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  • Fantasmi da marte: il western fantascientifico di John Carpenter

    Fantasmi da marte: il western fantascientifico di John Carpenter

    2176: la polizia viene inviata su Marte per prelevare un pericoloso detenuto. Scoprirà che le cose non vanno troppo bene, da quelle parti…

    In breve: film semplice e diretto di un Carpenter meno pioneristico del solito. Sparatorie, esecuzioni sommarie, azione ed una trama sottile quanto godibile.

    In Italia i B-movie hanno assunto soprattutto significato di film di bassa qualità. Questa definizione wikipediana, a mio avviso superficiale, pone una base indiretta per discutere di questo film del Carpenter post-2000, considerato di minor valore rispetto alla produzione precedenti. Partirei dal fatto che considero sbagliata, fuorviante, generica – oltre che stereotipata – la definizione di b-movie appena letta: i film di serie B sono molto di più, anche solo per il loro proporsi con coraggio ed originalità. Ad oggi, del resto, nonostante realtà come Nocturno si siano battute per decenni al fine di conferire un carattere autoriale (o se non altro dignitoso) a qualsiasi film del genere, resta una considerazione di fondo: il pubblico va a vedere film come Fantasmi da marte, e rimane perplesso. In sostanza la sensazione è che manchi qualcosa – o forse no: non si capisce con chiarezza. La mia secondo visione di questo film del 2005 con Ice Cube e Natasha Henstridge non ha cambiato, in buona sostanza, la mia valutazione sintetica che è poco meno che sufficente (nonostante aspettative altissime: vidi il film al cinema, la prima volta).

    Il pianeta rosso diventa qui teatro di una storia che richiama in parte “Distretto 13: le brigate della morte“, “La cosa“, “Fuga da New York“: un film dichiaratamente autocelebrativo, pertanto, che pare abbia fatto la gioia dei fan del regista sfiorando a più riprese il rischio di risultare asetticamente ibrido. Un regno di violenza incontrollata si instaura a causa di una nube (chi ha detto The fog?) sprigionata dagli scavi di una scienziata presente sul posto- particolare lovecraftiano della storia. Per il resto ci sono buoni personaggi, poco budget e discreti – rispetto al contesto – effetti speciali.

    La contrapposizione tra polizia e criminalità viene ancora una volta a cadere, in Fantasmi da Marte, perchè il resto del mondo conosciuto sembra essersi rivoltato in un terrificante tutti contro tutti nel quale pochi sopravviveranno. La valenza metaforica di questa ennesima opera di Carpenter, a mio avviso leggermente inferiore alla media ma comunque dignitosa, nonostante qualche “trashata” di troppo ed il senso di “riciclaggio” che prova lo spettatore nel vedersi propinare sempre le stesse sparatorie (quanto western, in Carpenter), gli stessi dialoghi.

    In fondo la Henstridge (eroina tosta quando conturbante) è il classico protagonista del Carpenter post-apocalittico, una sorta di Jena Plinski iper-modernizzata: cupa, lontana da compromessi, solitaria e guidata da una lealtà ed un senso di giustizia che la rendono quasi anacronistica. Regista che, per la cronaca, non risparmia prese di posizione politiche come già fatto in quasi ogni sua pellicola.

    Godiamoci pure, in definitiva, queste chicche di cinema “underground” senza pretendere più del dovuto.

  • La la land: cast, trama, curiosità, significato del finale

    La la land: cast, trama, curiosità, significato del finale

    Ecco alcune informazioni su “La La Land“, il celebre e citatissimo film musicale del 2016.

    Cast Principale

    • Ryan Gosling nel ruolo di Sebastian Wilder
    • Emma Stone nel ruolo di Mia Dolan
    • John Legend nel ruolo di Keith
    • Rosemarie DeWitt nel ruolo di Laura Wilder

    Storia

    “La La Land” è una storia d’amore ambientata a Los Angeles, che segue due aspiranti artisti, Mia e Sebastian. Mia è un’aspirante attrice che lavora come barista, mentre Sebastian è un pianista jazz che sogna di aprire il suo club. I due si incontrano casualmente e si innamorano mentre cercano di perseguire i loro sogni a Hollywood. Il film esplora le sfide che affrontano nel mondo dell’arte e la lotta tra inseguire le proprie passioni e la necessità di compromessi nella vita quotidiana.

    Regia

    “La La Land” è stato diretto da Damien Chazelle, che ha anche scritto la sceneggiatura. Chazelle ha vinto l’Oscar per la Miglior Regia per il film.

    Produzione

    Il film è noto per il suo stile visivo e musicale distintivo. È stato girato in location reali a Los Angeles e presenta numeri musicali elaborati e coreografie che richiedevano una pianificazione e una coreografia molto dettagliate.

    Stile

    “La La Land” è un omaggio ai classici musical di Hollywood e presenta una combinazione di elementi moderni e un’estetica vintage. Il film è noto per le sue lunghe sequenze di ballo e canto che ricordano il cinema musicale degli anni ’40 e ’50.

    Sinossi

    Il film segue Mia e Sebastian attraverso le loro vite mentre cercano di raggiungere i loro sogni artistici e navigano attraverso le sfide e le scelte che si presentano loro. La musica è un elemento chiave del film, con canzoni originali che contribuiscono a raccontare la storia e ad esprimere le emozioni dei personaggi.

    C’è una scena che è stata oggetto di molte discussioni sulla questione mansplaning, in cui il personaggio di Ryan Gosling, Sebastian, discute di jazz con alcuni amici. In questa scena, Sebastian spiega la sua passione per il jazz e cerca di “educare” i suoi amici, tra cui una donna e una persona di colore, sulla complessità e l’importanza del genere musicale. Questa scena può essere interpretata da alcuni come un esempio di mansplaining, poiché Sebastian sembra assumere il ruolo di esperto e condividere la sua conoscenza sulla musica jazz con gli altri, anche se potrebbero avere le loro opinioni e conoscenze (e soprattutto potrebbero saperlo più di lui). La scena è parte integrante della caratterizzazione del personaggio di Sebastian nel film e della sua passione per il jazz, e rimane dubbia nella sua effettiva accezione: da un lato il problema certamente c’è, ed è analogo a certo whitewashing che affligge serie TV e film (soprattutto remake), dall’altro il fatto che sia oggetto di negazionismo ad oltranza da parte di certa critica o pubblico suggerisce che, quantomeno, il problema è reale, per quanto travalichi l’essenza della storia e la sinossi stessa (che non sembra propriamente da film pensato per fare politica, anche se per certuni tutto vi si riconduce).

    Curiosità

    • “La La Land” ha ricevuto numerose nomination e premi, incluso l’Oscar come Miglior Film, sebbene alla fine sia stato superato da “Moonlight.”
    • La colonna sonora del film, composta da Justin Hurwitz, è stata molto apprezzata e ha vinto numerosi premi, tra cui l’Oscar per la Miglior Colonna Sonora Originale.
    • Il film è stato girato in modo da dare l’illusione di essere stato realizzato in un’unica ripresa, il che ha richiesto una notevole pianificazione e coordinazione.

    Spiegazione Dettagliata del Finale (presente spoiler)

    Alla fine del film, Mia e Sebastian hanno preso strade diverse per perseguire i loro sogni. Mia ha avuto successo come attrice e si è trasferita a Parigi per lavorare in un film, mentre Sebastian ha aperto il suo club jazz di successo. Si incontrano casualmente quando Mia si trova a Los Angeles per una visita, così finiscono per cenare insieme. Durante la cena, si svolge una sequenza onirica che mostra come sarebbe potuta essere la loro vita se avessero, al tempo, fatto diverse differenti. I due tornano alla realtà e riconoscono che le loro vite hanno preso direzioni diverse, ma si mostrano grati per il tempo che hanno passato insieme e per il fatto che si sono ispirati reciprocamente a inseguire i loro sogni.

    Si separano con un sorriso e un addio amorevole. Il finale di “La La Land” è una riflessione sulla natura dei sogni, delle passioni e delle scelte nella vita. Mentre Mia e Sebastian non finiscono insieme come coppia, il loro amore e il loro impatto l’uno sull’altro rimangono significativi.

  • Le fantasie di una tredicenne: non il film che sospetti che sia

    Le fantasie di una tredicenne: non il film che sospetti che sia

    Horror surrealista noto con molteplici titoli (Valerie a týden divu nell’originale cecoslovacco, Valerie and her Week of Wonders nella versione internazionale), Le fantasie di una tredicenne è un film sui generis girato tra Slavonice e Praga, nel periodo estivo: cosa che è facile dedurre dal clima bucolico che caratterizza già le prime atmosfere, contrapposta a quelle algide e antiche della casa in cui vive protagonista.

    Si ispira al romanzo omonimo di Vítězslav Nezval (Valeria e la settimana delle meraviglie, un titolo decisamente più onesto delle fantasie di una tredicenne), in cui Valerie è un’orfana di tredici anni che vive con la nonna Elsa – anziana donna fredda, caratterizzata da un pallore da autentica morta vivente e fervente religiosa – in una vecchia abitazione di campagna. Valerie sembra non aver mai conosciuto i propri genitori, e l’unico ricordo che la ragazzina ha in merito sono degli orecchini della madre. Il film, di fatto, presenta un tono sostanzialmente fantasy-favolistico (vedi il personaggio con la maschera da furetto che si aggira nei pressi della casa e sembra interessato agli orecchini) e riguarda la scoperta dell’amore (e del sesso) da parte della protagonista. Il tutto con una componente soft-core che, vista oggi, probabilmente sembra quasi ingenua, e che è funzionale ad una trama che non manca di mostrare l’aspetto orrorifico della vicenda, mescolando – spesso in modo impercettibile – sogno e realtà. È altresì inutile, poi, cercare di trovare un senso in Valerie, che vive di surrealismo puro – inteso come nuovo livello di realtà, alternativo o frammisto a ciò che viviamo e a quello che ci tormenta nella vita di ogni giorno.

    L’astrattismo della trama (specie in quel finale onirico, sostanzialmente aperto) si esplica in una storia anche piuttosto difficile da ricomporre, che viene raccontata in modo non sequenziale e che sublima una contraddittoria (e molto umana, a ben vedere) attrazione-repulsione della protagonista verso il mondo della sessualità. Il tutto attraverso un gioco di allusioni simboliche spesso implicite, altre più chiare (il vino versato sul tavolo ad indicare il ciclo mestruale). Se da un lato, poi, la religione si svela nella propria ipocrita e bigotta concezione di vita, la naturale propensione per la sessualità viene fuori tra accenni, paure e riferimenti criptici, in un modo che comunque colpisce lo spettatore (all’epoca dell’uscita del film, per inciso, la protagonista Jaroslava Schallerová aveva 14 anni). Rimane pur sempre un film incentrato sul tema del vampirismo, comunque, che presenta (nella figura del vampiro donna, specificamente) qualche punto di contatto con il successivo Near dark. La misteriosa danza del finale del film, in qualche modo, finisce per avere una valenza liberatoria quanto, forse, altrettanto illusoria (dato che la protagonista è sola nell’ultimo fotogramma).

    Se è ovvia la metafora della ricerca della vita eterna, meno ovvio è che (a dispetto di premesse che farebbero pensare ad un film erotico puro) si tratta di un lavoro dai toni eleganti, mistici e sostanzialmente sobri. Firmando segretamente un contratto con il misterioso vampiro (lo zio dell’amante della protagonista, a quanto pare), la nonna di Valerie ottiene la vita eterna e, per questo, appare improvvisamente ringiovanita. Molta importanza assume poi, nel film, il sentimento del senso di colpa per la sessualità, che sembra voler tormentare Valerie (senza riuscirci troppo), anche grazie al supporto simbolico degli orecchini che peraltro la salvano da un rogo (immediato il messaggio, qui: la spontaneità giovanile viene malintesa e considerata satanica in un mondo più vecchio di lei). In questo il fantasy favolistico, quasi insolito per un film incentrato sui vampiri, assume una valenza tale da rendere tremendamente originale il film, e rendere la sua visione un must, dal quale farsi assorbire completamente e senza porsi troppi interrogativi.

  • Il giorno del venerdì santo: una delle migliori interpretazioni di Bob Hoskins

    Il giorno del venerdì santo: una delle migliori interpretazioni di Bob Hoskins

    Harold Shand è il potentissimo boss della criminalità londinese, le cui attività illecite (tra cui la costruzione della sede dei Giochi Olimpici a London Docklands) vengono seriamente messe in pericolo da una catena di attentati ed omicidi effettuati da ignoti…

    In breve. Un capolavoro del gangster-thriller ottantiano, condotto dal centralissimo personaggio di Harold Shand, ex gangster ed uomo d’affari privo di scrupoli, che si muove nella metropoli londinese tra autorità corrotte, le attività ostili dell’IRA, l’entrata del Regno Unito nella Comunità Europea ed il governo liberale della Thatcher.

    Noto in Italia con svariati titoli (Quel lungo venerdì santo, Quel venerdì maledetto o Il giorno del venerdì santo, secondo IMDB), The long good friday si perde in atmosfere puramente metropolitane, pub fumosi, party esclusivi, strade affollate e misteriosi scambi di merce. La performance di Bob Hoskins è uno dei principali meriti di questo film, ruolo studiatissimo dall’attore per cui, a quanto pare, volle parlare direttamente con autentici ganster londinesi (che a quanto pare presenziarono alla prima del film). Harold è il prototipo dell’affarista privo di scrupoli, ancora ligio alla mentalità criminosa che l’ha portato al successo e travolto progressivamente da una realtà più grande di quanto non si potesse aspettare, a dimostrazione di una perenne ed iconica vulnerabilità. C’è poco da discutere, quindi, sul fatto che The long good friday sia uno degli migliori film di genere anni ’80, in realtà al limite di una autentica autorialità. Chi ha un conto in sospeso con Harold Shand? La chiave di lettura del film è questa, e lo spettatore è guidato sapientemente attraverso la soluzione di questo enigma da una regia sempre avveduta e di grande eleganza.

    Dopo un crescendo di avvenimenti incalzanti (e qualche lungaggine narrativa, perdonabile data l’ampiezza del contesto) emerge un ritratto da manuale di ciò che non doveva essere troppo diversa dalla Londra anni ’80; il finale, poi, tra i migliori mai visti su uno schermo per il genere, assesta il colpo di grazia in termini di bellezza. Il protagonista paga la propria eccessiva fiducia in sè, trovandosi in una situazione decisamente inaspettata in cui notevolissima, in questi termini, è il lavoro sull’espressività del personaggio, in grado di comunicare stati d’animo contrastanti di tristezza, rabbia, frustrazione e rassegnazione senza dire una sola parola (al momento delle riprese gli venne richiesto di mantenere l’espressione per ben cinque minuti, senza pause). Il suo ghigno tra il sarcastico, il rassegnato ed il rabbioso è diventato iconico, ed entrato nel cinema di ogni tempo.

  • La casa è l’horror di culto di Sam Raimi (1981)

    La casa è l’horror di culto di Sam Raimi (1981)

    Un gruppo di amici si reca in una casa sperduta per trascorrere un weekend: al suo interno troveranno alcuni orrori sepolti che non aspettavano che si essere risvegliati…

    In breve. Cult assoluto degli anni 80, imperdibile per ogni fan dell’horror che si rispetti, segna la nascita di Ash come personaggio iconico – nonchè pseudo-fumettistico. Carico di orrore, tensione e paura; nonostante gli effetti artigianali un gran film, per quanto surclassato leggermente dal secondo episodio.

    Se c’è qualcosa che un appassionato di horror non può non conoscere, assieme a Nightmare ed alla saga di Venerdì 13, è proprio La casa: diventato nel tempo un vero e proprio archetipo di paura su pellicola, fu anche uno dei film più criticati dal punto di vista morale (e anche per questo, forse, di maggiore successo di botteghino). Le motivazioni possono rintracciarsi essenzialmente nell’apparato demonologico dell’opera, vagamente ispirato a Lovecraft a partire dal “Necronomicon ex mortis” trovato dentro la baita, e forse soprattutto nella scena dello stupro di Cheryl da parte del subdolo demone, che sfrutta i rami di un albero per i propri scopi.

    Quello che è sicuro è che “La casa”, realizzato con vari espedienti che oggi farebbero sorridere (il sangue bianco per abbassare il livello splatter ed evitare la mannaia censoria), consolidò – se non inventò di sana pianta – il trend dei “film con case maledette“, tanto che si inaugurò una vera e propria saga che fu, diversamente da altre opere del periodo e dai primi quattro Nightmare, un crescendo di divertimento, qualità e paura. Questo è l’episodio forse più scarno della serie ma, come dicevo all’inizio, va visto un po’ per forza di cose – anche perchè il suo remake, raro caso, è girato con grande attitudine ed è un ulteriore punto di forza da tenere in considerazione. Qui possiamo goderci una delle migliori serie orrorifiche di ogni tempo, perchè questi b-movie mantengono un sapore speciale ancora oggi – e soprattutto sono alleggeriti della pretenziosità che spesso accompagna certi horror “da intenditori”.

    Per la cronaca del belpaese, la Filmirage di Joe D’Amato realizzò, sulla scia del successo di botteghino della saga, alcuni seguiti apocrifi con titoli cambiati e dal risultato discutibile, con vari registi nostrani come Fragasso e Lenzi si cimentarono alla regia.