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  • Paura e delirio a Las Vegas: cast, storia, cenni alla regia, produzione, stile, sinossi, curiosità, spiegazione

    Paura e delirio a Las Vegas: cast, storia, cenni alla regia, produzione, stile, sinossi, curiosità, spiegazione

    “Paura e delirio a Las Vegas”

    Eravamo dalle parti di Barstow, ai confini del deserto, quando le droghe cominciarono a fare effetto. Ricordo che dissi qualcosa tipo “Sento la testa leggera… potresti guidare tu?” D’un tratto ci fu un terrificante ruggito intorno a noi, e il cielo si riempì di cose che sembravano enormi pipistrelli stridenti in picchiata sulla nostra macchina… e una voce urlava “Santo iddio cosa sono questi maledetti animali?!

    Cast:

    • Johnny Depp come Raoul Duke
    • Benicio Del Toro come Dr. Gonzo
    • Tobey Maguire in un ruolo non accreditato
    • Christina Ricci come Lucy
    • Ellen Barkin come la cameriera North Star Waitress

    Regia: Il film è stato diretto da Terry Gilliam.

    Produzione

    “Paura e delirio a Las Vegas” è uscito nel 1998 ed è basato sull’omonimo romanzo di Hunter S. Thompson. Il film è una commedia nera e surreale che esplora il viaggio psichedelico e controculturale di due amici giornalisti attraverso il deserto del Nevada.

    Stile

    Il film è noto per il suo stile visivo e narrativo unico, che riflette l’esperienza alterata dei protagonisti a causa delle droghe psichedeliche. L’uso di effetti speciali, sequenze allucinatorie e montaggio frenetico contribuisce a creare un ambiente distorto e surreale che riflette lo stato mentale dei personaggi.

    Sinossi

    Il film segue le avventure di Raoul Duke, uno scrittore di giornalismo gonzo, e del suo avvocato Dr. Gonzo, mentre viaggiano verso Las Vegas per coprire una gara motociclistica. Nel corso del viaggio, i due consumano una varietà di droghe psichedeliche, il che porta a una serie di situazioni bizzarre e allucinatorie. Mentre attraversano il deserto, incontrano personaggi eccentrici, partecipano a feste selvagge e si trovano coinvolti in situazioni sempre più surreali.

    Il film si basa su una storia autentica?

    Il film si fonda su un romanzo del 1971 scritto da Hunter S. Thompson, intitolato “Paura e disgusto a Las Vegas“. Sebbene il film sia ispirato al libro, è importante sottolineare che sia il romanzo che il film sono opere di finzione che incorporano elementi di esperienze e riflessioni dell’autore. La storia si basa su una storia romanzata scritta da Hunter S. Thompson, ma molte delle situazioni e degli eventi rappresentati sono esagerati e distorti in modo surreale per fini narrativi e satirici. Quindi, pur avendo radici nella riflessione dell’autore sulla cultura e la società dell’epoca, non si tratta di una rappresentazione puramente autentica dei fatti.

    Curiosità

    • Il film è basato sul libro di Hunter S. Thompson, che a sua volta era un resoconto romanzato dei suoi viaggi e delle sue esperienze con droghe psichedeliche negli anni ’70.
    • Johnny Depp si è avvicinato a Hunter S. Thompson per prepararsi per il ruolo, trascorrendo tempo con lui e persino accompagnandolo a eventi pubblici.
    • Il film è stato girato principalmente in California, ma è riuscito a catturare l’atmosfera surreale e unica di Las Vegas e del deserto circostante.

    Spiegazione dettagliata finale (SPOILER)

    Verso la fine del film, Raoul Duke ha un’intensa allucinazione in cui si trova in una stanza d’hotel, circondato da creature strane e inquietanti. Durante questa scena, sembra attraversare momenti di angoscia e confusione. Questa sequenza è emblematica dell’effetto delle droghe psichedeliche e della perdita di contatto con la realtà.

    Verso la fine del film, Raoul e Gonzo sono costretti a lasciare Las Vegas, lasciando alle spalle il caos e la distruzione che hanno causato. La sequenza finale vede Raoul guidare fuori dalla città, riflettendo sulla natura del sogno americano e sulla follia della società. La voce narrante di Raoul esprime un senso di disincanto e disillusione, evidenziando come le loro avventure allucinatorie abbiano messo in luce la falsità e l’ipocrisia del mondo che li circonda.

    La conclusione del film rappresenta una sorta di risveglio per Raoul, che si rende conto dell’assurdità delle sue azioni e dell’illusione dietro il “sogno americano”. La sua riflessione finale porta a una sorta di catarsi personale, anche se il film non offre una risposta chiara o definitiva. L’intera esperienza può essere interpretata come una critica all’eccesso, all’alienazione e alla ricerca di significato in un mondo distorto.

    Tieni presente che questa è solo una possibile interpretazione del finale del film, e il suo stile aperto e surreale permette a ciascuno spettatore di trarre le proprie conclusioni.

    Frasi famose del film / Citazioni

    [Al convegno della polizia] Riconosci i drogati, potrebbe salvarti la vita. Potresti non vedergli gli occhi perché hanno gli occhiali da sole, ma avranno le nocche bianchissime per la tensione interna… e i pantaloni incrostati di sperma per le continue masturbazioni quando non trovano una vittima da stuprare. Barcolleranno e balbetteranno se interrogati e non avranno rispetto per il tuo distintivo. Il drogato non ha paura di nulla: ti attaccherà senza motivo con ogni arma a portata di mano… Compresa la tua. Fa attenzione: qualsiasi agente che arresti un sospetto consumatore di marijuana deve usare immediatamente tutta la forza necessaria. Un colpo in tempo su di lui di solito lo evita… A te! (Bumquist)
    [Parlando di Lucy] Tra meno di un’ora sarà abbastanza lucida da farsi venire un attacco religioso in nome di Gesù al confuso ricordo di essere stata sedotta da uno strano, crudele samoano che l’ha nutrita di alcol e LSD… l’ha trascinata in una camera d’ albergo, dove le ha selvaggiamente penetrato ogni orifizio del suo corpicino col suo palpitante e non circonciso membro! (Raoul Duke)
    [Strafatto di adrenocromo, prima di cadere per terra] Finisci questa tua storia del cazzo!… Cos’è successo… Che c’entrano le Ghiandole?!? (Raoul Duke)
    [Strafatto di adrenocromo] Sto per diventare un quadrupede! Quadrupede! (Raoul Duke)
    Al mondo non c’è nulla di più irresponsabile e depravato di un uomo negli abissi di una sbornia di etere, e io sapevo che ci saremmo arrivati abbastanza presto. (Duke voce narrante)
    Avevamo due buste di erba, settantacinque palline di mescalina, cinque fogli di acido superpotente, una saliera mezza piena di cocaina, un’intera galassia multicolore di eccitanti, calmanti, scoppianti, esilaranti. E anche un litro di tequila, un litro di rum, una cassa di birra, mezzo litro di etere puro e due dozzine di fialette di popper. Non che per il viaggio ci servisse tutta quella roba, ma quando ti ritrovi invischiato in una seria raccolta di droghe, la tendenza è di spingerla più in là che puoi. (Raoul Duke, voce narrante)
    Chi l’ha detto? Chi è che vuole farti a pezzetti? Volevo solo farti una piccola Z sulla fronte. (Avv. Gonzo)
    Con un po’ di fortuna la sua vita sarà rovinata per sempre, pensando che proprio dietro una porta in tutti i suoi bar preferiti, uomini con camicie rosse di lana, provano sballi incredibili con cose che lui non conoscerà mai… (Raoul Duke)
    È una cosa che fa ribrezzo… Questo è aah… aah! Questo è aah… aah! Questo è aah… (Avv. Gonzo)
    Etere diabolico… ti fa comportare come l’ubriacone del villaggio di un romanzo irlandese: perdita totale di ogni elementare capacità motoria, vista offuscata, niente equilibrio, lingua intorpidita. La mente si rifugia nell’orrore incapace di comunicare con la colonna vertebrale, il che è interessante perché ti permette di osservarti mentre ti comporti in quel modo spaventoso ma non puoi farci niente. (voce narrante)
    Fetente! Scoprirò dove abiti e ti brucerò la casa, brutto pezzo di merda! (Avv. Gonzo)
    Fuoco! (Raoul Duke)
    Guida tu. Guida tu! Non credo di essere a posto. (Avv. Gonzo)
    Hai visto!? Un figlio di puttana mi ha spinto da dietro! (Avv. Gonzo)
    Ho visto questi bastardi in Easy Rider non credevo fossero veri, non così, ce ne sono centinaia. (Avv. Gonzo, al convegno dell’antidroga)
    Il circo Bazooko è tutto quello che il mondo alla moda sarebbe al sabato sera se i tedeschi avessero vinto la guerra, è il Sesto Reich. (voce narrante)
    In quella stanza c’erano prove di un eccessivo uso di quasi ogni tipo di droga conosciuta dall’uomo civile dal 1544 dopo Cristo. (Raoul Duke)
    Inutile parlare di pipistrelli pensai… Il povero bastardo presto li avrebbe visti da solo. (Raoul Duke)
    L’acido gli aveva alterato i meccanismi. La prossima fase sarebbe stata probabilmente uno di quegli incubi introspettivi, diabolici e intensi. Quattro ore o giù di lì di disperazione catatonica. (Raoul Duke)
    L’etere stava svanendo, l’acido era sparito da un pezzo, ma la mescalina stava andando forte. (Raoul Duke)
    La parola d’ordine è “una mano lava l’altra”… Quando te la senti dire, risponderai “non temo nulla”. (Raoul Duke)
    Ne hai preso troppo bello… ne hai preso troppo, troppo. (Avv. Gonzo, rivolto a Duke)
    Non fare Moby Dick con me. Io sono Achab. (Raoul Duke)
    Ordina delle scarpe da golf, o non usciremo vivi da questo posto! (Raoul Duke)
    Ormai era tutto finito: avevamo violato tutte le norme che regolavano Las Vegas, sfottendo gli abitanti, oltraggiando i turisti, terrorizzando il personale… L’unica speranza, pensavo, era la possibilità che avessimo talmente ecceduto che nessuno che si trovasse nella posizione di condannarci avrebbe creduto alla cosa. (Raoul Duke)
    Passammo il resto della serata a ramazzare materiali e a stivarli nella macchina, poi ingurgitammo della mescalina e andammo a nuotare. (voce narrante)
    Qualcuno vuole dell’LSD? Ho qui tutto il necessario! Cerco solo un posto per cucinare!. (Hunter Stockton Thompson)
    Quelli di noi che erano stati in piedi tutta la notte non erano dell’umore giusto per caffè e frittelle, volevamo bere forte. Dopotutto eravamo la crema della stampa sportiva nazionale. (Raoul Duke)
    Sappiamo cos’hai in mente. (Avv. Gonzo)
    Siamo tuoi amici… Non come gli altri bello… (Avv. Gonzo)
    Solo un altro orrendo profugo della generazione dell’amore. (voce narrante)
    Sono delle cazzate madornali! Mi trovi al casinò. (Avv. Gonzo)
    Sta’ a sentire brutta testa di merda, sono stato fottuto a sangue nella mia vita da una ragguardevole congrega lercia di meschini irascibili poliziotti fanatici delle regole e ora, è il mio turno… perciò vaffanculo agente… comando io! (Sven)
    Strani ricordi in quella nervosa notte a Las Vegas. Sono passati cinque anni? Sei? Sembra una vita. Quel genere di apice che non tornerà mai più. San Francisco e la metà degli anni sessanta erano un posto speciale e un momento speciale di cui fare parte. Ma nessuna spiegazione, nessuna miscela di parole, musica e ricordi poteva toccare la consapevolezza di essere stato là, vivo, in quell’angolo di tempo e di mondo, qualunque cosa significasse. C’era follia in ogni direzione, ad ogni ora, potevi sprizzare scintille dovunque, c’era una fantastica, universale, sensazione che qualunque cosa facessimo fosse giusta, che stessimo vincendo. E quello, credo, era il nostro appiglio, quel senso di inevitabile vittoria sulle forze del vecchio e del male, non in senso violento o cattivo, non ne avevamo bisogno, la nostra energia avrebbe semplicemente prevalso, avevamo tutto lo slancio, cavalcavamo la cresta di un’altissima e meravigliosa onda. E ora, meno di cinque anni dopo, potevi andare su una ripida collina di Las Vegas e guardare a ovest, e con il tipo giusto di occhi, potevi quasi vedere il segno dell’acqua alta, quel punto, dove l’onda infine si è infranta ed è tornata indietro. (voce narrante)
    Ti pagano per fotterti quell’orso? (Avv. Gonzo)
    Ti prego! Di a questi di tirare fuori le scarpe da golf! (Raoul Duke)
    Trovare le droghe e le camicie, non era stato un problema. Ma la macchina e il registratore non erano facili da rimediare alle sei e mezzo di venerdì pomeriggio a Hollywood. (voce narrante)
    Una delle cose che impari dopo anni che hai a che fare con drogati è che puoi voltare le spalle a chiunque, ma mai voltare le spalle a un drogato. Soprattutto quando ti agita davanti un coltello da caccia affilatissimo. Cosa stavo facendo lì? Che significato aveva quel viaggio? Stavo solo vagando sotto l’effetto di qualche droga, o ero davvero venuto a Las Vegas per scrivere un pezzo? Chi sono queste persone? Queste facce? Da dove vengono? Sembrano caricature di rivenditori di auto usate di Dallas. E, Gesù Benedetto, ce ne sono tantissimi alle 4 e mezza di domenica mattina, ancora ingroppando il sogno americano, quella visione del grande vincitore che emerge dall’ultimo caos peraurorale di un trito casinò di Las Vegas. (Raoul Duke)
  • Che cos’è uno stilema

    Che cos’è uno stilema

    Lo stilema è un concetto utilizzato nella teoria della letteratura per indicare una caratteristica stilistica ricorrente o distintiva all’interno di un’opera o di un autore. Si tratta di un elemento riconoscibile che si ripete e che può essere considerato un marchio distintivo dello stile di scrittura di un autore o di un periodo letterario.

    Gli stilemi possono riguardare vari aspetti della scrittura, come figure retoriche, modalità espressive, temi ricorrenti, schemi linguistici o persino motivi specifici nella trama o nel modo in cui viene presentato il testo. L’identificazione degli stilemi può aiutare gli studiosi a comprendere meglio lo stile e le caratteristiche peculiari di un autore o di un’epoca letteraria.

    Il concetto di stilema può essere esteso anche al contesto cinematografico. Nei film, gli stilemi possono riguardare elementi ricorrenti o distintivi che caratterizzano lo stile di un regista, di un genere cinematografico o di un periodo specifico nella storia del cinema.

    Gli stilemi cinematografici potrebbero includere:

    1. Tecniche di regia: Modalità di ripresa, uso della luce, inquadrature specifiche, movimenti della macchina da presa che identificano il regista o un certo genere.
    2. Motivi visivi o simbolici: Elementi visivi ricorrenti che hanno significati simbolici o tematici all’interno del film.
    3. Stile narrativo: Modi particolari di strutturare la trama, di presentare il racconto o di sviluppare i personaggi che caratterizzano il regista o il genere cinematografico.
    4. Ripetizioni tematiche o di genere: Temi ricorrenti o motivi specifici che si presentano frequentemente nei film di un regista o in un particolare genere cinematografico.
    5. Tecniche di montaggio: Modalità di montaggio o uso della colonna sonora che diventano distintive per un regista o per un periodo specifico del cinema.

    Identificare gli stilemi nei film può essere utile per comprendere meglio il lavoro di un regista, il contesto storico-culturale di un’opera o per analizzare come certi elementi contribuiscano a definire un genere cinematografico. Foto di Dmitriy da Pixabay

  • Sul significato della parola “cinefilo” – Wikicubo

    Sul significato della parola “cinefilo” – Wikicubo

    Un cinefilo è una persona che ama profondamente il cinema. È qualcuno che ha una passione particolare per i film, che apprezza e studia il cinema in modo approfondito. I cinefili non solo guardano film per puro divertimento, ma spesso conoscono la storia del cinema, i registi, gli attori, i generi cinematografici e apprezzano l’arte e la tecnica dietro la creazione di un film. Possono dedicare molto tempo alla visione di film, frequentare festival cinematografici, leggere recensioni o analisi critiche e discutere appassionatamente di cinema.

    Un cinefilo è colui il quale amasi in modo profondo l’arte del cinematografo. È uno che concepisce fervidamente il cinema, che apprecia e studia l’arte cinematografica con profonda intenzione. Non è uomo che guarda i film per diletto ma colui che possiede intelligenza sopraffina della storia del cinematografo, dei direttori, degli attori, e comprende l’arte e la tecnica che formano il film. Ei può dedicare grand’ora alla visione delle pellicole, frequentare rassegne cinematografiche, leggere critiche o discussioni sopra il cinematografo con ardente passione.

    • Cinofilo: Un “cinofilo” è una persona che ama profondamente i cani. Questa parola deriva dal greco antico, dove “cyno” significa “cane” e “filo” deriva da “filia”, che significa “amore”. Quindi, un cinofilo è qualcuno che ha un amore particolare per i cani, si interessa al loro benessere, al loro comportamento e può essere coinvolto nell’allevamento, nell’addestramento o nella cura dei cani.
    • Cinefilo: Un “cinefilo”, come menzionato in precedenza, è una persona che ama profondamente il cinema. Deriva dal greco “kínēma”, che significa “movimento” o “film” e “filo” da “filia”, che significa “amore”. Un cinefilo apprezza i film, studia la storia del cinema, conosce registi, attori e può essere appassionato di discutere film e tendenze cinematografiche.

    Una parola che rima con “filo” potrebbe essere “stilo”. Il termine “stilo” fa riferimento a uno strumento da scrittura, spesso in passato era una penna o uno strumento simile usato per scrivere su tavolette di cera o inchiostro su pergamena.

    In questo codice, abbiamo una classe Cinefilo che ha un attributo amore_cinema, che può essere vero o falso. Il metodo apprezza_cinema() restituisce un messaggio diverso a seconda se il cinefilo ami o meno il cinema. Nell’esempio, abbiamo creato un oggetto persona di tipo Cinefilo che ama il cinema, quindi il messaggio restituito sarà relativo all’apprezzamento profondo per il cinema.

    class Cinefilo:
        def __init__(self, amore_cinema):
            self.amore_cinema = amore_cinema
    
        def apprezza_cinema(self):
            if self.amore_cinema:
                return "Il cinefilo comprende e ama il cinema profondamente."
            else:
                return "Il cinefilo non apprezza a fondo il cinema."
    
    persona = Cinefilo(amore_cinema=True)
    print(persona.apprezza_cinema())
    

    Sia ora l’insieme dei cinefili. ∀c∈C, c è un cinefilo se e solo se c ha un amore profondo per il cinema.

    In simboli matematici, questo sarebbe rappresentato come:

  • Le app di dating ti aiutano solo se stai già sorpassando

    Le app di dating ti aiutano solo se stai già sorpassando

    Ho sperimentato anche io le app di dating per un periodo della mia vita, sia free che a pagamento. Non ne sono rimasto entusiasta, a conti fatti, ad oggi non ne faccio più uso – e, per quanto sembri paradossale, ho vissuto esperienze più concrete usando un social come X (quando ancora si chiamava Twitter) per proporre incontri, che in un paio di casi hanno portato a vedersi di persona. In altri casi, classico due di picche o risposta troppo enigmatica o ambigua perchè valesse la pena insistere. Mi considero una persona autentica, ma non abbastanza da riuscire a fare auto-analisi. Cosa che non farò qui, ci mancherebba altro. So solo una cosa: non incoraggerei mai nessuno a dare credito a queste app, nè su Tinder nè tantomeno su X, anche se non demonizzo affatto chi ne fa uso e si diverte pure. Sono infatti piuttosto convinto che questi strumenti favoriscano gli incontri solo a chi è già “portato” di suo all’incontro, e non possano certamente fare miracoli con tutti gli altri.

    Non voglio dire che non funzionino in assoluto, ovviamente, tantomeno che chi ne sostiene l’uso sia un povero mitomane: dico soltanto che non fanno per me, che non vanno bene per me e che forse mi hanno fatto capire che non sto esattamente cercando una relazione fissa. È lecito sognare, non costa nulla farlo, ma difficilmente sogno di persone conosciute sui social o nell’oscurità di una chat, senza neanche l’assoluta certezza che la persona in questione passi il test di Turing. Certo, poi anche io faccio qualche sogno ad occhi aperti, ogni tanto, un sogno di quelli che si avvinghiano alle tempie e non ti lasciano andare, come una piovra che si annoda sulla tua testa coi suoi tentacoli appiccicosi quando avresti solo voluto una persona vicino a te poco prima di addormentarti. Vuoi mettere l’orrore lovecraftiano di ritrovarsi un polpo appena pescato nel proprio letto?

    Se c’è una cosa che ho capito è che le app di dating funzionano prevalentemente con chi è già socialmente predisposto a farne uso: non potranno funzionare mai, per definizione, con chi si sente maldisposto a farne uso, non ama gli azzardi, socializza con difficoltà, non sopporta l’idea che una persona che sembra carina e garbata online si riveli aggressiva e scostante dal vivo (mi è capitato e probabilmente ho fatto questa impressione qualche volta anche io). Non funzionano neanche con chi tende all’introversione, o teme che il novello Brad Pitt che ha appena conosciuto possa trasformarsi nel nuovo Donato Bilancia.

    Insomma, Tinder e compagnia amplificano l’effetto di chi è già abbastanza sicuro e privo di complessi di suo, dandogli ulteriori possibilità oltre a quelle che potrebbero avere al pub, al circoletto sotto casa, incrociando il vicino di casa per la trentesima volta di fila, ad un concerto heavy metal o hip hop e via dicendo.

    Così, le dating app finiscono per amplificare le dinamiche della vita reale, senza aggiungere nulla di nuovo e limitandosi a imitare ciò che avviene nelle conoscenze dal vivo: stiamo un po’ insieme, parliamo, siamo attratti o meno, poi ci molleremo per sempre senza aggiungere altro o ci ritroveremo a considerarci estranei l’uno dell’altro, sia pure abitando nella stessa casa. Non sono molto ottimista sull’amore, devo riconoscerlo, ma quantomeno ne esistono numerose forme diverse e le persone, se non altro, sono sempre numerose. E per qualche strana statistica, prima o poi girerà bene.

  • La spiegazione del finale di THE SUBSTANCE

    La spiegazione del finale di THE SUBSTANCE

    Gran parte delle recensioni di THE SUBSTANCE hanno definito il film come una dark comedy sull’industria dell’intrattenimento, un coacervo di splatter, sangue e brutture assortite sulla società dello spettacolo. È una chiave di lettura semplicistica e a nostro avviso parziale, che dimentica l’aspetto più essenziale del film stesso: ovvero che si tratta di una critica esplicita e senza mezzi termini alla cultura patriarcale che pervade il mondo apparentemente spensierato dello spettacolo, specie quando finisce per avere a che fare con la sessualizzazione del corpo femminile. Non è un caso, in tal senso, che la regista Coralie Fargeat e già fresca dell’esperienza di Revenge (un film contro la mercificazione del corpo femminile, declinato nel modo meno ovvio possibile: girando un simil rape’n revenge, il sottogenere pulp in voga negli anni Settanta e Ottanta quasi sempre accusato di maschilismo) abbia scelto proprio Demi Moore, icona della sensualità anni Ottanta e Novanta all’età di 61 anni, e con l’aspetto adeguato a mostrarne almeno undici di meno: il suo alter ego giovane diventerà Margaret Qualley, lolita iconica del cinema di Tarantino e, per molti versi, equivalente di ciò che la Moore è stata in passato.

    [DA QUI IN POI SPOILER]

    Il finale del film ha lasciato aperti vari interrogativi negli spettatori, sia per la sua forma apparentemente sconnessa sia per la sostanza di ciò che viene rappresentato. La trama parte dal presupposto che Elisabeth abbia acquistato un siero da internet che le permette di ringiovanire ed andarsene in giro con un corpo rinnovato, con l’unica condizione di lasciare l’altro corpo a riposare sostenuto da cibo sintetico. Il patto è sostanziale, perchè vincola la protagonista a prendersi cura del corpo che disprezzava e che, con l’incedere della trama, mostra di non riuscire a volere. THE SUBSTANCE è molto basato sulla contrapposizione tra la psicologia ferita di Elisabeth (disregolata emotivamente, che guarda alla propria giovinezza prima con nostalgia poi con disprezzo) e quella di Sue che in qualche modo si colloca all’opposto, dato che non mostra particolare interesse per la propria sè anziana e, anzi, arriva ad abusare della sua vitalità al fine di avere più energia sessuale.

    È questo il motivo, in sostanza, per cui Elisabeth invecchia precocemente: perchè Sue è stata talmente priva di scrupoli da “cibarsi” della sua vecchia sè iniettandosi molto più del dovuto il fluido cefalorachidiano dalla spina dorsale. Questo provoca rabbia nella donna che inizia, come vediamo a più riprese, ad ingozzarsi di cibo senza pulire (anche sulla falsariga della ferita emotiva che le ha procurato il suo capo, regalandole un libro di cucina francese per mandarla a casa). Arriva finalmente il momento della festa di Capodanno, che dovrebbe consacrare la figura di Sue come nuova icona della sensualità, come figlia, fidanzata o sorella nazionale, come donna perfetta e impeccabile nei modi, nello stile, nel perpetrarsi del mito dell’eterna giovinezza. Ma è a questo punto che crolla tutto: le scorte di cibo sono finite e non sono state riordinate, gesto a cui potremmo dare una spiegazione in termini freudiani: la pulsione di morte che attecchisce in Elisabeth, che non riesce a conciliare l’istinto di una inutile sopravvivenza eterna con quello di una sottovalutata vecchiaia serena, simboleggiata dalle attenzioni dell’ex compagno di scuola che la corteggerà inutilmente. Sue decide di uccidere Elisabeth, ormai invecchiata oltre misura e che ha tentato di terminare l’esperimento genetico, e sembra che la storia possa finire lì. Il giorno dello spettacolo di Capodanno Sue si accorge tuttavia di aver perso dei denti (molto significativa, a riguardo, la scena in cui il produttore e i finanziatori, tutti maschi oltre i 60 anni, le chiedono di sorridere, cosa che non può fare dato che il sorriso non è più impeccabile), poi perde le unghie e un orecchio e a quel punto, presa dal panico, torna a casa ad iniettarsi il siero residuo, nella speranza di poter generare una “nuova sè” bella come era all’inizio. Il siero pero’ è monouso, e Sue perde i sensi per poi diventare una sorta di mostro informe, che unisce pezzi del corpo di Elisabeth con quelli di Sue, evocando un classico dell’horror come la cosa di John Carpenter (un alieno lovecraftiano che divora gli esseri viventi e ne assume le diverse forme volta per volta).

    Il finale è chiaramente intriso di humor nero: ridotta a un mostro informe e con la foto di Elisabeth a coprirle il viso, si avvia per lo spettacolo di capodanno, grottescamente osannata dallo staff televisivo che notano qualcosa che non va ma non hanno il coraggio di dirle nulla. Sue / Elisabeth sale sul palco in una sala gremita, e a quel punto svela la propria nuova forma, che ovviamente suscita il panico nella popolazione. Il produttore sale sul palco e la decapita, mentre i fiotti di sangue ricoprono il pubblico. Sue / Elisabeth riesce a fuggire, per quel poco che le rimane dei corpi originali, e fa in tempo a posizionarsi sopra la stella che le hanno dedicato all’Hollywood Boulevard. Il corpo finisce di decomporsi, e poco dopo uan macchina per pulire le strade spazza via quel che resta della protagonista. Per come la vediamo, per inciso, il finale è tirato un po’ troppo per le lunghe, ma probabilmente perchè vorrebbe omaggiare una sequenza molto simile che possiamo vedere nel cult splatter Society di Brian Yuzna. Il senso del film è racchiuso tutto qui: a che cosa è servito rigenerarsi, fingersi più giovani o osannare di esserlo, se il nostro destino sarà comunque quello di scomparire per sempre, un giorno?

    Durante la proiezione a cui ho assistito ieri, una ragazza seduta vicino a me ha commentato sconsolatamente dopo la sequenza in questione “era meglio prima!“.