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Cinema, arte, spettacolo e filosofia spicciola.

  • Che cos’è uno stilema

    Che cos’è uno stilema

    Lo stilema è un concetto utilizzato nella teoria della letteratura per indicare una caratteristica stilistica ricorrente o distintiva all’interno di un’opera o di un autore. Si tratta di un elemento riconoscibile che si ripete e che può essere considerato un marchio distintivo dello stile di scrittura di un autore o di un periodo letterario.

    Gli stilemi possono riguardare vari aspetti della scrittura, come figure retoriche, modalità espressive, temi ricorrenti, schemi linguistici o persino motivi specifici nella trama o nel modo in cui viene presentato il testo. L’identificazione degli stilemi può aiutare gli studiosi a comprendere meglio lo stile e le caratteristiche peculiari di un autore o di un’epoca letteraria.

    Il concetto di stilema può essere esteso anche al contesto cinematografico. Nei film, gli stilemi possono riguardare elementi ricorrenti o distintivi che caratterizzano lo stile di un regista, di un genere cinematografico o di un periodo specifico nella storia del cinema.

    Gli stilemi cinematografici potrebbero includere:

    1. Tecniche di regia: Modalità di ripresa, uso della luce, inquadrature specifiche, movimenti della macchina da presa che identificano il regista o un certo genere.
    2. Motivi visivi o simbolici: Elementi visivi ricorrenti che hanno significati simbolici o tematici all’interno del film.
    3. Stile narrativo: Modi particolari di strutturare la trama, di presentare il racconto o di sviluppare i personaggi che caratterizzano il regista o il genere cinematografico.
    4. Ripetizioni tematiche o di genere: Temi ricorrenti o motivi specifici che si presentano frequentemente nei film di un regista o in un particolare genere cinematografico.
    5. Tecniche di montaggio: Modalità di montaggio o uso della colonna sonora che diventano distintive per un regista o per un periodo specifico del cinema.

    Identificare gli stilemi nei film può essere utile per comprendere meglio il lavoro di un regista, il contesto storico-culturale di un’opera o per analizzare come certi elementi contribuiscano a definire un genere cinematografico. Foto di Dmitriy da Pixabay

  • Sul significato della parola “cinefilo” – Wikicubo

    Sul significato della parola “cinefilo” – Wikicubo

    Un cinefilo è una persona che ama profondamente il cinema. È qualcuno che ha una passione particolare per i film, che apprezza e studia il cinema in modo approfondito. I cinefili non solo guardano film per puro divertimento, ma spesso conoscono la storia del cinema, i registi, gli attori, i generi cinematografici e apprezzano l’arte e la tecnica dietro la creazione di un film. Possono dedicare molto tempo alla visione di film, frequentare festival cinematografici, leggere recensioni o analisi critiche e discutere appassionatamente di cinema.

    Un cinefilo è colui il quale amasi in modo profondo l’arte del cinematografo. È uno che concepisce fervidamente il cinema, che apprecia e studia l’arte cinematografica con profonda intenzione. Non è uomo che guarda i film per diletto ma colui che possiede intelligenza sopraffina della storia del cinematografo, dei direttori, degli attori, e comprende l’arte e la tecnica che formano il film. Ei può dedicare grand’ora alla visione delle pellicole, frequentare rassegne cinematografiche, leggere critiche o discussioni sopra il cinematografo con ardente passione.

    • Cinofilo: Un “cinofilo” è una persona che ama profondamente i cani. Questa parola deriva dal greco antico, dove “cyno” significa “cane” e “filo” deriva da “filia”, che significa “amore”. Quindi, un cinofilo è qualcuno che ha un amore particolare per i cani, si interessa al loro benessere, al loro comportamento e può essere coinvolto nell’allevamento, nell’addestramento o nella cura dei cani.
    • Cinefilo: Un “cinefilo”, come menzionato in precedenza, è una persona che ama profondamente il cinema. Deriva dal greco “kínēma”, che significa “movimento” o “film” e “filo” da “filia”, che significa “amore”. Un cinefilo apprezza i film, studia la storia del cinema, conosce registi, attori e può essere appassionato di discutere film e tendenze cinematografiche.

    Una parola che rima con “filo” potrebbe essere “stilo”. Il termine “stilo” fa riferimento a uno strumento da scrittura, spesso in passato era una penna o uno strumento simile usato per scrivere su tavolette di cera o inchiostro su pergamena.

    In questo codice, abbiamo una classe Cinefilo che ha un attributo amore_cinema, che può essere vero o falso. Il metodo apprezza_cinema() restituisce un messaggio diverso a seconda se il cinefilo ami o meno il cinema. Nell’esempio, abbiamo creato un oggetto persona di tipo Cinefilo che ama il cinema, quindi il messaggio restituito sarà relativo all’apprezzamento profondo per il cinema.

    class Cinefilo:
        def __init__(self, amore_cinema):
            self.amore_cinema = amore_cinema
    
        def apprezza_cinema(self):
            if self.amore_cinema:
                return "Il cinefilo comprende e ama il cinema profondamente."
            else:
                return "Il cinefilo non apprezza a fondo il cinema."
    
    persona = Cinefilo(amore_cinema=True)
    print(persona.apprezza_cinema())
    

    Sia ora l’insieme dei cinefili. ∀c∈C, c è un cinefilo se e solo se c ha un amore profondo per il cinema.

    In simboli matematici, questo sarebbe rappresentato come:

  • Le app di dating ti aiutano solo se stai già sorpassando

    Le app di dating ti aiutano solo se stai già sorpassando

    Ho sperimentato anche io le app di dating per un periodo della mia vita, sia free che a pagamento. Non ne sono rimasto entusiasta, a conti fatti, ad oggi non ne faccio più uso – e, per quanto sembri paradossale, ho vissuto esperienze più concrete usando un social come X (quando ancora si chiamava Twitter) per proporre incontri, che in un paio di casi hanno portato a vedersi di persona. In altri casi, classico due di picche o risposta troppo enigmatica o ambigua perchè valesse la pena insistere. Mi considero una persona autentica, ma non abbastanza da riuscire a fare auto-analisi. Cosa che non farò qui, ci mancherebba altro. So solo una cosa: non incoraggerei mai nessuno a dare credito a queste app, nè su Tinder nè tantomeno su X, anche se non demonizzo affatto chi ne fa uso e si diverte pure. Sono infatti piuttosto convinto che questi strumenti favoriscano gli incontri solo a chi è già “portato” di suo all’incontro, e non possano certamente fare miracoli con tutti gli altri.

    Non voglio dire che non funzionino in assoluto, ovviamente, tantomeno che chi ne sostiene l’uso sia un povero mitomane: dico soltanto che non fanno per me, che non vanno bene per me e che forse mi hanno fatto capire che non sto esattamente cercando una relazione fissa. È lecito sognare, non costa nulla farlo, ma difficilmente sogno di persone conosciute sui social o nell’oscurità di una chat, senza neanche l’assoluta certezza che la persona in questione passi il test di Turing. Certo, poi anche io faccio qualche sogno ad occhi aperti, ogni tanto, un sogno di quelli che si avvinghiano alle tempie e non ti lasciano andare, come una piovra che si annoda sulla tua testa coi suoi tentacoli appiccicosi quando avresti solo voluto una persona vicino a te poco prima di addormentarti. Vuoi mettere l’orrore lovecraftiano di ritrovarsi un polpo appena pescato nel proprio letto?

    Se c’è una cosa che ho capito è che le app di dating funzionano prevalentemente con chi è già socialmente predisposto a farne uso: non potranno funzionare mai, per definizione, con chi si sente maldisposto a farne uso, non ama gli azzardi, socializza con difficoltà, non sopporta l’idea che una persona che sembra carina e garbata online si riveli aggressiva e scostante dal vivo (mi è capitato e probabilmente ho fatto questa impressione qualche volta anche io). Non funzionano neanche con chi tende all’introversione, o teme che il novello Brad Pitt che ha appena conosciuto possa trasformarsi nel nuovo Donato Bilancia.

    Insomma, Tinder e compagnia amplificano l’effetto di chi è già abbastanza sicuro e privo di complessi di suo, dandogli ulteriori possibilità oltre a quelle che potrebbero avere al pub, al circoletto sotto casa, incrociando il vicino di casa per la trentesima volta di fila, ad un concerto heavy metal o hip hop e via dicendo.

    Così, le dating app finiscono per amplificare le dinamiche della vita reale, senza aggiungere nulla di nuovo e limitandosi a imitare ciò che avviene nelle conoscenze dal vivo: stiamo un po’ insieme, parliamo, siamo attratti o meno, poi ci molleremo per sempre senza aggiungere altro o ci ritroveremo a considerarci estranei l’uno dell’altro, sia pure abitando nella stessa casa. Non sono molto ottimista sull’amore, devo riconoscerlo, ma quantomeno ne esistono numerose forme diverse e le persone, se non altro, sono sempre numerose. E per qualche strana statistica, prima o poi girerà bene.

  • La spiegazione del finale di THE SUBSTANCE

    La spiegazione del finale di THE SUBSTANCE

    Gran parte delle recensioni di THE SUBSTANCE hanno definito il film come una dark comedy sull’industria dell’intrattenimento, un coacervo di splatter, sangue e brutture assortite sulla società dello spettacolo. È una chiave di lettura semplicistica e a nostro avviso parziale, che dimentica l’aspetto più essenziale del film stesso: ovvero che si tratta di una critica esplicita e senza mezzi termini alla cultura patriarcale che pervade il mondo apparentemente spensierato dello spettacolo, specie quando finisce per avere a che fare con la sessualizzazione del corpo femminile. Non è un caso, in tal senso, che la regista Coralie Fargeat e già fresca dell’esperienza di Revenge (un film contro la mercificazione del corpo femminile, declinato nel modo meno ovvio possibile: girando un simil rape’n revenge, il sottogenere pulp in voga negli anni Settanta e Ottanta quasi sempre accusato di maschilismo) abbia scelto proprio Demi Moore, icona della sensualità anni Ottanta e Novanta all’età di 61 anni, e con l’aspetto adeguato a mostrarne almeno undici di meno: il suo alter ego giovane diventerà Margaret Qualley, lolita iconica del cinema di Tarantino e, per molti versi, equivalente di ciò che la Moore è stata in passato.

    [DA QUI IN POI SPOILER]

    Il finale del film ha lasciato aperti vari interrogativi negli spettatori, sia per la sua forma apparentemente sconnessa sia per la sostanza di ciò che viene rappresentato. La trama parte dal presupposto che Elisabeth abbia acquistato un siero da internet che le permette di ringiovanire ed andarsene in giro con un corpo rinnovato, con l’unica condizione di lasciare l’altro corpo a riposare sostenuto da cibo sintetico. Il patto è sostanziale, perchè vincola la protagonista a prendersi cura del corpo che disprezzava e che, con l’incedere della trama, mostra di non riuscire a volere. THE SUBSTANCE è molto basato sulla contrapposizione tra la psicologia ferita di Elisabeth (disregolata emotivamente, che guarda alla propria giovinezza prima con nostalgia poi con disprezzo) e quella di Sue che in qualche modo si colloca all’opposto, dato che non mostra particolare interesse per la propria sè anziana e, anzi, arriva ad abusare della sua vitalità al fine di avere più energia sessuale.

    È questo il motivo, in sostanza, per cui Elisabeth invecchia precocemente: perchè Sue è stata talmente priva di scrupoli da “cibarsi” della sua vecchia sè iniettandosi molto più del dovuto il fluido cefalorachidiano dalla spina dorsale. Questo provoca rabbia nella donna che inizia, come vediamo a più riprese, ad ingozzarsi di cibo senza pulire (anche sulla falsariga della ferita emotiva che le ha procurato il suo capo, regalandole un libro di cucina francese per mandarla a casa). Arriva finalmente il momento della festa di Capodanno, che dovrebbe consacrare la figura di Sue come nuova icona della sensualità, come figlia, fidanzata o sorella nazionale, come donna perfetta e impeccabile nei modi, nello stile, nel perpetrarsi del mito dell’eterna giovinezza. Ma è a questo punto che crolla tutto: le scorte di cibo sono finite e non sono state riordinate, gesto a cui potremmo dare una spiegazione in termini freudiani: la pulsione di morte che attecchisce in Elisabeth, che non riesce a conciliare l’istinto di una inutile sopravvivenza eterna con quello di una sottovalutata vecchiaia serena, simboleggiata dalle attenzioni dell’ex compagno di scuola che la corteggerà inutilmente. Sue decide di uccidere Elisabeth, ormai invecchiata oltre misura e che ha tentato di terminare l’esperimento genetico, e sembra che la storia possa finire lì. Il giorno dello spettacolo di Capodanno Sue si accorge tuttavia di aver perso dei denti (molto significativa, a riguardo, la scena in cui il produttore e i finanziatori, tutti maschi oltre i 60 anni, le chiedono di sorridere, cosa che non può fare dato che il sorriso non è più impeccabile), poi perde le unghie e un orecchio e a quel punto, presa dal panico, torna a casa ad iniettarsi il siero residuo, nella speranza di poter generare una “nuova sè” bella come era all’inizio. Il siero pero’ è monouso, e Sue perde i sensi per poi diventare una sorta di mostro informe, che unisce pezzi del corpo di Elisabeth con quelli di Sue, evocando un classico dell’horror come la cosa di John Carpenter (un alieno lovecraftiano che divora gli esseri viventi e ne assume le diverse forme volta per volta).

    Il finale è chiaramente intriso di humor nero: ridotta a un mostro informe e con la foto di Elisabeth a coprirle il viso, si avvia per lo spettacolo di capodanno, grottescamente osannata dallo staff televisivo che notano qualcosa che non va ma non hanno il coraggio di dirle nulla. Sue / Elisabeth sale sul palco in una sala gremita, e a quel punto svela la propria nuova forma, che ovviamente suscita il panico nella popolazione. Il produttore sale sul palco e la decapita, mentre i fiotti di sangue ricoprono il pubblico. Sue / Elisabeth riesce a fuggire, per quel poco che le rimane dei corpi originali, e fa in tempo a posizionarsi sopra la stella che le hanno dedicato all’Hollywood Boulevard. Il corpo finisce di decomporsi, e poco dopo uan macchina per pulire le strade spazza via quel che resta della protagonista. Per come la vediamo, per inciso, il finale è tirato un po’ troppo per le lunghe, ma probabilmente perchè vorrebbe omaggiare una sequenza molto simile che possiamo vedere nel cult splatter Society di Brian Yuzna. Il senso del film è racchiuso tutto qui: a che cosa è servito rigenerarsi, fingersi più giovani o osannare di esserlo, se il nostro destino sarà comunque quello di scomparire per sempre, un giorno?

    Durante la proiezione a cui ho assistito ieri, una ragazza seduta vicino a me ha commentato sconsolatamente dopo la sequenza in questione “era meglio prima!“.

  • 10 film diacronici che non puoi non aver visto

    10 film diacronici che non puoi non aver visto

    Il termine “diacronico” è un concetto utilizzato in diversi campi, tra cui linguistica, storia, e scienze sociali, per riferirsi a un’analisi che considera i cambiamenti e lo sviluppo nel tempo. In altre parole, l’analisi diacronica esamina come un fenomeno, un sistema o un concetto si sia evoluto e cambiato nel corso del tempo.

    La narrazione diacronica è importante per comprendere come gli eventi, le persone o gli elementi si siano sviluppati e trasformati nel corso del tempo. Questo tipo di narrazione permette di analizzare il contesto storico e di mettere in relazione gli avvenimenti passati con quelli presenti e futuri, contribuendo a una comprensione più completa della storia di un determinato soggetto.

    Una narrazione diacronica è una forma di narrazione o di rappresentazione che si sviluppa lungo un arco temporale, mostrando l’evoluzione e i cambiamenti nel tempo di un determinato fenomeno, evento, personaggio o concetto. Questo tipo di narrazione mette in evidenza la successione cronologica degli eventi o dei processi, concentrandosi sulla storia o sulla linea temporale.

    Ecco alcuni esempi di narrazioni diacroniche:

    1. Biografia: Una biografia è un esempio classico di narrazione diacronica. Narra la vita di una persona dall’infanzia alla morte, evidenziando le tappe significative e le trasformazioni nel corso della sua vita.
    2. Storia: Un libro di storia racconta gli eventi e gli sviluppi nel corso del tempo, spesso in ordine cronologico. Questa narrazione diacronica può coprire periodi specifici, come la storia di un paese o un’epoca storica.
    3. Evoluzione di un concetto o idea: Una narrazione diacronica può essere utilizzata per esplorare l’evoluzione di un concetto o di un’idea nel corso del tempo. Ad esempio, come una teoria scientifica è stata sviluppata e modificata nel corso degli anni.
    4. Storia di una azienda o un’organizzazione: La storia di una società, azienda o organizzazione è una narrazione diacronica che può mostrare come sia nata, cresciuta e cambiata nel corso degli anni.
    5. Storia di una famiglia: La storia di una famiglia segue il percorso di una famiglia attraverso le generazioni, evidenziando i cambiamenti sociali, culturali e personali nel tempo.

    Ecco alcuni film famosi che presentano una narrazione diacronica, insieme ai rispettivi cast e registi:

    1. “Forrest Gump” (1994)
      • Regia: Robert Zemeckis
      • Cast: Tom Hanks (Forrest Gump), Robin Wright (Jenny Curran), Gary Sinise (Tenente Dan Taylor)
      • Trama: “Forrest Gump” è un film che segue la vita di Forrest Gump, un uomo con un basso QI, attraverso molte decadi della storia americana. La storia è narrata in modo diacronico, con Forrest che attraversa eventi chiave degli anni ’60, ’70 e ’80, mentre incontra personaggi storici e affronta le sfide della sua vita.
    2. The Social Network” (2010)
      • Regia: David Fincher
      • Cast: Jesse Eisenberg (Mark Zuckerberg), Andrew Garfield (Eduardo Saverin), Justin Timberlake (Sean Parker)
      • Trama: Questo film racconta la storia dell’ascesa di Facebook, il famoso social network, e segue il suo fondatore Mark Zuckerberg attraverso gli anni 2000. La narrazione diacronica esplora lo sviluppo di Facebook e le controversie legali che ne sono derivate.
    3. “Il Padrino – Parte II” (1974)
      • Regia: Francis Ford Coppola
      • Cast: Al Pacino (Michael Corleone), Robert De Niro (Giovanni Corleone), Robert Duvall (Tom Hagen)
      • Trama: Questo sequel del celebre “Il Padrino” combina due narrazioni diacroniche: segue Michael Corleone negli anni ’50 mentre cerca di espandere l’Impero della Famiglia Corleone e rivela anche il passato di suo padre, Vito Corleone, negli anni ’20.
    4. “Boyhood” (2014)
      • Regia: Richard Linklater
      • Cast: Ellar Coltrane (Mason), Patricia Arquette (Olivia), Ethan Hawke (Mason Sr.)
      • Trama: “Boyhood” è un esempio particolare di narrazione diacronica poiché è stato girato durante un periodo di 12 anni. Il film segue la vita di Mason, un ragazzo, dalla sua infanzia all’età adulta, mostrando il suo sviluppo e cambiamento nel corso degli anni.
    5. “The Curious Case of Benjamin Button” (2008)
      • Regia: David Fincher
      • Cast: Brad Pitt (Benjamin Button), Cate Blanchett (Daisy), Taraji P. Henson (Queenie)
      • Trama: Questo film racconta la storia di Benjamin Button, un uomo che nasce anziano e invecchia all’indietro nel tempo. La narrazione segue la sua vita insolita e unica mentre attraversa le diverse fasi dell’età.

    Questi sono solo alcuni esempi di film famosi con una narrazione diacronica che copre un arco temporale esteso. Ognuno di questi film offre una prospettiva unica sul passare del tempo e sugli eventi che influenzano i personaggi principali.