Uno scrittore si reca a Salem per trovare l’ispirazione e riprendere la propria attività: ma ha scelto il posto decisamente meno adatto per concentrarsi, visto che la cittadina sta per essere invasa da perfidi vampiri…
In breve. Un horror formato TV che non decolla, e che rischierebbe il collasso se non fosse per l’intreccio di King, che ha quantomeno il merito di tenere in piedi la baracca.
Cosa raccontare su “Le notti di Salem” (da non confondersi con il recente “Le streghe di Salem di Rob Zombie“), opera puramente horror-ottantiana del regista di culto Tobe Hooper? Era francamente difficile tenere il ritmo e la sostanza dei due capolavori precedenti Non aprite quella porta (1974) e Il tunnel dell’orrore (1981), e in effetti il regista non fa che riproporre le tematiche dell’affascinante romanzo di Stephen King alleggerendolo di qualche dettaglio, citando velatamente qualche classico e proponendo un cast che, per quanto di discreto livello, finisce per costituire l’ennesimo film che non decolla. Secondo King dovevano essere i personaggi umani, con i loro continui scheletri nell’armadio, a risultare più spaventosi dei vampiri che vorrebbero impadronirsi di Salem: questo aspetto è stato completamente alterato da Hooper, che ha preferito insistere sugli stilemi da horror alla Mario Bava (con atmosfere quasi da gotico, in un modo), senza che pero’ questo aspetto riesca davvero a risultare compatto. Per quanto non manchino momenti spaventosi, “Le notti di Salem” è un po’ disarticolato – complice forse il formato televisivo, che da sempre trovo indigesto – e non riesce a trasmettere reali sensazioni positive al pubblico, anche se sarebbe ingiusto dire che è un brutto lavoro nel senso vero del termine.
Si trascina per circa due ore alternando momenti di preparazione ad altri (piuttosto suggestivi) di ambientazione oscura e goticheggiante – ad esempio la casa degli orrori è ben realizzata, ma è presentata in modo troppo diretto e scontato: Hooper conosce la materia, ovviamente, e destreggiandosi bene con la macchina da presa riesce a regalare un vampiro molto suggestivo per quanto, di fatto, la sua figura non riesca a risultare troppo convincente. Del resto bisogna pur riconoscere che storie del genere, per quanto orgogliosamente artigianali, rivaleggiano tuttora con i vampiri moderni, spesso troppo bonaccioni e relegati ad un ruolo di amanti belli, sfigati e/o eternamente perduti (con pochissime eccezioni tra cui Blade e, se proprio vogliamo, i “supplizianti”-vampiri di Hellraiser). Il finale del film, poco accattivante e piuttosto prevedibile, rende incomprensibile parte della storia (ad un certo punto la protagonista femminile “scompare” letteralmente dall’intreccio), e non regala certo emozioni memorabili. Per queste ragioni fa destinare – un po’ come “Fuoco cammina con me” di David Lynch – la comprensione della poetica del regista a ben altre pellicole. Piuttosto suggestiva, nonostante tutto, la tagline del film: “per ogni giorno che moriva, un’altra orrenda notte nasceva“.
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