GODERE_ (jouissance) (44 articoli)

In termini lacaniani, il concetto di “godere” è collegato al concetto di “jouissance“. Quest’ultimo non si riferisce semplicemente al piacere fisico o al godimento sensoriale, ma piuttosto ad un concetto complesso e psicoanalitico legato alla sfera psichica e sessuale.

Secondo Jacques Lacan, la jouissance va oltre il semplice piacere e può comportare una sorta di sofferenza o di eccesso che supera i limiti del desiderio. È legata alla tensione tra il desiderio e la sua realizzazione, e spesso implica una sorta di mancanza o di impossibilità di raggiungere pienamente ciò che si desidera.

Nella teoria lacaniana, la jouissance può essere divisa in due forme: la jouissance phallique, che è più associata al piacere fisico e all’appagamento delle pulsioni, e la jouissance dell’Altro, che è più complessa e implica un’esperienza più profonda e problematica, legata alla relazione con l’Altro, con il desiderio e con la struttura stessa del linguaggio e dell’inconscio.

In sostanza, il concetto di godere in senso lacaniano è collegato a una forma di piacere che supera i confini della soddisfazione diretta e coinvolge una complessa dinamica psichica e relazionale.

  • Io, Caligola: un film scabroso a sette facce, rinnegato da chiunque

    Io, Caligola: un film scabroso a sette facce, rinnegato da chiunque

    L’imperatore Tiberio sta per morire, e convoca il successore Caligola, suo nipote, dedito ad una vita più dissoluta della sua.

    In breve. Sesso esplicito e violenza nella Roma decadente dell’epoca: ecco la storia di Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico vista dalla regia di Tinto Brass. In verità, questo è vero solo sulla carta. Il film ebbe una produzione travagliatissima, il regista venne licenziato prima della fine dei lavori e ci furono incalcolabili problemi con la censura (e con varie forme di boicottaggio).

    Se la Mirren (che nel film interpretava il personaggio Cesonia) commentò sobriamente dopo la fine delle riprese di “un mix irresistibile di arte e genitali“, Rogert Ebert parlò di “vergognosa spazzatura“, stigmatizzandone la partecipazione di attori di grosso calibro. Il Malcom McDowell di Arancia Meccanica interpreta Caligola, e la scelta sembra essere felicissima – fa anche sorridere che qualche movenza dell’imperatore decadente per eccellenza ricordi quella di Alex, soprattutto quando cerca falsamente di convincere chi teme (autorità o rivali al potere che siano) che la situazione sia sotto controllo. Non valgono a molto, viste oggi, le pesanti critiche che vennero mosse a Caligula, anzi lette oggi sembrano piuttosto fini a se stesse, come spesso accade nel caso di film banditi dal genere umano per scelta di uno o più censori: naturale pensare anche a Morituris.

    Quattro furono gli anni necessari per girare questo film, che in Russia fu vietato fino al 1993, in Australia fino al 1981; bisognerà aspettare il 1984 per la versione uncut vietata ai minori, “lusso” che durò qualche anno, perchè di divieti assoluti ne arrivarono altri due, nel 2005 e nel 2010. In Brasile Io, Caligola venne trasmesso in TV solo parzialmente, per poi sparire per sempre in seguito alle proteste degli spettatori (che non videro mai la seconda metà). In Bielorussia, poi, questo film non circola neanche oggi. Un vero e proprio “bollettino di guerra“, insomma, per uno dei film che – come avvenuto anche per La fortezza di M. Mann, ad esempio. – avrebbero potuto essere qualcosa di memorabile, se solo ci fosse stata unità di intenti e – mi permetto di aggiungere – rispetto delle libertà artistiche.

    Basato su un’idea dello scrittore Gore Vidal, il soggetto è fortemente incentrato su un focus sul mondo dell’omosessualità, che pero’ nella pellicola si nota solo in parte (eufemismo per non scrivere molto poco). Il girato vide un primo cambio di rotta nell’imposizione di Bob Guccione (produttore, oltre che regista, di alcune sequenze aggiunte/manipolate in seguito), il quale temeva, con la scelta di mostrare rapporti gay, di andare contro i gusti del famigerato “grande pubblico”. Per protesta Vidal non volle farsi accreditare tra gli autori, ma venne comunque pagato 225.000 dollari, a quanto risulta.

    Non si può dire che Caligula sia nato sotto una buona stella, e questa prima discrepanza artistica fu solo l’inizio di una storia che vide scandali, licenziamenti, soldi investiti e mai più recuperati, critica schierata militarmente contro il film e via dicendo. Parliamo di quello che, secondo IMDB, fu uno dei film indipendenti (quando fare film indie non era roba da hipster, forse) più costosi della storia, che diede lavoro a più di 1500 persone tra attori, tecnici, addetti ad effetti speciali e via dicendo. Eppure, paradosso dei paradossi, a nessuno sembra importare della sostanza del film, che – sia pur nei suoi eccessi erotici – sembrava addirittura esserci, per quanto un film manipolato ad arte possa consentire. Caligula è significativo ancora oggi per quanto rientri nelle grandi occasioni mancate (e non per colpa di un singolo, beninteso) perchè sarebbe forse potuto essere una delle migliori trasposizioni storico-decadenti sull’Imperatore in questione. Parliamo di pure speculazioni, ovviamente, che mai potremo provare o smentire, ma tant’è.

    Tra gli attori che non vollero farsi coinvolgere nel progetto, per la cronaca, troviamo sia Orson Welles, il quale indicò motivi morali per questi diniego, e Maria Schneider, che aveva iniziato a girare le prime scene – ma che venne sostituita perchè in imbarazzo nel girare le scene di incesto (l’imperatore Caligola aveva infatti una relazione incestuosa con la sorella Drusilia). Del resto le sequenze grevi nel film non mancano: al di là di nudi più o meno artistici o necessari cosparsi in tutto il film, molte sequenze finiscono per evocare una lettura da cinema pasoliniano, dove l’obiettivo è quello di esorcizzare gli abusi del Potere mediante la rappresentazione di sesso e decadenza. Brass (e/o Guccione) non risparmia nulla e mostra scene di sesso di gruppo, omosessuale quanto eterosessuale, inasprendo le stesse in modo imprevedibile (si vede anche una castrazione punitiva, ad esempio, ed una brutale sodomia) e rendendo gli atti stessi quasi indispensabili al mantenimento di un impero che, con Caligola, sembrava avviarsi alla rovina.

    Stai assistendo alla … distruzione dell’Urbe!

    Una delle scene più note, del resto (lo stupro di Proculo e della sua promessa sposa) è una chiara metafora modello A Serbian Film, in cui si condanna e si esemplifica l’arbitrio e la prepotenza del potere (ovviamente personificato da Caligola) nei confronti di chi, come viene detto apertamente, ha come paradossale “colpa” quella di aver servito fedelmente Roma. Se il principio a cui si ispira l’Imperatore è degradato, pertanto, è chiaro che qualsiasi personaggio retto sarà condannato per colpa di un diabolico contrappasso. Ed in quest’ottica la sodomizzazione di Proculo (che McDowell rifiutò di girare, e Brass trasformò in un brutale fisting non inquadrato), probabilmente fu ancora più traumatizzante per lo spettatore. Per inciso, durante la scena in questione, più volte l’Imperatore invita la vittima ad assistere ad occhi aperti, omaggiando implicitamente la cura Ludovico di kubrickiana memoria.

    Io, Caligola meriterebbe, al netto dei dettagli controversi ad ogni latitudine, una riscoperta se non una rivalutazione filologica (ammesso che sia lecito farlo) anche solo per la maestosa interpretazione di Malcom McDowell nella parte dell’imperatore, che arrivò – per dirne una – ad inventarsi una scena di sana pianta, decisamente suggestiva, in cui il personaggio ha una sorta di esaurimento nervoso, giusto mentre invoca Giove sotto la pioggia battente. Per Gore Vidal, pero’, la natura del personaggio sarebbe dovuta essere quella di un uomo buono, corrotto dalla smania del potere; per Brass, più coerentemente con un’antropologia pessimista, Caligola era invece un “mostro nato. Sono noti peraltro dissapori tra Brass e Vidal, in cui il regista italiano lamentava una scarsa filmabilità del soggetto proposto che lo portò a rivedere il senso di molte scene, e rigirarle a modo proprio.

    Salvo poi entrare in contrasto anche con Guccione che, da semplice produttore, pretendeva di avere un (per noi inconcepibile) controllo della regia. Tra l’altro, con una differenza stilistica sostanziale: Guccione sembrava prediligere un film con attori avvenenti e scene pornografiche esplicite per “fare cassa“, Brass – per contestualizzare l’ambientazione decadente – avrebbe preferito filmare brutture, anche nel sesso (pensiamo ad esempio alla donna con tre occhi, decisamente surreale ma efficace in tal senso). L’idea di Brass sarebbe stata, stando a IMDB, addirittura quella di far recitare autentici criminali con la condizionale, per rendere l’idea, mentre il sesso – a differenza di altri suoi film in cui assume una valenza giocosa e liberatoria – sarebbe dovuto essere più shockante che eccitante.

    Come andò a finire è storia: insensibile alla filosofia decadente (e forse a qualsiasi filosofia in generale), Guccione licenziò Brass prima della fine del girato, curando arbitrariamente e senza supervisione l’edit finale, che quindi possiamo considerare un “apocrifo” di Brass (di cui il regista parla, lecitamente, poco volentieri). A quanto pare, inoltre, la fama di “film maledetto” deriva anche dalle scelte del produttore e del tecnico al montaggio Baragli, che decisero di assemblare in modo arbitrario le sequenze e di togliere di mezzo vario girato che, ovviamente, non sappiamo precisamente se il regista avrebbe mantenuto o meno.

    Un film che sembra nato sotto una maledizione, di cui tanti (troppi?) hanno scritto e che nessuno, in effetti, sembra aver davvero visto in una qualche forma final cut. Questo anche per una ragione pratica: la versione italiana è stata mutilata, in alcune edizioni, di tutte le scene erotiche (e di qualcuna porno, presente nell’uncut e forse voluta / girata da Guccione), per cui l’unico modo per vedere una versione simile a quella che si sarebbe voluta è quella di reperirlo in lingua originale su DVD.

    Sulle versioni di Caligula, poi, bisogna fare una breve digressione: sono numerosissime le versioni che circolano di questa pellicola. Wikipedia italiana ne conta sette, di cui quella di 156 min (uncut o integrale, del 1979, di cui pero’ circa 6 minuti sono stati girati da Guccione), ed una da 133 min (versione italiana, del 1984). Esistono almeno due versioni in cui le scene hardcore non sono presenti (che sono ovviamente più brevi), anche se in questo caso è improprio parlare di Director’s cut, visto che fu il produttore ad aver preso il controllo della situazione. Nel Regno Unito, poi, circolerebbe (secondo IMDB) una versione da 2 ore e 39 minuti con le scene hardcore sostituite da altre, che poi sarebbe diventata misteriosamente più corta nell’edizione successiva (1 ora e 42 minuti). Contrariamente a varie voci circolanti sui forum, poi, non esiste alcuna versione da più di tre ore: l’equivoco deriva da una durata indicata erroneamente nel programma del Cannes Trade Festival (da non confondersi con il Festival di Cannes che finisce, ogni anno, sotto i riflettori). Sarebbe quindi il caso (?) di riprendere in mano l’uncut del film, che sono circa due ore e mezza di girato, e vederlo (possibilmente non in presenza di minori ed impressionabili vari) prima di emettere un giudizio.

    Tra le ulteriori curiosità, una sequenza pornografica girata da Guccione dovrebbe coinvolgere Anneka Di Lorenzo (modella di Penthouse ed indimenticabile infermiera in Vestito per uccidere); a quanto pare, la donna fece causa al produttore per molestie sessuali e per avergli rovinato la carriera. La conclusione della storia fu piuttosto beffarda, perchè la donna vinse la causa ma non riuscì mai a recuperare i soldi del risarcimento (se non, racconta IMDB, per la quota simbolica di 4 dollari e 6 centesimi).

  • Eyes wide shut: cast, sinossi, spiegazione

    Eyes wide shut: cast, sinossi, spiegazione

    Il film “Eyes Wide Shut” è stato diretto da Stanley Kubrick ed è stato prodotto da Stanley Kubrick insieme a Jan Harlan. Il film è stato rilasciato nel 1999 ed è basato sul romanzo “Dream Story” di Arthur Schnitzler. La trama ruota attorno alle vicende di un medico, interpretato da Tom Cruise, e sua moglie, interpretata da Nicole Kidman, mentre esplorano la sessualità e la gelosia in una società di alto livello.

    Cosa vuol dire eyes wide shut

    È bene analizzare il film – che è complesso e multistrato, molto più di altri lavori kubrickiani, a ben vedere – a partire dall’ossimoro presente nel titolo: Eyes wide shut (“occhi chiusi spalancati”, ovvero occhi serrati) si contrappone alla nota espressione eyes wide open (che invece significa occhi spalacati). È chiaro che esiste un riferimento al rimosso freudiano, a ciò che questa coppia benestante (apparentemente perfetta dall’esterno) non sa o non vuole dirsi, a cominciare dalle fantasie che non realizza e che finisce per considerare come sovversive per il rapporto stesso di coppia.

    Il racconto della fantasia erotica di Alice

    La sequenza del racconto della fantasia erotica in “Eyes Wide Shut” è una delle sequenze più enigmatiche e affascinanti del film.  La scena del sogno è aperta a molte interpretazioni, ed è un elemento chiave nella narrazione del film in quanto riflette la confusione, l’incertezza e il desiderio del personaggio di Bill mentre si trova immerso in un mondo di segreti sessuali e misteri. Di fatto, scardina il tabù attorno all’idea della donna fedele e prima di impulsi sessuali, e apre le danze al turbine di contraddizioni, crisi e ansie del protagonista.

    A ben vedere, infatti, il film parte quando il personaggio interpretato dalla Kidman racconta di una fantasia erotica che ha pensato (sull’ufficiale di marina con cui sogna di fare del sesso, al punto da rimanerne ossessionata e che, senza mezzi termini, avrebbe lasciato marito e figli per ottenerlo), che finisce semplicemente per ingelosire il marito (Cruise).

    Non c’è stato alcun tradimento, almeno in apparenza, ma l’interpretazione del dottor Harford non gli lascia scampo, e auto-alimenta la sua frustrante gelosia. Perchè in fondo nessun sogno è soltanto sogno, come si ribadirà solo alla fine. Al tempo stesso, la complessità del personaggio di Alice, pronta ad abbandonare una vita lussuosa solo in apparenza appagante, rileva un meccanismo inconscio che è stato soggetto ad una ulteriore interpretazione: che possa esistere qualcosa che controlla dall’esterno le nostre menti, o che non tutto sia razionale nè controllabile come ci piace credere. Secondo alcune vecchie interviste di Kubrick ai tempi di Arancia Meccanica, peraltro, il romanzo da cui è tratto (Doppio sogno di Schnizler) “esplora l’ambivalenza sessuale di un matrimonio felice e cerca di equiparare l’importanza dei sogni e degli ipotetici rapporti sessuali con la realtà”, che è esattamente quanto emerge nella narrazione fin dalle prime fasi del film.

    Di Razzairpina – Eyes Wide Shut, Copyrighted, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=1636190

    In secondo ordine, dopo che Bill si allontana dalla moglie ed inizia a vagare per la città, si imbatte nel party segreto che è diventato l’epitomo del film, la sua sublimazione assoluta: perchè nelle condizioni frustranti del protagonista, incapace di andare con una prostituta e di accettare le avances di altre donne, nulla sembra più liberatorio della magia sessuale. Le maschere, i corpi nudi, la parola d’ordine all’ingresso (Fidelio, come l’unica opera lirica di L. W. Beethoven ma anche, per derivazione, fidelio come fides, fedeltà – nel senso coniugale del termine, e tenendo  altresì conto che l’opera citata parla di una donna che si traveste da uomo per salvare il marito).

    Cast

    Il cast principale del film include:

    1. Tom Cruise – Dr. Bill Harford
    2. Nicole Kidman – Alice Harford
    3. Sydney Pollack – Victor Ziegler
    4. Todd Field – Nick Nightingale
    5. Marie Richardson – Marion Nathanson
    6. Rade Šerbedžija – Mr. Milich

    Questo film è noto per la sua atmosfera intensa e provocatoria ed è stato oggetto di dibattiti e discussioni a causa delle sue scene sessuali esplicite e del suo corposo “non detto” di natura psicologica. Stanley Kubrick, uno dei registi più iconici della storia del cinema, ha diretto questo film poco prima della sua morte nel 1999: “Eyes Wide Shut” è stato uno degli ultimi progetti a cui aveva pensato, e ha suscitato un grande interesse e curiosità da parte di critica e pubblico.

    La scena della festa in maschera

    La sequenza della festa nel film “Eyes Wide Shut” è una delle scene più iconiche e discusse del film, oltre che le più analizzate per quello che riguarda eventuali significati esoterici insiti in essa. Questa sequenza avviene nella seconda metà del film, quando il personaggio di Tom Cruise, il Dr. Bill Harford, viene invitato a una festa segreta e misteriosa organizzata da un circolo elitario chiamato “La Società” (The Society) che coinvolge riti sessuali in maschera.

    La festa si svolge in una lussuosa residenza in una location sfarzosa e decadente. Gli ospiti indossano maschere che nascondono le loro identità, creando un’atmosfera di segretezza e mascheramento. La sequenza è caratterizzata da un’atmosfera sognante e surreale, con una fotografia eccezionale e una colonna sonora coinvolgente. Questa combinazione di elementi cinematografici contribuisce a creare una sensazione di straniamento. Il Dr. Harford, una volta entrato nella festa, inizia a scoprire i segreti e le dinamiche sessuali nascoste dietro le porte chiuse dell’alta società. Si imbatte in rituali erotici, individui mascherati che si abbandonano ai loro desideri e anche in situazioni di potenziale pericolo.  La sequenza è densa di simbolismo, con riferimenti a rituali occultati, maschere che rappresentano l’anonimato e la perdita dell’identità personale, e il tema della sessualità repressa. La sequenza mette in evidenza la tentazione che il Dr. Harford prova e il suo graduale coinvolgimento in questo mondo segreto e pericoloso. La sua curiosità e il suo sconvolgimento crescono man mano che la festa si svolge. La sequenza della festa genera molte domande senza risposta, e il film in generale è aperto a diverse interpretazioni. Di fatto, dopo che il Dr. Harford esce dalla festa sembra che la sua comprensione della realtà e della sua relazione con sua moglie sia cambiata profondamente.

    Il sogno nel sogno

    Eravamo in una città deserta, senza vestiti. Eravamo nudi, ed io ero terrorizzata, e mi vergognavo, ed ero arrabbiata perchè pensavo fosse colpa tua

    Eyes wide shut è costellato da sequenze grottesche che si alternano con altre drammatiche, atte ad evidenziare la crisi della coppia protagonista. In una serie di sussulti narrativi imprevedibili nei quali la figura maschile è quasi sempre spiazzata e sa reagire solo d’istinto, mentre la figura femminile manifesta sempre più la propria imprevedibile fragilità, Kubrick costruire una trama lacerante e dal forte sapore psicoanalitico. Senso di colpa, gelosia, mancanza di fiducia sono i temi portanti della narrazione, e vengono portati all’estremo per dissacrare il senso di falso possesso che il protagonista pensa di avere nei confronti della moglie.

    Quella dei “sogni dentro i sogni” è una sequenza altrettanto emblematica, che sembra richiamarsi ai piani di realtà inquadrata da certa psicoanalisi, come si diceva prima. Se si parla di doppio sogno, come certa critica ha fatto, è anche per richiamarsi all’opera da cui è tratto liberamente il film, ovvero Doppio sogno del drammaturgo Arthur Schnitzler.

    Spiegazione del finale

    Il film “Eyes Wide Shut,” diretto da Stanley Kubrick, si conclude con un finale aperto e ambiguo che lascia molte interpretazioni possibili. Il protagonista, il dottor Bill Harford (interpretato da Tom Cruise), si trova alla fine del film in una sorta di confronto con sua moglie, Alice Harford (interpretata da Nicole Kidman), dopo una serie di eventi strani e sconvolgenti che hanno coinvolto un culto segreto sessuale e una serie di personaggi misteriosi.

    Nella scena finale, Bill e Alice si ritrovano e sembrano aver raggiunto una sorta di comprensione tacita l’uno verso l’altra. Alice confessa a Bill di aver avuto fantasie sessuali con un altro uomo, ma conferma di non averle mai messe in pratica. La scena si conclude con una sorta di riconciliazione tra i due personaggi, che rimane aperta all’interpretazione e spiazza nuovamente lo spettatore.

    Sulle prime, infatti, la coppia si chiede cosa fare, cercando di dissimulare la crisi agli occhi dei figli. Alice appare confusa e priva di idee chiare, tanto da ringraziare il destino per aver risparmiato la loro relazione, confermando una sorta di fatalismo relazionale da parte di entrambi. Non sembra infatti la volontà dei singoli o della coppia a farla da padrone, o il loro desiderio di rimanere insieme o meno e mantenere salda la relazione: sembra che ci sia dell’altro, un richiamo forse al Super Io che li condanna a rimanere insieme, forse all’Es che li tiene istintivamente legati e fisicamente attratti.

    Tanto che poi, dopo aver tergiversato, Alice riesce a riconoscere che “nessun sogno è soltanto sogno“, e che in fondo “l’importante è che ora siamo svegli“. Svegli al punto che, in quell’interminabile minuto finale del film, l’ultimo desiderio di Alice è grottescamente giusto quello di “scopare“, punto di risoluzione di qualsiasi problema perchè forse, sembra suggerire il materialismo kubrickiano, è rimasto molto poco su cui discutere. Per certi versi è  un finale davvero sorprendente, che abbandona le speculazioni e lascia il finale aperto, tanto aperto da risultare “sventrato”, per dirla così, rispetto alle tematiche psicoanalitiche che sono state sviscerate nella narrazione.

    Un finale che rimane aperto all’interpretazione dello spettatore ed alla sua sensibilità, al suo modo di vedere le cose e interpretarle, senza fornire (cosa forse più importante di tutte) alcuna presuntuosa ricetta su “come far funzionare un rapporto di coppia“, rischio che è stato tangibile per gran parte del film e che quella semplice parola (nell’originale era un lapidario e serissimo fuck).

  • L’ape regina: sono andato in bianco, e sono contento

    L’ape regina: sono andato in bianco, e sono contento

    Alfonso decide di sposare Regina, dopo una vita da quarantenne single. L’uomo è convinto di aver trovato la donna perfetta, dato che si mostra sincera e riservata, tanto da non concedersi a lui prima del matrimonio. Dopo essersi sposati, le cose cambiano…

    In breve. Un climax senza sconti sugli effetti del bigottismo sulla società, con un indimenticabile Ugo Tognazzi in un ruolo ineditamente drammatico. Da non perdere.

    L’ape regina, rinominato “Una storia moderna: l’ape regina” dopo l’intervento della censura dell’epoca (siamo nel 1963), è un film grottesco da collocarsi nella complessa poetica del regista Marco Ferreri, che va da La grande abbuffata fino al più criptico Dillinger è morto, con numerose ulteriori opere espressione di un linguaggio complesso, mosso su vari registri e quasi sempre socialmente / politicamente impegnato. Il punto di vista contenuto ne L’ape regina (film per cui Marina Vlady vinse come miglior interprete femminile, e Ugo Tognazzi ebbe un Nastro d’Argento come Migliore attore protagonista) è quantomeno insolito, perchè narra di una neo coppia apparentemente “media”, per cui si disvela un inquietante scenario. Uno scenario in cui l’unico modo per cui la donna possa avere la meglio è, di fatto, quello di “allearsi” al cattolicesimo imperante – il film venne rimaneggiato e censurato dopo la sua uscita, ovviamente.

    Lo sai perchè sono contento? Perchè sono andato in bianco!

    By [1], Fair use, https://en.wikipedia.org/w/index.php?curid=36692171
    Subito dopo il matrimonio, infatti, vediamo sbucare fuori la reale natura di Regina: molto religiosa (devota a una santa barbuta), obbliga il consorte ad abitare vicino al Vaticano, si mostra compiacente rispetto all’invasività nella coppia dei parenti di lei, oltre che condizionante sul carattere di Alfonso (uomo che si rivela fragile, insofferente al bigottismo quanto facile da plagiare). Vediamo la quotidianità ed intimità della coppia, che sembra fatta in apparenza di passione e complicità – ma che sta logorando Alfonso, pressato dalla sessualità dirompente ed invasiva da parte della moglie (che, neanche a dirlo, vorrebbe rimanere incinta ad ogni costo).

    Del resto la religione, abilissima ad avere la pretesa di controllare l’istinto altrui, in questa circostanza si mostra ostile ad Alfonso e strumento nelle mani di Regina: ce ne accorgiamo dalla sequenza in cui l’uomo prova a confidarsi col prete che li ha sposati, il quale gli prescrive un ricostituente ormonico – tanto lo prendono tutti, perchè Sant’Alfonso (evidentemente, nomen omen) ha scritto in ginocchio […] sui rapporti coniugali […]: il coniuge non può e non deve sottrarsi al desiderio legittimo dell’altro coniuge. Il desiderio santo (così come viene definito) è accettabile sempre e comunque, purchè adagiato sui dettami della chiesa, anche se poi diventa ossessivo e svilente per il protagonista, al quale viene ripetuto più volte di fare un figlio alla svelta per “risolvere” il problema.

    Non lo fo per piacere mio, ma per far piacere a Dio!

    In nuce sembra di assistere alle medesime tematiche affrontare, in tempi recenti, da quel piccolo cult quale è The lobster, in cui la sessualità era gestita a comando ed andava finalizzata in modo pre-determinato: coppia o single, senza vie di mezzo e senza sfumature, a voler per fora accondiscendere una delle due distopìe. Ferreri intuisce la questione in modo atipico, se vogliamo, invertendo i ruoli tradizionali uomo-donna e mostrando un uomo succube della consorte. È anche chiaro che manda il messaggio forte e chiaro che la religione svilisca l’aspetto piacevole del sesso e ne esalti, puramente, quello procreativo; tanto peggio se lo fa sfruttando l’avvenenza di Regina, fino alla fine cinica e calcolatrice. Alla fine l’uomo diventerà un vuoto a rendere, privato di ogni individualità, padre destinato a cedere il passo ad una prole mai davvero voluta, prima del tempo.

  • Spogliamoci così, senza pudor… è la commedia erotica di Sergio Martino

    Spogliamoci così, senza pudor… è la commedia erotica di Sergio Martino

    Titolo: Spogliamoci così, senza pudor…

    Regia: Sergio Martino

    Anno: 1976

    Genere: Commedia erotica

    Cast

    • Edwige Fenech
    • Vittorio Caprioli
    • Lino Banfi
    • Carlo Delle Piane
    • Giuseppe Pambieri

    Storia e produzione

    “Spogliamoci così, senza pudor…” è un film italiano del genere commedia erotica diretto da Sergio Martino. Ambientato negli anni ’70, il film segue le vicende di un gruppo di amici che si trovano in situazioni imbarazzanti e impreviste in una località turistica.

    Sinossi

    Il film racconta le avventure e gli equivoci che si verificano durante le vacanze di un gruppo di amici in una località turistica. Le situazioni comiche si susseguono quando si trovano coinvolti in fraintendimenti romantici e imbarazzanti. La trama ruota attorno a equivoci amorosi e situazioni spiacevoli che mettono alla prova le relazioni e la moralità dei personaggi.

    Curiosità

    Il film appartiene al genere della commedia erotica all’italiana, che era popolare nel cinema italiano degli anni ’70. Queste pellicole spesso mescolavano umorismo e contenuti piccanti, creando un mix caratteristico del periodo.

  • Deepnude è la Morte simbolica di qualsiasi fantasia erotica

    Deepnude è la Morte simbolica di qualsiasi fantasia erotica

    Deepnude rappresenta, per quello che ne resta e ne sappiamo ad oggi, una delle forme più incredibili di pornografia reperibile su internet. No, su questo articolo non vi forniremo alcun link per scaricare deepnude, bensì ci concentremo sul parlarne in modo diretto e comprendere perchè sia considerabile il funerale simbolico di ogni fantasia sessuale, a qualsiasi latitudine.

    Una pornografia che, come abbiamo notato in varie occasioni, si è liberata molto spesso di qualsiasi forma di fiction e di eleganza formale, confinandosi nell’abisso del realismo, dell’amatoriale, prima con la diffusione di foto e video amatoriali (esibizionisti), poi non consensuali e successivamente, in un atto di assoluta estremizzazione, mettendo a disposizione app di intelligenza artificiale in grado di “spogliare” le foto altrui.

    Deepnude è il nome dietro il quale si annida questa particolare forma di deepfake, oggetto di molte attenzioni da parte dell’opinione pubblica nei mesi scorsi: i bot Telegram (gran parte dei quali estinti) in grado di espletare la funzionalità, una proposta di legge del 2021 in merito, un chiacchiericcio abbastanza indistinto in merito (tra spiegoni parziali o totali) e, fino a qualche tempo fa, addirittura il codice sorgente pubblico per espletare la discutibile funzione per qualsiasi programmatore esperto.

    I rischi nell’uso di un’app del genere, che sconsigliamo di usare per molteplici ragioni, rimane formalmente illegale per quanto, anche qui, la bolla non sia scoppiata del tutto, sono reali. Non solo per chi li fa, che spesso non valuta che potrebbe subire lo stesso trattamento a  sua volta da parte di terzi, ma anche per chi addirittura paga per un’operazione del genere. Ci sono servizi a pagamento sepolti tra i risultati di ricerca, poi rimossi, poi riemersi, in una battaglia senza tregua che ricorda quella dei siti web pirata che appaiono e ricompaiono all’attenzione del gentile (?) pubblico. Uno strumento per troll, alla fine, uno dei tanti strumenti che internet mette a disposizione e che risulta difficile, se non impossibile, da limitare, se non probabilmente spingendo ad un ragionamento differente dal solito, in merito.

    Le fantasie sessuali sono in genere derubricate a “dedicare qualcosa a qualcuno”, in un’ottica semplicistica quando puerile. Un’ottica errata e da rivedere, ma la cui adesione incondizionata potrebbe portare a curiosare su questi lidi. Il punto chiave di un’app come deepnude, a ben vedere, è che feticizza il sesso nel senso stretto (commerciale) del termine: pago (il più delle volte, queste app sono a pagamento o addirittura a canone mensile) non una persona attraente e sessualmente disponibile in presenza, come farei con una prostituta, bensì dono uno o più oboli in favore di un’intelligenza artificiale, la quale (si spera) possa concretizzare la mia curiosità sessuale di vedere il corpo della vicina, della collega o del capo autoritario.

    Le fantasie sessuali sono sottovalutate, e servono a compensare aspetti della vita non sessuali oltre, naturalmente, a tenere accesa la fiamma dell’interesse verso il sesso stesso con uno o più partner (male che va, anche da soli: è davvero ora di smetterla di derubricare la masturbazione ad attività per sfigati e sfigate). Si noti che le fantasie sessuali relegate ad un ambito mentale, salvo derive orwelliane prossime future, sono lecite, sempre, in ogni caso: possiamo immaginare di fare rough sex con la farmacista da cui andiamo sempre, possiamo sessualizzare la collega più giovane o fantasticare di sculacciare il capo autoritario. Possiamo immaginare le posizioni, l’atteggiamento, la pratica sessuale più atipica, il colore, la consistenza o la presenza assenza dell’indumento intimo, le espressioni facciali della persona oggettificata in quel momento, le pratiche più diverse e perverse: possiamo sognare che ci dicano sempr di sì, che non ci rigettino, che non ci respingano, che non ci facciano sentire in colpa. L’intelligenza artificiale del deepnude rimpiazza brutalmente tutto questo con una scelta su base statistica, rendendo la pornografia autentica macelleria virtuale. Un qualcosa su cui sarebbe ora di riflettere seriamente, almeno quanto parlare della deriva etica e morale annessa ad un qualcosa del genere.

    Secondo la teoria sviluppata dallo psicologo statunitense Michael Bader (il suo saggio del 2018 Eccitazione. La logica segreta delle fantasie sessuali è illuminante in tal senso) la sessualità umana funziona in combinazione di vari livelli, non banali da raggiungere e spesso oggetto di psicosi: consolidamento del senso di sicurezza tra se stessi ed il partner (senza il quale è impossibile pensare eccitarsi), contrasto al senso di colpa, affermazione dell’idea di “spietatezza sessuale” senza la quale diventa molto complicato procurarsi e godere di un rapporto, problemi di transfert e identificazione che certe fantasie come il travestitismo risolvono. Non vogliamo sostenere che quelli che installano deepnude siano per forza malati psicotici (non abbiamo titolo per farlo, e non amiamo le etichette), ma sicuramente decidono volontariamente di abdicare le meraviglie delle fantasie sessuali in favore di “vedere” per forza qualcosa, con lo stesso criterio con cui si cercano video raccapriccianti sul web per il gusto masochistico di rimanerne turbati (o peggio ancora, di farci moralismo in seguito).

    Il libro racconta il contenuto di varie sedute di pazienti (ovviamente anonimi o col nome cambiato) avuti da Bader, uno dei quali ad esempio fantasticava spesso su una ragazza molto più giovane di lui, fronteggiando un senso di colpa considerevole in merito. In realtà, spiega l’autore, la fantasia assume una valenza quasi terapeutica, in quanto assolve il fantasticante dal senso di colpa dell’aver ferito donne in passato, e nulla poteva meglio liberarne le fantasie dell’idea di una ragazza giovane e gioiosa, senza pensieri e senza rinfacciamenti di sorta. L’argomento vale, secondo l’autore, anche per le fantasie più pesanti, annesse a pratiche poco etiche o addirittura inaccettabili moralmente, che vanno dal sado masochismo alla pedofilia, passando per il cybersex, le parafilie come il pissing e le fantasie di sesso violento (il rough sex, anche lì fantasticato da diverse donne, anche nei casi in cui non si sarebbe mai sospettato: una paziente femminista militante o, nel caso di un uomo, un paziente risaputamente mite e gentile con la propria partner).

    I commenti degli utilizzatori soddisfatti di servizi come deepnude, dando per buono per amor di discussione che siano reali, del resto evocano più il lettino dello psicologo che altro: sono felicissimo del servizio, perchè ha soddisfatto i miei sogni più veri. Grazie a questa app posso realizzare il sesso dei miei sogni. L’idea peggiore di deepnude è indubbiamente la sessualità non consenziente a cui si sceglie di partecipare, violando l’intimità dell’ignaro soggetto e togliendo di mezzo la fantasia, quasi declassandola a cosa di second’ordine. Ma la cosa ancora più brutale di deepnude, a questo punto, risiede proprio nell’idea di declassificare le fantasie a sesso di secondo o terz’ordine, sulla base della radicalizzazione del machismo per cui se una persona non posso averla e non riesco ad usare la mia fantasia ormai atrofizzata, posso farmi “aiutare” da un’intelligenza artificiale che spoglia le donne. Nel caso specifico, effettivamente, è un’intelligenza artificiale a prendere il posto della fantasia, deresponsabilizzando il soggetto e rendendolo, di fatto, intrappolato in una sessualità interdipendente dalla tecnologia.

    Il punto chiave delle fantasie erotiche in genere, quali che esse siano, è che sono sepolte inconsciamente in ogni essere umano, e spesso compensano necessità della vita reale ed insoddisfazioni o frustrazioni di vario genere. Sono fantasie, per l’appunto, e rappresentano per le persone l’equivalente del potere della scrittura per autori tormentati come H. P. Lovecraft, he rappresentava come mostri secolari le sue stesse paure e, scrivendo, imparava ad affrontarle e tentava quantomeno di combatterle.

    Per cui, sì: Deepnude è la Morte di qualsiasi fantasia erotica. Più precisamente, in senso strutturalista, è la Morte Simbolica, nel senso lacaniano del termine: perchè è l’espressione di un Altro con cui siamo in relazione, da maschi etero (e non solo, probabilmente) in relazione immaginaria. Tanto immaginaria che non esiste, non è mai esistita e mai esisterà, in uno slancio di tentato accelerazionismo che avremmo voluto conferire alle nostre vite sessuali. La morte è simbolica perchè uccide il simbolo, uccide la fantasia in quanto tale, distrugge qualsiasi parvenza di realismo alla fantasia stessa e si autoconsegna alle odiate tecnologie ed alle perversioni che solo esse sono in grado di darci. Del resto secondo Michael Bader le fantasie sessuali sono il buco della serratura attraverso il quale potremo vedere il nostro vero sè, e viene anche il dubbio che i deepnude (dietro quell’apparenza segreta, quanto perversa, che li rende sempre ricercabili su Google e attraenti per alcuni) finiscano per prendere il posto del sè, spersonalizzando la nostra esperienza, abusando della leva della curiosità e rendendola predeterminata da un algoritmo.

    La fantasia sessuale (e non solo quella sessuale, del resto) non può essere definita adeguatamente da un algoritmo, che finirebbe per approssimarla in modo euristico, anche se ad alcuni va bene e forse, a quel punto, dovrebbero anche rivedere la propria autostima, o magari (se si può, senza traumi) la propria scala di valori. Cosa che rientra a pieno titolo nell’ambito della sessualità, ma non della fantasia: una forzosa fantasia che diventa uno spettro digitale che oggi, ancora, si aggira per la rete.

    Foto di copertina: Anna Shvets