Blog

  • Quiz: sei un cinefilo esperto?

    Quiz: sei un cinefilo esperto?

    119
    Creato il Per Salvatore

    Cinefilo (molto) esperto

    1 / 10

    2 / 10

    3 / 10

    4 / 10

    5 / 10

    Da quale celebre horror è tratto questo fotogramma?

    6 / 10

    7 / 10

    8 / 10

    2001 Odissea nello spazio di S. Kubrick è tratto da un romanzo di…

    9 / 10

    Quale film di David Cronenberg è tratto liberamente da un noto romanzo di William S. Burroughs?

    10 / 10

    Il tuo punteggio è

    Il punteggio medio è 55%

    0%

  • Quiz generale sul cinema

    Quiz generale sul cinema

    129
    Creato il Per Salvatore

    Cinema in generale

    1 / 10

    Da che film è tratto?

    2 / 10

    Di quale film di Russ Mayer si tratta?

    Catturato dal DVD della ‘Criterion’ da Antonio la trippa, Copyrighted, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=1454328

    3 / 10

    Da quale film è tratto il fotogramma qui riportato?

    4 / 10

    Dove si trova quello che risulta essere il più grande schermo cinematografico al mondo, il Darling Harbour IMAX Theatre?

    5 / 10

    In quale anno: Via col vento (Gone with the Wind), regia di Victor Fleming ha vinto l’Oscar?

    6 / 10

    Chi interpreta la protagonista di Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini?

    7 / 10

    8 / 10

    9 / 10

    Da che film è tratto?

    10 / 10

    In quale celebre cult anni 80 (non porno) fa la sua comparsa l’attore pornografico Ron Jeremy?

    Il tuo punteggio è

    Il punteggio medio è 52%

    0%

  • Quiz sul cinema horror

    Quiz sul cinema horror

    318
    Creato il Per Salvatore

    Cinema horror

    1 / 10

    Da che film è tratto?

    2 / 10

    Da che film è tratto?

    3 / 10

    Da quale celebre horror è tratto questo fotogramma?

    4 / 10

    Da quale celebre horror è tratto questo fotogramma?

    5 / 10

    Quale film di David Cronenberg è tratto liberamente da un noto romanzo di William S. Burroughs?

    6 / 10

    Quale film di Dario Argento racconta un celebre episodio della storia risorgimentale italiana?

    7 / 10

    Quale film stava girando Rob Zombi in questa foto?

    8 / 10

    Da quale celebre horror è tratto questo fotogramma?

    9 / 10

    Da quale celebre horror è tratto questo fotogramma?

    10 / 10

    Che cosa si intende per Bollywood?

    Il tuo punteggio è

    Il punteggio medio è 44%

    0%

  • La città delle donne: una satira felliniana contro il femminismo acritico

    La città delle donne: una satira felliniana contro il femminismo acritico

    Durante un viaggio in treno, un uomo decide di seguire la sua compagna di viaggio, dal quale è rimasto stregato: finirà in un hotel dove ha luogo un convegno di femministe, e sarà solo l’inizio di un percorso surreale nel suo vissuto.

    In breve. Spettacolare visivamente quanto frammentato; per certi versi, del tutto disorientante. Probabilmente si guarda meglio senza porsi troppi interrogativi, per quanto sia lontano dall’essere “il” film perfetto.

    Scritto e sceneggiato da Fellini e Zapponi, La città delle donne rientra sostanzialmente nel genere surrealista: a poco servirebbe, in questo ambito, una ricostruzione dettagliata del suo intreccio, fedele esclusivamente al flusso di coscienza registico. A poco servono, allo stesso modo, le interpretazioni basate sulla psicoanalisi (vedere nel treno e nella galleria un simbolismo legato al coito è scontato quanto, probabilmente, riduttivo), e questo perchè basta vedere il film per lasciarsi addosso una sensazione spiazzante.

    In primo piano c’è il dramma di un bon vivant che, suo malgrado, vive il sogno erotico di andare in una città di sole donne, ma senza sfiorarne nemmeno una. Snaporaz viene ammaliato dalla donna in treno che lo trascina in un hotel, nel quale è in corso un congresso di femministe militanti: neanche a dirlo, viene guardato con sospetto, scambiato per un giornalista e poi deriso dalla donna che lo aveva attratto, la quale mostra pubblicamente le foto che gli aveva fatto di nascosto (non sarebbe difficile immaginare una situazione del genere oggi, del resto, nell’era dei social, del bullismo virtuale e del body shaming).

    Al tempo stesso, ne “La città delle donne” emerge una visione sul mondo femminile a tutto tondo, ovviamente dal punto di vista di un maschio etero (come specificherebbero in alcuni ambienti oggi, con il rischio concretissimo che il film li faccia ancora una volta inorridire). C’è la ragazza senza scrupoli, che usa la propria avvenenza per dettare le regole – facendo fantozzianamente soccombere uno Snaporaz che si credeva audace – c’è la giovane più semplicemente soubrette o superficiale, c’è quella apparentemente dolce quanto inacidita, ci sono varie gradazioni di femministe (da quelle più hippie a quelle, per così dire, che si limitano a strizzare l’occhio all’idea senza capirla troppo). Peraltro la rassegna di tipi, puramente grottesca o addirittura satirica, considera anche anziane miti e premurose, ragazze che fanno uso di droghe, popolane rustiche e affamate di sesso – e poi, naturalmente, una delle fantasie erotiche più comuni nell’uomo: le donne poliziotto.

    Nella casa del playboy Xavier Katzone (nomen omen, probabilmente) si svolge la seconda parte del film: qui appaiono una serie di complessi simbolismi. Una festa orgiastica completamente surreale, ma soprattutto Snaporaz che scopre la singolare collezione di orgasmi registrati: sono quelli delle sue innumerevoli amanti, che il padrone di casa ama riascoltare premendo dei pulsanti. Tali pulsanti sono disposti lungo una doppia parete ricoperta di marmo, la quale evoca, pure abbastanza chiaramente, i loculi di un cimitero: al netto di ciò, verrebbe quasi da pensare al decadente nichilismo de L’ultimo nastro di Krapp di Samuel Beckett, con il protagonista che riascolta ossessivamente i propri ricordi.

    Certo è che La città delle donne, con la sua interminabile contrapposizione tra vari tipi di donne (e al netto di qualche lungaggine che potrebbe renderlo, alla lunga, vagamento indigesto), finisce per rimanere impresso per le esagerazioni erotiche (a tratti quasi le stesse del Tinto Brass più politico, per quanto meno esplicite). Ma quello che conta davvero è l’attitudine satirica portata al parossismo, con il povero protagonista in bilico tra un istinto da latin lover (la cui riuscita, peraltro, resta tutta da verificare) ed un’attitudine malcelata alla ricerca sincera di una donna che, finalmente, possa andare d’accordo con lui.

    La reazione della stampa e delle femministe dell’epoca non tardò ad arrivare: il regista volle coinvolgere nel cast autentiche militanti, le quali (neanche a dirlo) lo contestarono duramente durante le riprese, ed è abbastanza sicuro che un film del genere non sia stato apprezzato dagli ambienti più oltranzisti. Qualsiasi critica in tal senso, ancora oggi (al netto della rappresentazione di una militanza calato in ideali giusti, senz’altro, quanto drogati da slogan ed autocelebrazioni di dubbia efficacia) dovrebbe considerare che La città delle donne non è un film politico. Pensare che lo sia implica non averlo visto; piuttosto, si tratta di un lavoro dalla connotazione personalistica incentrato sul vissuto e sulle esperienze di vita del regista, nel disperato tentativo di trovare una quadra e proporre più una riflessione filosofica che una storia compiuta (un sogno di più di due ore, del resto, resta molto difficile da credere possibile).

    Al tempo stesso, parte della critica riconobbe apertamente la potenza visuale – più che narrativa – della storia, esaltandolo come film originale e significativo quando, per certi versi, troppo diluito in passaggi verbosi, sussurrati, in cui emerge esclusivamente la figura di Snaporaz come elemento quasi del tutto passivo, impotente nei confronti della realtà che lo circonda. Una realtà in cui convivono diverse facce, ed in cui troverà donne di ogni genere (questa è la buona notizia), per quanto (e qui arriva la cattiva notizia) si troverà a soffrirne gli inevitabili difetti.

  • Diabolik – Ginko all’attacco non delude le aspettative

    Diabolik – Ginko all’attacco non delude le aspettative

    Diabolik ed Eva Kant si ritrovano calati in una nuova avventura contro l’ispettore Ginko, in una veste inedita e dai risvolti imprevedibili.

    Diabolik – Ginko all’attacco si richiama parecchio al suo predecessore, Diabolik, con l’unica sostanziale differenza di aver cambiato l’interprete protagonista (da Luca Marinelli si passa Giacomo Gianniotti). Il resto non è cambiato (gli interpreti principali, con l’aggiunta di un intrigante Alessio Lapice nella parte di Roller e la presenza pacata e raffinata di Monica Bellucci): l’impianto è quello tipico del fumetto delle Giussani, anni 60 sobri e casti quanto ricchissimi di colpi di scena: in questo caso, peraltro, si è scelto un soggetto ancora più accattivante del precedente, quanto forse leggermente prevedibile nelle note finali. Diabolik è ossessionati dai furti di gioielli e pietre preziose, e la sua mania fa il pari con quella di Ginko di volerlo catturare: entrambi, persi nella rispettiva ossessione, trascurano gli affetti personali, e sembra proprio questo l’autentico, duplice motore della storia.

    Una storia che rinnova – di nuovo – il mito creato su carta, amatissimo dai sui lettori e che mai tanta fortuna aveva sullo schemo (impossibile non citare il Danger – Diabolik di Mario Bava: ma erano, chiaramente, ben altri tempi). E poi arrivano i Manetti Bros, alla luce di una consolidata esperienza nel genere (da Paura 3D al meno noto L’arrivo di Wang, lidi sui quali ci auguriamo che tornino, prima o poi) ci consegnano una nuova versione del mito di Diabolik, con la sua eleganza e scaltrezza, per una saga che è solo al secondo capitolo e che potrebbe ancora continuare. Un film che è un racconto del consacra la bellezza, a cominciare da quella dei protagonisti, ma anche quella di una regia accorta e mai banale, unita alla scelta del sedicesimo albo (che da’ il nome al film).

    Diabolik è ancora una volta il Male che seduce, attrae e soggioga tutti coloro che incontra, nonostante la sua spietatezza nei confronti degli avversari, perennemente diviso tra la consacrazione dell’amore romantico (di cui questo film è pervaso, forse anche più del capitolo precedente) e la narrazione di una singolare storia di vendetta: quella di Eva nei suoi confronti, tradita nel momento del bisogno, artefice del destino della storia. Una vicenda che, in questo episodio dall’andamento fluido e gradevole, vedrà Diabolik orfano di ciò che lo ha reso potente: il suo nascondiglio è stato violato dalla polizia, sulle prime, spiazzando lo spettatore fin da subito, mentre la sua fidata fabbrica di maschere (qui usate meno del capitolo precedente) è stata anch’essa monitorata dalle autoità. La vera domanda sarà capire come farà questa volta a salvarsi, per quanto gran parte del suo pubblico già conoscerà la risposta (se per pubblico intendiamo i suoi lettori), e si saprà perdere (anche se non ha letto l’albo nello specifico) nelle meraviglie dell’intreccio, dei colpi di scena e della passionalità dei personaggi (incluso Ginko, in una veste qui inedita rispetto al capitolo precedente, ed al classicissimo ed algido personaggio della duchessa interpretata da Monica Bellucci).