Ospite Inatteso

  • Da John Titor a Homer Simpson: il primo sito con fake news sui vaccini anti-influenzali

    Da John Titor a Homer Simpson: il primo sito con fake news sui vaccini anti-influenzali

    No, i Simpson non avevano “previsto il Covid-19”: non arriveremo a sostenere una cosa del genere. Pero’ abbiamo curiosato lo stesso in un vecchio episodio dei Simpson, visto per la prima volta in Italia all’inizio del nuovo millennio, qualche tempo prima di quell’11 settembre che ancora oggi ricordiamo.

    La traduzione del titolo originale dell’episodio in questione sarebbe pressappoco “Il computer con le scarpe minacciose”, incomprensibile in italiano e reso giustamente, per questo motivo, Galeotto fu il computer e chi lo usò (serie 12, episodio 6).  Per inciso il titolo originale The Computer Wore Menace Shoes omaggia, senza citarlo esplicitamente nell’intreccio, il classico film Disney The Computer Wore Tennis Shoes (Il computer con le scarpe da tennis del 1969, oggetto di un remake nel 1995).

    The Simpsons – Galeotto fu il computer e chi lo usò (12×6)

    Diretto da Mark Kirkland e scritto da John Swartzwelder, Galeotto fu il computer e chi lo usò è stato visto per la prima volta in Italia nei primi anni 2000, all’interno della 12ma serie, e racconta di Homer che decide di comprare un computer (anche a costo di farsi un quinto mutuo, come ammette lui stesso). Non solo: Homer apre un sito e lo riempie di gossip e fandonie, riscuotendo grande successo.

    Inizialmente la home page del suo sito è solo singola pagina zeppa di GIF animate messe a caso (tra cui un Gesù ballerino e delle bocche parlanti), presto diventerà uno dei siti più popolari del momento.

    Non temere testone, ora sarà il computer a pensare per noi!

    Sulla falsariga dei buoni suggerimenti di Lisa, Homer travisa gli insegnamenti ed inizia a pubblicare nel proprio sito prima un po’ di gossip, poi vere e proprie fake news. Presto finirà confinato su un’isola deserta, ispirata a quella della serie The Prisoner, dove vengono rinchiusi per sempre tutti coloro che “sapevano troppo”. La puntata è forse uno dei migliori esempi dei Simpson old school, calato nel contesto tecnologico oggi a noi più che familiare, nonchè abbastanza diverso dai Simpson più recenti.

    Homer, dicevamo, colpisce nel segno pubblicando gossip a volontà, firmandosi con lo pseudonimo Mister X: la logica errata e semplicistica con cui il personaggio ritiene che basti un nickname per essere anonimi su internet dovrebbe, al giorno d’oggi, essere familiare ai più.

    Esisterebbe peraltro una scena tagliata, a quanto pare, in cui Homer digita parole chiave a caso su un motore di ricerca e finisce in un sito per adulti, poco dopo bloccato da Marge.

    Si scopre che il gossip di Mister X nasconde delle verità: il sindaco della città possiede effettivamente una lussuosa piscina segreta all’interno del comune, Apu commercia ciambelle avariate, Krusty ha commesso un omicidio con occultamento di cadavere e Burns vende uranio ai terroristi. Si decide pertanto di conferire un premio Pulitzer all’anonimo autore delle inchieste, con Homer che solo ora svela la propria identità.

    L’associazione esplicita tra io-virtuale e io-reale, ovvia nell’era dei social network, è l’inizio della fine per il protagonista dell’episodio.

    Fin dai tempi di John Titor…

    L’idea che un anonimo utente del web possa detenere la Verità e diffonderla su internet dovrebbe sembrare illogica ed incoerente fin dalle sue premesse, tant’è che nel cinema nemmeno il più oscuro e sconclusionato dei b movie è mai arrivato ad ispirarsi ad un’idea del genere. Al tempo stesso, pero’, fin dai primi 2000 ebbe molto successo la “saga” di John Titor, presunto soldato USA che aveva dichiarato su un forum (col nickname Timetravel_0) di essere stato spedito indietro nel tempo (come in Terminator) per recuperare un vecchio modello di IBM.

    I am a time-traveler from the year 2036. I am returning home after having retrieved an IBM 5100 computer from 1975 (cicap.org)

    Tra le profezie narrate da Titor vale la pena di ricordare, per quel poco che vale, quella dell’arrivo del morbo della mucca pazza negli USA, la fine dell’azienda Microsoft e una guerra civile negli USA dal 2004 al 2015. La sua storia fu quasi certamente viral marketing e venne creduta da molti, mentre il fatto che alcune cose non siano avvenute venne giustificata dalla tipica non-falsificabilità del complottismo: se non è avvenuto nella nostra realtà, è comunque avvenuto in una diversa linea temporale del multi-verso.

    Per diversi anni quella di Titor fu una urban legend oggetto di varie forme di debunking, tra cui quello di Paolo Attivissimo e del fisico Robert Brown, il quale delineò l’implausibilità della storia, accusandola di aver plagiato un paio di storie di fantascienza e definendola (su un sito ormai defunto) sad reflection on the gullability of our culture (una triste riflessione sulla creduloneria della nostra cultura).  Sulla gullability dei nostri tempi, del resto, bisognerà scrivere un saggio, prima o poi, facendo soprattutto lo sforzo di rendere non-insultante l’approccio nei confronti dei “credenti”. Certo, siamo felici di essere zeppi di libri di debunking che smontano teorie del complotto da ogni dove, ma non sembra siano bastati. Solo in pochi casi (o forse addirittura in nessuno) essi sono riusciti a redimere o far ritrattare qualcuno dei complottisti (sempre più convinti, in molti casi, nonostante le prove contrarie).

    Lo scrittore Wu Ming 1, a riguardo, è stato lapidario: Smontare le teorie del complotto è facile. Il difficile è convincere chi ci crede a non crederci più. È difficile dargli torto, soprattutto nei tempi in cui viviamo.

    La teoria del complotto sui vaccini nel sito di Homer

    Le notizie scarseggiano: la gente non parla più in presenza di Homer, che manca di fonti ed è costretto così ad inventarsi le news. Una pratica che i numerosi casi reali di bufale pubblicate da giornali anche autorevoli ha finito per abituarci, soprattutto nell’era post 11 settembre, con un picco ulteriore a partire dal 2020 in occasione della pandemia mondiale.

    Il clou dell’episodio in oggetto arriva nel momento in cui Homer scrive nel proprio sito che il governo vorrebbe controllare le menti delle persone mediante vaccinazioni di massa.

    A questo punto una misteriosa organizzazione lo rapisce e lo deporta sull’isola di quelli che “sanno troppo“, mentre l’originale viene sostituito da un sosia identico nelle fattezze, e dall’accento tedesco. Un personaggio autoritario rivelerà in seguito al vero Homer che il motivo per cui i vaccini si fanno prima di Natale è per assicurarsi che la gente spenda per i regali, e che per questo motivo Homer sarebbe diventato un personaggio “scomodo” per il sistema. Si tratta di una satira gustosa e azzeccata rivolta al mondo del complottismo, peraltro declinata in tempi non sospetti in cui il massimo della conspiracy era sulle scie chimiche o, al limite, sulle reali dinamiche dell’11 settembre.

    La “profezia” è sicuramente un termine scomodo (che vorremmo evitare), ma l’episodio assume ugualmente una valenza fondamentale anche oggi, nel contesto e nel mondo in cui viviamo. – Foto di copertina di desarrollosklm da Pixabay – Le immagini dell’episodio sono tratte dal blog simpsonssummaries

  • Scoprire nuovi film e serie TV in tempi di post-pandemia

    Internet, fin dalle sue origini, è sempre stata una fucina di conoscenza condivisa, anche se non sempre perfettamente verificata e a volte del tutto inesatta o scorretta. Questo è andato di pari passo con la diffusione di vari tipi di forum tematici su diversi argomenti, che vanno dalla pesca allo sport passando musica e cinema, naturalmente. Queste comunità virtuali sono sempre state fondamentali per almeno due motivi:

    • conoscere persone che hanno i nostri stessi interessi
    • condividere la conoscenza delle nostre passioni con altri appassionati come noi

    Grazie all’uso delle community di geek specializzati e nerd incalliti su internet, in effetti, si è realizzata – almeno in parte – la fame di conoscenza e di sapere che accomuna molti di noi. Ciò significa, in effetti, conoscere le cose in modo del tutto informale, nella maggioranza dei casi, facendo in modo (nella migliore delle ipotesi) che ciò potesse fungere da stimolo per ricercare informazioni sempre aggiornate su vari argomenti. C’è da rimarcare che – soprattutto al giorno d’oggi – questo ha comportato un problema di fondo come la diffusione spesso indiscriminata, e difficile da contrastare, di notizie parziali, inesatte e tendenziose, quando non di vere e proprie fake news spesso scritte ad arte.

    Ma quello che vorremmo rimarcare in questo articolo riguarda, alla fine, l’uso dei forum per la ricerca di argomenti appassionanti, che nulla hanno a che vedere con le tematiche più impegnative come la scienza e la medicina. Per cercare informazioni sulle nuove serie TV, fare domande ed ottenere risposte anche orientative, cosa c’è di meglio di un forum ben curato, alla fine?

    Dopo aver fatto queste necessarie premesse, è venuto il momento di presentare forum.tecnologiacasa.it, un forum che abbiamo scoperto da qualche tempo e che abbiamo molto apprezzato per gli spunti che offre. Dove possiamo trovare un determinato film in streaming? Quali sono le serie più interessanti offerte dalle piattaforme negli ultimi tempi?

    In tempi di post pandemia come quelli che stiamo vivendo, in effetti, il numero di prodotti che stanno uscendo è estremamente numeroso e denso, e non sarà facile per il pubblico orientarsi nella scelta di cosa guardare. Ci ritroviamo, infatti, persi tra le uscite dello scorso anno e quelle del 2021, che sostanzialmente raddoppiano – almeno, ad occhio – il numero di titoli che affollano le piattaforme a cui siamo abbonati. Un bel forum, soprattutto in ambito cinema, può essere l’ideale per trarre informazioni in forma discorsiva e poi, magari, indagare su quello che interessa per conto nostro.

    La forma del forum di tecnologiacasa.it è anche più ordinata della media, ed il sito è molto facile da consultare anche da mobile a differenza di altri “colleghi” del settore. All’interno potete trovare i suggerimenti degli informatissimi utenti del forum che vi daranno qualche idea sulla prossima serie da vedere su Netflix, ad esempio, oppure più in generale sulle novità filmiche che caratterizzano gli ultimi tempi.

    Per iscriversi nel forum basta registrarsi gratuitamente con il proprio indirizzo email, oppure sfruttando direttamente il login mediante il proprio account social come Facebook (questa modalità di accesso, lo ricordiamo, non condivide la nostra password del social con il sito in questione, bensì accede mediante un token interno criptato).

  • Operazione Luna: un mockumentary sfuggito di mano

    Si tratta di un falso documentario che narra dei fatti annessi all’Apollo 11 ed al suo allunaggio del 1969, sostenendo apparentemente una nota teoria del complotto: che il filmato venne realizzato da Kubrick in uno studio e che, di conseguenza, quelle immagini erano solo propaganda USA.

    Opération Lune – Kubrick e la luna venne trasmesso per la prima volta nel 2002, per poi dilagare nel web fino ad oggi. L’opera vinse un Award for Excellence in TV or Film ed uno come Best Film on Science (Go Figure Festival) a Montreal, due anni dopo la sua uscita.

    William Karel dirige questo mockumentary (Operazione Luna, distribuito anche col titolo Dark Side of the Moon) ergendo la semplicità narrativa, da documentario TV, a vero e proprio stile, e sfruttando qualche tipico “trucco del mestiere”.

    Ho pensato che fosse interessante mostrare l’importanza dell’immagine, o l’assenza della stessa, durante un evento. (William Karel)

    Struttura del film

    Per comprendere  la natura del film è bene partire dalla considerazione dei suoi principali aspetti portanti, come riportati dal sito ARTE.TV (reperibile su web archive) ed suddivisibili in 5 punti:

    1. Karel intervista la vedova di Kubrick (Christiane) ed il cognato del regista (Jan Harlan), fingendo di stare realizzando un documentario sul celebre regista e su 2001 Odissea nello spazio. Vengono poi coinvolti Vernon Walters, Buzz Aldrin, la moglie e varie persone che lavoravano alla NASA all’epoca, sempre con la scusa di realizzare un documentario in buona fede. Le domande poste dall’intervistatore sono intenzionalmente vaghe, in modo da poterle adattare a qualsiasi discorso (perorare la causa complottista, nello specifico).
    2. Varie frasi del presidente dell’epoca Richard Nixon (ma anche di Donald Rumsfeld, Henry Kissinger, Alexander Haig, Lawrence Eagleburger e del direttore della CIA Richard Helms) sono estratte dal documentario Les hommes de la Maison Blanche e vengono montate ad arte, in modo da stravolgere il senso delle loro parole e sembrare parte di un’opera originale.
    3. Per conferire ulteriore credibilità al falso documentario vengono introdotti dei testimoni che, come si vedrà alla fine, sono soltanto attori che stanno recitando un copione (alla fine del film vedremo i loro blooper).
    4. Tra i molti omaggi (quasi tutti nella seconda metà del film) che l’intero film è una bufala, molti “testimoni” farlocchi prendono il nome da personaggi di film di Kubrick e Hitchcock, tra cui l’astronauta David Bowman (2001: Odissea nello spazio), il produttore cinematografico Jack Torrance (il personaggio interpretato da Jack Nicholson in The Shining), la finta segretaria del presidente Eve Kendall (che è in realtà un personaggio di Intrigo internazionale di Alfred Hitchcock).
    5. Ulteriori elementi che compaiono nella seconda metà sono “presi in prestito” da altri documentari citati nei titoli di coda. In questa parte del film vengono mostrati sottotitoli ingannevoli (quanto è scritto non corrisponde a ciò che viene detto dai testimoni). Ad esempio quando si parla degli autori del filmato fake perseguitati dalla CIA, ci viene detto che esisterebbe addirittura un video dell’esecuzione di uno di loro (quello che vediamo subito dopo non corrisponde alle aspettative: vediamo una persona sparare in direzione di un lago). Così come viene addotta come “prova” di un simulato suicidio un uomo che getta in acqua un qualche animale non identificato.

    Karel effettua un’operazione di collage visuale, in sostanza, straordinaria quanto infida: l’intento è quello di mostrare come un falso documentario possa, di fatto, risultare credibile anche se si tratta dichiaratamente di un mockumentary. L’effetto si potrebbe estendere a qualsiasi video o immagine che venga mostrato dai media, esaltando il potere della comunicazione manipolativa a qualsiasi livello, in particolare per quanto riguarda i mezzi di comunicazione informali (a patto che chi propone le immagini sia abbastanza furbo e che ci sia un “pubblico” di riferimento orientato sul mood I want to believe).

    Sfruttando i trucchi indicati, pertanto, Operazione Luna appare dotata di un peso specifico considerevole: non soltanto per l’operazione in sè, ma anche per l’effetto che ha causato sul mondo del complottismo. Il video è infatti stato interpretato come un vero documentario, molti lo hanno voluto credere tale ed il tutto ha finito per alimentare vecchie e nuove (oltre che sbufalate da tempo) teorie del complotto sul falso allunaggio.

    All’interno del film sono presenti vari spezzoni di documentari vari, ovvero:

    • Australie, route de Tanami di Hervé Rebillon e Arnaud Mansir
    • L’archipel des savants di Laurence Graffin and François Landesman
    • La vallée des rizières éternelles di Patrick Boitet
    • Païlin, le refuge des criminels di H. Dubois
    • Chine, union furtive di Fangzhi Wang
    • Laos, les montagnards de l’opium di Frédéric Pierrot.

    Come giustamente evidenziato da Paolo Attivissimo a riguardo (nel link appena citato), al netto dei meriti artistici il film rappresenta un ottimo esempio di come la cultura e la preparazione scientifica in altri campi non sono necessariamente sufficienti a rivelare manipolazioni ben fatte: servono persone esperte nello specifico settore delle missioni spaziali e dei trucchi cinematografici.

    Fa riflettere ancora oggi, senza dubbio: nel marasma informativo terroristico e contraddittorio annesso al Covid-19, ad esempio, assume un’importanza notevole: chiunque può farci credere qualsiasi cosa – se ha potuto farlo un misconosciuto regista francese, potrebbe farlo chiunque altro.

    Questo è ciò che ha fatto Karel: montare ad arte affermazioni vaghe, indurre attori in incognito a recitare un copione (cosa che viene svelata solo negli ultimi minuti del film) e miscelare le due cose come se fossero tutt’uno. Un’operazione talmente semplice, vista oggi, che fa impressione pensare a quanto possa essere stata utilizzata, soprattutto quando abbiamo visto l’ennesimo video clickbait su internet che ci convinceva dell’esistenza del Nuovo Ordine Mondiale o degli alieni che ingraviderebbero le nostre donne. Nell’era delle bufale architettate dalle agenzie di marketing e dei deepfake, peraltro, un mockumentary come questo diventa – se non profetico – quantomeno emblematico.

    Dopo la diffusione del mediometraggio sul web non solo si sono aggregati numerosi complottisti, ma si è anche sviluppata una teoria del complotto innestato, il cosiddetto cover-up: secondo questa visione, il filmato sarebbe stato presentato come fake solo per sviare l’attenzione (per cui direbbe la verità sui falsi allunaggi). Senza entrare nel merito di un debunking già consolidato da anni, vale la pena di osservare che l’operazione registica (sulla falsariga di certo raffinato trollaggio odierno) è stata davvero considerevole, se si pensa che è stata architettata ad arte e che ancora oggi il video viene ancora discusso e commentato.

    Una prova lampante, peraltro, che dalla mentalità complottista (una volta addentrati in quei meandri) è difficile uscire, e che su molti frangenti il debunking potrebbe rivelarsi inutile, o addirittura controproducente.

    Da un altro punto di vista, pertanto, si potrebbe ritenere Opération Lune (da non confondere con il quasi omonimo parodistico di Franco & Ciccio del 1965) una parodia troppo raffinata per finire in pasto al grande pubblico, letteralmente sfuggita di mano (come sostiene Wu Ming 1 nel suo recente La Q di Qomplotto), concepito per mettere alla prova la credulità degli spettatori. Che è alta, forse, troppo alta perchè ancora oggi possiamo ritenerci immuni da manipolazioni pericolose.

    La cosa incredibile di Opération Lune è esattamente questa: ci sono vari falsi storici inanellati uno dietro l’altro, molte frasi sono forzate e fuori contesto, molte immagini sono montate ad arte e sono illogiche. Nonostante questo, a qualcuno piace crederci lo stesso.

    Il film è reperibile su Youtube in versione integrale:

    e in versione manipolata ovvero tagliata sul finale (leggibile ovviamente in chiave complottistica).

    Immagine di copertina: This file is in the public domain in the United States because it was solely created by NASA.

  • Fumo nei film: un dettaglio che fa ancora discutere

    Film famosi: o per usare un gioco di parole forse banalotto, film fumosi. Secondo l’OMS la metà dei film holywoodiani presenta scene in cui un personaggio fuma come minimo una sigaretta, e per questa ragione dovrebbe essere vietato ai minorenni. Problem solved? Non proprio, o quantomeno: perchè si da’ tutto questo potere al cinema, quando effettivamente sembra sempre più chiaro il suo ruolo prevalente di sostanziale intrattenimento? Si sopravvaluta anche il potere della censura, probabilmente, partendo da buonissime intenzioni – questo senza dubbio – ma rischiando di addentrarsi in un “campo minato” in cui i film vietati, forse a maggior ragione, verrebbero comunque visti dai minorenni. E, molte volte, tanti film osanni nella storia vengono ricordati più per l’eco mediatica che suscitano pochi fotogrammi in cui qualche personaggio inala del fumo, che per il film o per il suo valore storico.

    Banalmente, ad esempio, in Casablanca si fumavano Chesterfield senza filtro. Senza ovviamente mettere in discussione la qualità del film per questo, proprio per quello che abbiamo premesso, la polemica riecheggia periodicamente, anche in un periodo come quello che viviamo, in cui le news in tempo reale sicuramente non mancano. Anche in una pellicola leggera come Grease, del resto, erano parte integrante di un giovane adulto, che scopre e si fa affascinare dalle relazioni sentimentali, interpretato da John Travolta (che, nonostante tutto verrebbe da dire, riusciva a ballare divinamente senza avere il fiatone, nonostante il fumo). Il Wolverine di Hugh Jackman era sempre con un immancabile sigaro, cosa del resto coerente con il personaggio fumettistico da cui è tratto. Il Joker di Phillips, per citare un altro esempio molto popolare negli ultimi tempi, tanto discusso quanto amato dal pubblico, esprime le proprie nevrosi con una sigaretta spesso inquadrata in primo piano. Certo, forse sono tramontati i tempi dei personaggi “fumatori incalliti” come quelli interpretati da Humphrey Bogart, ed oggi sicuramente questa cosa si vede molto meno che in passato: e quando si vede, è quasi sempre associata (almeno lato Holywood) a personaggi malvagi o veri e propri villain. Un esempio ulteriore per tutti: “l’uomo che fuma” era il cattivo senza volto, inafferabile ed infido, protagonista della primissima serie di X-Files. Non aveva nemmeno un nome: era semplicemente il cattivo assoluto della storia, una sorta di Innominato Tabagista.

    Possiamo identificare almeno due filoni di film che coinvolgano tabagismo e derivati, inclusa la possibilità ulteriore di riscontrare, a momenti, pellicole sui semi di canapa online: una prima scia, in pratica, che cita apertamente il riferimento nel titolo (pensiamo ad esempio al cult anni ’90 Smoke) ed una seconda che invece non lo fa, e nonostante questo il fumo assume una valenza simbolica, incidentale o addirittura sensuale in alcuni casi (la travolgente Sharon Stone di Basic Instinct, con il suo epico Need I say more? durante l’interrogatorio). In parallelo, poi, possiamo identificare un secondo filone cinematografico (prevalentemente si tratta di commedie) che arriva ad ironizzare sul problema (e la cosa probabilmente non farà ridere l’OMS neanche un po’), come i vari film con personaggi che usano la marijuana ma anche altri per cui, come nel caso di Phillips, il fumo non è il clou dell’intreccio ma fa un po’ parte della caratterizzazione fortemente nevrotica del personaggio.

    E allora come risolvere la questione? Perchè una questione c’è, ed urta le sensibilità di tantissime persone ancora oggi. Vorremmo cavarcela con uno stereotipo classico di questi casi, partendo dal semplice presupposto che impedire ai personaggi dei film di fumare troppo esplicitamente rende, nella medesima ottica, altrettanto discutibile un film come Il serpente di fuoco o Easy Rider (gli anti-eroici biker di quel film non erano sicuramente dei santi, in tal senso: privarli delle sigarette li renderebbe forse meno efficaci come personaggi) quasi non presentabile, da mettere addirittura al bando. Vogliamo davvero questo? Ed ammesso che lo volessimo, risolveremmo così facendo qualche problema sanitario reale? Pensare che il pubblico sia portato a farsi condizionare in modo indiscriminato da qualsiasi cosa veda sullo schermo è una cosa che mi spaventa da sempre, e spero vivamente che non sia davvero così.

    Confondere il personaggio con l’interprete, del resto, è uno degli equivoci più diffusi alla base di molte sterili polemiche che mi è capitato di sentire. Il cinema – un po’ come il teatro e l’arte più in generale – è un universo di fantasia che può discutere e ribaltare il senso del reale (esempi banali e noti ai più: Matrix e Inception), e che, al netto di sacrosante considerazioni sui pericoli indotti dal fumo, andrebbe lasciato intatto, proprio perchè non è censurando o occultando i dettagli che si risolve alcun problema reale. Certo, molti personaggi sono emblematici e, per questo, rischiano di diventare un esempio negativo: ma applicando la stessa logica, a questo punto varrebbe pure non trasmettere più CSI Scena del crimine per evitare emulazione di delitti? È un piccolo, innocente paradosso ma probabilmente meno strumentale di quello che potrebbe sembrare a prima vista.

  • 5 film ambientati in Giappone da riscoprire

    Il cinema giapponese è straordinario, secondo me, ed il gioco di riscoperta è quasi infinito e decisamente stimolante; per molti versi, peraltro, molti lo considerano (a torto) un mero vezzo da intellettualicinefili, che spesso relegano questa dimensione al solito horror sovrannaturale che punta quasi tutto sul jump scare. Non è così, per fortuna, e questa micro-rassegna di cinema ambientato in Giappone proverà a dimostrarlo.

    Uzumaki

    C’è questo antico villaggio in Giappone nel quale, misteriosamente, iniziano ad apparire delle spirali: l’ispirazione è tratta dal manga horror di Junji Itō, risalente a fine anni 90 e qui piuttosto ben reso all’interno di un film. L’ambientazione restituisce un mondo dai contorni indefiniti, macabri e minacciosi ed è essenziale per lo svolgimento della trama; intreccio in cui, alla fine dei conti, i tre personaggi al centro della storia sono ben caratterizzati quanto possenti, travolti dalle spirali e dalla loro evidente voracità. La spirale ha, di suo, una valenza ipnotica e surrealista, e si presta alle intepretazioni più svariate, oltre ad essere un leitmotiv sfruttato indirettamente anche da Alfred Hitchcock ne La donna che visse due volte.

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    La città incantata

    Forse è “il” film giapponese per eccellenza: per quanto Miyazaki non rientri tra i miei registi preferiti (Porco rosso, pero’, guardatelo lo stesso, se non l’aveste ancora fatto), La città incantata è profondamente espressivo ed altrettanto significato rispetto alla cultura giapponese in toto. È anche uno dei film di questo paese ad aver riscosso maggiore successo di botteghino, con alcune singolarità di tutto rispetto: la singola espressione “tagliare la linea“, che si sente ad un certo punto nella versione italiana, fa riferimento ad una sorta di “in bocca al lupo”, di quelli da esprimersi con le dita incrociate. Nell’originale giapponese pare che l’espressione esatta sia en-gacho, molto più articolata e profonda di quanto possa sembrare nella realtà, e che può avere molteplici significati: tagliare l’amicizia con te, non voglio parlarti più, non avvicinarti oltre. Per chi volesse organizzare un viaggio in Giappone, non appena sarà possibile farlo, questo film è un must assoluto, da vedere e rivedere.

    Senza cercarlo troppo lontano, La città incantata è disponibile in streaming su Netflix.

    Kill Bill Vol. 1

    L’omaggio di Tarantino al cinema di arti marziali è ben noto, e all’interno della recensione troverete tutti i dettagli del caso: per la verità il regista ha omaggiato i film di kung fu ambientando buona parte delle scene cruciali in Cina, non certo in Giappone. Ma non possiamo fare a meno di citare, in questo ambito, la presenza del Rainbow Bridge, il celebre ponte sospeso che si vede anche in Lost in Translation, che viene attraversato in modo da Beatrix in una delle scene più intense e memorabili del film.

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    Tokyo Gore Police

    Come suggerito dal titolo, è ambientato in una capitale futuristica quando decadente, caratterizzata dai toni tipici delle pellicole distopiche sulla falsariga di Robocop: una perla horror splatter dai toni grotteschi (ed alquanto satirici contro certa società giapponese), in cui vediamo la protagonista Ruka (un’agente di polizia di Tokyo) combattere contro gli Engineer, sfruttando qualsiasi mezzo a disposizione ed avendo cura di evocare, nel farlo, tutte le sottoculture underground possibili e immaginabili. Ci sono vari richiami al cyberpunk, ovviamente, ed il film richiama una versione carnevalesca, esplicita e spettacolare del mitico Bad Taste di Peter Jackson.

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    Tokyo Fist

    Lungi dall’essere il miglior film di Tsukamoto, è la boxe usata come metafora di alcune relazioni sociali, forse in maniera parzialmente ovvia, sicuramente troppo ordinaria rispetto alla fantasiosa produzione media del regista. Nel film vediamo più volte un girantesco ring in cui i protagonisti continuano a darsele bellamente e di santa ragione: l’ambientazione nella metropoli giapponese è quasi incidentale, ma serve a conferire il senso di alienazione indotto dalle grandi città in generale.

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