DISTOPIA_ (15 articoli)

Se scegliamo l’ignoranza, viviamo e moriamo nella paura costante, prigionieri delle nostre insicurezze e paure. A volte bisogna dubitare della nostra percezione e delle informazioni che riceviamo, instillando sfiducia e confusione. Dystopia è un commento sul controllo sociale, la repressione della verità e la resistenza contro l’oppressione in una società distopica. La ripetizione della parola “Dystopia” sottolinea il contesto oscuro e senza speranza in cui queste osservazioni si inseriscono.

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  • Hardware – Metallo Letale è la visione ansiogena del nostro millennio

    Hardware – Metallo Letale è la visione ansiogena del nostro millennio

    Regia: Richard Stanley

    Sceneggiatura: Steve MacManus, Kevin O’Neill, Richard Stanley

    Cast: Dylan McDermott, Stacey Travis, John Lynch

    Anno: 1990

    La terrà tremerà, e le masse avranno fame; ogni genere di dolore vi attende. Nessuna carne sarà  risparmiata.

    Personaggi di Hardware

    Come previsto la legge sul controllo delle nascite è stata approvata, ed entrerà in vigore dal primo dell’anno. 

    Moses è il protagonista, piuttosto atipico, di questa storia: per quanto non abbia nulla di apparentemente diverso dal protagonista maschile che vediamo in media dentro quasi ogni film, mostra alcuni lati oscuri della propria personalità. Inevitabile: il mondo è corrotto, cambiato, irreversibilmente inquinato, cinico, insopportabile, e non si poteva non includere un qualche contagio emotivo. Possiede una mano meccanica, una protesi che gli è stata impiantata a causa di un incidente e che riesce a muovere autonomamente.

    Lo spirito più cyberpunk del film è probabilmente espresso (al netto delle sequenze di combattimento uomo -macchina, che sono comunque numerose, molto scure come tonalità e quasi sempre cruente)  dalla scena della doccia con Jill, in cui viene esibito chiaramente il dettaglio della protesi dell’arto destro, innestato per sempre nel suo organismo. Shades è la controparte di Moses, abbastanza sulla falsariga di un personaggio puramente gibsoniano (ha una dipendenza da allucinogeni) e ne rappresenta una sorta di co-protagonista.

    Jill è un’artista creativa e indipendente, che lavora su particolari sculture meccaniche guidata da un’idea singolare: usare ferraglia trovata in giro per il mondo e farle assumere forme organiche, più vicine possibili a quelle degli esseri viventi. Che la meccanica fatta di ferraglia riciclata possa costituire una forma umana, o quantomeno biologica, è il sogno più profondo dell’era in cui è ambientato il film, ammesso ovviamente che i confini tra i due non siano nel frattempo diventati labili. Il personaggio esprime per tutto il film creatività e sensualità in eguale misura, facendone sfoggio in diverse occasioni. È un personaggio significativo anche perchè, in un momento specifico del film, afferma di non volere figli, ergendosi come anti-eroina indipendente e suscitando il fastidio di Moses.

    Lincoln è il vicino di casa di Jill, cinico e maschilista,  ossessionato dalla donna al punto di aver installato un telescopio a infrarossi in casa per spiarla: vede tutto, è un panottico umano in piena regola e si spingerà ad andare più volte a casa sua. Per quanto possa sembrare un personaggio secondario è, in effetti, uno dei più carichi di significato del film, in quanto rappresenta lo spettatore, il suo guardare per definizione, che sarà punito da un Super Io meccanizzato e implacabile nel modo più atroce. È il simbolo di ciò che i social network, per certi versi, sono diventati per noi oggi: pura ossessione voyeur regolamentata dalla tecnocrazia.

    Il misterioso Nomade è, ancora una volta, un personaggio simbolico: si nutre della situazione contingente, vaga nel deserto a caccia di frammenti di androidi da rivendere sul mercato e guadagnarci. Rappresenta probabilmente l’istanza più ambientale del film, se vogliamo, in quanto è causa della storia, la apre e la chiude agendo da autentico mastro burattinaio. Viene interpretato dal cantante dei Fields of the Nephilim, Carl McCoy .

    Mark 13: forma bio-meccanica auto-indipendente dotata di intelligenza artificiale

    Trama

    È Natale a New York, ed è ora di ricongiungersi con amici e parenti: l’unico dettaglio è che ci troviamo in un prossimo futuro, l’America è diventata un gigantesco deserto e la civiltà è quasi regressa allo stato primordiale. In un mondo contaminato dalle scorie nucleari, dal disastro climatico e da una politica sempre più cinica e indifferente, si muovono vari personaggi: un misterioso nomade a caccia di pezzi di robot da rivendere al mercato nero, un viaggiatore dotato di una protesi meccanica (una mano fatta di metallo), una scultrice che crea lavori su commissione sfruttando ferraglia di seconda mano, un proto-hacker che scopre che alcuni dei pezzi di androide che possiede sono, in realtà, armi militari avanzate. Stiamo parlando di Hardware di Richard Stanley, fantascienza d’epoca datata 1990: una fantascienza che deve parecchio all’horror, e che dall’horror prende ispirazione per le ambientazioni, il mood ed il ritmo generale (Stanley è fan dichiarato di Dario Argento, e racconta di essersi ispirato ai suoi film della prima era, oltre che a Deliria di Michele Soavi). Non mancano le suggestioni legate agli innesti metallici nei corpi umani, cosa che può avvenire in senso sia benevolo che malevolo: tali suggestioni sembrano pesantamente condizionate da alcune sequenze di Tetsuo, uscito nelle sale qualche mese prima di Hardware.

    Hardware che non è, peraltro, uno dei film di fantascienza più noti al mondo, ma rientra a pieno titolo (e nel miglior senso possibile) nel panorama dei b-movie: le tematiche che tratta sono ancora attualissime, vivide, per quanto si possa parlare di una singolare retro-fantascienza, che deve parecchio al thriller/horror a livello di forma. I temi che tocca sono tipici della sci-fi più di concetto, le allegorie sono numerose ma non si tratta neanche della fantascienza filosofico-saggistica alla Cronenberg, per intenderci. Il tema del film è quello della rinascita, vista in modo originale attraverso gli “occhi”, la “percezione sensoriale” digitalizzata di un androide costruito segretamente come arma militare, che viene inavvertitamente riassemblato per poi rinascere, auto-alimentarsi, rigenerarsi e auto-ripararsi. È l’epitomo della tecnologia che non muore mai, è la macchina che non sente dolore, esegue freddamente il proprio compito, con esito inevitabilmente positivo: sia che si tratti di salvare una vita umana con la chirurgia robotizzata che, al contrario, di uccidere gelidamente un essere umano. È la macchina che – quando finalmente si spegne – induce il nostro sollievo, per quanto non possa aver razionalmente provato dolore nel morire.

    Il cuore della trama ruota attorno all’androide, inizialmente scambiato per un semplice addetto alla manutenzione, che si rivela essere il feroce MARK 13 da combattimento. Un androide che si trova in casa della vittima e che si “sveglia” dal torpore per ricominciare ad uccidere: incredibile come quella che era soltanto una suggestione d’epoca possa tramutarsi, oggi, quasi in una minaccia concreta. Nei tempi di Alexa e dei robot avanzati della Boston Dynamics, questo ed altro. Il riferimento al Vangelo di Marco è il tocco di tecno-misticismo del film, il quale assume un significato profetico e, ancora una volta, allegorico: “La terra tremerà e le masse avranno fame; questi dolori vi aspettano, e nessuna carne sarà risparmiata.” è un chiaro riferimento all’intreccio, alla più classica delle profezie autoavveranti: il mondo è allo sbando, ma questo solo perchè siamo stati noi a volerlo.

    Hardware è una gemma avvenieristica novantiana, un unicum assoluto al netto di un doppiaggio italiano forse un po’ grossolano, ma che resta di culto anche perchè il regista non esita a esporre le proprie riflessioni, soprattutto nella parte conclusiva del film, dove MARK 13 diventa una metafora del potere oppressivo, del potere che manipola l’opinione pubblica e sacralizza l’idea di utilizzare gli automi per il controllo delle masse. L’idea alla base del film, peraltro, presuppone un’invasione di androidi finanziati dal governo su larga scala per ridurre la presenza umana e porre un limite alla sovrappopolazione mondiale, all’epoca una delle più grandi preoccupazioni che l’intreccio ha contaminato, neanche a dirlo, con le paure appena vissute da Guerra Fredda. Estremizzando, si potrebbe immaginare un mondo a venire interamente presenziato dalle macchine, in cui l’uomo possiede un ruolo sempre più marginale e che realizza la filosofia accelerazionista formulata in particolare da Nick Land, nella sua accezione più apocalittica. Come al solito, la fantascienza di ieri è diventata neanche troppo difficilmente l’eventuale ipotesi di complotto di domani.

    MARK 13 è, dal canto suo, un androide quasi più feroce di Terminator, subdolo e imprevedibile, un insetto letale che ti ritrovi in casa e non riesci a mandare via, e sei ancora più terrorizzato dall’idea di ucciderlo a tua volta. Hardware esprime l’eterna lotta uomo-macchina con spirito pioneristico e coraggioso, e facendo ricorso a scene quasi sempre nella semi oscurità, scelta che ha reso cult l’opera e, per dirla tutta, abbastanza insopportabile per alcuni spettatori. Una lotta che, come sappiamo, continua implicitamente fino ad oggi, e che abbiamo probabilmente interiorizzato da allora.

    La TV del futuro

    In Hardware – Metallo letale troviamo un mondo contaminato dalle radiazioni, per cui le trasmissioni del futuro si sono adeguate all’andazzo: telegiornali che annunciano la morte di centinaia di persone come se nulla fosse, si vedono pubblicità kitsch di carne non radioattiva e predicatori religiosi che si augurano pubblicamente di poter schiacciare tutti gli hippie e i beatnik. Ancora una volta, profezia del passato che si auto-avvera nel presente, nella realtà in cui viviamo, col virtuale del film che è diventato in gran parte realtà. La rielaborazione mediatica fatta da Stanley vede tra gli altri Iggy Pop che interpreta un grottesco speaker radiofonico che ironizza cinicamente sulla sorte sciagurata del genere umano.

    Da un punto di vista tecnologico, questa fantascienza di inizio anni Novanta presenta varie primizie tecnologie: si lavora ancora con i circuiti in voga fino agli anni Ottanta, ma si prevedevano sia le videochiamate che la vera e propria domotica, ovvero elettrodomestici programmabili dall’uomo. Per certi versi MARK 13 assume quasi la valenza di un elettrodomestico “impazzito” perchè ritenuto innocentemente tale. L’interpretazione della sua crudeltà innata, a mio parere, non va intesa in senso letterale, semplicistico ed esternalizzante: non è la macchina che si ribella all’uomo, bensì è l’uomo ad averne sottovalutato la portata.

    Le macchine non hanno alcuna fantasia, eseguono schemi fissi.

    Il telescopio

    Hardware potrebbe tranquillamente definirsi un film retro-futurista: questo per via del curioso connubio tra tecnologie elettro-meccaniche e scenari futuribili, i quali oggi appaiono più minacciosi che mai. Questo perchè la rovina del mondo è stata determinata dalla siccità che ha reso mezzo mondo un deserto, dal cambiamento climatico che ha costretto i tassisti della città a dotarsi di barche, da una guerra nucleare che ha contaminato radioattivamente la terra: sono le preoccupazioni che viviamo ogni giorni, inesorabili, a cui assistiamo spesso inermi, deprivati dell’idea di una qualsiasi reazione.

    Il voyeurismo di Hardware

    La società di Hardware non è solo degradata, oscura e post-apocalittica: è anche una società in cui guardare è un piacere feticistico che sostituisce, in molti casi, il contatto fisico interpersonale. Le radiazioni rendono i contatti tra estranei poco consigliabili (lo vediamo quando Jill accoglie sss inizialmente con diffidenza, sottoponendolo a scansione), per cui guardare con un telescopio come fa il personaggio di sss evoca due aspetti: quello legato al voyeurismo e al cybersesso, naturalmente, ma anche ad una forma di stalking della vittima, che qui viene “profetizzato” nel momento in cui il vicino guardone bussa al videocitofono di Jill mostrando solo un occhio, dopo essersi eccitato a spiarla nell’intimità.

    Sono aspetti, peraltro, destinato ad auto-avverarsi ancora nel nostro presente: le webcam che subiscono attacchi informatici e diventano strumenti per spiarci nell’intimità, il sesso a distanza offerto dalle sex worker nel periodo della pandemia, la minimizzazione mediatica della complessità delle problematiche politiche, sociali e ambientali in nome della divina audience (che oggi rivive sulla pelle di ognuno, rendendoci narcisisti sui social network).

    Interpretazione e spiegazione del film

    Non sembra casuale, a questo punto, che il Super Io robotico (figurativamente rappresentato dall’androide MARK 13 programmato per sterminare il genere umano, iniettandolo un veleno che uccide all’istante) faccia giustizia sull’Es perverso e corrotto del voyeur, mentre l’Io di Jill assiste inerme alla macabra esecuzione. È la rivalsa simbolica della tecnocrazia sul genere umano, ormai sregolata ad ogni latitudine (da quella politica a quella sociale e sessuale), e si erge a spaventoso monito sulle nostre esistenze fino ad oggi. Possiamo – e dovremmo – accettare il progresso tecnologico, perchè opporsi significa ignorare gli aspetti positivi e più progressisti, concedendoci tragicamente in pasto alla macchina.

    Al tempo stesso, poi, non possiamo ignorare le profezie macabre di Stanley, costruendo un mondo nuovo in cui l’umano abbia il proprio posto nel mondo senza mai cedere agli istinti egoistici di dominio sull’altro, alle pulsioni guerrafondaie di ogni ordine e grado nonchè, naturalmente, alla distruzione programmatica dell’ambiente in nome del capitalismo.

    Cos’è il robot Mark 13

    Mark 13 è un’arma robotica progettata per la guerra, che si trova accidentalmente attivata e riattivata in un mondo desolato e decadente. È un monito potente a fare attenzione alla tecnocrazia, che squillava con vigore già all’epoca.

    Il Mark 13 è un’entità robotica aggressiva e apparentemente inarrestabile, creato con lo scopo di uccidere l’uomo per ridurne la capacità di riproduzione, anche grazie ad una specifica legge per il controllo delle nascite. Il robot incarna la paura dell’eccesso tecnologico e delle conseguenze negative della creazione di armi avanzate che possono sfuggire al controllo umano.

    C’è anche l’idea paranoica – che oggi è diventata ipotesi di complotto, ancora una volta – che il governo abbia deciso di risolvere il problema della sovrappopolazione mondiale ricorrendo ad una serie di robot killer, i quali possano dare fine al genere umano e rimpiazzarlo con macchine (come nella visione apocalittica espressa dal primo Nick Land, per intenderci).  L’unica salvezza, ovviamente, è non perdere la propria umanità. Nel tentativo di accelerare l’evoluzione sociale attraverso una catastrofe pianificata, il governo concepisce il Mark 13 come un’arma di distruzione di massa in grado di annientare le masse sovraffollate.

    Questo robot letale viene attivato in modo deliberato e guidato verso le zone più densamente popolate del pianeta, dove svolge un ruolo chiave nell’implementazione del genocidio, e il sospetto viene alimentato da uno dei personaggi mediante un versetto biblico (Marco, 13:20; nessuna carne sarà risparmiata, citazione che possiamo leggere all’inizio del film).

    Musicisti presenti nel film

    Tra gli ospiti speciali del film ci sono alcuni musicisti:

    1. Iggy Pop: il disc jockey radiofonico nel film.
    2. Lemmy Kilmister: il tassista che sfoggia “Ace of spades” nell’autoradio.
    3. Carl McCoy: Il frontman della band goth Fields of the Nephilim appare nel film nella veste del Nomade post-apocalittico.

  • Brazil: un sublime saggio distopico, tuttora ineguagliato

    Brazil: un sublime saggio distopico, tuttora ineguagliato

    Sam Lawry è un tecnocrate onesto e sognatore quanto timido ed impacciato, che opera per il complicatissimo settore burocratico di una distopica società occidentale: ossessionato da un sogno ricorrente nel quale raggiunge, alato, la donna dei suoi sogni, un giorno finisce per riconoscerla in una conoscente…

    In breve. Considerato un capolavoro del genere sci-fi distopica (secondo Harlan Hallison si tratta addirittura del migliore in assoluto) si tratta effettivamente di un lavoro di eccellente fattura, che riprende toni e tematiche di “1984” (G. Orwell) ed è ambientato in uno scenario surreale, ricco degli aspetti bizzarri che i fan dei Monty Python riconosceranno immediatamente. La tragedia di un essere umano schiacciato dalle assurdità burocratiche moderne, che si tramuta in una feroce satira contro un certo tipo di modernità.

    Brazil” di Terry Gilliam è un surrogato – che non esiterei a definire epico – di tipiche situazioni di fantascienza distopica, ricchissima di simbolismi (che il regista sembra visibilmente aver amato alla follia), e che dai simbolismi stessi non si fa appesantire, come in altri film sarebbe facilmente potuto succedere. Proponendo un gioco duale e funambolico tra la realtà (sgradevole, noiosa e monotona) ed il sogno più liberatore che possa esistere, rende difficile comprendere cosa sia vero e cosa invece costruzione mentale. E nel fare questo Gilliam sembra essere stato molto attento a non cedere ad intellettualismi troppo astratti, confermando la natura “pop” del genere ed allegandovi messaggi profondi e molto mirati. Si mostra la vita di un uomo qualsiasi, un vero e proprio “numero” nel quale diventa ovvio identificarsi: una persona ricca di sfaccettature, sensibile e profondamente sognatrice, che si scontra con un mondo sordo, menefreghista e schiavo di burocrazie inutili e sfiancanti. “Brazil” rappresenta la lotta di un uomo prima di tutto contro se stesso, ed a testimoniarlo ci invia un gioco di parole intraducibile in italiano (i samurai contro cui Sam combatte evocano la frase “Sam, you’re I“) che rende decisamente più comprensibile alcune delle allucinazioni del protagonista.

    L’amore, visto in chiave “settantiana” come liberazione totale della bellezza e della purezza smarrita dall’uomo, assume caratteristiche “sovversive”, che non possono essere tollerate da un mondo repressivo e dominato da giocattoli tecnologici e chirurghi plastici senza scrupoli (il richiamo al mondo ipocrita del successivo Society non è neanche troppo azzardato). Per quanto il film possieda una stragrande maggioranza di elementi positivi, dunque, si rileva probabilmente un unico vero difetto nell’eccessiva lunghezza della pellicola, che finisce – pressapoco prima dell’ultima mezz’ora – per stancare un po’ lo spettatore meno paziente, lasciandolo pero’ in bilico ed imponendogli, di fatto, di vedere il tutto fino alla fine per forza di cose.

    Le enormi capacità comunicative ed artistiche di Gilliam, realizzate da momenti realmente bizzarri che evocano le divagazioni dei Monty Python, si esplicano in situazioni apertamente umoristiche e, senza preavviso, tragicamente realistiche e paranoiche. Molte delle tematiche, e parte delle conclusioni, sono accumunate al classico di Orwell “1984“, a cui il regista sembra essersi ispirato servendosi pero’, c’è da specificare, di un numero superiore di mezzi espressivi rispetto alla mediocre riduzione cinematografica del famoso romanzo.

    Memorabile l’interpretazione di De Niro, che compare nei panni del “libero professionista sovversivo” Tuttle, uno dei pochi alleati autenticamente umani del protagonista e focalizzato su alcune “micro-sequenze” realmente memorabili. Certamente alcune allusioni finiranno, al giorno d’oggi, per risultare inefficaci (le ossessioni da teledipendenza, ad esempio, erano state ampiamente sviscerate da Cronenberg qualche anno prima), anche se trovo impressionante rilevare come alcune trovate, come quella della macchina che fornisce volti e informazioni personali su qualsiasi cittadino, finisca per evocare l’omologazione presente all’interno dei moderni social network.

    Un film di grande valore artistico e con vari dettagli sorprendenti per un film dell’epoca: da vedere almeno una volta nella vita.

  • Atto di forza: un capolavoro tuttora ineguagliato di fantascienza

    Atto di forza: un capolavoro tuttora ineguagliato di fantascienza

    Nel 2084 Douglas Quaid è un umile operaio edile, con il sogno insoddisfatto di fare finalmente una vacanza su Marte: poichè non può permettersi di meglio, si rivolge all’azienda Recall, specializzata nel trapianto di ricordi fasulli nella mente dei clienti. Sarà l’inizio di una nuova storia che si confonderà con la vecchia…

    In breve. Sogno, realtà e vita reale: un buon archetipo di fantascienza cyberpunk da cui Cronenberg, a livelli decisamente più “colti” se vogliamo, saprà trarre “eXistenZ”; Verhoeven mostra comunque di sapersi cimentare abilmente con il tema del futuro distopico (come aveva fatto nel notissimo “Robocop”, del resto), mentre Schwarznegger interpreta dignitosamente un ruolo che non sembra essergli troppo congeniale. Per chi avesse letteralmente vissuto su Marte (!) e non lo sapesse, la storia è ispirata a “Ricordiamo per voi” di Philip Dick.

    Atto di forza, un cult di fantascienza anni ’90, nasce dal sodalizio tra Schwarzy ed il regista Verhoeven, all’epoca noto per Robocop (una fantascienza distopico-satirica considerevole anch’essa), film che aveva fornito discreta popolarità al regista. A quanto pare fu lo stesso futuro governatore della California a mandare lo script al regista e proporglielo, che Verhoeven accettò a patto di apportare alcune modifiche in senso realistico.

    L’accordo per realizzare Atto di forza venne firmato a fine del 1998, e venne filmato a Città del Messico per via delle sue architetture futuristiche. Oltre 500 persone furono coinvolte nella sua realizzazione, costruendo 45 set e rendendo Total recall uno dei film più costosi della storia, subito dopo Rambo (1988). Lo script venne lavorato a Dan O’Bannon, tra gli altri, che concepì la storia di Alien parallelamente a quanto aveva fatto per questo film. Il film avrebbe dovuto essere realizzato da Dino De Laurentiis, che sembra non vedesse di buon occhio il ruolo di Schwarzy – tant’è che poi il film venne comprato da Mario Kassar su pressione dell’attore.

    Un ruolo certamente inedito per il buon Arnold, in grado di conferire un discreto spessore psicologico e tormentato al proprio personaggio (inevitabile, trattandosi di Philip Dick). Menzione particolare, infine, per il personaggio di Sharon Stone, sex symbol ottantiano per eccellenza e qui dotata di una doppiezza magistrale. Tanto che si guadagnò la fama di “female Terminator” (il terminator donna) grazie ad un’interpretazione imprevedibile che le valse anche il ruolo di protagonista, poco dopo, in Basic Instinct. La colonna sonora del film, affidata a Jerry Goldsmith, è considerata dal musicista una delle migliori che abbia mai realizzato.

  • Sopravvissuti: spiegazione finale, trama, cast

    Sopravvissuti: spiegazione finale, trama, cast

    Sopravvissuti“(in originale “Z for Zachariah”) è un thriller post-apocalittico ambientato in un mondo devastato da un’epidemia globale. La storia segue un gruppo eterogeneo di persone che cercano di sopravvivere in un ambiente ostile e desolato.

    La trama inizia con l’epidemia che si diffonde rapidamente, trasformando le persone infette in orde di feroci creature simili a zombi. Il protagonista, John, è un uomo comune che perde la sua famiglia nell’apocalisse e lotta per sopravvivere da solo.Durante il suo viaggio, John incontra altri sopravvissuti. Tra di loro ci sono Sarah, un’ex infermiera esperta nella cura delle ferite, e Michael, un ex militare abile nelle tattiche di combattimento. Il gruppo è costantemente minacciato dalle creature infette e dai pochi sopravvissuti rimasti, alcuni dei quali sono diventati pericolosi predatori.

    Cast

    “Z for Zachariah” è un film del 2015 diretto da Craig Zobel. Di seguito, trovi il cast principale del film con i nomi degli attori in italiano:

    • Margot Robbie nel ruolo di Ann Burden
    • Chiwetel Ejiofor nel ruolo di John Loomis
    • Chris Pine nel ruolo di Caleb

    Questi sono i principali attori che interpretano i personaggi chiave nel film “Z for Zachariah”.

    Chi è Zachariah

    Nel titolo “Z for Zachariah”, Zachariah si riferisce a un personaggio assente nel film ma che gioca un ruolo significativo nella trama.

    Nel romanzo omonimo scritto da Robert C. O’Brien, da cui è tratto il film, Zachariah è un prete cattolico che viene menzionato ma non compare mai fisicamente nella storia. Il personaggio di Zachariah è importante perché è il fondatore di una chiesa locale vicino alla valle in cui la protagonista, Ann Burden, vive da sola dopo una catastrofe nucleare. Zachariah è morto a causa delle radiazioni nucleari e la sua chiesa è rimasta intatta.

    Nel film, il personaggio di Zachariah è omesso, e invece il titolo si riferisce principalmente al nome della valle in cui Ann Burden sopravvive dopo l’evento catastrofico. Quindi, “Z for Zachariah” rappresenta simbolicamente la storia di Ann e della sua solitudine nella valle dopo l’apocalisse nucleare.

    Temi trattati nel film

    Il film “Sopravvissuti” affronta diversi temi profondi e complessi, tra cui:

    1. Sopravvivenza e isolamento: Il tema principale del film è la sopravvivenza di Ann Burden, l’unica sopravvissuta in una valle remota dopo una catastrofe nucleare. Il suo isolamento e la sua lotta per sopravvivere nella desolazione diventano un elemento centrale della trama.
    2. Relazioni interpersonali: Con l’arrivo di John Loomis e successivamente di Caleb nella valle, si sviluppano complesse dinamiche relazionali. Il film esplora come le relazioni si sviluppano e cambiano nel contesto dell’isolamento e della condivisione di una piccola comunità.
    3. Etica e morale: Il film pone diverse domande sull’etica e la morale in situazioni di estrema necessità. I personaggi si trovano spesso a prendere decisioni difficili e morali, mettendo in discussione i loro principi e valori fondamentali.
    4. Fede e spiritualità: La presenza della chiesa abbandonata e il passato del personaggio di Zachariah sollevano temi legati alla fede e alla spiritualità. Ann e John hanno punti di vista differenti riguardo a questi temi, e questo influisce sulla loro interazione.
    5. Amore e desiderio: Il film esplora la complessità delle relazioni amorose e dei desideri umani. La presenza di tre personaggi nel contesto isolato della valle crea tensioni e conflitti legati alle emozioni e al desiderio di connessione emotiva.
    6. Tecnologia e natura: Il film presenta una riflessione sul ruolo della tecnologia e la sua influenza sulla società, considerando anche gli effetti negativi che l’uso irresponsabile può avere sull’ambiente e sul futuro dell’umanità.

    In sintesi, “Sopravvissuti” affronta temi legati alla sopravvivenza, alle relazioni umane, all’etica, alla fede, all’amore e al rapporto tra tecnologia e natura. Questi temi si intrecciano e si scontrano nel contesto post-apocalittico del film, fornendo uno sguardo profondo e riflessivo sulla condizione umana in situazioni estreme.

    Romanzo da cui è tratto il film

    Il film si basa liberamente sul romanzo di fantascienza “Z for Zachariah” di Robert C. O’Brien, pubblicato postumo nel 1974. Il “triangolo amoroso” del film rappresenta una deviazione significativa poiché nel romanzo sono presenti solo due protagonisti: Ann e Loomis.

    Adattamento per la televisione

    L’adattamento originale televisivo è stato parte della serie della BBC “Play for Today”, trasmessa il 28 febbraio 1984, con Anthony Andrews nel ruolo di Loomis e Pippa Hinchley nel ruolo di Ann, e la storia ambientata in Galles dopo un olocausto nucleare.

    Spiegazione finale

    Avviso spoiler: la seguente trama riassume gli eventi del film “Sopravvissuti”.

    Nel corso del film, il gruppo cerca di raggiungere un luogo sicuro, una sperduta comunità fortificata, dove si dice che sia possibile ricostruire una nuova società. Lungo il tragitto, affrontano numerose sfide e pericoli, come attacchi di predatori umani e scontri con gli infetti.

    Durante il viaggio, le relazioni tra i sopravvissuti si evolvono. John e Sarah si avvicinano sempre di più, trovando conforto e speranza l’uno nell’altro in mezzo alla disperazione del mondo post-apocalittico.

    Tuttavia, a mano a mano che il gruppo si avvicina alla comunità sicura, scoprono che è stata corrotta dall’interno. Si troveranno di fronte a una decisione difficile: unirsi agli abitanti corrotti e abbandonare i loro principi morali per sopravvivere o combattere per mantenere la loro umanità e cercare una soluzione migliore. Verso la conclusione, il gruppo affronta un confronto mortale con i predatori umani e gli infetti, mettendo alla prova la loro forza, il coraggio e la fede nella possibilità di un futuro migliore.

    In un finale agghiacciante e toccante, alcuni membri del gruppo sacrificano la propria vita per permettere agli altri di raggiungere il luogo sicuro. John e Sarah riescono a raggiungere la comunità fortificata, dove sperano di iniziare una nuova vita, portando con sé la memoria dei loro amici perduti lungo il tragitto.

    Spiegazione alternativa del finale

    Il finale di “Z for Zachariah” è aperto e molto ambiguo, lasciando spazio a diverse interpretazioni. A questo punto della trama, il triangolo amoroso tra Ann, John e Caleb è giunto a un punto critico.

    Nel finale, John, Caleb e Ann decidono di ascoltare il messaggio radio proveniente dalla fuori della valle. Il segnale è debole e degradato, ma sembra offrire loro una possibilità di trovare altre persone sopravvissute e un futuro migliore. Tuttavia, prima di lasciare la valle, c’è un momento di tensione tra i tre personaggi. Ann vuole che John rimanga con lei nella valle, ma lui vuole partire con Caleb per cercare aiuto.

    Infine, John e Caleb iniziano a dirigersi verso la fonte del segnale radio, ma Ann, sentendosi abbandonata, spara un colpo di avvertimento con un fucile. Ciò crea un momento di sospensione, poiché non è chiaro se il colpo sia inteso come un vero tentativo di colpire i due uomini o solo un avvertimento emotivo.

    Le possibili interpretazioni del finale sono:

    1. Abbandono e solitudine: Una possibile interpretazione è che Ann si senta abbandonata dai due uomini e, nel tentativo di fermarli, metta alla prova il loro amore e la loro dedizione nei suoi confronti. Il colpo di avvertimento potrebbe essere un modo per far loro capire quanto sia importante la sua presenza nella valle.
    2. Sopravvivenza e speranza: Un’altra interpretazione è che Ann, pur essendo innamorata di John e desiderando la sua compagnia, comprenda che per sopravvivere e avere una speranza di futuro, è necessario che almeno uno dei due uomini lasci la valle per cercare aiuto. Il colpo di avvertimento potrebbe essere un segno di accettazione di questa realtà e della sua necessità di lasciar andare qualcuno che ama.
    3. Incertezza e ambiguità: Il colpo di avvertimento crea incertezza riguardo alle intenzioni di Ann e alle sue vere motivazioni. Potrebbe anche essere una rappresentazione della sua lotta interna tra l’amore per John e la consapevolezza delle circostanze disperate in cui si trovano.

    In conclusione, il finale di “Z for Zachariah” è aperto all’interpretazione e offre spazio per diverse chiavi di lettura. Esso riflette i complessi legami emotivi e morali tra i personaggi e sottolinea la difficoltà di prendere decisioni significative in un mondo post-apocalittico in cui la sopravvivenza è in gioco.

  • Matrix spiegato al popolo sovrano

    Matrix spiegato al popolo sovrano

    The Matrix è un film d’azione di fantascienza del 1999 scritto e diretto dalle sorelle Wachowski. È il primo capitolo della serie cinematografica di Matrix e vede protagonisti Keanu Reeves, Laurence Fishburne, Carrie-Anne Moss, Hugo Weaving e Joe Pantoliano. Ambientato in un universo cyberpunk, il film presenta un futuro distopico in cui l’umanità vive inconsapevolmente intrappolata all’interno della Matrix, una realtà simulata creata da macchine intelligenti. Convinto che Neo, un hacker informatico, sia “l’Eletto” profetizzato per sconfiggere le macchine, Morpheus lo recluta in una ribellione contro i loro oppressori.

    La trilogia di Matrix (1999–2003), diretta dalle sorelle Wachowski, può essere analizzata in una chiave psicoanalitico-materialista combinando riferimenti alle teorie psicoanalitiche di Freud e Lacan e ai principi materialisti della filosofia contemporanea e delle neuroscienze. Questo approccio permette di interpretare la realtà simulata di Matrix come una metafora della costruzione dell’identità, dell’alienazione sociale e della dialettica tra mente e corpo.

    n una chiave psicoanalitico-materialista, Matrix è un’esplorazione dell’alienazione umana e delle condizioni che la rendono possibile. La trilogia riflette sul rapporto tra mente e realtà, sull’identità e sulla possibilità di emancipazione attraverso un atto radicale di consapevolezza e rottura con l’ordine simbolico dominante. Sia nella psicoanalisi che nel materialismo, l’uscita da Matrix rappresenta la lotta per una nuova soggettività, che riconosce e affronta la realtà materiale senza più nascondersi dietro illusioni.


    Metafora dell’inconscio e della realtà simulata

    In una prospettiva psicoanalitica, Matrix rappresenta la tensione tra il conscio e l’inconscio, con la simulazione digitale che funziona come un meccanismo di rimozione collettiva. La matrice agisce come il principio di piacere freudiano, mantenendo gli esseri umani in uno stato di apparente soddisfazione e sicurezza. Questo stato impedisce loro di affrontare la cruda realtà materiale della loro esistenza: sono sfruttati come fonti di energia dalle macchine, un’immagine che simboleggia l’alienazione capitalistica.

    La figura di Morpheus e la sua offerta della pillola rossa rispecchia il trauma del confronto con il Reale lacaniano: ciò che sta al di là del simbolico e dell’immaginario, ossia la verità brutale e non mediata del mondo. In termini neuroscientifici, il conflitto tra Matrix e la realtà esterna può essere visto come un’analogia del ruolo delle aree cerebrali responsabili della percezione (corteccia visiva, aree associative) nel generare una simulazione interna del mondo che è funzionale alla sopravvivenza, ma non necessariamente “reale”.


    Neo e l’identità come processo dialettico

    Neo rappresenta l’io che tenta di emanciparsi dalla rete simbolica che lo imprigiona. La sua progressiva consapevolezza di essere “l’Eletto” (una figura che potremmo connettere al Sé ideale lacaniano) avviene attraverso un processo di destrutturazione e ricostruzione identitaria. In termini psicoanalitici, Neo incarna il soggetto che rompe con l’Altro (la matrice come rappresentazione del grande Altro) per riconoscere la propria posizione nel sistema.

    Sul piano materialista, questa trasformazione può essere letta come il risveglio di un soggetto alienato che si rende conto delle condizioni materiali della propria esistenza. La trilogia, in questo senso, riflette il concetto marxiano di “falsa coscienza”: gli esseri umani, intrappolati in Matrix, accettano come naturale un sistema di sfruttamento che viene invece artificialmente prodotto.


    Simulazione e controllo: neuroscienze e biopolitica

    L’idea centrale della matrice come simulazione corrisponde alle teorie neuroscientifiche contemporanee che vedono la mente umana come una “macchina predittiva”. La nostra percezione del mondo è una costruzione del cervello basata su modelli interni e input sensoriali (Friston, 2010). Allo stesso modo, Matrix offre un mondo costruito che soddisfa le aspettative sensoriali degli esseri umani, mantenendoli sotto controllo.

    In una chiave biopolitica, questo sistema di controllo totale è paragonabile alle strutture descritte da Foucault e Deleuze, in cui il potere si esercita non solo attraverso la repressione diretta, ma tramite la modellazione del comportamento e dei desideri. Le macchine di Matrix rappresentano un potere che non solo domina i corpi, ma plasma le menti, orientando i soggetti verso una vita che li sfrutta mentre li illude di essere liberi.


    L’amore come interruzione del sistema

    L’amore tra Neo e Trinity può essere interpretato come un’eccezione alla logica del sistema. Per Lacan, l’amore è l’incontro con l’Altro in quanto soggetto e non oggetto di desiderio. Nella trilogia, questo legame sfida le regole della matrice e genera uno spazio di autenticità che sovverte il controllo totale delle macchine.