Come ricorderanno i fan di X-Files, per quanto i personaggi di Mulder e Scully fossero al centro di quasi ogni episodio, di tanto in tanto ricevettero un aiuto significativo, nei loro sforzi per scoprire la verità di una serie di cospirazioni cosmiche, da un trio di singolari personaggi dai tratti caratteristici (tre sostenitori di teorie del complotto, per inciso). Si trattava di John Byers, Melvin Frohike e Richard Langly, protagonisti di uno spin off di X Files che entusiasmò vari complottisti, fin dall’epoca della sua uscita, per quanto sia stato abbandonato dopo una serie per la scarsità di ascolti. La serie in questione, per inciso, non è mai arrivata in Italia, e questo naturalmente ha finito per alimentare il mito cospirativo sulla serie stessa.
I tre personaggi divennero meglio conosciuti come The Lone Gunmen (Pistoleri Solitari, letteralmente), nome che uscì fuori da uno spinoff di X-Files uscito nel 2001, circa sei mesi prima degli attentati dell’11 settembre. Il primo episodio andò in onda il 4 marzo 2001, con il titolo Pilot (probabile gioco di parole implicito tra “pilota d’aereo” ed “episodio pilota“), e narra una storia che sarebbe diventata familiare ai più: un hacker prende il controllo di un Boeing 727 e lo fa volare verso il World Trade Center, con l’intenzione di farlo schiantare contro una delle Torri Gemelle.
I Lone Gunmen riusciranno a contro-hackerare l’aggressore informatico e a scongiurare un disastro che poi, in seguito, sebbene in modalità leggermente diverse sarebbe avvenuto sul serio. Ovviamente la vulgata complottista divenne monolitica nell’affermare che quell’episodio avesse “previsto” gli attentati dell’11 settembre 2001. L’episodio arrivò in Australia, ad esempio, meno di due settimane prima di quella data fatidica che cambiò il mondo.
Suggestioni, chiaramente, prive di effettive prove su un fatto che oggi presenta un impatto emotivo diverso, su cui rimangono punti da chiarire (ovviamente) ma che, di fatto, negli USA fece scalpore pur passando in sordina (condizioni ideali per il fiorire di cospiracy theories).
La storia era particolarmente intrigante, peraltro, se si pensa che il personaggio l’hacker non era un lupo solitario o uno schizofrenico. La macchinazione, nella sceneggiatura, era frutto del lavoro di un’organizzazione segreta all’interno del governo, quello che oggi molti complottisti chiamerebbero deep state, la cui esistenza viene da sempre negata ufficialmente. Stando al loro piano segreto, se l’attentato avesse funzionato, si sarebbe data colpa degli attacchi al World Trade Center a uno o più dittatori stranieri che, citando la serie, “imploravano di essere bombardati“.
La trama di Pilot fu affrontata in modo riluttante sui media, il che naturalmente finì per alimentare le narrazioni cospirative sull’auto-attentato, costruito dagli USA stessi per avere un pretesto per fare la guerra. L’episodio passò in sordina per via della singolare coincidenza, soprattutto perchè, probabilmente, le reali vittime degli attentati fecero passare la voglia di proporre parallelismi di alcun genere.
Da un punto di vista psicologico o razionale potrebbe trattarsi di un caso di cherry picking collettivo (si selezionano accuratamente solo gli aspetti coincidenti con la realtà ignorando, ad esempio, che nel vero 11 settembre non figurò alcun attacco informatico), senza contare il più classico dei bias di conferma, ovvero la tendenza a cercare ad ogni costo conferme di fatti che già crediamo, anche se esistono prove contrarie in merito. In fondo chi crede al complotto ci crede lo stesso (I want to believe è da sempre uno dei motti dei fan di certa ufologia), e non c’è modo di discuterne, come dimostrato da mockumentary come Operazione Luna, per quanto chiaramente la forte suggestione in questo caso rimanga, anche a distanza di anni.
La cosa che mi preoccupa è che, come scrittore di fantascienza, ti viene in mente che se puoi immaginare uno scenario del genere, anche il potere potrebbe farlo (Frank Spotnitz, produttore esecutivo della serie)
Foto di copertina: Lerone Pieters on Unsplash