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Cinema, arte, spettacolo e filosofia spicciola.

  • Spaghetti hacker!

    Spaghetti hacker!

    Spaghetti hacker è un libro di culto nel panorama informatico italiano del 1997 (ed. Apogeo). Un panorama che non correva alla stessa velocità dei colleghi degli Stati Uniti, all’avanguardia in ambito informatico grazie a corposi finanziamenti per la tecnologia che, almeno sulla carta, andavano concepiti in ottica guerra fredda per controbattere al vertiginoso equivalente sovietico nell’ambito. E se ARPANET nasce in un chiaroscuro, per cui i “capi” del progetto erano militari o quantomeno seriosi dirigenti statunitensi non propriamente progressisti, mentre chi ci lavorò attivamente era mediamente un convinto contestatore del Sessantotto, l’Italia sicuramente non conobbe lo stesso sviluppo in ambito tecnologico.

    Il libro si incentra essenzialmente sulla storia della diffusione dell’informatica tra i non addetti ai lavori e non professionisti nel nostro paese: parliamo di poche migliaia di smanettone informatici che in alcuni casi, racconta il libro, si costruivano da soli i modem per accedere e provavano a comporre un mitologico numero verde (rimasto attivo e inutilizzato per un certo periodo) che forniva da tanto sospirata connessione ad Internet. Erano tempi particolarmente bui: e non soltanto perché non avevamo smartphone in tasca già connessi ad Internet, ma perché quegli stessi smanettoni si trovarono appiccicati addosso l’etichetta di hacker, accusati delle peggiori nefandezze (terrorismo, pedofilia, pirateria informatica) in un periodo periodo in cui i vuoti normativi abbondavano e non esisteva sostanzialmente alcuna legge specifica che si potesse applicare all’informatica. Oggi, forse, ce ne sono anche troppe, ma moltissime derivano dallo stesso mood: legislatori chiamati a legiferare su tecnologie che non conoscevano troppo, con tutti i limiti (e i tragici equivoci) del caso.

    Quando programmo, spesso mi vedo seduto come una specie di mago Merlino con cappello a cono in testa, lo schermo si trasforma in una specie di sfera di cristallo, nella quale appaiono visioni che si possono capire, divinare attraverso formule magiche incomprensibili. […]

    L’unica ragione “politica” per la quale mi interesso di hacking e di phreaking è che sono profondamente incuriosito verso le tecnologie informatiche, forse sono presuntuoso e anticonformista se dico che questo tipo di tecnologia diventerà talmente importante in futuro al punto da modulare la libertà di ogni singolo individuo.

    (Accendin0)

    Spaghetti hacker è un gustoso sunto dal sapore libertario, non recentissimo ma pur sempre attuale, che paventa la censura di Internet come una vera e propria catastrofe, come suggeriva gran parte della cultura hacker che si sviluppò non solo in Italia nel periodo. Un qualcosa che visto oggi fa sorridere, visto che sono gli utenti stessi di Internet che invocano la censura su determinati contenuti, con una leggerezza ed una no chance che avrebbe lasciato allibito coloro i quali hanno portato Internet in Italia, sia pure spesso comoda artigianali, non ufficiali o (in alcuni casi) non completamente legali.

    Il libro rifiuta l’equiparazione che venne fatta dalle normative dell’epoca per cui a momenti la pirateria informatica era più punita di un omicidio, evidenziando più volte come quelle leggi fossero frutto delle pressioni di lobby di informatica nascenti che avevano tutte l’interesse a farsi tutelare legalmente nelle loro attività. Con vari riferimenti mitologici, soprattutto soprattutto varie hacker che diventavano “quelli bravi col computer”, che andavano a lavorare nelle multinazionali (in molti casi per due soldi), e che venivano assunti da capi che neanche capivano troppo quello che facevano. Una delle prime leggi in ambito informatico italiano è nota come legge Serafini, e anche se non esiste traccia sul web della legge viene citata più volte nel libro in questione.

    Sono tante le tecniche che vengono descritte e per cui sono state rilasciate varie testimonianze anonime (le migliori sono tutte nella fine del libro a mio avviso): si parla di hacker molto giovani che praticavano con disinvoltura cellular phreaking, ovvero la tecnica che consentiva la duplicazione di un numero di telefono (quella che oggi si chiamerebbe clonazione del numero) e che consentiva di utilizzare un telefono altrui a insaputa del proprietario. Oppure ancora le prime BBS che si diffondono in Italia, per cui era nell’ordine delle cose che tutti provassero ad intrufolarsi in quelle degli altri, per segnalare bug del sistema UNIX e per consentire ai sysadmin (amministratori di sistema) di migliorare gli stessi sistemi tecnologici le stesse infrastrutture che abbiamo utilizzato (e continuiamo ad utilizzare) fino ad oggi.

    Perché il punto fondamentale è capire che – al di là della facciata burocratica, tesa a determinare sempre e comunque un colpevole – le violazioni degli hacker sono diventate progresso, piaccia o meno, magari non subito, magari non sempre, ma in molti casi lo sono diventate perchè hanno evidenziato limiti tecnologici e hanno costretto i programmatori ad aggiornarsi, a rimanere sul pezzo, a proteggerci meglio tutti dalle incursioni. Perché l’unico modo per vincere era quello di partecipare a quello strano gioco, che rimaneva comunque confinato nell’ambito del digitale ed in cui soprattutto non c’era l’obbligo di pubblicare le cose a proprio nome, ma era prassi consolidata nascondersi dietro nickname asessuati e spesso tratti dai romanzi di Sterling o di Gibson (vere e proprie bibbie di riferimento per tutti gli hacker dell’epoca). Spaghetti hacker rimane un libro storico che farebbe, ancora oggi, venire i brividi a qualunque politico abbia seriamente parlato di censura di Internet.

    Gran parte del libro utilizza terminologia tecnica dell’epoca e cerca di spiegare come si lavorasse con l’informatica alla fine degli anni 80 e durante tutti gli anni 90: si lavorava in modo artigianale e quasi sempre sistemi open source, che permettevano di essere smantellati e manipolati e piacere con conseguenze a volte nefaste, altre semplicemente divertenti. E questo l’elemento che abbiamo ereditato per l’internet di oggi: in bilico perenne tra divertente e di cattivo gusto, tra illegale e ironico, tra tutto e niente, un lascito colossale e dai confini labili per tutte le generazioni successive di troll, molestatori, ricercatori universitari di giorni e hacker di notte, utenti in fissa con l’anonimato, programmatori C++, smanettoni di ogni ordine grado.

    Già ai tempi di War Games (film del 1983), del resto, era pressappoco consolidato nella cultura di massa cosa fosse un wardialing (comporre più numeri di fila in automatico, fino ad individuarne uno target con determinate proprietà), era pressappoco risaputo che un ragazzino sapesse telefonare gratis sfruttando la linguetta di una lattina (il primo a sfruttare quelle tecniche era stato Kevin Mitnick, condannato negli USA per questa come per altre attività digitali illecite). Ma non solo: era implicito perchè uno volesse penetrare nel sistema di un produttore di videogame (per accaparrarsi l’ultimo titolo in uscita prima degli altri). Vallo a spiegare ad un italiano che accendeva a malapena una televisione e considerava il telecomando la più grande innovazione degli ultimi anni.

    Era altresì noto alla maggioranza dei nerd ottantiani cosa fosse un supercomputer, il tutto mentre le suggestioni da apocalisse nucleare contagiavano viralmente (diremmo oggi) l’opinione pubblica (siamo in piena Guerra Fredda), in un mix confondente di panico, allarmismo e cautela che forse forse non si è esaurito nemmeno oggi. Non solo: si sapeva, quantomeno nei college americani, cosa fosse una backdoor, forse addirittura cosa fosse una realtà virtuale (il supercomputer del film War Games considera, a tutti gli effetti, la guerra simulata come grottescamente equivalente ad una reale). Siamo all’inizio degli anni Ottanta, l’informatica è in fermento, e così iniziano a diffondersi i computer ad uso domestico che entusiasmano gli smanettoni di ogni ordine e grado. In Italia non fu proprio così, ma nonostante tutto qualcosa si mosse.

    È un clima che conosciamo bene, a ben vedere: oggi si parla molto di cyberbullismo ma per la sensibilità d’epoca sarebbe stato considerato eccessivo parlarne, ad esempio. Naturalmente per capire questo aspetto è necessario considerare che gli utenti erano erano tre o quattro ordini di grandezza di meno: se oggi parliamo di decine di milioni di utenti su Internet, infatti, all’epoca erano al massimo qualche decina di migliaia di utenti BBS e simili. L’accento della criminalizzazione del mezzo trasmissivo si vide soprattutto – raccontano gli autori – per chi duplicava i software nelle BBS, per cui gli autori sostengono e smontano, per quanto possibile, le potenziali accuse di ricettazione per chi lo praticava (non per altro: una copia non è una sottrazione ad altri, è “solo” una copia). La storia di Internet la conosciamo, e tutti ricordiamo i casi in cui l’autorità, spesso sfruttando una normativa carente e ambigua, si introducevano nelle case dei ragazzini sequestrando tutti i computer, i monitor e le stampanti, e non semplicemente i dati (che sarebbero stati l’autentico potenziale oggetto di analisi).

    In Italia non si ebbe affatto lo sviluppo indicato nella maggior parte dei libri: per vedere le prime connessioni ad Internet abbiamo dovuto aspettare l’inizio degli anni anni 90. nonostante spaghetti hacker se un libro dotato fa vedere in maniera molto chiara come nascono la gran parte dei fenomeni tecnologici in Italia. Gli autori sono un informatico o un giurista (Chiccarelli e Monti, rispettivamente) che propongono una lettura snella, agevole e dal sapore libertario di quella che poi sarebbe diventata la cultura hacker a tutti gli effetti. Ponendo dilemmi che non si sono risolti neanche oggi, dopo aver trascorso un periodo di forte criminalizzazione delle attività hacker in generale, con una tecnologia di connettività che nel nostro paese si sviluppava poco e male (e si prestava alla speculazione di pochi), e che soltanto con le prime linee ISDN ad inizio Duemila inizierà a diventare un fenomeno di massa a tutti gli effetti.

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  • Black metal e blasfemia for dummies

    Black metal e blasfemia for dummies

    La parola “blasfemo” deriva dal greco “blasphemia” (βλασφημία), che significa “parlare male” o “offendere con le parole”. Il termine è composto da “blaptein” (βλάπτειν), che significa “danneggiare”, e “phēmē” (φήμη), che significa “fama” o “parola”. Quindi, originariamente, indicava un atto di parlare male, specialmente contro qualcosa di sacro o venerato, come Dio o le divinità.

    In italiano, “blasfemo” si riferisce a chi pronuncia parole che offendono la religione, la divinità o qualcosa di considerato sacro.

    In senso religioso, si riferisce a parole o azioni che mancano di rispetto nei confronti di qualcosa considerato sacro o divino. la parola “blasfemo” ha radici nel greco antico, proveniente da “blasphēmós“, che significa “parlare male” o “offendere”. In senso religioso, si riferisce a parole o azioni considerate irriverenti o sacrileghe nei confronti di ciò che è considerato sacro o divino.

    Black metal e blasfemia

    Il black metal delle sue origini, particolarmente nel contesto norvegese degli anni ’90, è stato associato a controversie riguardanti la blasfemia e l’anti-cristianesimo. Alcune band hanno utilizzato immagini, testi e comportamenti estremi per sfidare le convenzioni religiose, spesso attraverso l’uso di simboli religiosi in modo provocatorio o critico.

    Band come Mayhem, Burzum, Darkthrone e Gorgoroth sono state coinvolte in controversie legate alla blasfemia. Ad esempio, Mayhem è stata coinvolta in eventi tragici, come il suicidio del loro chitarrista Euronymous e l’omicidio del cantante Dead. Inoltre, la band ha utilizzato simboli fortemente anti-cristiani e anti-religiosi nei loro testi e nelle loro esibizioni.

    Burzum, il progetto musicale guidato da Varg Vikernes, ha provocato scalpore per le sue posizioni anti-cristiane e il coinvolgimento in atti vandalici contro chiese norvegesi. Vikernes è stato coinvolto anche in azioni legali legate a incendi dolosi di chiese, che sono state interpretate come atti di sfida contro il cristianesimo.

    Gorgoroth è un’altra band che ha suscitato polemiche per le sue esibizioni live, in cui sono state utilizzate rappresentazioni visive e gesti che hanno fortemente criticato e sfidato il cristianesimo, incluso l’uso di croci capovolte e immagini di rituali anti-religiosi.

    Darkthrone è stata nota per la sua musica e i testi che spesso esplorano temi anti-cristiani, anti-religiosi e satanici, anche se la loro provocazione non è stata così esplicita come alcune altre band.

    Queste band hanno adottato un approccio estremamente provocatorio nei confronti delle istituzioni religiose, utilizzando simboli e testi blasfemi per contestare il potere e le norme della società e della religione dominante, anche se questo comportamento ha spesso attirato critiche e polemiche.

    La parola “blasfemo” nella canzone di De André potrebbe essere interpretata come una riflessione sulle azioni umane che vanno contro ciò che è considerato sacro o morale, portando un senso di colpa o disgusto verso se stessi. Il verso potrebbe sottolineare la consapevolezza dell’essere umano riguardo alle proprie imperfezioni e alla capacità di commettere errori contro valori profondamente sentiti.

    Blasfemia come sottogenere adult

    Generalmente, nel mondo del feticismo sessuale, esistono molte preferenze diverse e pratiche che coinvolgono aspetti non convenzionali o tabù.

    Il termine “blasfemia” nel contesto di contenuti adulti può riferirsi a opere, testi o rappresentazioni che trattano temi sacri in modo provocatorio, offensivo o irriverente. In un contesto più generico, “adult” si collega spesso a contenuti che sono destinati a un pubblico adulto per via della natura del loro contenuto, come pornografia o tematiche mature.

    Quando si parla di blasfemia in un contesto adulto, potrebbe riferirsi a rappresentazioni o dichiarazioni che sfidano o ridicolizzano la religione, la spiritualità o figure sacre, e sono spesso utilizzate per suscitare un effetto di shock, critica sociale o satira. In alcune circostanze, questi contenuti potrebbero essere intesi come una forma di libertà artistica o di commento su tematiche religiose, ma altre volte sono considerati offensivi e inappropriati, suscitando controversie.

    La percezione della blasfemia varia ampiamente tra le diverse culture e religioni, quindi quello che potrebbe essere considerato blasfemo in un contesto potrebbe non esserlo in un altro.

    Ovviamente possono suscitare reazioni forti e sono considerate altamente provocatorie e sacrileghe da molte persone, dato che coinvolgono l’uso di linguaggio sacrilego o bestemmie in un contesto sessuale.

    Un blasfemo – De Andrè (spiegazione)

    Il testo di “Un blasfemo” di Fabrizio De André è un’analisi critica e provocatoria della storia biblica dell’Uomo e del Peccato Originale, interpretandola in una chiave di ribellione e critica nei confronti del concetto tradizionale di divinità.

    Il narratore della canzone si presenta come un blasfemo, uno che ha osato mettere in discussione le leggi divine. Viene raccontata la storia di un uomo che non si inchina più di fronte agli ideali religiosi convenzionali e alle regole imposte dalla tradizione. Egli critica aspramente l’interpretazione tradizionale della creazione dell’uomo e del Peccato Originale, sostenendo che Dio non ha arrossito nel privare l’uomo della sua innocenza e nel condannarlo a una vita di sofferenza.

    La canzone affronta in modo provocatorio e critico alcuni concetti fondamentali della tradizione religiosa, sottolineando l’idea che l’uomo non sia stato ingannato da Dio, bensì dalla creazione stessa di regole e limiti imposti da qualcuno che è venuto dopo. Si mette in discussione l’idea di un divino che controlla le azioni umane e impone delle restrizioni, portando l’uomo a vivere in un “giardino incantato”, una sorta di mondo illusorio dove si è costretti a sognare ciò che è stato imposto come verità.

    De André utilizza la figura del blasfemo come una sorta di ribelle che sfida le convenzioni religiose e morali, invitando a riflettere sulle regole imposte dall’alto e sulla libertà individuale di interpretare la realtà e la fede in modo autonomo. La canzone offre una prospettiva critica e provocatoria, invitando l’ascoltatore a mettere in discussione le verità stabilite e a esplorare nuove prospettive sulla religione, sulla morale e sull’esistenza umana.

    Mai più mi chinai e nemmeno su un fiorePiù non arrossii nel rubare l’amoreDal momento che Inverno mi convinse che DioNon sarebbe arrossito rubandomi il mio
    Mi arrestarono un giorno per le donne ed il vinoNon avevano leggi per punire un blasfemoNon mi uccise la morte, ma due guardie bigotteMi cercarono l’anima a forza di botte
    Perché dissi che Dio imbrogliò il primo uomoLo costrinse a viaggiare una vita da scemoNel giardino incantato lo costrinse a sognareA ignorare che al mondo c’e’ il bene e c’è il male
    Quando vide che l’uomo allungava le ditaA rubargli il mistero di una mela proibitaPer paura che ormai non avesse padroniLo fermò con la morte, inventò le stagioni
    Mi cercarono l’anima a forza di botte
    E se furon due guardie a fermarmi la vitaÈ proprio qui sulla terra la mela proibitaE non Dio, ma qualcuno che per noi l’ha inventatoCi costringe a sognare in un giardino incantatoCi costringe a sognare in un giardino incantatoCi costringe a sognare in un giardino incantato

    Uso di bestemmie come intercalare regionale

    L’uso di bestemmie o linguaggio blasfemo come intercalare regionale è un fenomeno linguistico che può variare notevolmente da una cultura o regione all’altra. In alcune aree del mondo, l’uso di bestemmie o termini considerati blasfemi può essere comune tra le persone durante la conversazione quotidiana e potrebbe essere accettato in modo più rilassato rispetto ad altre regioni.

    Ad esempio, alcune culture potrebbero considerare l’uso di bestemmie come una forma di espressione colorita o un modo di esprimere frustrazione, mentre in altre culture tali parole possono essere estremamente offensive o considerate inaccettabili. Ciò può variare non solo da un paese all’altro, ma anche all’interno di diverse regioni all’interno di uno stesso paese.

    Tuttavia, è importante notare che, indipendentemente dalla cultura, l’uso di bestemmie può essere considerato offensivo in contesti formali o professionali. Pertanto, è fondamentale essere consapevoli del contesto e dell’audience quando si utilizzano espressioni di questo tipo.

    Nel Lazio, così come in molte altre regioni italiane, l’uso delle bestemmie o del linguaggio blasfemo può essere parte del linguaggio colloquiale di alcune persone. Ci sono espressioni e intercalari che vengono utilizzati in situazioni informali e che possono includere termini considerati blasfemi o legati a concetti religiosi. Anche qui, l’uso di bestemmie può essere interpretato in vari modi da diverse persone. Alcuni potrebbero considerarlo un modo comune di esprimere frustrazione o enfatizzare un discorso senza attribuire un significato religioso specifico. Tuttavia, ci sono persone che potrebbero percepirlo come irrispettoso o offensivo.

    È importante considerare che, nonostante possa essere parte del linguaggio comune in alcune situazioni informali, l’uso di bestemmie potrebbe non essere appropriato in contesti formali o professionali. Come in molte culture, l’uso di queste espressioni può essere soggetto a variazioni individuali e dipende anche dalle sensibilità personali delle persone coinvolte nella conversazione.

    Nel Veneto, così come in molte altre regioni italiane, l’uso delle bestemmie o del linguaggio blasfemo può essere parte della conversazione quotidiana per alcune persone. Ci sono espressioni e intercalari considerati più comuni in certe regioni, e il Veneto non fa eccezione. In alcune situazioni informali o nel parlato colloquiale, alcune persone potrebbero utilizzare espressioni considerate blasfeme senza attribuire loro un significato religioso specifico. Questo uso potrebbe essere più una forma di espressione emotiva o di enfasi piuttosto che un atto intenzionale di irriverenza religiosa. Tuttavia, è importante sottolineare che l’uso di bestemmie può essere percepito in modo molto diverso da persona a persona e può essere considerato offensivo da alcuni, specialmente in contesti più formali o professionali.

  • Internet è l’orrore di Dunwich

    Internet è l’orrore di Dunwich

    Nel cuore di una campagna desolata, lontano dagli sguardi curiosi e dalle luci della città, sorgeva un piccolo villaggio dimenticato chiamato Dunwich. I suoi abitanti erano per lo più contadini e allevatori, gente semplice che viveva con rispetto e timore di antiche leggende locali. Il villaggio, ormai in rovina, nascondeva un oscuro segreto che si tramandava di generazione in generazione. Ma oggi, in un’era moderna e digitale, l’orrore di Dunwich aveva trovato un nuovo terreno di caccia: Internet.

    L’Inizio dell’Orrore

    Il dottor Armitage, un rispettato accademico dell’Università di Miskatonic, aveva passato la sua vita a studiare l’occulto e le antiche scritture. Un giorno, durante una delle sue ricerche più recenti, si imbatté in un manoscritto crittografato recuperato dalle rovine della casa dei Whateley, un tempo dimora di una famiglia sospettata di praticare arti oscure.

    A differenza di altri testi esoterici che aveva analizzato, questo manoscritto non era scritto in una lingua aliena o sconosciuta, ma in una crittografia avanzata. Armitage capì subito che non avrebbe potuto decifrarlo con i metodi convenzionali. Dopo settimane di studio intenso, immerso nei trattati crittografici di Tritemio, Giambattista Porta e Vigénère, egli scoprì che il testo era in inglese, nascosto da un ingegnoso sistema di codici noto solo agli iniziati al culto degli innominabili dèi.

    La Connessione con Internet

    Con l’avvento di Internet, l’orrore di Dunwich trovò un nuovo mezzo per diffondersi. Le leggende locali, una volta limitate alle voci bisbigliate e ai racconti del fuoco, si trasferirono nei forum online e nei blog oscuri. Armitage, consapevole dei pericoli, cercò di avvisare la comunità accademica e il pubblico sui rischi nascosti nel cyberspazio. Ma le sue parole caddero nel vuoto, considerato un visionario paranoico.

    Tra le pieghe del web, nei recessi più bui della rete, cominciarono ad apparire frammenti del manoscritto crittografato. Hackers e appassionati di esoterismo cercarono di decifrarli, attirati dalla promessa di conoscenze proibite e poteri arcani. Senza saperlo, stavano risvegliando forze che avrebbero dovuto rimanere sopite.

    L’Apocalisse Digitale

    Gli effetti della diffusione del manoscritto non tardarono a manifestarsi. Persone comuni iniziavano a sperimentare visioni inquietanti, incubi popolati da creature innominabili e frammenti di realtà che si sgretolavano davanti ai loro occhi. Come nel racconto originale di Dunwich, pochi potevano vedere la creatura, ma tutti ne avvertivano gli effetti devastanti.

    Un gruppo di giovani informatici, ignari del pericolo, crearono un software che, secondo loro, avrebbe permesso di decifrare automaticamente il manoscritto. Il programma funzionò, ma conterrà molto più di semplici parole. Risvegliarono una presenza che si diffuse attraverso la rete, corrompendo dati, spegnendo interi sistemi e seminando caos.

    La Rivelazione di Armitage

    Il dottor Armitage, comprendendo che l’apocalisse era imminente, si rifugiò nella sua biblioteca, tentando disperatamente di trovare un modo per fermare l’orrore che aveva preso vita. Usando tutto il suo sapere crittografico e occulto, riuscì a decifrare l’ultima parte del manoscritto.

    La rivelazione fu agghiacciante: il testo conteneva istruzioni per aprire un portale tra il nostro mondo e una dimensione popolata da divinità mostruose. Un’operazione complessa, ma inevitabile ora che il manoscritto era stato decifrato e diffuso. Internet, con la sua capacità di connettere miliardi di persone, era diventato il mezzo perfetto per completare il rituale.

    Il Sacrificio Finale

    Armitage capì che l’unico modo per fermare il rituale era distruggere tutte le copie digitali e fisiche del manoscritto. Ma il web è vasto e le informazioni viaggiano veloci. Chiamò a raccolta un gruppo di fidati accademici e hacker etici, i quali iniziarono una disperata corsa contro il tempo per eliminare ogni traccia del manoscritto.

    Nelle profondità di Internet, la battaglia tra le forze del bene e del male infuriò. Ogni frammento eliminato sembrava generare nuovi codici e messaggi, come un’idra digitale. Alla fine, Armitage, in un ultimo atto di sacrificio, decise di connettere la sua mente al cyberspazio, diventando un firewall, bloccando il passaggio delle entità mostruose.

    Il sacrificio del dottor Armitage rallentò l’inevitabile, ma l’orrore di Dunwich non fu completamente sconfitto. Rimase nascosto, in attesa, tra le pieghe del cyberspazio, pronto a risvegliarsi alla minima occasione. Gli uomini di più ampio intelletto sanno che la linea tra il reale e l’irreale è sottile e che le cose appaiono come sembrano solo grazie ai delicati strumenti attraverso cui le percepiamo. In un mondo sempre più connesso, la vera minaccia non è ciò che possiamo vedere, ma ciò che si nasconde nell’ombra digitale, pronto a scatenarsi.

     

    https://www.gutenberg.org/cache/epub/50133/pg50133-images.html
    https://www.gutenberg.org/cache/epub/50133/pg50133-images.html
  • Viviamo in una simulazione?

    Viviamo in una simulazione?

    Prova ad immaginare un mondo che corrisponda ad una gigantesca simulazione, anche solo per un attimo. Nel mondo che stai immaginando, ogni individuo esisterebbe all’interno di una realtà virtuale anziché in quella fisica. Questa idea richiama concetti di realtà virtuale, realtà aumentata e simulazioni avanzate, sempre più realistiche.

    Il concetto è stato ampiamente sfruttato nel cinema (Inception, Matrix, eXistenZ, Strange Days, Ghost in the shell sono solo alcuni esempi) ma possiede la piccola pecca di dare per scontato che sia possibile definire il reale con certezza, o quantomeno darne per buona la consistenza. Cosa tutt’altro che ovvia, dato che la realtà assume tratti sempre più fluidi ed il dilagare di post verità e teorie del complotto propende, anche a costo di autentiche psicosi collettive, per rendere più plausibile un realtà intersoggettivo, relativo e relativizzante, tutt’altro che assoluto come si potrebbe pensare.

    Per Jacques Lacan ciò che chiamiamo “reale è qualcosa che non può essere pienamente compreso o integrato nella coscienza umana: è l’aspetto della realtà che sfugge alla simbolizzazione, al linguaggio e all’elaborazione razionale. È un’area di esperienza che in alcuni casi, soprattutto, può generare nell’individuo un senso di disagio e inquietudine. Il reale è ciò che non può essere rappresentato completamente o simbolizzato, ed è quindi difficile da afferrare o definire. Oltre ad essere non rappresentabile, può essere associato ad esperienze disagianti o traumatiche, non può essere necessariamente razionalizzato, e si lega comunque alla dimensione simbolica (linguaggio, convenzioni sociali) e immaginaria (illusioni, fantasie) pur rimanendo ben distinta dalle due. Se immaginiamo di vivere in una simulazione ciò può avere delle conseguenze a livello di rottura del piano immaginario, ad esempio, che si troverebbe a collassare su quello del reale arrivando a coincidere con lo stesso.

    Viviamo in una simulazione?

    Come potrebbe funzionare un mondo del genere, del resto, è subito detto: ogni persona vivrebbe in una realtà simulata, dove percepirebbe tutto ciò che accade intorno a loro come se fosse reale. Tutto, dagli oggetti agli altri individui, verrebbe creato tramite avanzati sistemi di simulazione. Ciò presupporrebbe anche un problema di ordine tecnocratico, dato che la creazione e la gestione di una simulazione di scala così ampia e complessa avrebbero sfide tecniche immense, dall’elaborazione delle interazioni in tempo reale alla risoluzione di problemi di potenza di calcolo. Si porrebbe anche, peraltro, il problema ricorsivo di rappresentare tecnologicamente la tecnologia stessa. Gli individui potrebbero comunicare tra loro all’interno della simulazione, proprio come facciamo nelle piattaforme di social media o nei giochi online oggi, e le interazioni potrebbero essere estremamente realistiche e coinvolgenti. Ma rimarrebbe il dilemma del vivere in una rappresentazione virtuale di cui non scorgiamo gli estremi ed i margini. Potrebbe pertanto sorgere il dibattito se questa simulazione sia “reale” tanto quanto la realtà fisica, e cosa significhi la coscienza in un contesto completamente virtuale.

    vivere in una simulazione per Midjourney significa un uomo seduto su una poltrona che sbircia da una porta molto ampia un mondo bucolico quanto cittadino, ricco di contraddizioni

    L’immagine che ha disegnato l’intelligenza artificiale di Midjourney rappresenta un’interessante fusione tra mondi contrastanti, catturando la dualità tra il rurale e l’urbano, la tranquillità e l’attività frenetica. Questo concetto richiama alla mente concetti di realtà virtuale, mondi simulati e l’idea di esplorare e sperimentare ambienti contrastanti attraverso una porta, che potrebbe rappresentare una sorta di interfaccia tra il mondo reale e quello virtuale.

    La coesistenza di elementi bucolici e cittadini all’interno di questo mondo simulato può essere interpretata come una riflessione sulla complessità della vita moderna, in cui la natura e la tecnologia, la calma e l’agitazione convivono. Potrebbe suggerire anche la capacità di esplorare diversi aspetti dell’esistenza umana, passando dalla tranquillità dei paesaggi rurali alle opportunità e alle sfide delle ambientazioni urbane.

    Le contraddizioni presenti in questo mondo simulato possono rappresentare una rappresentazione simbolica delle tensioni e delle dinamiche che spesso caratterizzano la società e l’esperienza umana. Questo concetto richiama alla mente questioni filosofiche riguardanti la natura della realtà, l’identità individuale e la percezione soggettiva.

    In definitiva, un mondo in cui ognuno vive in una simulazione aprirebbe un vasto territorio di possibilità, ma comporterebbe anche sfide significative e solleva domande profonde sulla natura della realtà, della coscienza e dell’identità.

  • Guida pratica al Koi no yokan nel cinema

    Guida pratica al Koi no yokan nel cinema

    L’espressione “koi no yokan” è spesso utilizzata per descrivere quel momento di riconoscimento quando due persone si incontrano per la prima volta e sentono che c’è qualcosa di speciale o una connessione profonda che potrebbe portare a un legame romantico. Si tratta di una sensazione più sottile e profonda rispetto all’amore a prima vista, e implica un senso di previsione o intuizione riguardo al futuro della relazione.

    L’espressione “koi no yokan” non è stata spesso utilizzata come titolo diretto di film, ma il concetto di intuizione o prescienza dell’amore è stato affrontato in vari film con trame romantiche o drammatiche. Ecco alcuni film che potrebbero riflettere il concetto di “koi no yokan” o presentare elementi simili.

    500 giorni insieme

    “500 giorni insieme” (500 Days of Summer, 2009) – Questo film racconta in modo non lineare la storia di una relazione amorosa, evidenziando i momenti di intuizione e previsione riguardo al destino della relazione.

    Il film “500 giorni insieme” (500 Days of Summer) è una commedia romantica/drammatica del 2009 diretta da Marc Webb e interpretata da Joseph Gordon-Levitt e Zooey Deschanel nei ruoli principali. La peculiarità di questo film è che racconta la storia non in modo cronologico, ma seguendo le giornate non consecutive di una relazione tra Tom e Summer.

    La trama ruota attorno alla relazione tra Tom Hansen (interpretato da Joseph Gordon-Levitt), un giovane scrittore di biglietti di auguri, e Summer Finn (interpretata da Zooey Deschanel), una donna che lavora come assistente in ufficio. Tom sviluppa rapidamente una cotta per Summer, e la storia segue le loro interazioni lungo 500 giorni, che non sono presentati in ordine cronologico.

    Il film esplora vari temi legati all’amore, alle aspettative e alle percezioni nelle relazioni:

    1. Aspettative vs. Realtà: Il film sottolinea come spesso le aspettative che una persona ha nei confronti di un partner o di una relazione possano divergere dalla realtà. Tom idealizza Summer e proietta su di lei le sue visioni di un amore perfetto, ma scopre che le loro prospettive sulla relazione differiscono.
    2. Natura soggettiva dell’amore: “500 giorni insieme” mette in evidenza come due persone possano percepire e vivere una relazione in modi molto diversi. Mentre Tom è profondamente innamorato e vede il rapporto con ottimismo, Summer tende a prendere le cose più leggermente e non si impegna nello stesso modo emotivo.
    3. Straniamento e riflessione: La struttura non lineare del film consente agli spettatori di vedere il contrasto tra i giorni in cui Tom e Summer sono felici insieme e quelli in cui la relazione sta cadendo a pezzi. Questo permette al pubblico di riflettere sulla natura mutevole delle relazioni e su come gli eventi influenzino le emozioni.
    4. Autenticità: Il film mette in discussione l’idea di cercare la perfezione in una relazione e sottolinea l’importanza di essere autentici e onesti con se stessi e con il partner.

    In sostanza, “500 giorni insieme” offre una visione realistica e spesso riflessiva dell’amore, mostrando come le relazioni possono essere complesse, imprevedibili e spesso non corrispondere alle aspettative. La trama non convenzionale e la narrazione non lineare consentono di esplorare l’evoluzione emotiva dei personaggi in modo unico e coinvolgente.

    Prima dell’alba

    Prima dell’alba” (Before Sunrise, 1995) – Prima dell’alba è un film del 1995 diretto da Richard Linklater. La trama segue Jesse e Céline, due giovani che si incontrano casualmente su un treno in Europa. Decidono di trascorrere una notte insieme a Vienna, condividendo conversazioni profonde e connessioni emotive. Il film esplora il concetto di incontri fugaci e la possibilità di un’intimità profonda anche in un breve lasso di tempo, e si ispira ad un incontro con una donna realmente avvenuto al regista: la stessa morì tragicamente poco prima dell’uscita del film

    Orgoglio e pregiudizio

    “Orgoglio e pregiudizio” (Pride & Prejudice, 2005) – Basato sul romanzo di Jane Austen, il film segue la storia d’amore tra Elizabeth Bennet e Mr. Darcy, che attraversa ostacoli sociali e personali mentre riconoscono gradualmente i loro sentimenti reciproci.

    “Orgoglio e pregiudizio”, il celebre romanzo scritto da Jane Austen e pubblicato nel 1813, racconta la storia dell’amore tra Elizabeth Bennet e Mr. Darcy, esplorando temi di classe sociale, orgoglio, pregiudizio e cambiamento personale. Anche se il termine “koi no yokan” è di origine giapponese e il romanzo non è ambientato in Giappone, possiamo analizzare il concetto di “koi no yokan” in relazione a questa storia.

    In “Orgoglio e pregiudizio”, potremmo considerare l’evoluzione della relazione tra Elizabeth e Mr. Darcy come una forma di “koi no yokan”. All’inizio del romanzo, Elizabeth ha dei pregiudizi verso Mr. Darcy a causa della sua apparente arroganza e della sua influenza sociale. Darcy, a sua volta, sembra sentirsi superiore agli abitanti di Hertfordshire, compresa Elizabeth. Tuttavia, quando Darcy inizia a conoscerla meglio e osserva il suo carattere forte e intelligente, comincia a vedere in lei qualità che non aveva inizialmente riconosciuto.

    Possiamo applicare l’idea di “koi no yokan” al momento in cui Darcy inizia a vedere in Elizabeth la possibilità di una connessione più profonda e significativa. Questo cambio di prospettiva potrebbe essere visto come una forma di intuizione o riconoscimento di un potenziale legame romantico futuro. Darcy, nonostante le sue resistenze iniziali, inizia a sviluppare un sentimento profondo per Elizabeth, che si trasforma gradualmente in amore.

    In modo simile, Elizabeth, che all’inizio del romanzo è scoraggiata dalle azioni e dall’atteggiamento di Darcy, nel corso della storia inizia a capire la sua vera natura e a riconoscere che il suo orgoglio potrebbe essere frutto di preoccupazione e devozione. Questo riconoscimento potrebbe essere interpretato come una forma di “koi no yokan”, in cui Elizabeth percepisce una possibilità di un cambiamento nel loro rapporto e nella loro connessione.

    Quindi, anche se il termine “koi no yokan” è di origine giapponese e il romanzo è ambientato in un contesto e un’epoca diversi, possiamo vedere elementi di questa idea nella progressione della relazione tra Elizabeth e Mr. Darcy in “Orgoglio e pregiudizio”. Sia Darcy che Elizabeth sperimentano una sorta di intuizione o prescienza riguardo a un possibile cambiamento nel loro rapporto, che alla fine si traduce in un amore profondo e duraturo.

    La proposta

    La proposta” (The Proposal, 2009) – Questa commedia romantica affronta il tema della relazione forzata che evolve in qualcosa di più genuino e profondo nel tempo. l film racconta la storia di Margaret Tate (interpretata da Sandra Bullock), una donna di affari canadese che rischia l’espulsione dagli Stati Uniti a causa del suo visto scaduto. Per evitare il problema, decide di ingannare le autorità dichiarando di essere fidanzata con il suo giovane assistente, Andrew Paxton (interpretato da Ryan Reynolds). Ecco alcuni dei significati e dei temi chiave presenti nel film “La proposta”:

    Matrimonio di convenienza: Il film affronta il tema di un matrimonio di convenienza inizialmente basato su interessi personali e motivazioni pratiche, ma che nel corso del tempo evolve in qualcosa di più autentico. Questo aspetto mette in luce come le relazioni possano cambiare e crescere anche da basi non tradizionali.

    Scoperta personale: Sia Margaret che Andrew attraversano un processo di scoperta personale durante il film. Margaret, una donna d’affari distante e poco emotiva, inizia a comprendere la bellezza delle relazioni umane sincere e l’importanza di aprirsi agli altri. Andrew, d’altro canto, impara a valorizzare se stesso e le sue aspirazioni.

    Cambiamento di prospettiva: Il film affronta il tema del cambiamento di prospettiva, poiché i personaggi si rendono conto che c’è molto di più nella vita rispetto al successo professionale o agli obiettivi personali. Questo cambiamento aiuta a spingere i personaggi verso una comprensione più profonda delle proprie motivazioni e desideri.

    Connessione umana: L’aspetto romantico del film mette in evidenza l’importanza di una connessione umana autentica. La relazione inizialmente fittizia tra Margaret e Andrew si trasforma gradualmente in qualcosa di genuino e sentimentale mentre condividono esperienze e momenti insieme.

    Umorismo: Come nella maggior parte delle commedie romantiche, l’umorismo è un elemento centrale nel film. Gli imprevisti, le situazioni imbarazzanti e le interazioni tra i personaggi creano momenti comici che contribuiscono a rendere il film leggero e divertente.

    Serendipity

    Serendipity – Quando l’amore è magia” (Serendipity, 2001) – Questo film racconta la storia di due persone che si incontrano casualmente e poi cercano di ritrovarsi nel corso degli anni, sottolineando il concetto di destino e connessione speciale. “Serendipity” è un termine inglese che si riferisce a una scoperta o a un evento felice e fortuito che avviene in modo casuale o per caso, mentre si cerca qualcos’altro. Questo termine è spesso usato per descrivere situazioni in cui qualcuno trova qualcosa di prezioso, utile o interessante senza averlo cercato attivamente, ma proprio perché è capitato inaspettatamente lungo il percorso. L’origine del termine “serendipity” può essere ricondotta all’antica storia persiana dei “Tre principi di Serendippo“, in cui i protagonisti facevano scoperte sorprendenti e casuali durante i loro viaggi. Questa storia ha contribuito a definire il concetto moderno di “serendipity” come una sorta di fortuna accidentale che porta a una scoperta inaspettata o a una soluzione creativa.

    Notting Hill

    Notting Hill” (1999) – Il film ruota attorno all’incontro casuale tra un libraio e una famosa attrice, esplorando come una connessione iniziale possa svilupparsi in qualcosa di più profondo. “Notting Hill” è una commedia romantica che segue la storia di William Thacker (interpretato da Hugh Grant), un libraio che vive a Notting Hill, un quartiere di Londra. Un giorno, la famosa attrice di Hollywood Anna Scott (interpretata da Julia Roberts) entra nella sua libreria. Tra loro nasce una connessione casuale, e nonostante le loro diverse vite, iniziano a sviluppare una relazione. Anna cerca di sfuggire alla sua vita di celebrità e trova in William un rifugio dalla fama. Tuttavia, affrontano sfide e ostacoli causati dalle differenze nel loro stile di vita e dalle pressioni dei media. La storia si sviluppa attraverso momenti comici, romantici e di confronto interiore mentre i due cercano di bilanciare le loro vite diverse e trovare un modo per essere insieme. Il film esplora temi di fama, identità personale, e l’idea che l’amore possa superare le barriere sociali e culturali. Con il suo tono leggero e romantico, “Notting Hill” offre uno sguardo sulla dinamica di una relazione tra due persone provenienti da mondi completamente diversi.

    Ricorda che mentre questi film possono affrontare temi di connessione e intuizione nell’amore, potrebbero non essere specificamente etichettati come basati su “koi no yokan”. Tuttavia, se sei interessato a storie che esplorano l’idea di un amore che si sviluppa attraverso l’intuizione e la prescienza, questi film potrebbero risultare affini al concetto.

    Psicologia del koy no yokan

    Koi no yokan“, l’idea di percepire istantaneamente una connessione romantica o un potenziale legame amoroso con qualcuno appena incontrato, può essere interpretata attraverso diverse lenti psicologiche.

    1. Intuizione sociale: La psicologia suggerisce che le persone abbiano un’abilità innata di riconoscere segnali sociali sottili, come linguaggio del corpo, espressioni facciali e toni di voce. Quando si tratta di “koi no yokan”, l’intuizione sociale potrebbe giocare un ruolo chiave nel rilevare segni non verbali di interesse reciproco e compatibilità in una persona appena incontrata.
    2. Schema mentale: Gli esseri umani hanno tendenza a categorizzare e organizzare le informazioni in schemi mentali. Se qualcuno incontra una persona che corrisponde a determinati attributi o qualità desiderabili che sono stati predefiniti nel loro schema di un partner ideale, potrebbe scattare un senso di riconoscimento e connessione immediata.
    3. Empatia e sintonia emotiva: La capacità di empatizzare con gli altri e percepire le loro emozioni può facilitare un senso di intimità e connessione immediata. Se due persone si trovano in uno stato emotivo simile o sono in grado di captare le emozioni dell’altro, potrebbe verificarsi una sensazione di “koi no yokan”.
    4. Cognizione inconscia: Molti processi cognitivi avvengono a livello inconscio. La mente potrebbe elaborare e analizzare sottili segnali e informazioni mentre si interagisce con qualcuno, portando a un senso di riconoscimento e connessione senza che la persona sia consapevole di tutti i dettagli coinvolti.
    5. Attenzione selettiva: La nostra attenzione può essere selettiva, concentrandosi su aspetti specifici di una persona o situazione. Se qualcuno si concentra su elementi positivi e affini a ciò che desidera in un partner, potrebbe percepire istintivamente una connessione più profonda.
    6. Effetto placebo: In alcune situazioni, le aspettative personali o le speranze possono influenzare la percezione e creare una sorta di “effetto placebo” nel quale si percepisce una connessione speciale con qualcuno semplicemente perché ci si aspetta che ciò avvenga.

    È importante sottolineare che la percezione di “koi no yokan” è soggettiva e varia da persona a persona. Mentre alcuni potrebbero attribuire questa sensazione a fattori inconsci o intuizioni, altri potrebbero vedervi una coincidenza o un caso fortuito. La psicologia può fornire spiegazioni plausibili, ma la natura complessa e unica delle relazioni umane fa sì che queste esperienze rimangano in gran parte un mistero.