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  • Quando Alice ruppe lo specchio: la black comedy a tinte splatter targata Fulci

    Quando Alice ruppe lo specchio: la black comedy a tinte splatter targata Fulci

    La macabra storia di una “vedova nera” al maschile, amante della buona cucina e del gioco d’azzardo, che adesca vedove e ruba loro il denaro dopo averle uccise e divorate. Nonostante l’uomo non lasci apparentemente tracce dei suoi crimini, la polizia sembra sulla sua strada…

    In breve. Un titolo dal nome suggestivo che riassembla lo stesso genere che aveva portato Fulci alla gloria negli anni precedenti, ovvero il thriller-gore a tinte oscure. Seppur con una discreta trama ed una dinamica coinvolgente in ballo (qualche momento umoristico è davvero sopra le righe), il film non riesce a convincere del tutto. Impressionante e crudissimo lo splatter da macelleria, visibile fin dalle prime scene, che lo rende molto distante dalle black-comedy garbate ed edulcorate a cui potremmo essere abituati.

    Si sono sprecate in questi anni le considerazioni su Fulci “terrorista dei generi“, ma secondo me pochi sanno (dato che questo film è poco discusso, a quanto leggo) che lo stravolgimento pioneristico dei generi venne effettuato anche sul suo stesso amatissimo horror-thriller. In effetti “Quando Alice ruppe lo specchio” visto oggi sembra un esperimento di fattura molto artigianale, tanto che paradossalmente (e senza nulla togliere) arriva a ricordare l’opera prima di una new entry horror.

    Sebbene l’idea di fondo non sia affatto male, il film si sviluppa con modalità non del tutto convincenti, a cominciare dalla caratterizzazione del protagonista Lester Parson a finire su uno stonato contrasto tra le premesse simil-parodiche e le lugubri conseguenze successive. Nonostante Brett Halsey abbia interpretato un discreto cannibale dalla duplice personalità, inoltre, trovo che la sua concretizzazione sia stata per l’appunto troppo oscillante tra due estremi, risultando così semplicemente ingarbugliata. E non credo neanche che sia questione di aver dovuto interpretare un duplice ruolo in voluto contrasto: mi pare invece che la sua doppiezza risulti alquanto spiazzante per lo spettatore, così come l’alternarsi – senza preavviso – di scene divertenti con altre che toccano realmente lo stomaco. Probabilmente guardando il film per intero, fino al brutalissimo finale (senza mezzi termini e con un tocco di poesia fulciana forse neanche malaccio) si riesce ad intuirne perfettamente la natura: se si riesce ad accettarla bene, altrimenti…

    Se state pensando ad una riedizione nostrana di Henry, pioggia di sangue siete sulla cattiva strada: piuttosto distanti dalla migliore produzione del regista, una buona sintesi del film è esprimibile come una bizzarra media tra il gore casereccio e violento alla Joe D’Amato (o alla Buttgereit, se avete presente) ed uno humor nero piuttosto semplice e funzionale, dichiaratamente e consapevolmente trash. Questo complessivamente fa di “Quando Alice ruppe lo specchio” un discreto lavoro dell’ultimo Fulci, forse addirittura da rivalutare contestualizzando la “morìa di vacche” che, all’epoca, aveva fatto bandire horror e derivati dai generi più popolari per il pubblico (siamo pur sempre alla fine degli anni 80).

    Per evitare di generare fraintendimenti, è bene comunque tenere presente che si tratta di un lavoro molto essenziale e con pochi mezzi (per questo, e solo per questo, mi sono permesso di scomodare un raffronto con l’opera di un esordiente), caratterizzato dalla tipica scarsità di spessore di alcuni personaggi, che vengono buttati nella mischia alla meno peggio e senza alcuna premessa. Tuttavia, analizzando la vicenda produttiva che portò alla sua realizzazione (film commissionato dalla TV e mai mandato in onda: quanto si sarebbe incazzato il protagonista di Ubaldo Terzani Horror Show…), e tenendo anche conto che si tratta di un lavoro anti-televisivo al massimo, sono piuttosto convinto che la Troma di Kaufman sarebbe stata orgogliosa di produrreQuando Alice ruppe lo specchio“: questa, dunque, è forse la recensione più efficace che si possa proporre per questo lavoro dimenticato dai più.

    Tra gli interpreti, segnalo il bravo Al Cliver, che qualcuno dovrebbe ricordare tra i protagonisti del capolavoro Zombi 2. Piccola nota sulla locandina AvoFilm: essa riporta il protagonista con un coltello insanguinato (e ci sta), una bella figliola (che manca) ed un morto vivente (che non esiste proprio). Così, tanto per mandarci fuori strada: è suggestivo pensare al buon Fulci ridere di quelli che si aspettavano vedove sexy e formose da film di Rocco Siffredi (sono tutte piuttosto brutte, quelle di “Quando Alice…“, e qualcuna ha pure barba e baffi!), mentre non possiamo fare a meno di constatare come fosse definitivamente – o quasi – tramontato il tempo dei morti viventi nei corridoi di un ospedale. Provocazioni contro il suo stesso pubblico o contro la soffocante produzione “volemose-bbene“?

    Alla fine chi se ne importa: abbasso l’apparenza, Lucio Fulci vive.

  • Non ci resta che piangere: trama, cast, recensioni e critica

    10 cose che non sapevi su “Non ci resta che piangere”

    1. Soggetto originale: Il soggetto del film “Non ci resta che piangere” è stato ideato da Massimo Troisi e Roberto Benigni. Fonte: La Repubblica (https://www.repubblica.it/2007/06/sezioni/spettacoli_e_cultura/troisi-terzani/troisi-terzani/troisi-terzani.html)
    2. Regia condivisa: Massimo Troisi e Roberto Benigni hanno co-sceneggiato e diretto insieme la pellicola. Fonte: IMDb (https://www.imdb.com/title/tt0091670/)
    3. Ambientazione temporale: Il film si svolge in due epoche diverse: il Medioevo e gli anni ’80 del XX secolo. Fonte: FilmTV (https://www.filmtv.it/film/3321/non-ci-resta-che-piangere/)
    4. Ruolo di Massimo Troisi: Troisi inizialmente non doveva interpretare il ruolo principale del postino Mario. Questo ruolo era stato pensato per Marcello Mastroianni, ma quest’ultimo rifiutò la parte. Fonte: Vanity Fair (https://www.vanityfair.it/show/cinema/15/07/21/40-anni-non-ci-resta-che-piangere-massimo-troisi-roberto-benigni-curiosita-film-foto)
    5. Scelta dei luoghi di ripresa: Il film è stato girato principalmente in Toscana, in particolare a Volterra e a Certaldo. Fonte: Toscana Oggi (https://www.toscanaoggi.it/Non-ci-resta-che-piangere-ripercorriamo-le-location)
    6. Colonna sonora: Le musiche del film sono state composte da Nicola Piovani, vincitore di numerosi premi per le sue colonne sonore. Fonte: AllMusic (https://www.allmusic.com/album/non-ci-resta-che-piangere-mw0000978470)
    7. Successo al botteghino: Il film è stato un successo al botteghino italiano, diventando uno dei film italiani più visti e amati di sempre. Fonte: Il Sole 24 Ore (https://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2015-07-18/non-ci-resta-che-piangere-uno-straordinario-fenomeno-pop-115154.shtml)
    8. Dialoghi improvvisati: Molte delle battute famose nel film sono nate dall’improvvisazione degli attori sul set. Fonte: La Stampa (https://www.lastampa.it/spettacoli/2018/06/01/news/il-capolavoro-inedito-di-troisi-e-benigni-1.34013916)
    9. Partecipazione di altri attori famosi: Nel film compaiono anche altri attori famosi come Amanda Sandrelli, Paolo Bonacelli e Carlo Monni. Fonte: IMDb (https://www.imdb.com/title/tt0091670/)
    10. Omaggi cinematografici: Il film contiene diverse citazioni e omaggi ad altre opere cinematografiche famose, tra cui “Lo chiamavano Trinità…”, “Il padrino” e “La dolce vita”. Fonte: Cinematografo (https://www.cinematografo.it/cinedatabase/film/non-ci-resta-che-piangere/25748/)

    Trama, cast, trailer e recensioni

    “Non ci resta che piangere” è un film italiano del 1984, co-scritto, co-diretto e interpretato da Massimo Troisi e Roberto Benigni. Ecco alcuni dettagli sulla trama, il cast, la regia e le note di produzione:

    Trama: Il film narra le avventure di due amici, Mario e Saverio, che accidentalmente vengono trasportati indietro nel tempo, ritrovandosi nel periodo del Medioevo. Iniziano così a vivere una serie di avventure e situazioni assurde, cercando disperatamente di tornare nel loro tempo presente.

    Cast principale:

    • Massimo Troisi interpreta Mario, un postino che, insieme all’amico Saverio, viene catapultato nel passato.
    • Roberto Benigni interpreta Saverio, l’amico di Mario, coinvolto nelle strane vicissitudini temporali.
    • Iris Peynado è Iris, una donna incontrata dai protagonisti nel Medioevo.

    Regia: Il film è stato diretto da Massimo Troisi e Roberto Benigni, entrambi noti attori e comici italiani. Questa è stata la loro prima collaborazione alla regia.

    • La sceneggiatura del film è stata scritta da Massimo Troisi e Roberto Benigni, con l’apporto di Suso Cecchi d’Amico e Giuseppe Bertolucci.
    • Le riprese si sono svolte principalmente in Toscana, con location come Volterra e Certaldo, dando al film un’ambientazione storica autentica.
    • La colonna sonora del film è stata composta da Nicola Piovani, rinomato compositore italiano, che ha contribuito a creare l’atmosfera e l’umorismo della pellicola.

    Il film è diventato un classico della commedia italiana grazie alla sua combinazione di umorismo, surrealtà e riflessioni sulla vita, conquistando il pubblico con le performance dei suoi protagonisti e la sua trama innovativa e divertente.

    Significato del film

    Il film offre molteplici livelli di interpretazione, e la sua bellezza risiede anche nella libertà con cui ciascuno può trovare il proprio significato personale o interpretazione della storia, delle emozioni e dei messaggi che trasmette.

    Il significato del film “Non ci resta che piangere” può essere interpretato in diversi modi, in base alle prospettive individuali dei suoi spettatori. Ecco alcune possibili interpretazioni:

    1. Accettazione della realtà: Il film affronta il tema della nostalgia e della voglia di scappare dalla realtà. Attraverso il viaggio nel tempo dei protagonisti, potrebbe sottolineare l’importanza di affrontare la vita presente anziché desiderare un passato o un futuro diverso.
    2. Ironia sulla nostalgia: La commedia può essere vista come un’ironica critica alla visione idealizzata del passato. Nonostante i protagonisti vivano avventure divertenti e romantiche nel Medioevo, alla fine comprendono il valore della vita contemporanea.
    3. Amicizia e compagnia: Il legame tra i due protagonisti, che affrontano insieme un’avventura assurda, può rappresentare il valore dell’amicizia e della solidarietà nell’affrontare le difficoltà della vita.
    4. Riflessione sulla condizione umana: Il film, tra le risate e le situazioni comiche, può essere interpretato anche come una riflessione sulla natura umana, sull’incapacità di evitare certi eventi della vita e sull’importanza di adattarsi ai cambiamenti invece di lottare contro di essi.
    5. Critica sociale in chiave comica: Attraverso le situazioni paradossali e l’assurdità delle avventure dei protagonisti, potrebbe essere proposta una critica sociale, facendo emergere la ridicolizzazione di comportamenti e atteggiamenti umani.
  • Anonimo veneziano: cast, trama, musiche originali

    “Anonimo Veneziano” è un film italiano del 1970 diretto da Enrico Maria Salerno. Il film è noto per la sua colonna sonora memorabile composta da Stelvio Cipriani e per la sua storia romantica e drammatica ambientata a Venezia.

    La trama ruota attorno a un uomo di mezza età, interpretato da Tony Musante, che visita Venezia per suonare il suo violino in un’orchestra. Durante la sua permanenza nella città lagunare, incontra casualmente una donna, interpretata da Florinda Bolkan, con cui aveva avuto una relazione nel passato. La donna è ora sposata con un altro uomo, ma i due iniziano a riscoprire i loro sentimenti reciproci.

    Il film affronta temi come la nostalgia, l’amore non corrisposto e il senso di perdita. La colonna sonora di Stelvio Cipriani, con il brano principale “Anonimo Veneziano,” ha contribuito in modo significativo al successo del film ed è ancora oggi molto apprezzata.

    “Anonimo Veneziano” è un film molto noto nel panorama cinematografico italiano e rappresenta un esempio classico del cinema romantico italiano degli anni ’70. È stato accolto positivamente dalla critica e ha guadagnato diversi premi e nomination.

    Curiosità

    • La colonna sonora del film, composta da Stelvio Cipriani, è diventata estremamente popolare, soprattutto il brano principale, “Anonimo Veneziano.” La musica contribuisce in modo significativo all’atmosfera romantica del film.
    • Il regista Enrico Maria Salerno ha anche un piccolo ruolo nel film.
    • “Anonimo Veneziano” è stato girato principalmente a Venezia, catturando la bellezza unica della città lagunare.

    Cast

    • Tony Musante interpreta il protagonista maschile, Stefano.
    • Florinda Bolkan interpreta Valeria, l’interesse amoroso di Stefano.
    • Enrico Maria Salerno è il regista del film e appare anche in un ruolo secondario.
    • Altri membri del cast includono Umberto Orsini, Eva Renzi, e Alessandro Haber.

    Sinossi

    “Anonimo Veneziano” è una storia romantica e drammatica ambientata a Venezia. La trama ruota attorno a Stefano, un violinista di mezza età interpretato da Tony Musante, che si reca a Venezia per suonare il suo violino in un’orchestra. Durante il suo soggiorno, Stefano si imbatte casualmente in Valeria, interpretata da Florinda Bolkan, una donna con cui aveva avuto una relazione nel passato. Valeria è ora sposata con un altro uomo, ma i due iniziano a riscoprire i loro sentimenti reciproci mentre condividono momenti romantici e nostalgici a Venezia. Il film esplora i temi dell’amore non corrisposto, della nostalgia e del passato.

    Musiche

    La colonna sonora del film è stata composta da Stelvio Cipriani ed è una parte essenziale dell’esperienza cinematografica. Il brano più noto è “Anonimo Veneziano,” che è stato eseguito con il violino da Tony Renis ed è diventato un successo musicale a livello internazionale. La musica contribuisce in modo significativo all’atmosfera romantica e malinconica del film, ed è uno dei motivi per cui il film è ancora apprezzato oggi.

    Fotogramma: Di Screenshot autoprodotto – Catturato personalmente da Utente:Vabbè, Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=9095364

  • La corazzata Potëmkin: trama, cast, analisi del film

    “La corazzata Potëmkin” (in russo: Броненосец Потёмкин) è un celebre film muto sovietico diretto dal regista Sergei Eisenstein e uscito nel 1925. Il film è noto per la sua importanza storica e cinematografica, ed è spesso considerato uno dei capolavori del cinema d’avanguardia e del montaggio cinematografico. La trama del film è basata su eventi reali, in particolare sulla rivolta della corazzata russa Potëmkin e dell’equipaggio contro gli ufficiali oppressivi nel 1905 durante la Rivoluzione russa. Il film racconta la storia della ribellione degli equipaggi e delle conseguenze che essa porta, inclusi momenti di violenza e oppressione brutale. “La corazzata Potëmkin” è noto per la sua straordinaria tecnica di montaggio e la sua capacità di creare tensione emotiva attraverso l’uso innovativo della cinematografia. Il film è stato influente nel campo del cinema ed è ancora oggi studiato e apprezzato per il suo contributo all’arte cinematografica.

    Titolo: La corazzata Potemkin (Броненосец Потёмкин)

    Anno di uscita: 1925

    Regia: Sergei Eisenstein

    Cast Principale: Il cast di “La corazzata Potemkin” è principalmente composto da attori sconosciuti, poiché il film fu realizzato con attori non professionisti. Non ci sono attori famosi nel cast.

    Storia: “La corazzata Potemkin” è un film muto sovietico diretto da Sergei Eisenstein. Il film è basato su eventi storici e rappresenta la rivolta dell’equipaggio della corazzata russa Potemkin contro gli ufficiali oppressivi nel 1905 durante la Rivoluzione russa. La storia si concentra sulla ribellione dell’equipaggio e le conseguenze che essa porta, inclusi momenti di violenza e oppressione brutale.

    Produzione: Il film fu prodotto dall’associazione di produzione cinematografica “Mosfilm” in Unione Sovietica.

    Stile: “La corazzata Potemkin” è noto per il suo stile distintivo, che include l’uso innovativo del montaggio cinematografico. Sergei Eisenstein è considerato uno dei pionieri del montaggio e del cinema d’avanguardia, e il film è un esempio chiave del suo lavoro. Il film presenta una forte enfasi sull’uso delle immagini per creare emozioni e messaggi politici, ed è caratterizzato da una struttura narrativa non lineare.

    Sinossi: Il film racconta la storia dell’equipaggio della corazzata Potemkin, che si ribella contro i loro ufficiali dopo essere stati costretti a mangiare carne infetta. La ribellione si trasforma in una rivolta contro l’oppressione più ampia e la corruzione dell’impero russo. Il film culmina con la famosa sequenza della scalinata di Odessa, in cui l’esercito apre il fuoco contro una folla di manifestanti innocenti.

    Curiosità:

    • “La corazzata Potemkin” è considerato uno dei più grandi capolavori della storia del cinema ed è un’icona del cinema d’avanguardia e del cinema politico.
    • La sequenza della scalinata di Odessa è una delle scene più famose nella storia del cinema ed è stata ampiamente citata e omaggiata in altri film e opere cinematografiche.
    • Il film è noto per il suo impatto sulla cinematografia e il montaggio, ed è stato studiato e apprezzato in tutto il mondo per il suo contributo all’arte cinematografica.

    Spiegazione Dettagliata del Finale con Pre-Avviso Spoiler: Il film si conclude con la famosa sequenza della scalinata di Odessa, in cui l’esercito russo apre il fuoco contro una folla di manifestanti innocenti. La sequenza è notevole per la sua intensità emotiva e il montaggio rapido delle immagini.

    Alla fine della sequenza, un’immagine iconica mostra un bambino morto e la madre disperata che tiene in braccio il suo corpo. Questa immagine simbolizza la tragedia e l’ingiustizia dell’oppressione e della violenza. Il finale del film è una dichiarazione potente sulla lotta per la giustizia sociale e la resistenza contro l’oppressione.

    “La corazzata Potemkin” è un film politico e viscerale che riflette l’ideologia e le speranze della Rivoluzione russa. La sequenza della scalinata di Odessa è spesso interpretata come una metafora della lotta del popolo contro le forze oppressive, e il film nel suo complesso rappresenta un appello per il cambiamento sociale e politico.

  • La sirenetta sovietica ci invitava a vedere le cose da due punti di vista diversi

    Di fronte a voi, signore e signori, la famosa sirenetta! Il modo in cui è stata scritta dal grande Hans Christian Andersen in una storia d’amore. Sì, signore e signori, ai bei vecchi tempi di Christian l’amore esisteva ancora. Queste stupide persone pensano che l’amore esista, e le sirene no! Ma io e te sappiamo che è l’esatto contrario! L’amore non esiste e le sirene sì.

    E tu sei pro o contro? Con noi o contro di noi? SDalla parte di X o di X primo?

    Sui social è sempre più comune imbattersi nel tipo di discussione polarizzante descritto, tra i primi, dai ricercatori Quattrociocchi/Vicini nel saggio Misinformation: già nel 2016, infatti, gli autori avevano colto le contraddizioni che portano alla formazione di opinioni (e alla fruzione di informazioni) da parte degli utenti di Facebook, Twitter e Youtube. Sono in gioco dinamiche del contagio e dell’influenza sociale, alimentando meccanismi per cui l’individuo forma la propria convinzione a prescindere dai fatti e facendosi condizionare dalla maggioranza .

    Gli autori avevano osservato che ogni discussione sui social, dati alla mano, tendeva a polarizzare le opinioni in modo binario, creando “tribù” di “pro” e “contro”, a prescindere dall’argomento di discussione, spingendosi a sostenere che il debunking non sia troppo utile alla causa, dato che le community su internet tendono finalmente a radicalizzare le opinioni (mentre chi legge una notizia antibufala su un fatto di cui è convinto finirà, in molti casi, per non cambiare idea, o addirittura esacerbare la fake news).

    La sirenetta ha cambiato colore (e non va bene?)

    Le discussioni su La sirenetta a cui abbiamo assistito nei mesi scorsi erano un coacervo di presunta cancel culture, di culturina da 4chan, di atteggiamenti boomer e di grottesco allarmismo sociale. Del resto finivano per essere pilotate da persone autenticamente razziste – tanto razziste da porsi il problema (!) che un personaggio immaginario (!) fosse di colore, nel tentativo disperato di aizzare la folla e spingere ad un improbabile boicottaggio. Alle piattaforme social tutto questo è andato benissimo: è stata una garanzia di visualizzazioni e sponsorizzate, e poco importava che fosse una fiera contrapposizione tra democratici e repubblicani, tra razzisti vs antirazzisti, tra disneyani puri e disneyani revisionisti. Il tutto ha confermato il quadro binario “noi contro di voi, comunque vada” delineato in Misinformation. Questo genere di contrapposizione non è servita veramente nessun altro se non a sopravvivere della piattaforma stessa, un boicottaggio virtuale che è rimasto tale e che, al netto di titoli clickbait da cui siamo stati assilati per me, è servito solo a rimpolpare le casse delle aziende che hanno creato i social su cui quel “dibattito” avveniva.

    (Non) Mettere il lieto fine

    Quando uscì La sirenetta di Ron Clements e John Musker nel 1989 venne sancita la rinascita della Disney, tanto per restare in tema di rinascita per una multinazionale. All’epoca dell’uscita fu un gran vociare di recensioni positive, sia da parte della critica che del pubblico, e tutti si lasciarono incantare da quel film favolistico, spensierato e innovativo. E se nemmeno Roger Ebert ebbe nulla da obiettare a questo lavoro, le polemiche moraliste sulle presunte forme falliche tra le torri del castello, sulla prima copertina, si spensero progressivamente negli anni.

    Eppure quella versione de La sirenetta aveva un vero difetto, tutt’altro che urban legend: riusciva nell’impresa di perdersi sul finale dato che il soggetto era stato cambiato arbitrariamente, e fatto divenire puramente disneyano: la conclusione originale di Hans Christian Andersen venne rimpiazzata dal matrimonio della sirenetta con il principe (il che assume una valenza involontariamente grottesca se pensiamo alle accuse di aver rappresentato il prete che celebra quel matrimonio con una presunta erezione). Non sono mancate altre versioni della storia, che giocano con lo stesso mito della sirenetta e lo modernizzano e/o lo rielaborando in un altro paio di modi diversi. L’imposizione della regia, in questi casi, si colloca esattamente tra la scelta del finale originale (per “puristi”) e quella dell’happy end (per fan della Disney), e non è difficile immaginare qualche polemichella anche lì, nascosta nei social in qualche gruppo tematico, con qualche genitore indignato per il finale “cattivo”, con accuse di avergli traumatizzato i figli (la gente muore ma i bambini non devono saperlo: qualcuno salvi i bambini!) o in alternativa con il puro disincanto con cui tutti, generazione dopo generazione, abbiamo visto La sirenetta almeno una volta nella vita.

    L’opera originale del 1837

    La storia de La sirenetta venne scritta dal famoso scrittore danese Hans Christian Andersen, con titolo originale “Den lille Havfrue“: era il 1837, e Andersen si trovava nella condizione dolorosa dell’amante respinto, tragicamente accentuata dalla sua omosessualità. La sirenetta che perde la voce e non può parlare col principe (che così facendo alla fine non potrà innamorarsi di lei), finisce per essere un’allegoria dello stato d’animo dell’autore, cosa a cui il cinema non sempre ha reso giustizia.

    La risacca batte contro le rocce nere

    La vita è dura per gli umani, questa lotta eterna.

    Ma credo che, goccia dopo goccia, la tua vitalità tornerà,

    la prima goccia sarà la forza,

    la seconda sarà la gioia.

    Il bello non deve perire,

    il coraggioso non deve perire.

    Non dovrebbero, non dovrebbero morire.

    (La Sirenetta – regia di. Ivan Aksenchuk, 1968)

    Di più: il finale di Anderson era poetico quanto ambiguo, quasi dai tratti misticheggianti – e se è vero che la protagonista diventa schiuma di mare, al tempo stesso sopravvive come presenza eterea, destinata a diventare una prefigurazione dell’amore impossibile (quello vissuto dall’autore) da tramandare ai posteri. Non siamo poi così sicuri che si tratti veramente di una storia per bambini, se alimentiamo tale prospettiva parallattica. Perchè di parallasse si tratta, in particolare nel finale della versione sovietica del 1968 dell’opera, diretta da Ivan Aksenchuk e che propone due possibili interpretazioni dello stesso finale, che rimane sostanzialmente aperto.

    Che cos’è la parallasse

    Al fine di descrivere il funzionamento delle elezioni,  il filosofo sloveno Slavoj Žižek ricorre al concetto (mutuato dalla psicoanalisi di Lacan) di parallasse – la differenza tra ciò che crediamo o sappiamo su qualcosa e ciò che effettivamente accade. La spaccatura indotta dalla parallasse è lampante, ad esempio, quando un politico fa delle promesse in campagna elettorale salgo agire in maniera diversa una volta eletto. Žižek sottolinea più volte – il libro più completo che ne se ne interessa è La visione di parallasse – che la parallasse è una condizione costante, ineludibile,  che caratterizza la nostra esperienza soggettiva del mondo. Una volta si sarebbe detto: guardare oltre le apparenze, liberarsi della patina inibitoria dei nostri pregiudizi, rifiutando il costante obbligo a partecipare a discussioni stantìe e autocelebrative sui social, dove la realtà è 0 oppure 1 senza possibilità di sfumature e dove, naturalmente, lo zero è in lotta con l’uno.

    Rusalochka e il finale “doppio”

    Rusalochka è la versione de La sirenetta prodotta nell’allora URSS, anno 1968: dura appena 27 minuti, un nulla a confronto della versione disneyiana di fine anni 80 (che dura 1 ora e 22 minuti) e del revival in forma di musical del 2023 (che ne dura più di due).  L’opera è relativamente facile da reperire in rete, in Italia è comparsa come parte di un episodio nella serie Fiabe da terre lontane, distribuito dalla Avo Film nel DVD “La pentola magica“. Molto è stato scritto sul cinema di animazione russo di quegli anni, ed è interessante osservare che la narrazione prevede un finale doppio.

    Le opere brevi sono spesso difficili da decifrare, ma offrono l’enorme vantaggio di lasciare spazio alle riflessioni del pubblico: cosa che non succede con le serie TV e con le opere più lunghe di una certa durata, che molti casi tendono a dire tutto e a non lasciare spazio a possibilità ulteriori, doppi finali. Las viene spesso soppressa dalle opere più monumentali, e le varie fan theory che circolano per alcuni di questi lavori possono rientrare in una tentata visione parallattica (la nota fan theory su Mamma ho perso l’aereo, ad esempio).

    Il punto del finale aperto è cruciale: la parallasse del resto non nasconde verità segrete che sono note solo agli adepti (come avviene nelle teorie del complotto classiche), tantomeno invita a conformarsi alla visione più comune (come tende a fare il più delle volte implicitamente la cultura mainstream), ma invita ad oscillare, a saper accogliere punti di vista differenti dal proprio e discuterli, a vedere al di là dello spiraglio che ci propone una visione a prima vista di qualcosa. Da un lato, quindi, c’è il punto di vista dei pesci: la sirenetta è stata un’ingenua che sarebbe dovuta rimanere al proprio posto. Dall’altro, c’è la rivalutazione postuma da parte dei visitatori della statua a Copenaghen: questa storia non conosce confini, ed è la storia del coraggio, della saggezza e della gentilezza.

    E così, figli miei, è così che finisce la storia. La sciocca sirena voleva diventare un essere umano, ma come si suol dire, tutti dovrebbero conoscere il proprio posto (considerazione dei pesci).

    Questa, signore e signori, è una storia molto dolorosa,.triste, ma bellissima, una storia d’amore che non conosce confini. La storia del coraggio, della saggezza e della gentilezza. (considerazione della guida turistica)

    La versione russa de “La sirenetta” si distingue per la sua straordinaria animazione tradizionale. Gli animatori hanno saputo catturare l’essenza magica del mondo sottomarino, creando una serie di personaggi e scenari incantevoli. Ogni dettaglio è stato curato con grande precisione, dalle sfumature dei colori all’incantevole coreografia dei movimenti dei personaggi.

    E poi, quante possibilità avremmo di diffondere questa storia sui social e suscitare la polarizzazione da parte degli utenti di cui sopra?

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