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Cinema, arte, spettacolo e filosofia spicciola.

  • Rabbits: cosa rappresentano i conigli per David Lynch?

    In a nameless city deluged by a continuous rain… three rabbits live with a fearful mystery.

    L’uso figurativo degli animali nei suoi film è stato più volte esplicitato da David Lynch: anche nell’ultimo corto proposto su Netflix, WHAT DID JACK DO?, che mostra l’interrogatorio del regista ad una scimmia – ma forse soprattutto nella web series da lui diretta dal nome Rabbits, per certi versi un vero e proprio oggetto di culto e di mistero. E, neanche a dirlo, si concentra su dei conigli.

    La web series, di genere orientativamente horror surreale / thriller, è disponibile nel canale ufficiale Youtube del regista, anche se apparentemente manca uno degli episodi che lo comporrebbero. La sua composizione narrativa è basata su un contrasto evidente: la storia, che tratta tematiche violente e conflittuali, è intervallata da applausi e risate registrate tipiche, invece, della leggerezza delle sitcom e delle serie TV.

    Interpretato da Scott Coffey, Laura Harring, Naomi Watts e Rebekah Del Rio, Rabbits è composto da 8 mini-film in tutto, ambientati in una “città senza nome” nella quale piove in continuazione, e tre conigli antropomorfi vivono dentro uno “spaventoso mistero”. Intrigante, senza dubbio, ma è il caso di approndire un po’ meglio il senso ed il contesto dell’opera.

    Nel suo film Inland Empire (2006), peraltro, David Lynch ha riutilizzato alcuni filmati di Rabbits e filmati inediti con i medesimi personaggi della serie, in modo apparentemente de-contestualizzato. L’unica cosa che sappiamo dall’inizio è che il capofamiglia – o caponiglio-famiglia, se volessimo esibire un neologismo che suona, se non altro, divertente – racconta di avere un “terribile segreto” da nascondere. Emerge un primo aspetto interessante, anche solo da qui: in alcune fasi più tragiche e tese della storia, Lynch ha inserito le risate pre-registrate delle serie TV tipo Friends per satireggiare, presumibilmente, la spettacolarizzazione delle tragedie immerse nel tubo catodico, ormai radicato su internet e non solo sui canali TV tradizionali. In seconda istanza, poi, i coniglietti sembrano rappresentare in modo grottesco la famiglia di uno dei personaggi (Devon, o Billy), cosa che riusciamo ad intuire dal tono e dal contenuto di alcune telefonate.

    Cosa significano quei conigli?

    Essendo una serie di corti focalizzati programmaticamente su un “mistero“, è impossibile dare una risposta netta a questa domanda. La prima idea che mi sono fatto, tuttavia, è che il tutto volesse essere una sorta di metafora dell’ingabbiamento sociale determinato dalla vita familiare, cosa che emerge soprattutto in relazione ai conflitti violenti che i personaggi vivono tra loro. Il tutto mediante l’immagine di “conigli in gabbia”, intrappolati in quella dimensione domestica dalla quale faticano ad uscire ed in cui, soprattutto, sono presenti silenzi interminabili e laceranti (che complicano forse più di tutti la visione dell’opera).

    Esiste anche una seconda possibile interpretazione, peraltro, forse anche più “paracula” ma che spiega buona parte del cinema di Lynch: pensare che non si tratti di narrazione bensì di evocazione di sensazioni, sentire, feeling generale teso a provocare una sorta di disorientamento al pubblico. Se molte teorie autorevoli sono emerse a riguardo – e non mancano le fan theory più fantasiose, peraltro – nessuna ha mai davvero convinto, trattandosi comunque di un intreccio dalla natura vaga e che lascia, più che altro, un profondo senso di straniamento nel pubblico. L’elemento sitcom (le risate e gli applausi registrati) sono la cosa che rimane più impressa anche al pubblico non abituato a vedere Lynch, per quanto poi sia un film (credo) apertamente dedicato solo ed esclusivamente ai loro fan.

    Caratteristiche della serie

    L’occhio di Lynch sull stanza in cui girovagano i conigli, presi da faccende domestiche varie, ha due caratteristiche: è distante (non ci sono mai primi piani), anzitutto, ed è girato con camera fissa. È un po’ come se si volesse trasmettere la sensazione di essere a teatro, il non-luogo per eccellenza, se vogliamo, nel quale tipicamente assistiamo a commedie e tragedie ivi delimitate, peraltro quasi sempre dal vivo e con gli attori davanti a noi.

    Immagine di copertina: Copyrighted, Collegamento

  • I migliori episodi di South Park (secondo me)

    Da serie particolarmente longeva, South Park di Trey Parker e Matt Stone ha sempre mantenuto una coerenza narrativa ed una qualità di fondo, a differenze di altre serie concorrenti forse altrettanto interessanti quanto, col tempo, più dispersive. La sintesi di South Park, con i suoi episodi prolungati e autoconclusivi (al massimo divisi in due puntate in un paio di casi), è il dono forse più prezioso posseduto e mantenuto dalla serie.

    Tanto per capire la sintesi fin dove si sia spinta, ogni episodio non supera mai i 22 minuti, evidente format indipendente ed orgogliosamente diverso da quello delle serie (anche antologiche) che “devono” durare per forza almeno 40 minuti ad episodio. Quelli che seguono sono, se non altro, i miei episodi preferiti di sempre (la maggioranza di questi li trovate facilmente su Netflix).

    Stagione 3: Una moda pericolosa

    L’episodio è incentrato sulla moda dei Chinpokomon, una serie animata giapponese apparentemente innocua, evidente riferimento satirico ai Pokemon (creati nel 1996, l’episodio è del 1999 ed è uscito in Italia nel 2002). Questo è forse uno degli episodi più emblematici dello stile, praticamente perfetto, raggiunto dalla serie: giocando sugli stereotipi delle serie di quel genere (entusiasmanti per i ragazzi, quanto incomprensibili per gli adulti zoticoni), degli orientali (tra cui quello delle dimensioni del pene, che viene utilizzato per adulare e compiacere l’americano medio il quale, tronfio e vanesio, ce l’ha più grosso) e delle manìe guerrafondaie del genere umano, Parker & Stone raccontano di un oscuro e spassoso complotto alla base dell’intreccio: in realtà i Chinpokomon servono ad intruppare i ragazzini americani, sfruttando messaggi subliminali e convincendoli ad entrare nell’esercito giapponesi, pronti a conquistare il mondo.

    Stagione 5: Scott Tenorman deve morire

    Questo episodio racconta una storia di bullismo: Scott è il bullo che perseguita Cartman nei modi più atroci ed impensabili, ed il buffo ometto protagonista ha deciso di prendersi una rivincita. Gran parte dell’episodio è focalizzato sui suoi goffi, allungatissimi e prevedibili tentativi, fino ad un finale a sorpresa davvero molto cruento, che lascia di stucco in quanto a cinismo e crudeltà.

    Stagione 5: Kenny muore

    Ovviamente è un meta-episodio: Kenny, il bambino più povero dei quattro, morirebbe sempre e comunque, ad ogni puntata. Ma in questo caso la questione viene drammatizzata ed esplicitata, mostrando un singolare focus – per trovare la cura al male incurabile che lo affligge, bisogna scontrarsi col dilemma etico delle cellule staminali, che servirebbero alla sperimentazione per trovare una cura mentre vari gruppi religiosi ed anti-abortisti negano questa possibilità.

    All’epoca (2001) la discussione etica sulle staminali occupò gran parte delle cronache mondiali, ed il punto di vista della serie – per quanto sia sostanzialmente libertario – rimane fortemente satirico, dileggiando i difetti sia dei sostenitori della scienza (che spesso si fanno prendere la mano: vedi l’ingegnere genetico) che dei detrattori (fondamentalisti religiosi e redneck vari).

    Stagione 5: L’episodio di Butters

    Episodio capolavoro incentrato sul personaggio di Butters, il ragazzino un po’ tonto che si farà prendere in giro e raggirare nel peggiore dei modi. Si parte da presupposti pacifici: i genitori devono festeggiare l’anniversario, ed il padre di Butters esce di casa a comprare un regalo alla moglie. Butters viene incaricato dalla mamma di pedinarlo per scoprire che regalo le farà, e le cose degenerano in fretta: non solo suo padre va in un cinema porno (rimanendoci al massimo per 15 minuti, viene specificato), ma si reca pure in un locale per adulti gay.

    Questo ovviamente provocherà una spaccatura nella vita di Butters, con la madre che impazzirà e proverà ad ucciderlo, e dirà che è stato rapito da un generico portoricano (l’americano medio è ovviamente sotto tiro: per lui, a quanto pare, il razzismo è naturale).

    Stagione 5: Il ritorno della compagnia dell’anello alle due torri

    Sulla scia del successo della trilogia de Il signore degli anelli di Peter Jackson, l’episodio si basa su un’idea semplice quanto geniale: i genitori di Stan fittano una videocassetta porno (il più porno dei porno) e credono di lasciare il film fantasy al figlio, che va a vederlo con gli amici.

    Ma c’è un problema: hanno scambiato inavvertitamente i film, ed i bambini starebbero per vedere così il loro primo porno. Se da un lato la narrazione è fantastica (l’immaginario dei bambini), dall’altro la vera e propria ricerca dell’anello sarà la riconsegna del film porno in videoteca, tra varie reminiscenze di film come Stand by me. Magistrale la riduzione parodica di Gollum, interpretato da Butters che rivorrebbe “il suo tesoro” (che in questo caso è semplicemente Troie da dietro 9)

    Stagione 7: I cristiani pestano duro

    Era il 2000, ed il caso Metallica vs. Napster, Inc. occupò per molto tempo le pagine dei giornali: la band di Lars Urlich aveva fatto causa alla società di Shawn Fanning (di cui si parla anche in The social network di Fincher), perchè con Napster si scaricavano gratis i primissimi MP3 in P2P (Peer To Peer).

    Nell’era dello streaming sugli smartphone o dei nati dopo il 2000 questo episodio, in un certo senso, non si capirebbe neanche troppo, ma fu davvero esplosivo: raccontando una storia parallela, ovvero Cartman che fonda una band christian rock (dichiaratamente per fare soldi), e gli altri bambini che cercano passivamente ispirazione per una propria band dagli MP3 di Napster, venendo braccati dall’FBI e arrestati per averlo fatto.

    La satira qui è molto tagliente e paradossale: il poliziotto mostra ai bambini il danno che stanno causando scaricando MP3 gratis, perchè adesso il batterista dei Metallica non potrà comprarsi la piscina nuova, mentre Britney Spears non si potrà permettere il jet privato che sognava. La critica implicita alla strumentalizzazione di quei casi (gente che scaricava MP3 trattata come fossero criminali di guerra), casi che in parte abbiamo conosciuto anche in Italia e che hanno portato al decreto Urbani, viene qui splendidamente rappresentata, resa ridicola con intelligenza e cristallizzata. Trey Parker e Matt Stone, peraltro, con un bell’atto di coerenza, hanno pubblicato in streaming gratuito tutti gli episodi di South Park dal proprio sito (e continuano a farlo da più di 20 anni, a conti fatti).

    La band di christian rock di Cartman, poi, è divertente in modo surreale, emblema dell’ipocrisia di certe band che vogliono sembrare devote solo per accaparrarsi fan facilmente. Il nostro eroe, peraltro, rinnegherà la fede che aveva finto solo per soldi iniziando ad imprecare dal palco in presenza di un pubblico inorridito.

    Stagione 7: Casa Bonita

    Parodia di vari film post-apocalittici di ogni ordine e grado (un motivo molto, molto comune in South Park): Butters viene raggirato da Cartman, che lo convince che un asteroide stia per schiantarsi sulla terra, portando l’amichetto in un rifugio anti-atomico.

    Butters rimarrà chiuso lì dentro, terrorizzato e pronto a sopravvivere ad ogni costo (oltre che, naturalmente, ad accoppiarsi con l’ultima donna sulla terra), ma è solo una farsa: Cartman lo ha preso in giro perchè è frustrato, infatti non è stato invitato a Casa Bonita, il ristorante tipico messicano in cui sognava di andare per il compleanno di Kyle, e vorrebbe solo di prendere il posto di Butters.

    Stagione 7: Divertirsi con le armi

    Altro episodio a sfondo giapponese molto divertente, questa volta incentrato sugli anime: è una delle prime volte in cui SP abbandona lo stile essenziale/artigianale che l’ha reso famoso, e mostra le doti degli animatori che stilizzano i bambini della città come ninja muscolosi e combattivi. I bambini comprano con l’inganno delle vere armi ninja in una fiera, ed iniziano un gioco che si svolge a South Park e che si alterna tra la realtà e l’immaginazione (quest’ultima girata interamente come un anime a tema arti marziali).

    L’episodio si incentra sull’uso disinvolto delle armi da parte degli americani.

    Stagione 8: Fico-o

    Cartman si traveste da robot e si auto-spedisce a casa di Butters, ancora una volta bersagliato dal bullismo del crudele bimbo obeso: l’equivoco degenera molto presto, soprattutto quanto Cartman scopre che Butters ha registrato un video compromettente che lo riguarda. Non solo Butters, poi, è realmente convinto che sotto quel travestimento goffo fatto con delle scatole di cartone ci sia davvero un robot, ma lo porta con sè dalla zia a Los Angeles, e l’inganno viene creduto da tutti (inclusi dei produttori di Hollywood che lo usano per farsi suggerire quantità industriali di idee per film banali).

    Addirittura i militari americani, in riunione segreta al Pentagono per spiare le altre nazioni e scoprirne le armi segrete, si convincono che Fico-o sia un robot potentissimo e cercando di convertirlo in arma da guerra.

    Stagione 8: Gli immigrati dal futuro

    Uno dei migliori episodi di sempre: il tema dell’immigrazione e del razzismo vengono affrontati in un’ottica davvero originale, immaginando che una macchina del tempo abbia portato nell’oggi vari uomini dal futuro, affranti e desolati per non avere un lavoro. Integrandosi a South Park, emergeranno i problemi sociali di sempre: gli immigrati che “rubano il lavoro” (mantra ripetuto ossessivamente per tutto l’episodio) perchè offrono manodopera low cost rapportata ad una realtà, quella da cui provengono, in cui gli basterebbero pochi dollari per sopravvivere.

    La cosa si risolverà in maniera decisamente grottesca: gli abitanti capiranno che l’unico modo per evitare che arrivino è quello di migliorare la società, costruendo un futuro migliore. Oppure, in caso, diventare tutti gay ed iniziare a fare le orge in modo da non procreare più.

    Stagione 7: Il Natale degli animaletti del bosco

    Ispirandosi alle produzioni natalizie e favolistiche modello Disney, Parker & Stone asfaltano la tradizione puritana e propongono una storia dai tratti invertiti, al limite del traumatizzante, in cui il puma (che sembra il cattivo) è in realtà il buono mentre gli animaletti del bosco, apparentemente tonti e innocenti, sono adepti di Satana.

    Stan si troverà all’interno di una storia delirante che vedrà anche l’intervento di Stan e di Babbo Natale.

    Stagione 7: Balla coi Puffi

    Stagione 12: Internet dipendenti

     

  • 5 film ambientati in Giappone da riscoprire

    Il cinema giapponese è straordinario, secondo me, ed il gioco di riscoperta è quasi infinito e decisamente stimolante; per molti versi, peraltro, molti lo considerano (a torto) un mero vezzo da intellettualicinefili, che spesso relegano questa dimensione al solito horror sovrannaturale che punta quasi tutto sul jump scare. Non è così, per fortuna, e questa micro-rassegna di cinema ambientato in Giappone proverà a dimostrarlo.

    Uzumaki

    C’è questo antico villaggio in Giappone nel quale, misteriosamente, iniziano ad apparire delle spirali: l’ispirazione è tratta dal manga horror di Junji Itō, risalente a fine anni 90 e qui piuttosto ben reso all’interno di un film. L’ambientazione restituisce un mondo dai contorni indefiniti, macabri e minacciosi ed è essenziale per lo svolgimento della trama; intreccio in cui, alla fine dei conti, i tre personaggi al centro della storia sono ben caratterizzati quanto possenti, travolti dalle spirali e dalla loro evidente voracità. La spirale ha, di suo, una valenza ipnotica e surrealista, e si presta alle intepretazioni più svariate, oltre ad essere un leitmotiv sfruttato indirettamente anche da Alfred Hitchcock ne La donna che visse due volte.

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    La città incantata

    Forse è “il” film giapponese per eccellenza: per quanto Miyazaki non rientri tra i miei registi preferiti (Porco rosso, pero’, guardatelo lo stesso, se non l’aveste ancora fatto), La città incantata è profondamente espressivo ed altrettanto significato rispetto alla cultura giapponese in toto. È anche uno dei film di questo paese ad aver riscosso maggiore successo di botteghino, con alcune singolarità di tutto rispetto: la singola espressione “tagliare la linea“, che si sente ad un certo punto nella versione italiana, fa riferimento ad una sorta di “in bocca al lupo”, di quelli da esprimersi con le dita incrociate. Nell’originale giapponese pare che l’espressione esatta sia en-gacho, molto più articolata e profonda di quanto possa sembrare nella realtà, e che può avere molteplici significati: tagliare l’amicizia con te, non voglio parlarti più, non avvicinarti oltre. Per chi volesse organizzare un viaggio in Giappone, non appena sarà possibile farlo, questo film è un must assoluto, da vedere e rivedere.

    Senza cercarlo troppo lontano, La città incantata è disponibile in streaming su Netflix.

    Kill Bill Vol. 1

    L’omaggio di Tarantino al cinema di arti marziali è ben noto, e all’interno della recensione troverete tutti i dettagli del caso: per la verità il regista ha omaggiato i film di kung fu ambientando buona parte delle scene cruciali in Cina, non certo in Giappone. Ma non possiamo fare a meno di citare, in questo ambito, la presenza del Rainbow Bridge, il celebre ponte sospeso che si vede anche in Lost in Translation, che viene attraversato in modo da Beatrix in una delle scene più intense e memorabili del film.

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    Tokyo Gore Police

    Come suggerito dal titolo, è ambientato in una capitale futuristica quando decadente, caratterizzata dai toni tipici delle pellicole distopiche sulla falsariga di Robocop: una perla horror splatter dai toni grotteschi (ed alquanto satirici contro certa società giapponese), in cui vediamo la protagonista Ruka (un’agente di polizia di Tokyo) combattere contro gli Engineer, sfruttando qualsiasi mezzo a disposizione ed avendo cura di evocare, nel farlo, tutte le sottoculture underground possibili e immaginabili. Ci sono vari richiami al cyberpunk, ovviamente, ed il film richiama una versione carnevalesca, esplicita e spettacolare del mitico Bad Taste di Peter Jackson.

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    Tokyo Fist

    Lungi dall’essere il miglior film di Tsukamoto, è la boxe usata come metafora di alcune relazioni sociali, forse in maniera parzialmente ovvia, sicuramente troppo ordinaria rispetto alla fantasiosa produzione media del regista. Nel film vediamo più volte un girantesco ring in cui i protagonisti continuano a darsele bellamente e di santa ragione: l’ambientazione nella metropoli giapponese è quasi incidentale, ma serve a conferire il senso di alienazione indotto dalle grandi città in generale.

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  • Investire in borsa ai tempi del coronavirus, tra emotività e razionalità

    Fra le attività preferite da buona parte degli italiani, non solo da quelli di una certa età, possiamo ascrivere certamente il giocare in borsa. A fare da traino sono state, senza alcun dubbio, la nascita di svariate piattaforme finanziarie in rete, che hanno consentito a moltissime persone di aumentare la propria cultura finanziaria. Operare in rete viene identificata con una parola inglese, divenuta ormai familiare alla maggior parte delle persone: trading online.

    Cosa significa, concretamente, investire in borsa

    Investire i propri risparmi nella rete, infatti, è divenuto il canale d’accesso preferito per entrare nel mondo finanziario. Ed investire nel mondo azionario, come ben esplicato dagli amici di transitionstrading, che ci spiegano cosa significa giocare in borsa, resta ancora un tratto caratteristico di moltissimi italiani. Negli ultimi anni, d’altro canto, investire in borsa ha consentito, in alcune fasi dei mercati, di ottenere dei significativi guadagni. Basti pensare, ad esempio, a quanto avvenuto nel 2019, con le borse mondiali che hanno reso mediamente il 20%. Guadagni sostanziosi che hanno consentito di compensare quanto avvenuto, invece, nel mondo obbligazionario, con rendimenti ridotti all’osso specie nel mercato, una volta dorato, dei titoli di stato. La borsa, però, non è solo foriera di grandi soddisfazioni come avvenuto nello scorso anno.

    E l’esempio più evidente, purtroppo, lo si è potuto constatare in queste settimane. A causa dell’esplosione dell’emergenza sanitaria, tutti i listini azionari mondiali hanno accusato delle perdite significative, registrando dei ribassi che non si vedevano da svariati anni. Ed ora, la domanda che si fanno tutti, dal piccolo risparmiatore al più navigato trader, è sempre il medesimo: cosa devo fare? Non esiste, per quanto ovvio, una ricetta giusta per tutti i risparmiatori, anche se una prima analisi la si può svolgere partendo dalla situazione di partenza di ciascuno di essi. Chi, ad esempio, aveva già in portafoglio dei titoli azionari prima degli storni accusati dai listini, è tenuto, come suggerito dalla maggior parte degli esperti, a “tenere la schiena dritta”, evitando di farsi prendere dal panico e vendere i titoli a dei livelli di prezzo assai bassi.

    La borsa ai tempi della pandemia: quali sono gli atteggiamenti da assumere?

    Semmai, qualora si disponesse di un po’ di liquidità aggiuntiva, è consigliabile acquistare qualche titolo affidabile, possibilmente riconducibile ai settori particolarmente resilienti alla crisi, per cercare di ottenere qualche guadagno che possa compensare le perdite momentaneamente subite a causa della crisi sanitaria. Attenzione, però, ad attuare un’azione che molti, anche con razionalità, eseguono per cercare di recuperare un po’ del terreno perduto: mediare. Nei momenti, come quello attuale, di forte storno, bisogna mediare solo ed esclusivamente se si ritiene che quel titolo azionario possa riprendersi in un arco temporale non di lungo periodo: solo in questo caso, l’operazione può aver un fondamento e regalare qualche futura soddisfazione. Mediare come mera operazione matematica, invece, rischia di rivelarsi fallace, come dimostrano numerosissimi casi accaduti nel variegato mondo borsistico.

    Nell’analisi fin qui svolta, abbiamo parlato di emotività e razionalità, due aspetti contrapposti fra loro che albergano, però, in qualsiasi tipologia di investitore. In una fase come quella attuale, infatti, è facile “andare in panico” ed eseguire delle operazioni poco coerenti con gli obiettivi di investimento di ciascun soggetto. Il ruolo della psicologia in ambito finanziario, d’altro canto, è ormai noto ed assodato, al punto che è diventata una materia di studio in ambito universitario, oltre ad essere al centro di numerosi corsi per promotori finanziari e dipendenti degli istituti di credito. In questo momento, quindi, “calma e sangue freddo” resta il miglior motto per qualsiasi investitore. Qualora non si credesse nella potenzialità di un titolo, dopo essersi adeguatamente informati tramite i più affidabili portali finanziari, è giusto vendere quel titolo, accusare la perdita e cercare di investire in un’altra società quotata.

  • Speciale Ciprì e Maresco: cinema e dadaismo musicale

    Lo zio di Brooklyn del titolo è un personaggio che non dice una parola nell’intero svolgimento della trama, e che l’unica che dirà (quando vorrebbe rivelare il proprio nome) sarà coperta da un sonoro peto. Giocando sui toni del grottesco all’italiana brutalizzati ed essenzializzati dentro una Palermo che sembra post-apocalittica, Ciprì e Maresco realizzano questa opera prima nel 1995, dovendo buona parte della propria fama all’attenzione che gli volle dedicare Enrico Ghezzi su Rai Tre.

    Girato nel bianco e nero più ruvido che si possa immaginare, fu caratterizzato da personaggi grotteschi, isterici e rivoltanti. All’epoca fu in grado di innescare polemiche a non finire sul contenuto del film, senza che nessuno capisse che i due registi stavano inventando qualcosa di nuovo, qualcosa che sarebbe stato (spesso malamente o confusamente) imitato da molti altri: un cinema d’essai che sbeffeggia e parodizza prima di tutto se stesso, poi la critica snob (c’è il personaggio del critico musicale, che spesso sbaglia e non trova le parole giuste per esprimere concetti che, nelle intenzioni, vorrebbero essere parecchio elaborati), e poi attacca almeno una parte del pubblico delle sale.

    Viene quasi in mente, a riguardo, il mai abbastanza compreso “Largo all’avanguardia, pubblico di merda” di Roberto “Freak” Antoni e dei suoi Skiantos. Il codice comunicativo dei personaggi è stravolto rispetto a qualsiasi canone cinematografico, o addirittura di buon gusto: molte scene sono cinicamente inquadrate da lontano, e i due nani protagonisti, ad esempio, comunicano mediante rutti.

    [il dadaismo] rifiuta gli standard artistici, come dimostra il nome dada che non ha un vero e proprio significato, tramite opere culturali che erano contro l’arte stessa.

    Soprattutto le canzoni interpretate nel film sembrano voler rivestire un’importanza fondamentale – e con dei tratti dadaisti, nell’uso delle parole, in alcuni passaggi.

    (rivolto alla camera) 1,2,3,4…

    Ma cosa fa?

    Conto gli spettatori! … 5,6,7, …

    Il fimm da schifo! Il fimm fa schifo! Dove vai, lurido cane rognoso! Uno spettatore se n’è andato via.

    Lo Zio di Brooklyn: il degrado penetra nei classici della musica italiana

    Il contesto del film è interamente popolare, e dai tratti rozzi e semplicistici, tanto da suscitare una sensazione straniante fin dall’inizio. Già dal trailer, del resto, si intuiva che molto del film sarà determinato dall’accostamento tra i temi sobri ed eleganti della musica italiana vs. volgarità e peti vari.

    Il riferimento, qui, sembra essere la celebre esibizione di Wanda Osiris di uno dei suoi brani più famosi, Sentimental, in cui la diva scendeva le scale durante il canto – in modo malamente imitato dal buon Paviglianiti (attore palermitano scomparso nel 2000).

    Parte del feeling generale de Lo zio di Brooklyn è incentrato sul tema della desolazione, della solitudine e dell’amor perduto, almeno a sentire le parole delle canzoni proposte: il film non ha una colonna sonora vera e propria, per cui è lecito andare a riascoltare le canzoni che sono state reinterpretate per l’occasione dagli improbabili, trash e grotteschi personaggi.

    Cammela (Chianese, Palombo)

    In questa sequenza il personaggio di Anciluzzu canta “Carmela” (di Gugliermo Chianese and Salvatore Palombo) mentre aspetta le patate che ha chiesto al vicino. La scena ha una valenza teatrale e fortemente straniante, avviene senza un esplicito motivo e si avverte una costante dell’intera pellicola: i personaggi cantano e, nel contempo, danno l’idea di voler fuggire dallo schermo, trovando rifugio tra quegli stessi spettatori che, paradossalmente, finiranno per rigettarli.

    Mamma di Cesare A. Bixio e Bruno Cherubini

    La sequenza vede un personaggio cantare (fuori campo) il celebre ritornello di Mamma di Bixio, Cherubini con forte inflessione siciliana, stonando spesso e volentieri, degenerando in un improbabile falsetto, mentre due personaggi (il mago Zoras e Lo Giudice, protagonista di uno dei medley più importanti del film) si fissano ad un tavolo.

    Poco dopo, gli gli verrà consegnato una collana, che non dovrà togliere per nessun motivo perchè dagli improbabili effetti magici.

    Ancòra di G. R. Testoni

    Uno dei brani più indimenticabili del film, a questo punto, è Ancora di G. R. Testoni. Il testo del brano è intatto, e mantiene la sua carica grottesca: sembra che il personaggio sia un improbabile musicista di strada, che cerca l’approvazione di quel pubblico tanto “temuto” di cui sopra.

    https://www.youtube.com/watch?v=7d355UPxTKk

    Chella llà (U. Bertini)

    Al minuto 13:00 circa, per citare un ulteriore esempio, si può gustare una versione parodizzata ed ultra-ermetica di “Chella lla” (originale scritto da Umberto Bertini e musicata da Di Paola/Taccani), intervallata da pernacchie ed insulti (“Suca!”), oltre che da un testo leggermente cambiato.

    Uuuula! Vàsami, vàsami, vàsami, prrr!

    Chilla lla chilla lla

    te pare ca mpazzisc e poi me sparo

    polli… tutti polli sono!

    Playboy di G. Lo Giudice

    Playboy di Giovanni Lo Giudice, tanto per fare un esempio ancora più dada, ripete ossessivamente la parola del titolo con un testo delirante, probabilmente improvvisato sul momento dall’attore.

    Il testo recita pressappoco questo:

    playboy, playboy, playboy,

    playboy, playboy, playboy

    no, non sono un playboy,

    sono un ragazzo romantico,

    che crede ancora nell’amor,

    perciò ti dico no,

    il playboy oggi è quello che ha i soddi,

    anche se è basso, pelato o grasso

    Il senso del brano, sconnesso e volutamente fuori tempo in molti passaggi, assume una valenza grottesca se inquadrato nel giusto ambito: bisogna pensare che non ci sono personaggi femminili nel film, e che – soprattutto – poco prima abbiamo assistito alla famosa (ed oggetto di infinite polemiche) scena di zoofilia con una mula.

    Lo stesso tema ricorre in seguito all’interno dello stesso film, dove assume una parvenza dai toni più tragici, rassegnati e desolanti. Che senso ha, a quel punto, essere un playboy – se comunque vivi in una città abbandonata, dai tratti post-apocalittici, in cui basta avere i soldi per vivere bene, e potresti diventare un Casanova anche se sei basso pelato o grasso?

    Curtiello cu curtiello (Fiorini, Di Domenico)

    Questo pezzo viene proposto durante il minaccioso interrogatorio di Tommasino nei confronti di due diseredati, che ne elogiano (nonostante tutto) le doti canore.

    L’originale è stata interpretata tra gli altri da Mario Merola, ed è nota per la sua versione cinematografica.

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