In termini lacaniani, il concetto di “godere” è collegato al concetto di “jouissance“. Quest’ultimo non si riferisce semplicemente al piacere fisico o al godimento sensoriale, ma piuttosto ad un concetto complesso e psicoanalitico legato alla sfera psichica e sessuale.
Secondo Jacques Lacan, la jouissance va oltre il semplice piacere e può comportare una sorta di sofferenza o di eccesso che supera i limiti del desiderio. È legata alla tensione tra il desiderio e la sua realizzazione, e spesso implica una sorta di mancanza o di impossibilità di raggiungere pienamente ciò che si desidera.
Nella teoria lacaniana, la jouissance può essere divisa in due forme: la jouissance phallique, che è più associata al piacere fisico e all’appagamento delle pulsioni, e la jouissance dell’Altro, che è più complessa e implica un’esperienza più profonda e problematica, legata alla relazione con l’Altro, con il desiderio e con la struttura stessa del linguaggio e dell’inconscio.
In sostanza, il concetto di godere in senso lacaniano è collegato a una forma di piacere che supera i confini della soddisfazione diretta e coinvolge una complessa dinamica psichica e relazionale.
Alfonso decide di sposare Regina, dopo una vita da quarantenne single. L’uomo è convinto di aver trovato la donna perfetta, dato che si mostra sincera e riservata, tanto da non concedersi a lui prima del matrimonio. Dopo essersi sposati, le cose cambiano…
In breve. Un climax senza sconti sugli effetti del bigottismo sulla società, con un indimenticabile Ugo Tognazzi in un ruolo ineditamente drammatico. Da non perdere.
L’ape regina, rinominato “Una storia moderna: l’ape regina” dopo l’intervento della censura dell’epoca (siamo nel 1963), è un film grottesco da collocarsi nella complessa poetica del regista Marco Ferreri, che va da La grande abbuffata fino al più criptico Dillinger è morto, con numerose ulteriori opere espressione di un linguaggio complesso, mosso su vari registri e quasi sempre socialmente / politicamente impegnato. Il punto di vista contenuto ne L’ape regina (film per cui Marina Vlady vinse come miglior interprete femminile, e Ugo Tognazzi ebbe un Nastro d’Argento come Migliore attore protagonista) è quantomeno insolito, perchè narra di una neo coppia apparentemente “media”, per cui si disvela un inquietante scenario. Uno scenario in cui l’unico modo per cui la donna possa avere la meglio è, di fatto, quello di “allearsi” al cattolicesimo imperante – il film venne rimaneggiato e censurato dopo la sua uscita, ovviamente.
Lo sai perchè sono contento? Perchè sono andato in bianco!
By [1], Fair use, https://en.wikipedia.org/w/index.php?curid=36692171Subito dopo il matrimonio, infatti, vediamo sbucare fuori la reale natura di Regina: molto religiosa (devota a una santa barbuta), obbliga il consorte ad abitare vicino al Vaticano, si mostra compiacente rispetto all’invasività nella coppia dei parenti di lei, oltre che condizionante sul carattere di Alfonso (uomo che si rivela fragile, insofferente al bigottismo quanto facile da plagiare). Vediamo la quotidianità ed intimità della coppia, che sembra fatta in apparenza di passione e complicità – ma che sta logorando Alfonso, pressato dalla sessualità dirompente ed invasiva da parte della moglie (che, neanche a dirlo, vorrebbe rimanere incinta ad ogni costo).
Del resto la religione, abilissima ad avere la pretesa di controllare l’istinto altrui, in questa circostanza si mostra ostile ad Alfonso e strumento nelle mani di Regina: ce ne accorgiamo dalla sequenza in cui l’uomo prova a confidarsi col prete che li ha sposati, il quale gli prescrive un ricostituente ormonico – tanto lo prendono tutti, perchè Sant’Alfonso (evidentemente, nomen omen) ha scritto in ginocchio […] sui rapporti coniugali […]: il coniuge non può e non deve sottrarsi al desiderio legittimo dell’altro coniuge. Il desiderio santo (così come viene definito) è accettabile sempre e comunque, purchè adagiato sui dettami della chiesa, anche se poi diventa ossessivo e svilente per il protagonista, al quale viene ripetuto più volte di fare un figlio alla svelta per “risolvere” il problema.
Non lo fo per piacere mio, ma per far piacere a Dio!
In nuce sembra di assistere alle medesime tematiche affrontare, in tempi recenti, da quel piccolo cult quale è The lobster, in cui la sessualità era gestita a comando ed andava finalizzata in modo pre-determinato: coppia o single, senza vie di mezzo e senza sfumature, a voler per fora accondiscendere una delle due distopìe. Ferreri intuisce la questione in modo atipico, se vogliamo, invertendo i ruoli tradizionali uomo-donna e mostrando un uomo succube della consorte. È anche chiaro che manda il messaggio forte e chiaro che la religione svilisca l’aspetto piacevole del sesso e ne esalti, puramente, quello procreativo; tanto peggio se lo fa sfruttando l’avvenenza di Regina, fino alla fine cinica e calcolatrice. Alla fine l’uomo diventerà un vuoto a rendere, privato di ogni individualità, padre destinato a cedere il passo ad una prole mai davvero voluta, prima del tempo.
“Spogliamoci così, senza pudor…” è un film italiano del genere commedia erotica diretto da Sergio Martino. Ambientato negli anni ’70, il film segue le vicende di un gruppo di amici che si trovano in situazioni imbarazzanti e impreviste in una località turistica.
Sinossi
Il film racconta le avventure e gli equivoci che si verificano durante le vacanze di un gruppo di amici in una località turistica. Le situazioni comiche si susseguono quando si trovano coinvolti in fraintendimenti romantici e imbarazzanti. La trama ruota attorno a equivoci amorosi e situazioni spiacevoli che mettono alla prova le relazioni e la moralità dei personaggi.
Curiosità
Il film appartiene al genere della commedia erotica all’italiana, che era popolare nel cinema italiano degli anni ’70. Queste pellicole spesso mescolavano umorismo e contenuti piccanti, creando un mix caratteristico del periodo.
Di episodi strani ed anomali è pieno il web, ma il mondo movie rimane un genere decisamente a se stante: non è semplicemente e solo uno snuff (un filmato che mostra violenza o orrori autentici, senza trucco), ma è uno snuff commentato dal punto di vista di un pubblico snobistico che, per qualche incomprensibile motivo, ne dovrebbe godere. Ancora peggio di uno snuff, in sostanza.
Di fatto, il mondo movie è un genere che oggi ha un senso decisamente limitato, al di là di qualsiasi gusto perverso in fatto di cinema; le videocassette in formato VHS come quella di Mondo cane oggi (disponibile ad oggi in streaming, edizioni Raro Video, su Prime Video) rappresentavano, probabilmente, l’equivalente anni ’80 degli orrori del sito Rotten e dei suoi innumerevoli epigoni. Questo shockumentary è, per la cronaca, il terzo della saga che era stata inagurata, con toni non dissimili ma quantomeno più sensati, nel 1962.
I mondo erano in genere accompagnati da una voce narrante, modello cinegiornale di regime, che non si limitava a commentare ciò che passa sullo schermo, ma tendeva anche a distorcerlo, piegarlo al dettaglio rivoltante, al gusto per il disgusto, al dileggio a prescindere e, come se non bastasse, cimentandosi in battute che più improbabili non si poteva.
Jacopetti in effetti era stato un po’ il padre putativo del genere mondo, e – al netto degli aspetti meramenti shockanti legati dal suo cinema, che rientrano puramente nel fine a se stesso – era se non altro un abile narratore, anche solo per la furbesca trovata di confondere gli episodi realmente avvenuti con quelli creati ad arte (per sembrare realistici).
Il narratore di Mondo cane oggi, che coinvolge poco ed annoia abbastanza, non è purtroppo neanche accattivante, e l’ironia presunta dei commenti oscilla tra l’ostentazione di calembour sciapi, un sostanziale razzismo e via delirando. L’ottica narrativa insiste sui dettagli morbosi, in questo caso con un irritante gusto per il gossip, nell’ottica dello spettatore snob (e forse sul modello ignorante orgoglioso) che si sente vagamente superiore e non vede l’ora, per qualche strana ragione, di “godersi” spettacoli del genere.
Quello che vediamo in Mondo cane oggi è, in altri termini, un’accozzaglia di episodi che slittano dal grottesco al disgustoso senza preavviso, con una costante: la voce monotona – e vagamente strafottente – del narratore. Il senso del film è solo uno: scuotere, turbare, shockare, anche a costo di dare spiegazioni spicciole o pseudo-intellettuali, che oggi etichetteremmo come fake news, sulla frigidità (che può avere certamente cause psicologiche, ma anche fisiche). L’erotismo di Mondo cane oggi risulta quasi imbarazzante, e in più occasioni, scivola inesorabile nel grossolano – ad esempio nel momento in cui le immagini di alcune sculture a sfondo sessuale vengono commentate, causticamente, dall’audio di un film porno.
Formalmente tutte le immagini sono buttate lì, date in pasto ad uno spettatore che dovrebbe sapere bene che cosa sta andando a vedere, con il compito (?) di giudicare da solo. Ma il punto è proprio questo: il film sembra concepito per spettatori che bramano di meravigliarsene o inorridire, e questo, di per sè, fornisce una carta d’identità alquanto chiara sulla personas media che dovrebbe o vorrebbe guardarlo.
Girato da Max Steel (lo Stelvio Massi di Squadra volante) e scritto da Gino Capone, il film mostra tra le altre cose: dei gauchos che si danno al singolare sport del lancio dell’anatra viva, una donna frigida che si sottopone ad un massaggio erotizzante (una banale scusa per un nudo integrale), nudisti che vengono ridicolizzati a prescindere, la macellazione di animali, un cadavere vivisezionato con dell’eroina all’interno, alcuni durissimi allenamenti di karate, una singolare forma di agopuntura riscaldata, il sangue crudo di serpenti e renne usate come afrodisiaco. C’è anche la sensazione soggettiva che, in molti episodi, la realtà non sia proprio quella raccontata dal commento audio, e che da alcune episodi emergano dettagli riferiti a cose o persone non esistenti.
In fondo film del genere, dai meriti artistici senza dubbio molto discutibili, fanno emergere limiti e modalità usuali della censura. Per intenderci: non ci si creano scrupoli a mostrare animali scuoiati e uccisi in diretta, ad esempio, ma la sequenza che mostra i preliminari del sesso tra due donne ed una presunta “scuola di masturbazione” è stata quasi certamente tagliata (si percepisce che una frase del narratore resta a metà, per poi passare alla scena successiva). Ancora più assurdo se si pensa, ad esempio, che l’operazione di chirurgia al pene, di contro, viene mostrata esplicitamente per intero. Una riprova perenne di un qualcosa che forse non è mai cambiato: la censura, alla lunga, è sempre un’espressione arbitraria del pensiero di poche persone, e non è scontato che la loro sensibilità possa fare da “faro guida” per tutti gli altri (soprattutto nel medio-lungo periodo). Quindi possiamo provare a teorizzare, addirittura mediante un film borderline del genere, che la censura ha sempre e comunque poco senso.
Inutilmente frustrante chiedersi, ad oggi, perchè si girassero film del genere, e perchè abbiano stuzzicato almeno una parte del pubblico avvezzo all’orrore, o all’orrido, in sè. Forse una forma di feticismo, più probabimente una contro-contro-cultura che esibiva un mondo disumanizzato magari per provare ad ostentare o rivalutare, alla meglio, quello in cui viviamo. Peraltro, il tutto avveniva con una sostanziale differenza rispetto agli orrori splatter che mostrarono alcuni film di Fulci e Joe D’Amato, che erano realistici quanto simulati (cosa che in questo film non sempre sono), e quantomeno provavano ad avere uno straccio di riferimento narrativo (che qui manca del tutto). Assistiamo ad una spettacolarizzazione orrida, per semplice giustapposizione, che rimane come mera testimonianza, da archivio (per così dire), e si dimentica con la stessa facilità con cui si prova a guardare.
Le versioni in formato PAL Raro Video e EAHV sono entrambe uncut, e della durata complessiva di 75 minuti.
“Povere Creature!” (titolo originale: Poor Things), è un romanzo di Alasdair Gray pubblicato nel 1992. Si tratta di una storia in stile gotico che combina elementi di satira sociale e politica con una narrazione surreale. Il libro è ambientato in una Glasgow vittoriana e segue la vicenda di Bella Baxter, una donna riportata in vita attraverso esperimenti scientifici. “Poor Things” è stato adattato in questo film del 2023 diretto da Yorgos Lanthimos, con Emma Stone nel ruolo della protagonista. La pellicola è stata molto apprezzata per la sua estetica unica e le tematiche profonde.
Scrivere recensioni assomiglia a volte a uno sport bizzarro, nel quale non solo devi “sollevare i pesi” della tua esibizione interpretativa ma, come se non bastasse, sei costretto ad affannarti in derive letterarie improbabili, trovando rifugio tra i meandri di quello che hai provato, delle cose che hai letto e che forse c’entrano qualcosa, degli episodi che ti vengono in mente, le suggestioni che ricevi dallo schermo. Almeno per me è stato così, dopo aver visto Povere creature! in un cinema (purtroppo) mezzo vuoto, per quel che mi riguarda: e vale soprattutto quando assisti ad un lavoro del genere, semplice eppur complesso nel suo concepimento, incerto sull’attribuzione del genere, attualissimo – soprattutto – per le tematiche che scomoda. Un film che urla, letteralmente, la necessità di parlarne, di vederlo una prima o una seconda volta, per coglierne le numerose stratificazioni che lo caratterizzano.
Cosa significa poor things
Andrebbe come prima cosa sgombrato il campo sul titolo, e sulla pseudo-polemica legata alla traduzione: Poor things non significa povere cose (nè cose da nulla, come qualcuno ha maccheronicamente tradotto), ma andrebbe tradotto come poverini, poveracci, poveretti. In molti casi l’espressione vorrebbe esprimere disperazione e sofferenza, come in she just seemed more desperate, poor thing (sembrava disperata, poverina). Il sempre affidabile Urban Dictionary, peraltro, sottolinea come l’espressione poor thing finisca per denotare compassione per qualcuno, per una persona in questione a causa del dibattere su di essa. Da escludere, pertanto, l’idea che Povere creature! possieda una qualche componente exploitation (che è considerato il sottogenere che mostra violenza, sesso e derivati per il gusto di shockare o, al limite, per presunti scopi educativi o sociologici): l’attenzione sembra semmai posta sull’empatizzare con la vittima, impersonificandone la sofferenza e provando a mostrare come uscirne.
Si è molto parlato di questo film negli ultimi tempi – la sua produzione risale al 2021 – e si tratta dell’ennesimo del prolifico Yorgos Lanthimos (The Lobster, Il sacrificio del cervo sacro), il quale dirige l’ennesima storia simil-distopica dai tratti singolari. Una narrazione dotata di un approccio diretto e privo di fronzoli, costruito come un romanzo di formazione (è la storia di una fanciulla che rinasce, letteralmente, grazie ad una ardita forma di chirurgia) con numerosi echi al Von Trier di Nimphomaniac. Per il soggetto il regista greco va a pescare da un romanzo di Alasdair Gray del 1992, che racconta di questo singolare personaggio dai tratti freak che, per ribadirlo con l’espressione del film, finisce per essere “madre e figlia nello stesso corpo“.
Noi nasciamo capaci d’imparare, ma non sapendo nulla, non conoscendo nulla – scriveva Rousseau nel suo celebre romanzo pedagogico Emilio del 1762. È curioso osservare che i presupposti di Povere creature! potrebbero collocarsi su questa falsariga. Qualche riga dopo, infatti, l’autore ipotizza per assurdo che se un fanciullo avesse alla sua nascita la statura e la forza di un adulto, quest’uomo bambino sarebbe un perfetto imbecille, un automa, una statua immobile e quasi insensibile. Serve a rimarcare il potere dell’educazione e l’importanza per ogni essere umano di imparare a conoscere e capire il mondo (trovare l’ache serve per agire, per dirla alla Rousseau). Ed è come se l’autore del romanzo, ed il regista come diretta conseguenza, partissero dai presupposti posti per assurdo da questo celebre scritto, immaginando non un fanciullo ma una fanciulla bambina nel corpo di un adulto, che si comporta come tale assorbendo progressivamente il bene ed il male, suo malgrado, dal mondo che la circonda.
La storia è quella di Bella Baxter, una giovane donna dal comportamento infantile, frutto del lavoro di un esperto chirurgo (Godwin Baxter, ovviamente nomen omen). Il medico è dedito ad esperimenti arditi – tra cui innestare teste e corpi di animali viventi diversi, come cani, gatti e maiali, al fine di creare nuove specie o, al limite, di mostrare i limiti oltre i quali la scienza non dovrebbe andare. Complicato effettuare operazioni del genere in una struttura sanitaria, del resto: per cui vediamo l’allestimento di una sala operatoria all’interno di una villa privata. Un ambiente che non può non evocare quello grottesco dell’isola del dottor Moreau, in cui un mad doctor supera i limiti dell’etica in onore dell’ossessione per la scienza. Ma il vero focus è su Bella, il suo esperimento meglio riuscito: il personaggio non ha alcun ricordo, è infantile, libera e spensierata, oltre al fatto non indifferente di vivere senza saperlo nel corpo della madre morta suicida poco prima. Il corpo della madre di Bella è stato recuperato dal chirurgo in extremis, e si è deciso di impiantarle il cervello del feto che portava in grembo. Ogni conseguenza è imprevedibile, a questo punto, e la domanda pressante è: Bella scoprirà di vivere nel corpo della madre, oppure no? Cosa le comporterà saperlo, quando arriverà questo momento?
Gli echi di Frankestein sono gli stessi del romanzo a cui il film si ispira, ma la dimensione horror classica è solo una condizione di partenza, non esclusiva, dalla quale si sviluppa un film totalmente surreale, imprevedibile e multisfaccettato, con numerosi echi erotici e vari significati psico-sociali. Sì, perchè il rito di iniziazione di Bella è la scoperta della sessualità, che la porta a fare sì che il suo Es scardini ogni convenzione e richieda, ad un certo punto, al proprio creatore di essere lasciata libera di scegliere. Un lavoro a cui Lanthimos conferisce una parvenza tra il vittoriano e lo steampunk, una sorta di mondo incantato in cui le funivie sovrastano il cielo delle città, i colori sono tanto saturi da sembrare fumetti, e in cui è ordinario che una giovane donna (interpretata da Emma Stone, che si muoverà meccanicamente per buona parte del film) vada a chiedere ad una attempata signora, appena conosciuta, se compensi con la masturbazione la mancanza di sesso che vive da più di vent’anni. La sua (ri)scoperta del sesso è un insight autentico, un’illuminazione, una rivelazione quasi mistica che la spinge a scoprire la logica del mondo e, come prevedibile, ad impattare in ogni suo aspetto.
Povere creature è (anche) un film sulla degenerazione, sulla perdità di umanità, sul sesso come tabù e sulla sua valenza liberatoria, tanto orgasmatica quanto rivoluzionaria, che tanto si lega alle tematiche del desiderio e della repressione e che – soprattutto – rifiuta il familiarismo tipico delle pellicole più claustrofobiche di questo tipo: quelle per cui tutto nasce, vive e muore in famiglia, con la famiglia che diventa prigione, lettino dello psicoanalista e tomba. In questo film il focus sembra essere aprire noi stessi al mondo, che è probabilmente ciò che Lanthimos ci invita a fare – pena perdere la nostra umanità.
Per questo è necessario, oggi e per sempre, non soffermarsi superficialmente sull’aspetto sessuale prompente che l’attivissima Bella ci propina, per quanto la regia insista su di esso senza tabù sfruttando frequenti primi piani facciali, nonchè una rassegna di pratiche erotiche che vengono quantomeno citate se non mostrate (masturbazione, coito in qualsiasi posizione, rimming, cunnilingus, sado-masochismo). Il punto, semmai, è il significato simbolico di queste pratiche, che da un lato vogliono dire emancipazione sessuale (femminile, soprattutto), dall’altro fanno diventare la trama diventa una riflessione spassionata e coinvolgente sui perchè dell’essere umano, dal punto di vista di un cervello non completamente sviluppato o “immaturo” come quello di Bella, che appare, grottescamente, più ragionevole e sensato di quello di un uomo adulto, viziato da rabbia e gelosie irrazionali, senso di possesso, patriarcato e via delirando.
Il cervello della protagonista recepisce il mondo in modo sostanzialmente innocente, scopre da sola la propria sessualità, poi scopre le relazioni, le imposizioni, i tabù, fino a scoperchiare il dolore del mondo (la sequenza annessa è dotata di un’intensità rara, quasi commovente). Poi inizia a leggere libri e romanzi, scopre il socialismo a Parigi e alcuni lavori “proibiti” per mantenersi, inizia a studiare medicina per poi costruirsi il proprio mondo poli-amoroso da manuale.
L’idea di Godwin, del resto – un dio che ha vinto, letteralmente – era quella di dimostrare scientificamente che Bella è un autentico reset biologico, una donna creata al di fuori dell’evoluzione proprio perchè in grado di liberararsi completamente dall’influenza dei genitori. Anti-Edipo, insomma. Mamma e papà non erano al lavoro mentre studiavi e avevi il primo fidanzatino: semplicemente non c’erano, non ci sono mai stati, perchè sei nata ed hai aperto gli occhi su un tavolo operatorio, con un corpo di madre che solo incidentalmente si trovava lì.
Ecco perchè Lanthimos (e Gray, di riflesso) uccidono la madre, metaforicamente, e costringendo lo spettatore a superare qualsiasi triangolazione edipica, a buttarsi nella mischia, a conoscere il mondo (che riserva ovunque anfratti di amore e libertà, nonostante le minacce e le brutture), in nome della bellezza dell’esperienza, dell’apertura verso il mondo, della (ri)scoperta e dei piaceri che ciò può provocare. Non è la rappresentazione del sesso in sè a essere tabù, in fondo: è l’idea di Bella a sconvolgerne il bieco conformismo, se si pensa che era stata lei, ingenuamente, a chiedersi perchè la gente non trascorresse interamente le proprie giornate a fare qualcosa di meraviglioso come il sesso.
Il personaggio è incredibilmente potente, al punto da risultare spaventoso o destabilizzante per qualche spettatore, e diventa sempre più tale col progredire di una trama variabile e dai tratti a volte nostrani, altri esotici. Inizialmente il comportamento di una bambina dispettosa diventa un’adolescente in tempesta ormonale, poi viene promessa in sposa all’assistente del chirurgo (che se ne innamora) fino a diventare una donna e scoprire il mondo, le sue perversioni, le sue brutture, la sua bellezza, la sua speranza. Un viaggio tra Lisbona, Parigi, Alessandria, alla scoperta del proprio sè, a contatto con un mondo ben più cinico di quanto la sua innocente empatia suggeriva, probabilmente, fino a tornare nella Londra vittoriana in cui era inizialmente ambientato il film. Rinascere, anche qui, ancora una volta.
È in discussione la narrazione più classica, del resto: se è vero si inizia con la tipica triangolazione di personaggi tra Io (il giovane medico che ascolta, come noi, la storia), SuperIo (il chirurgo creatore onnipotente) ed Es (Bella, in progressiva preda dei propri desideri, il film prende una piega inaspettata proprio perchè il personaggio femminile rifiuta deliberatamente di ridurre tutto a mamma e papà (per usare l’espressione antiedipica forse più usata da Deleuze e Guattari), ma soprattutto accetta, con coraggio e audacia, di affacciarsi nel mondo, di relazionarsi nel proprio singolare modo, a proprio rischio e pericolo. È una donna, ed è libera, accarezza idee socialiste e – naturalmente – è minacciata non solo dal patriarcato del mite spasimante ma anche da quello di molti uomini con cui avrà una relazione. E poi il sesso che la entusiasma candidamente non potrà essere accettato dal perbenismo imperante, per cui conoscerà il dolore della repressione; la sincerità che la contraddistingue non sempre sarà motivo di successo, anzi la renderà vittima di sopraffazione e bieco patriarcato; il suo viaggio nella sessualità a 360° la porterà ad aprirsi a nuovi mondi, a nuove sensazioni, fino a spalancare le porte ad una relazione poliamorosa che sembra, di fatto, chiudere uno dei migliori film mai girati da Lanthimos.
Povere creature è un film complesso, senza dubbio, che va interpretato alla luce delle tematiche non banali che abbiamo elencato. Ma è anche un film che fa della chiarezza narrativa il suo più importante pregio, per quanto l’ambientazione fantascientifica dirompente lasci il pubblico privo di un vero e proprio punto di riferimento. Poco importa: perchè guardi Bella, guardi i personaggi attorno a lei, ti capaciti che il tuo mondo non era poi così diverso e pensi che, tutto sommato, potresti provare ad aprirti anche tu. Magari da lunedì prossimo, nel giorno da incubo per eccellenza, accettando di attraversare la nostra formazione, di accelerare il processo, di spingersi oltre a nostro consapevole rischio e pericolo. Per vivere come uomini – ma soprattutto come donne – sempre più autenticamente liberi e libere.
La spiegazione di “Povere creature!”
Spiegazione di Povere Creature!: un viaggio tra cinema, letteratura e filosofia
“Povere Creature!” (titolo originale Poor Things) è un’opera che affonda le sue radici nel romanzo gotico e nella satira sociale, diventando un fenomeno culturale capace di affascinare lettori e spettatori. Il romanzo di Alasdair Gray, pubblicato nel 1992, ha ispirato l’omonimo film diretto da Yorgos Lanthimos nel 2023, con Emma Stone nel ruolo della protagonista Bella Baxter. Quest’articolo esplora la trama, le tematiche principali e il significato simbolico dell’opera, mettendo in luce perché sia diventata un punto di riferimento nel panorama culturale.
Trama
Il romanzo e il film seguono la storia di Bella Baxter, una giovane donna riportata in vita da Godwin Baxter, un chirurgo geniale e controverso. Bella è il risultato di un esperimento radicale: il suo corpo appartiene a sua madre, deceduta, mentre il cervello proviene dal feto che portava in grembo. Questo “reset biologico” crea un personaggio unico, che esplora il mondo con un misto di innocenza infantile e curiosità adulta.
Ambientata in una Glasgow vittoriana che richiama atmosfere steampunk, la narrazione mescola elementi gotici con riflessioni filosofiche, creando un’esperienza profondamente stratificata.
Il titolo: “Poor Things” e il suo significato
Una delle prime curiosità riguarda il titolo originale: Poor Things. La traduzione “Povere Creature!” è appropriata, ma il termine “poor things” porta con sé sfumature di compassione e empatia verso chi soffre. Non si tratta di una semplice espressione di pietà, ma di una riflessione sull’umanità e le sue contraddizioni.
Il titolo anticipa la chiave di lettura dell’opera: non uno spettacolo di sfruttamento o violenza, ma una narrazione che invita a empatizzare con i personaggi, esplorando temi come la libertà, la sessualità, e l’identità.
Tematiche principali
Educazione e libertà
Bella rappresenta un “foglio bianco” che si riempie lentamente attraverso le esperienze. Questo richiama le teorie di Rousseau in Emilio, dove l’educazione è fondamentale per lo sviluppo dell’individuo.
Sessualità e autodeterminazione
Un aspetto centrale del film è la scoperta della sessualità di Bella. Questa non è presentata come semplice tabù, ma come un mezzo di emancipazione personale e sociale. Le sue esperienze erotiche simboleggiano la libertà dai vincoli imposti dal patriarcato e dalla morale vittoriana.
Scienza ed etica
Godwin Baxter incarna il classico “mad doctor” che spinge la scienza oltre i limiti morali. Tuttavia, il focus non è sull’orrore delle sue azioni, ma sulle implicazioni filosofiche: cosa significa essere umani? Fino a dove può spingersi la scienza senza perdere di vista l’etica?
Estetica e regia di Yorgos Lanthimos
Lanthimos porta sullo schermo un mondo visivamente sorprendente, unendo atmosfere vittoriane a dettagli steampunk. I colori saturi e le scenografie oniriche contribuiscono a creare un’esperienza cinematografica unica. Emma Stone offre un’interpretazione magnetica, incarnando la dualità di Bella: innocenza e saggezza, fragilità e forza.
Perché vedere Povere Creature!?
Povere Creature! è più di un semplice film o romanzo: è una riflessione profonda sull’umanità, la libertà e il progresso. Che siate attratti dalla narrazione surreale, dalle tematiche filosofiche o dall’estetica unica, quest’opera offre spunti per riflettere e discutere. In definitiva il film ci invita probabilmente a esplorare cosa significa essere vivi, imparando a conoscere il mondo e noi stessi, un passo alla volta.
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