Su internet vedi solo quello che vuoi tu. E non è detto che sia un bene

In questi tempi di Covid-19 le nostre certezze sono generalmente naufragate, portandoci a cambiare (spesso radicalmente) stile di vita. E c’è anche una sensazione che è degna del miglior film dell’orrore: alcuni di noi, soprattutto sui social, hanno l’impressione netta che succedano esclusivamente disastri, uno dietro l’altro, senza sosta.

Avete perso il conto, ad esempio, di quanti tra i vostri artisti, atleti o personaggi TV preferiti siano morti per colpa della pandemia? Sembra che sia un numero incalcolabile, e la cosa ci pesa ancora di più da quest’anno per ovvie ragioni. Il discorso per la verità di potrebbe estendere a molti altri esempi omologhi, ma preferisco rimanere su questo perchè mi fornisce un’ancora che aiuta a mostrare un aspetto secondo me molto interessante di tutta questa faccenda.

Diciamo che alla base c’è un meccanismo di percezione distorto, che si fonda in gran parte su quello che, ad esempio in sociologia e psicologia, è chiamato bias di conferma: un bias è un “giudizio”, per farla semplice, che andiamo ad esprimere su un qualcosa che riguarda le nostre vite. Un bias di conferma tende per sua natura a trovare conferme, ed è molto facile ragionare in questo modo “associativo” per la nostra mente, dato che non dobbiamo fare altro che “aspettare” il prossimo funerale di qualche VIP e, semplicemente, prenderne atto una volta che è successo. L’accumulo di queste informazioni, nel tempo, genera in alcuni un sovraccarico di stress, amarezza ed angoscia che, alla lunga, può sfociare in qualcosa che di fatto danneggia le nostre esistenze. Gran parte del meccanismo, di fatto, si basa secondo me su questo, ma c’è anche dell’altro, ed è legato a come sembrano funzionare i social network (dall’esterno, per quello che ne sappiamo).

Ammettiamo che tu sia un appassionato di rock. Ti è mai capitato di provare la sensazione che molti dei tuoi artisti preferiti muoiano tutti, uno dietro l’altro, in un’ecatombe dal sapore particolarmente macabro ed inspiegabile? Non fosse altro che vedi le notizie sui social, neanche il tempo di aprirli a volte e subito vedi un funerale dietro l’altro, una morte dietro l’altra (come ripetevono nel finale del film Le cronache dei morti viventi). Assistere volontariamente a questa ecatombe, il più delle volte senza rendersene conto, è purtroppo (o per fortuna, secondo alcuni) alla base del web e dei social – o meglio di come stanno diventando oggi, ben lontani – purtroppo o per fortuna, anche qui – dalle logiche puramente libertarie e fuori da ogni regola di mercato intraviste dagli hacker di qualche decennio fa.

Molte di queste logiche, che sono spesso una degenerazione del liberalismo che danneggia sia produttore che consumatore, alla lunga (lo scrivo forse paraculisticamente, ma credo sia così), hanno ispirato molti degli horror con internet come “mostro” protagonista, o alla peggio come mezzo: pensiamo a Cam, a Giù le mani dai gatti, The hater, e la lista potrebbe continuare. In tutti quei film sono presenti dei doppelganger, dei “doppi virtuali” che sono le nostre identità online che a volte, come in un film del primo David Cronenberg, sembrano prendere il sopravvento sulla vita reale. La buona notizia è che possiamo farci qualcosa, ed uno dei metodi più efficaci passa senza dubbio per la consapevolezza di certi meccanismi.

C’è un bel libro che ne parla e che mi permetto di consigliarvi, a questo punto: è quello di Eli Parisier e si intitola Il filtro. Parisier è un attivista ed esperto di internet, che ha raccontato in poche pagine un fenomeno fondamentale nella diffusione dei social network: ogni utente dispone di criteri estremanente selettivi per scegliere cosa vedere. È un po’ come se, uscendo per strada, potessimo scegliere con un’app di vedere solo uomini single, solo supermercati e/o soltanto negozi di abbigliamento o farmacie. Per certi versi è anche comodo, intendiamoci, perchè così troviamo sui social solo quello che ci interessa trovare: ma secondo l’ottica dell’autore, alla lunga, diventa alienante e spersonalizzante. Soprattutto, ci mette in una condizione paradossale, del tipo: conosco tutto quello che c’è da sapere sul “mio” mondo, ma non su nulla del resto dell’universo e anzi, per definizione, ho deciso io stesso di escluderlo e di precludermi la visione.

Quindi, in sostanza, riesceia vedere le notizie e le notifiche che più ti interessano, e questo (a parte che è un meccanismo insanamente comodo per chi vive di pubblicità su internet che può, così facendo, targetizzare le ads) induce una profilazione dei suoi gusti neanche troppo difficile su cui lucrare. Pensiamo ad un appassionato di metal che tenda ad escludere eventi da discoteca e notizie di gossip dalla sua bacheca in favore, ad esempio, delle news di Metal Hammer: questo spiega in parte il meccanismo dell’assistere ad un’ecatombe di cui sopra, ma spiega anche perchè, di fatto, quando vediamo una, due, tre notizie di morte di un VIP e mettiamo mi piace o reagiamo con l’icona della lacrimuccia, Facebook viene “addestrato” a riconoscere la situazione e ci proporrà sempre più notizie di quel tipo.

Photo by Markus Spiske on Unsplash

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