GODERE_ (jouissance) (46 articoli)

In termini lacaniani, il concetto di “godere” è collegato al concetto di “jouissance“. Quest’ultimo non si riferisce semplicemente al piacere fisico o al godimento sensoriale, ma piuttosto ad un concetto complesso e psicoanalitico legato alla sfera psichica e sessuale.

Secondo Jacques Lacan, la jouissance va oltre il semplice piacere e può comportare una sorta di sofferenza o di eccesso che supera i limiti del desiderio. È legata alla tensione tra il desiderio e la sua realizzazione, e spesso implica una sorta di mancanza o di impossibilità di raggiungere pienamente ciò che si desidera.

Nella teoria lacaniana, la jouissance può essere divisa in due forme: la jouissance phallique, che è più associata al piacere fisico e all’appagamento delle pulsioni, e la jouissance dell’Altro, che è più complessa e implica un’esperienza più profonda e problematica, legata alla relazione con l’Altro, con il desiderio e con la struttura stessa del linguaggio e dell’inconscio.

In sostanza, il concetto di godere in senso lacaniano è collegato a una forma di piacere che supera i confini della soddisfazione diretta e coinvolge una complessa dinamica psichica e relazionale.

  • Climax di Gaspar Noè

    Climax di Gaspar Noè

    Climax (2018) di Gaspar Noé non racconta, non accompagna, non consola. Si apre con un gruppo di ballerini che festeggia la fine delle prove, e finisce con corpi contorti, urla, sangue e trance. Tutto il resto è un lento precipitare nella stessa spirale. È un film che non si guarda: si subisce.

    Noé fa ciò che gli riesce meglio: costruisce un rituale che comincia come videoclip e finisce come sacrificio. Lo spazio — una palestra isolata nella neve, illuminata da luci al neon, rossi e verdi che pulsano come una ferita — diventa un organismo chiuso. Quando qualcuno versa LSD nella sangria, il gruppo entra in uno stato di ebollizione collettiva. La danza, prima linguaggio, diventa convulsione. La musica, che all’inizio accompagna, diventa tiranna. Nessuno guida più: l’ordine implode, e il caos prende il sopravvento come una legge naturale.

    C’è una purezza quasi scientifica nella discesa di Noé: la macchina da presa non giudica, registra. Gli individui perdono nome, ruolo, orientamento. Restano solo pulsazioni, spasmi, corpi che si cercano e si feriscono. È il punto esatto in cui la libertà promessa dall’euforia si rovescia nella claustrofobia del branco: l’utopia di un piacere condiviso diventa il suo contrario, un incubo comunitario.

    Nel cuore del film non c’è morale, ma un vuoto denso. La droga è solo un detonatore: il vero orrore è la fragilità della coscienza, la facilità con cui la gioia collettiva si trasforma in linciaggio. Ogni personaggio esiste solo finché qualcuno lo guarda ballare. Poi scompare. Il montaggio stesso, ipnotico e circolare, sembra compiaciuto nel confondere chi osserva: lo spettatore non sa più se sta assistendo a una festa, a una possessione, o a un suicidio corale.

    Non c’è messaggio, ma un’energia che consuma. Climax è un film sul piacere come forza distruttiva, sul corpo come luogo politico e sull’impossibilità di distinguere liberazione e annientamento. È cinema che ti rifiuta come spettatore, ti trascina dentro e ti restituisce stordito, nauseato, come dopo una notte troppo lunga in cui tutti hanno smesso di fingere.

  • CAM: la webcam e il suo doppio

    CAM: la webcam e il suo doppio

    Nel buio scolorito di una stanza che ha le tapparelle giù, la webcam accesa come un occhio che non dorme, vediamo Cam (2018) di Daniel Goldhaber. Alice Ackerman: cam-girl, alias “Lola_Lola”, coltiva la sua classifica, i token, quei gettoni-moneta che “valgono” lo sguardo altrui. Ma un mattino scopre che il suo account è attivo, lo streaming prosegue… senza di lei. (IMDb)

    La sua identità, costruita insieme al suo corpo-schermo, viene duplicata, replicata, esposta: è com’è quando il soggetto scopre che il simbolico gli scivola via, che l’immagine che credeva padrona lo sorpassa. E qui, il capitalismo digitale non è sfondo: è substrato. Il lavoro sessuale online è lavoro d’immagine, lavoro di sé, lavoro di mercificazione del desiderio — e Alice lo sa. Ma quando la macchinetta (la piattaforma, lo streaming, l’algoritmo) la sostituisce, la vera catastrofe non è tanto lo sfruttamento — quello lo vive ogni giorno — ma la perdita di sé in un sistema che la trasforma da soggetto a oggetto-replica.

    Riferimenti visibili, costanti: lo username “Lola_Lola”, i numeri della classifica, lo show-in diretta che esplode. E poi, la citazione palese a Alice’s Adventures in Wonderland: Alice come protagonista, “MadHatter” e “MrTeapot” come alias online. (IMDb) È come se Alice scendesse nella tana del web, credendo di controllare lo specchio, e invece vedesse rispecchiarsi un duplicato che la svuota.

    Quando Alice affronta il «fake» Lola, invita il doppio in live e chiede: chi è tu? E chi sono io? Il soggetto-lavoratore digitale, che credeva di possedere la piattaforma, scopre di esserne posseduto. E quel taglio al proprio naso, quell’auto-ferita simbolica, è l’ultimo tentativo di restaurarsi non come immagine ma come carne, come soggetto. La morale non sta nella fine (che rimane aperta) ma nell’atto stesso di resistenza: cancellare l’account, ricominciare come “Emily Ramsay”… e dunque trasformare la piattaforma in un nuovo simulacro, un nuovo campo di lotta.

    Ecco: in Cam non si tratta semplicemente di voyeurismo o di horror telematico, ma della materialità del soggetto – la sua visibilità, la sua rappresentazione, la sua sostituzione – dentro un sistema che chiede: sii mostrato, sii visto, ma quando lo sei davvero, non sei più tu.

    Foto di Utente:Michaelapratt – screenshot autoprodotto, Copyrighted, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=7847125

  • L’ape regina: sono andato in bianco, e sono contento

    L’ape regina: sono andato in bianco, e sono contento

    Alfonso decide di sposare Regina, dopo una vita da quarantenne single. L’uomo è convinto di aver trovato la donna perfetta, dato che si mostra sincera e riservata, tanto da non concedersi a lui prima del matrimonio. Dopo essersi sposati, le cose cambiano…

    In breve. Un climax senza sconti sugli effetti del bigottismo sulla società, con un indimenticabile Ugo Tognazzi in un ruolo ineditamente drammatico. Da non perdere.

    L’ape regina, rinominato “Una storia moderna: l’ape regina” dopo l’intervento della censura dell’epoca (siamo nel 1963), è un film grottesco da collocarsi nella complessa poetica del regista Marco Ferreri, che va da La grande abbuffata fino al più criptico Dillinger è morto, con numerose ulteriori opere espressione di un linguaggio complesso, mosso su vari registri e quasi sempre socialmente / politicamente impegnato. Il punto di vista contenuto ne L’ape regina (film per cui Marina Vlady vinse come miglior interprete femminile, e Ugo Tognazzi ebbe un Nastro d’Argento come Migliore attore protagonista) è quantomeno insolito, perchè narra di una neo coppia apparentemente “media”, per cui si disvela un inquietante scenario. Uno scenario in cui l’unico modo per cui la donna possa avere la meglio è, di fatto, quello di “allearsi” al cattolicesimo imperante – il film venne rimaneggiato e censurato dopo la sua uscita, ovviamente.

    Lo sai perchè sono contento? Perchè sono andato in bianco!

    By [1], Fair use, https://en.wikipedia.org/w/index.php?curid=36692171
    Subito dopo il matrimonio, infatti, vediamo sbucare fuori la reale natura di Regina: molto religiosa (devota a una santa barbuta), obbliga il consorte ad abitare vicino al Vaticano, si mostra compiacente rispetto all’invasività nella coppia dei parenti di lei, oltre che condizionante sul carattere di Alfonso (uomo che si rivela fragile, insofferente al bigottismo quanto facile da plagiare). Vediamo la quotidianità ed intimità della coppia, che sembra fatta in apparenza di passione e complicità – ma che sta logorando Alfonso, pressato dalla sessualità dirompente ed invasiva da parte della moglie (che, neanche a dirlo, vorrebbe rimanere incinta ad ogni costo).

    Del resto la religione, abilissima ad avere la pretesa di controllare l’istinto altrui, in questa circostanza si mostra ostile ad Alfonso e strumento nelle mani di Regina: ce ne accorgiamo dalla sequenza in cui l’uomo prova a confidarsi col prete che li ha sposati, il quale gli prescrive un ricostituente ormonico – tanto lo prendono tutti, perchè Sant’Alfonso (evidentemente, nomen omen) ha scritto in ginocchio […] sui rapporti coniugali […]: il coniuge non può e non deve sottrarsi al desiderio legittimo dell’altro coniuge. Il desiderio santo (così come viene definito) è accettabile sempre e comunque, purchè adagiato sui dettami della chiesa, anche se poi diventa ossessivo e svilente per il protagonista, al quale viene ripetuto più volte di fare un figlio alla svelta per “risolvere” il problema.

    Non lo fo per piacere mio, ma per far piacere a Dio!

    In nuce sembra di assistere alle medesime tematiche affrontare, in tempi recenti, da quel piccolo cult quale è The lobster, in cui la sessualità era gestita a comando ed andava finalizzata in modo pre-determinato: coppia o single, senza vie di mezzo e senza sfumature, a voler per fora accondiscendere una delle due distopìe. Ferreri intuisce la questione in modo atipico, se vogliamo, invertendo i ruoli tradizionali uomo-donna e mostrando un uomo succube della consorte. È anche chiaro che manda il messaggio forte e chiaro che la religione svilisca l’aspetto piacevole del sesso e ne esalti, puramente, quello procreativo; tanto peggio se lo fa sfruttando l’avvenenza di Regina, fino alla fine cinica e calcolatrice. Alla fine l’uomo diventerà un vuoto a rendere, privato di ogni individualità, padre destinato a cedere il passo ad una prole mai davvero voluta, prima del tempo.

  • Spogliamoci così, senza pudor… è la commedia erotica di Sergio Martino

    Spogliamoci così, senza pudor… è la commedia erotica di Sergio Martino

    Titolo: Spogliamoci così, senza pudor…

    Regia: Sergio Martino

    Anno: 1976

    Genere: Commedia erotica

    Cast

    • Edwige Fenech
    • Vittorio Caprioli
    • Lino Banfi
    • Carlo Delle Piane
    • Giuseppe Pambieri

    Storia e produzione

    “Spogliamoci così, senza pudor…” è un film italiano del genere commedia erotica diretto da Sergio Martino. Ambientato negli anni ’70, il film segue le vicende di un gruppo di amici che si trovano in situazioni imbarazzanti e impreviste in una località turistica.

    Sinossi

    Il film racconta le avventure e gli equivoci che si verificano durante le vacanze di un gruppo di amici in una località turistica. Le situazioni comiche si susseguono quando si trovano coinvolti in fraintendimenti romantici e imbarazzanti. La trama ruota attorno a equivoci amorosi e situazioni spiacevoli che mettono alla prova le relazioni e la moralità dei personaggi.

    Curiosità

    Il film appartiene al genere della commedia erotica all’italiana, che era popolare nel cinema italiano degli anni ’70. Queste pellicole spesso mescolavano umorismo e contenuti piccanti, creando un mix caratteristico del periodo.

  • Mondo cane oggi: lo snuff in VHS zeppo di stranezze

    Mondo cane oggi: lo snuff in VHS zeppo di stranezze

    Di episodi strani ed anomali è pieno il web, ma il mondo movie rimane un genere decisamente a se stante: non è semplicemente e solo uno snuff (un filmato che mostra violenza o orrori autentici, senza trucco), ma è uno snuff commentato dal punto di vista di un pubblico snobistico che, per qualche incomprensibile motivo, ne dovrebbe godere. Ancora peggio di uno snuff, in sostanza.

    Di fatto, il mondo movie è un genere che oggi ha un senso decisamente limitato, al di là di qualsiasi gusto perverso in fatto di cinema; le videocassette in formato VHS come quella di Mondo cane oggi (disponibile ad oggi in streaming, edizioni Raro Video, su Prime Video) rappresentavano, probabilmente, l’equivalente anni ’80 degli orrori del sito Rotten e dei suoi innumerevoli epigoni. Questo shockumentary è, per la cronaca, il terzo della saga che era stata inagurata, con toni non dissimili ma quantomeno più sensati, nel 1962.

    I mondo erano in genere accompagnati da una voce narrante, modello cinegiornale di regime, che non si limitava a commentare ciò che passa sullo schermo, ma tendeva anche a distorcerlo, piegarlo al dettaglio rivoltante, al gusto per il disgusto, al dileggio a prescindere e, come se non bastasse, cimentandosi in battute che più improbabili non si poteva.

    Jacopetti in effetti era stato un po’ il padre putativo del genere mondo, e – al netto degli aspetti meramenti shockanti legati dal suo cinema, che rientrano puramente nel fine a se stesso – era se non altro un abile narratore, anche solo per la furbesca trovata di confondere gli episodi realmente avvenuti con quelli creati ad arte (per sembrare realistici).

    Il narratore di Mondo cane oggi, che coinvolge poco ed annoia abbastanza, non è purtroppo neanche accattivante, e l’ironia presunta dei commenti oscilla tra l’ostentazione di calembour sciapi, un sostanziale razzismo e via delirando. L’ottica narrativa insiste sui dettagli morbosi, in questo caso con un irritante gusto per il gossip, nell’ottica dello spettatore snob (e forse sul modello ignorante orgoglioso) che si sente vagamente superiore e non vede l’ora, per qualche strana ragione, di “godersi” spettacoli del genere.

    Quello che vediamo in Mondo cane oggi è, in altri termini, un’accozzaglia di episodi che slittano dal grottesco al disgustoso senza preavviso, con una costante: la voce monotona – e vagamente strafottente – del narratore. Il senso del film è solo uno: scuotere, turbare, shockare, anche a costo di dare spiegazioni spicciole o pseudo-intellettuali, che oggi etichetteremmo come fake news, sulla frigidità (che può avere certamente cause psicologiche, ma anche fisiche). L’erotismo di Mondo cane oggi risulta quasi imbarazzante, e in più occasioni, scivola inesorabile nel grossolano – ad esempio nel momento in cui le immagini di alcune sculture a sfondo sessuale vengono commentate, causticamente, dall’audio di un film porno.

    Formalmente tutte le immagini sono buttate lì, date in pasto ad uno spettatore che dovrebbe sapere bene che cosa sta andando a vedere, con il compito (?) di giudicare da solo. Ma il punto è proprio questo: il film sembra concepito per spettatori che bramano di meravigliarsene o inorridire, e questo, di per sè, fornisce una carta d’identità alquanto chiara sulla personas media che dovrebbe o vorrebbe guardarlo.

    Girato da Max Steel (lo Stelvio Massi di Squadra volante) e scritto da Gino Capone, il film mostra tra le altre cose: dei gauchos che si danno al singolare sport del lancio dell’anatra viva, una donna frigida che si sottopone ad un massaggio erotizzante (una banale scusa per un nudo integrale), nudisti che vengono ridicolizzati a prescindere, la macellazione di animali, un cadavere vivisezionato con dell’eroina all’interno, alcuni durissimi allenamenti di karate, una singolare forma di agopuntura riscaldata, il sangue crudo di serpenti e renne usate come afrodisiaco. C’è anche la sensazione soggettiva che, in molti episodi, la realtà non sia proprio quella raccontata dal commento audio, e che da alcune episodi emergano dettagli riferiti a cose o persone non esistenti.

    In fondo film del genere, dai meriti artistici senza dubbio molto discutibili, fanno emergere limiti e modalità usuali della censura. Per intenderci: non ci si creano scrupoli a mostrare animali scuoiati e uccisi in diretta, ad esempio, ma la sequenza che mostra i preliminari del sesso tra due donne ed una presunta “scuola di masturbazione” è stata quasi certamente tagliata (si percepisce che una frase del narratore resta a metà, per poi passare alla scena successiva). Ancora più assurdo se si pensa, ad esempio, che l’operazione di chirurgia al pene, di contro, viene mostrata esplicitamente per intero. Una riprova perenne di un qualcosa che forse non è mai cambiato: la censura, alla lunga, è sempre un’espressione arbitraria del pensiero di poche persone, e non è scontato che la loro sensibilità possa fare da “faro guida” per tutti gli altri (soprattutto nel medio-lungo periodo). Quindi possiamo provare a teorizzare, addirittura mediante un film borderline del genere, che la censura ha sempre e comunque poco senso.

    Inutilmente frustrante chiedersi, ad oggi, perchè si girassero film del genere, e perchè abbiano stuzzicato almeno una parte del pubblico avvezzo all’orrore, o all’orrido, in sè. Forse una forma di feticismo, più probabimente una contro-contro-cultura che esibiva un mondo disumanizzato magari per provare ad ostentare o rivalutare, alla meglio, quello in cui viviamo. Peraltro, il tutto avveniva con una sostanziale differenza rispetto agli orrori splatter che mostrarono alcuni film di Fulci e Joe D’Amato, che erano realistici quanto simulati (cosa che in questo film non sempre sono), e quantomeno provavano ad avere uno straccio di riferimento narrativo (che qui manca del tutto). Assistiamo ad una spettacolarizzazione orrida, per semplice giustapposizione, che rimane come mera testimonianza, da archivio (per così dire), e si dimentica con la stessa facilità con cui si prova a guardare.

    Le versioni in formato PAL Raro Video e EAHV sono entrambe uncut, e della durata complessiva di 75 minuti.