto di Kadath, ad esempio, ma anche l’idea stessa del Necronomicon, il libro innominabile che venne partorito, a quanto risulta, dalle storie di fantasia che ascoltava da suo nonno da ragazzino.

    Citiamo a mo’ di esempio veri e propri microracconti quasi auto-conclusivi, come Un uomo non vuole dormire, non osa dormire, e prende delle droghe per rimanere sveglio. Alla fine si addormenta e succede qualcosa. che si potrebbe accoppiare con Un uomo sogna di cadere, è trovato spappolato al suolo come se fosse caduto da un’altezza abissale (viene quasi in mente Freddy Krueger), Una mano scolpita o artificiale strangola il suo creatore, Un uomo fissa un appuntamento con un vecchio nemico, muore, ma il cadavere si reca lo stesso all’appuntamento. Le note sono numerose, ne sono riportate esattamente 221, e meritano una citazione almeno altre due, di quasi derivazione horror ottantiana: i sogni di un uomo creano in un’alta dimensione un vero e proprio mondo semi-folle di sostanza quasi materiale e soprattutto quello dedicato all’entomofobia: Degli insetti o altre entità aliene assaltano un uomo e penetrano nella sua mente: questi comincia ad avere ricordi strani o esotici.

    L’ultimo capitolo del libro è dedicato, infine, al testamento dettato da Lovecraft, redatto tra la fine del 1936 e l’inizio del 1937, dal titolo Istruzioni in caso di decesso. Foto di copertina: Dominique Signoret, CC BY-SA 3.0 <http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/>, via Wikimedia Commons

  • I blogger cercano visualizzazioni: facciamo pace con questa idea

    Leggo moltissime critiche sullla famigerata blogosfera ed il suo modo di produrre informazioni infime, di bassa qualità, dove una “fonte” è semplicemente un link che sarà utile alla SEO altrui e dove basta scrivere titoli smezzati, morbosi o attrattivi per fare click baiting.

    I blogger hanno rovinato il mondo (e non solo quello dell’informazione), basandola troppo spesso sul pettegolezzo, sulla voce non confermata, sulla citazione ad muzzum, sul gossip, nei casi più eclatanti sul leak (pubblicando documenti riservati degli stati, indiscrezioni, foto intime di VIP, e via dicendo). Questo apparentemente avrebbe dovuto mostrare al mondo che i blogger siano espressione del popolo oppresso che si ribella alla tirannide dei “potenti” o dei “poteri forti”: nulla di più sbagliato.

    Spesso si accusano i blog di aver rovinato un po’ tutto: di aver rovinato il mondo del cinema, ad esempio, con recensioni autoreferenziali che lasciano il tempo che trovano. Di aver fatto anche peggio nel mondo musicale, infarcendo le recensioni di paroloni inutili che poco o nulla fanno (o faranno, o facevano) capire sulle intenzioni dell’artista. Di aver letteralmente smembrato il mondo e, come racconta Ryan Holiday nel suo meraviglioso libro Credimi! Sono un bugiardo!, di essere addirittura arrivati a raccontare una realtà inventata, inesistente, immaginaria, bizzarra (e creduta vera dai più!), pur di generare visualizzazioni o page-views. Il tutto, ovviamente, aggredendo il lettore con titoli altisonanti, addirittura creando interi siti di informazioni inventate (i siti di bufale che ormai conosciamo tutti). Ma non voglio dilungarmi su questo, oggi.

    Bisogna imparare ad accettare i blog per quello che sono, secondo me: esistono blog di qualità e blog cattivi, esattamente come esistono ingegneri competenti e gente che ha scippato la laurea mentre il presidente di commissione era distratto. La qualità paga sempre, anche sul web e anche se Google ed i social (ancora) con le proprie dinamiche un po’ selvaggie non se ne sono accorti. Il concetto è molto semplice, in realtà: ogni blog per sopravvivere a se stesso (alle pressioni economiche nonchè a quelle di amici e conoscenti che invitano i vari blogger, con cadenza quasi giornaliera, a “trovarsi un lavoro vero”) deve necessariamente fare visualizzazioni: senza quelle, senza nessuno che ti legga, non esisti. Saresti un soliloquio umano, un solitario masturbatore della tastiera, un eretico dal pensiero sovversivo che pero’ non si caga neanche tua zia. Triste, ma realistico.

    Se non sfruttassero qualche tecnica anche borderline per fare visite, semplicemente non avremmo ragione di parlarne: secondo alcuni sarebbe un mondo migliore, se non fosse che quegli stessi blog, in molti casi, sono la fonte (vedi sopra) di notizie che poi leggiamo nelle testate serie dei giornali. Per cui a qualcosa servono, anche solo per soddisfare la fame di conoscenza e di lettura (o visualizzazione che dir si voglia) del pubblico. Della “ggente“, se preferite. In questa accezione “il popolo del web” di cui spesso si sparla fondamentalmente non esiste, se non come idea astratta e indefinita di ciò che non è mai stato (internet come strumenti anti-oppressivo, per intenderci: almeno non da queste parti, visto il dilagare di populismo sui social e non, per dire, di contenuti troppo culturali).

    Facciamo pace una volta per tutte con questa idea: devono fare visite, esattamente come un qualsiasi professionista che abbia bisogno di qualcuno che gli commissioni dei lavori, cercano lo scoop a tema, pubblicano tanto di inutile, sono vincolati agli analytics per gli argomenti da trattare, fa parte del loro lavoro (con tutte le accezioni del caso, è un lavoro, amisci).

    Per inciso, molti blogger sono a busta paga presso famose aziende, molti altri dipendono da programmi di affiliazione (li pagano in base ai click, ma soprattutto agli acquisti, che fate attraverso i loro siti) spesso troppo tirchi. In entrambi i casi voialtri lettori non ne saprete mai nulla, e questo nonostante ci sia gente come me che prova a spiegarvelo.

    Il blogger dipende dal click perchè è il web, per come è nato e per come sta diventando, ad imporre questa regoletta. O no?

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