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  • Il filo nascosto: trama, curiosità, spiegazione finale

    Il filo nascosto: trama, curiosità, spiegazione finale

    Sinossi “Il filo nascosto”

    Il filo nascosto” (titolo originale: “Phantom Thread”) è un film del 2017 diretto dal regista Paul Thomas Anderson, noto anche per aver diretto film come “Magnolia” e “There Will Be Blood”. “Il filo nascosto” è ambientato nella Londra degli anni ’50 ed è incentrato sulla vita di Reynolds Woodcock, un famoso stilista di moda interpretato da Daniel Day-Lewis, il quale veste l’alta società britannica. La sua vita cambia quando incontra Alma, interpretata da Vicky Krieps, una giovane donna che diventa la sua musa e amante. Il film affronta temi come l’amore, l’ossessione, la creatività e i compromessi nella relazione tra Reynolds e Alma. La trama è intricata e il film è noto per la sua raffinata fotografia, la recitazione di Daniel Day-Lewis e la colonna sonora evocativa composta da Jonny Greenwood.

    Il film è diventato di culto e ha ricevuto elogi dalla critica per la sua maestria tecnica e le prestazioni degli attori. Daniel Day-Lewis è stato particolarmente lodato per la sua interpretazione e ha vinto l’Oscar come Miglior Attore Protagonista per il suo ruolo nel film.

    Ho una strana inquietudine. Ma non riesco a darne un motivo specifico. Come un battito d’ali. (Reynolds)

    Cast Il filo nascosto

    Ecco il cast principale del film “Il filo nascosto” (Phantom Thread):

    1. Daniel Day-Lewis nel ruolo di Reynolds Woodcock
    2. Vicky Krieps nel ruolo di Alma Elson
    3. Lesley Manville nel ruolo di Cyril Woodcock
    4. Camilla Rutherford nel ruolo di Johanna
    5. Gina McKee nel ruolo di Contessa Henrietta Harding
    6. Brian Gleeson nel ruolo di Dr. Robert Hardy
    7. Harriet Sansom Harris nel ruolo di Barbara Rose
    8. Lujza Richter nel ruolo di Princesse Mona Braganza
    9. Julia Davis nel ruolo di Lady Baltimore
    10. Nicholas Mander nel ruolo di Lord Baltimore

    Interpretazione del film

    “Il filo nascosto” è un film che offre molteplici interpretazioni e spunti di riflessione anche a livello filosofico, ne abbiamo trovate parecchie e adesso proveremo ad elencarle con voi. La natura umana e i desideri nascosti: Il film esplora la complessità della natura umana e dei desideri che spesso rimangono nascosti e repressi. I personaggi di Reynolds e Alma mostrano il conflitto interiore tra l’immagine esteriore che proiettano nella società e i loro veri desideri interiori. Il ruolo dell’arte e della creatività: Reynolds Woodcock è un artista, uno stilista di fama mondiale, che esprime la sua creatività attraverso i suoi abiti. La sua dedizione all’arte e alla perfezione rappresenta un tema centrale del film, sollevando domande sulla relazione tra l’artista e la sua arte, e sulla natura dell’ispirazione e della passione creative. Il potere nelle relazioni umane: La dinamica tra Reynolds e Alma illustra le dinamiche di potere all’interno di una relazione. Ciascuno dei personaggi cerca di controllare l’altro, ma in modi diversi. Questo solleva interrogativi sulla libertà individuale, la manipolazione e la vera essenza dell’amore.

    Ci sono infinite superstizioni quando si tratta un abito da sposa. Le giovani che non lo toccano per paura di non sposarsi. Le modelle che hanno paura di sposarsi solo uomini calvi se ne indossano uno… (Reynolds)

    Identità e trasformazione: Il film esplora anche temi di identità e trasformazione personale. I personaggi principali subiscono cambiamenti significativi nel corso della storia, e ciò solleva questioni sulla fluidità dell’identità e sull’accettazione del cambiamento nella vita umana. La fragilità dell’amore: Il film offre una rappresentazione complessa dell’amore e delle relazioni umane. Mostra come l’amore possa essere imprevedibile, fragile e talvolta difficile da comprendere. Ciò apre spazi per considerare la natura dell’amore e la sua stabilità o insicurezza. Estetica e bellezza: La bellezza e l’estetica rivestono un ruolo centrale nel film. I personaggi sono costantemente coinvolti nella creazione di oggetti di bellezza, come gli abiti di Reynolds. Questo solleva domande sulla natura della bellezza, i suoi significati soggettivi e culturali, e il suo ruolo nella vita umana.

    10 cose che non sapevi su Il filo nascosto

    1. Ritiro di Daniel Day-Lewis: Dopo aver interpretato Reynolds Woodcock, Daniel Day-Lewis ha annunciato che “Il filo nascosto” sarebbe stato il suo ultimo film prima del ritiro dalla recitazione. Quindi, questo film segna la sua ultima apparizione sul grande schermo.
    2. Ruolo scritto appositamente: Il regista Paul Thomas Anderson ha scritto la sceneggiatura pensando esclusivamente a Daniel Day-Lewis per il ruolo di Reynolds Woodcock.
    3. Nomination agli Oscar: “Il filo nascosto” ha ricevuto sei nomination agli Oscar, tra cui Miglior Film, Miglior Regia e Miglior Attrice Protagonista per Vicky Krieps.
    4. Colonna sonora di Jonny Greenwood: La colonna sonora del film è stata composta da Jonny Greenwood, chitarrista del gruppo musicale Radiohead, che ha lavorato anche con Paul Thomas Anderson in precedenza.
    5. Fotografia con pellicola: Il film è stato girato interamente utilizzando pellicola 35mm, anziché le moderne tecnologie digitali, per ottenere un aspetto visivo specifico e un’atmosfera vintage.
    6. Ispirazione dalla vita reale: Paul Thomas Anderson si è ispirato al celebre stilista spagnolo Cristóbal Balenciaga e alla sua dedizione per il suo lavoro, nonché ai designer britannici del periodo degli anni ’50.
    7. Accuratezza storica: Per creare gli abiti del film, la costumista Mark Bridges ha effettivamente usato vecchi modelli e tessuti autentici dell’epoca, cercando di mantenere la massima precisione storica nei dettagli degli abiti indossati dai personaggi.
    8. Set in casa: Gran parte del film è stata girata in una casa georgiana a Fitzroy Square a Londra, che è stata appositamente restaurata e arredata per ricreare l’atmosfera degli anni ’50.
    9. Finali multipli: Originariamente, il film avrebbe dovuto avere un finale diverso, ma il regista e gli attori hanno deciso di girare un’ulteriore scena finale per aggiungere un elemento di sorpresa alla storia.
    10. Curiosità sull’anello: Nel film, Reynolds Woodcock regala ad Alma un anello con un grande diamante. Quell’anello era in realtà una creazione del regista Paul Thomas Anderson e non un oggetto di scena standard. Daniel Day-Lewis ha ammesso che il valore dell’anello era così alto che l’ha tenuto in cassaforte ogni notte durante le riprese.

    Per prepararsi al film, Daniel Day-Lewis ha guardato filmati d’archivio di sfilate di moda degli anni ’40 e ’50, ha studiato stilisti famosi, si è consultato con il curatore della moda e dei tessuti del Victoria and Albert Museum di Londra e ha fatto un apprendistato con Marc Happel, capo del reparto costumi del New York City Ballet. Ha anche imparato a cucire e si è esercitato su sua moglie Rebecca Miller, cercando di ricreare un tubino di Balenciaga ispirato a un’uniforme scolastica.

    Spiegazione del finale Il filo nascosto

    Il finale di “Il filo nascosto” è intenzionalmente aperto e ambiguo, lasciando agli spettatori il compito di trarre le proprie conclusioni sulla natura della relazione tra i personaggi e il significato delle loro azioni. Il regista Paul Thomas Anderson ha voluto creare uno spazio per la riflessione e l’interpretazione individuale, lasciando che il pubblico decida come interpretare la complessa dinamica tra Alma e Reynolds.

    Attenzione: Spoiler a seguire per chi non ha visto il film.

    Nel finale, Alma, la giovane amante di Reynolds Woodcock, decide di assumere un approccio radicale per risolvere i problemi nella loro relazione. Essendo stufa della dominanza di Reynolds e dei suoi atteggiamenti controllanti, Alma decide di avvelenarlo sottilmente con dei funghi che ella stessa ha raccolto, portandolo in uno stato di debolezza e dipendenza da lei. La scena finale mostra Alma e Reynolds seduti insieme a fare colazione. Mentre Reynolds mangia, sembra debole e vulnerabile, accettando passivamente la situazione. La luce si spegne su di loro mentre Reynolds continua a mangiare.

    La spiegazione di questo finale può essere interpretata in diversi modi:

    1. Controllo ribaltato: Alma ha preso il controllo della situazione e della relazione con Reynolds. Potrebbe essere una forma di vendetta per come lui l’ha controllata in passato. Questo finale suggerisce che il potere nella relazione si è ribaltato, con Alma che ora detiene il controllo.
    2. Simbiosi e dipendenza: Alma e Reynolds sembrano intrappolati in una sorta di simbiosi tossica. Entrambi sembrano dipendere l’uno dall’altro, nonostante la loro relazione sia disfunzionale. Il finale può rappresentare la perpetuazione di questo ciclo di dipendenza.
    3. Amore e complicità nella follia: Il finale potrebbe suggerire che Alma e Reynolds, pur essendo coinvolti in un comportamento strano e talvolta dannoso, trovano una forma di amore e complicità nella loro stranezza e follia condivise.
    4. La natura dell’arte e dell’ispirazione: Il finale può essere interpretato anche come una metafora sulla natura dell’arte e dell’ispirazione. Reynolds potrebbe essere rappresentato come un artista che trae ispirazione dalle situazioni estreme e dalle emozioni forti, e la sua relazione con Alma è la sua fonte di ispirazione creativa.
  • Nuda per Satana: il surrealismo fuori dalle righe del 1974

    Nuda per Satana: il surrealismo fuori dalle righe del 1974

    Un medico ed una ragazza, subito dopo un incidente stradale, arrivano in un castello per cercare aiuto: quello che troveranno sarà decisamente surreale.

    In breve. Un horror-erotico dal registro non banale, con la capacità di impressionare giocando sui contrasti; almeno, nelle intenzioni. Alla prova dei fatti è una sublimazione settantiana del “so bad is so good“: un gotico-porno sul tema del doppio, con pretese surrealiste e abbastanza poco riuscito. Gli inserti hardcore gratuiti, l’insistere su dialoghi ostentatamente lirici, le nudità randomizzate smantellano quasi del tutto l’impianto. Per gli amanti del cinema bis può essere comunque una gradevole esperienza.

    Nuda per Satana rimane scolpito nell’immaginario cinefilo soprattutto per la sua storia, che vorrebbe essere un singolare esperimento tra horror ed erotico (alla Jess Franco, per intenderci), e che possiede poco terrore e troppo osè. Tanto per proporre qualcosa di diverso dalla solita elencazione di difetti, partirei proprio dalla parte erotica: quella che fa diventare il film “di cassetta”. Fin dal titolo, del resto, si intuisce di un legame con suggestioni liberatorie ed occulte, e questo viene preannunciato dalle primissime sequenze – nelle quali non si perde occasione per mostrare la Calderoni nuda, una vera e propria costante della pellicola (anche quando sarebbe tutt’altro che necessario).

    Si è molto discusso e sbeffeggiato questo lavoro(cosa che, personalmente, non accetto di fare quasi per nessun film) proprio a cominciare dagli inserti hardcore, che spiazzano il pubblico – e per ragioni tutto sommato lecite, che valsero il divieto ai minori, ovviamente. Del resto si tratta di un erotismo distaccato, da VHS, ostentatamente esibizionista quanto impacciato; in un bizzarro equilibrio tra nudo artistico e porno classico, un insolito sesso esplicito, a più riprese, finisce per padroneggiare le scene senza un vero motivo. Se si volesse cercare un difetto anche qui, dovremmo parlare di gestualità che – il più delle volte – emulano il piacere, e che (soprattutto oggi) appaiono molto poco coinvolgenti. Il sesso nel film è un comparto staccato dal resto, e a poco o nulla serve che venga raffigurato come momento onirico o liberatorio.

    Quello che manca più concretamente in Nuda per Satana, del resto, è un solido tessuto di connessione tra le scene hard ed il resto della storia: storia che, sebbene suggestiva dalle premesse, risulta fastidiosamente spezzettata in più punti, e dal ritmo troppo altalenante. Avrebbe forse funzionato se si fosse basata su una dichiarazione di intenti meno seriosa, come accade ad esempio in tanti film di Russ Mayer o Tinto Brass (per i quali il sesso è spesso delirante, ma è anche giocoso), o al limite nel divertimento citazionista del Rocky Horror Picture Show (che nomino perchè, probabilmente in modo incidentale, Nuda per Satana mi pare ne condivida alcuni snodi narrativi: l’incidente di una coppia, un maggiordomo grottesco, un padrone di casa dal singolare fascino, una ambientazione gotica surreale, vari personaggi disinibiti contrapposti a due protagonisti sessualmente inebetiti dalle convenzioni). Se la parte erotica fosse stata meno ostentata, pertanto, Nuda per Satana avrebbe (forse) meglio fatto da contraltare alla componente orrorifica: ma nemmeno quest’ultima componente funziona del tutto, e così il film ne risente in ogni singolo fotogramma. Spaventarsi in questo film, per intenderci, è piuttosto arduo, e lo è almeno quanto provare a pensarlo in qualche modo eccitante. Peccato, anche perchè – al netto del resto – le ambientazioni e la colonna sonora (un delirio psichedelico a suo modo memorabile) erano particolarmente azzeccate. E, per inciso, su questo genere si è visto molto, ma molto di peggio.

    L’idea dei “doppi”, del resto, e l’ambientazione surreale non erano niente male: siamo negli anni ’70, ed i richiami a combattere le convenzioni e la repressione sessuale erano all’ordine del giorno. Il periodo, le masturbazioni mentali dei critici d’epoca e il pubblico a caccia di erotismo facile li caldeggiavano parecchio, per cui potevano tranquillamente starci. Per dovere di cronaca, quindi, Batzella un onesto tentativo lo fa: riprese sulfuree, qualche inquadratura azzeccata (e molte curiosamente fuori asse), suggestive ambientazioni fumose ed un montaggio/effetti speciali che a volte funzionano … e a volte no (su tutti, i vestiti di Susan che spariscono “al volo” e l’indimenticabile ragno gigante, visibilmente finto).

    Il gioco regge ancora meno la prova del tempo, con un livello narrativo non lineare quanto non troppo curato, per non parlare delle interpretazioni discutibili di quasi tutti i personaggi – unica vera eccezione la protagonista, che sembra l’unica nel giusto feeling con la storia. C’è anche spazio per due doppi personaggi (Dr. William Benson / Peter e Susan Smith / Evelyn), e questo aumenta ulteriormente l’aura mitologica del film. Nonostante tutto, Nuda per Satana rimane un cult da riscoprire: ma questo solo per chi ritenga divertente seguire il delirante “flusso di coscienza” che accompagna la narrazione, quei primi piani inspiegabili, le criptiche riflessioni dei personaggi (che vorrebbero sembrare saggi esistenzialisti, ma non lo sono), e la filosofia misticheggiante che dovrebbe accompagnare il tutto. A suo modo, un film da ricordare.

  • E venne il giorno: il virus che induce al suicidio di Shyamalan

    E venne il giorno: il virus che induce al suicidio di Shyamalan

    Un insegnante di scienze, assieme alla moglie e ad una ragazza lottano per sopravvivere a un morbo che sembra causare il suicidio dei contagiati.

    In breve. Piccolo saggio post-apocalittico del 2008 che, rivisto oggi, conferma le perplessità della critica e del pubblico anche all’epoca della sua uscita.

    Guardare E venne il giorno di M. Night Shyamalan nel 2020, in tempi di Covid-19, può assomigliare più ad una mission impossible che ad altro. Se i toni di questi film di 12 anni fa, infatti, sono apertamente catastrofici, e parlano di un’umanità preda di un misterioso “qualcosa” che ne induce il suicidio – Suicide Club era già uscito nel 2002, tutto sommato – il tutto crea un’atmosfera che, a dirla tutta, avremmo già visto in quasi tutti i film del genere. Traffico bloccato, strade semideserte, gente rigorosamente morta (vedo la gente morta, cit.), morente, moribonda o meditabonda, un eroe “della strada” che sembra destinato a salvare il mondo. Il problema di fondo del film, al netto di un’intensità che sul momento non si discute, è che lascia poco o nulla allo spettatore, rendendo la visione di b-movie a tema virus (un genere che rimarrà tabù per molti anni, quasi peggio dei cannibalici, a mio modo di vedere) quasi preferibile e più accattivante, a confronto.

    Parliamo di cose già viste, che hanno certamente costituito parte dello Zeitgeist dal 2000 in poi, passando per vari titoli pop come ad esempio 28 giorni dopo o l’ancora più incisivo The divide. Mettere a paragone le varie produzioni di questo tipo, peraltro, appare come un’impresa ai limiti dell’apocalittico (tanto per dire la ricorsività, a volte), anche perchè si tratta di film prodotti con intenzioni, budget e “spiritualità” quasi sempre diverse l’una dall’altra. Conosciamo bene, a questo punto, la coralità e la coerenza delle opere di Shyamalan in generale: questo film la coglie appieno per quanto, alla prova dei fatti e al netto della spettacolarità visiva (peraltro neanche marcatissima), l’intreccio si riveli un pochino debole.

    Che altro dire? Possiamo anche fare finta che le candidature di “E venne il giorno” ai Razzie Awards 2008 siano state esclusivamente spocchia da intellettuali cinefili, perchè non è questo il punto: piuttosto, come nella tradizione dei film riusciti a metà, E venne il giorno scomoda un apparato universale che fa appello alle più profonde paure dell’uomo (e questo va benissimo), ma poi le risolve in una bolla di sapone (una didascalica rivolta della natura contro l’uomo, sia pur contestualizzando al 2008 e senza aggiungere un dettaglio “di quelli belli”, un si po’ sentì).

    Alla base dell’intreccio vi è la realtà scientifica (e psicologicamente analizzata in più contesti) dell’effetto spettatore, secondo cui maggiore è il numero dei presenti in una situazione di pericolo, minore è la probabilità che qualcuno di loro presterà aiuto alla persona in difficoltà o, peggio ancora, in pericolo di vita. Un principio sul quale si basano, del resto, la quasi totalità dei film di zombi di ogni ordine e grado, anche quelli che non scomodano il pessimismo antropologico alla Romero. Qui, semplicemente, non c’è abbastanza “carica” perchè il tutto possa detonare in un film realmente memorabile. “E venne il giorno”, per la cronaca, è stato girato in soli 44 giorni sfruttando quasi esclusivamente esterni (ben l’85% delle riprese, secondo IMDB).

    Vengono meccanicamente in mente i sempiterni anni 90, in cui uscì il video di “Just” dei Radiohead diretto da Jamie Thraves, caratterizzato da un mood probabilmente simile: la gente si sdraia dopo essersi fatta bisbigliare qualcosa nel video, che il pubblico non vedrà mai. Anche lì un clima “preoccupante”, nessuno sa perchè succeda quello sta accadendo, ma è la realtà. Un po’ come dice la tagline del film, insomma: “It’s Happening“, che poi sarà usata anche da altri film del regista come Signs. Il che è un po’ quello che abbiamo vissuto un po’ tutti in questo 2020, se vogliamo. E che questo film, di fatto, sembra vagamente “miope” nell’immaginare o aver reso in qualche modo suggestivo.

    Affermare che “E venne il giorno” sia stato un gran film, del resto, significherebbe fare un torto e non poter rendere omaggio ai film più sopra le righe del buon Manoj Nelliyattu Shyamalan, la cui migliore dimensione resta quella, a mio modesto avviso, di Unbreakable – Il predestinato, film per molti versi sorprendente rispetto all’epoca in cui uscì.

  • The void: l’horror enciclopedico e autocelebrativo di Gillespie e Kostanski, bello quanto dimenticabile

    The void: l’horror enciclopedico e autocelebrativo di Gillespie e Kostanski, bello quanto dimenticabile

    Un agente di polizia trova per strada una persona ferita, in apparente stato confusionale: una volta recatisi in ospedale, si accorge che l’edificio è stato circondato da varie figure incappucciate.

    In breve. Un horror difficile da giudicare: se gran parte del mood è positivo, e la regia sembra convinta quanto originale, il film sembra perdersi in digressioni splatter fini a se stesse, che  poco danno e poco tolgono, oltre che tendono a far perdere di vista il focus della trama. Si racconta di una intrigante “discesa negli inferi”, fin troppo sentita, quasi certamente già vista.

    Finanziato da un crowdfunding su Indiegogo (budget complessivo di 82,510 dollari), paraculisticamente annunciato “dallo stesso produttore di The Vvitch” e realizzato con massiccio uso di CGI, viene lanciato da una consueta tagline minacciosa ed espressiva: “C’è un inferno, e questo è peggio“.

    In effetti si intuisce da subito che ci sia poco da “scherzare”, in termini di credibilità della trama e di caratterizzazione dei personaggi, fin da subito sinistri, minacciosi e dal tipico modo di fare nichilista e sbrigativo già visto in decine di survival horror. Non ci vuole troppo, poco dopo, perchè la narrazione evolva nello splatter più esplicito che si possa concepire, schizzando in modo imprevedibile su vari registri e prefigurando uno scenario che evoca sia La cosa (l’essere mostruoso che usa corpi umani per replicarsi) che (in parte) Distretto 13 – Le brigate della morte (lo scenario claustrofobico e i personaggi che, come già nell’altro, non si fidano l’uno dell’altro, e ricorrono a strategie di sopravvivenza improvvisate quanto “romeriane” – La notte dei morti viventi è proprio il film che guarda uno dei ricoverati in ospedale, per inciso).

    Vedo un mostro che si vede Dio. Io ho sfidato Dio!

    Una cosa è certa: in questi casi è fin troppo comodo per qualsiasi recensore evocare i racconti di H. P. Lovecraft, cosa che ha reso accettabile qualsiasi film fuori dalle righe, irrazionale e multi-dimensionale, arricchito da orrori extraterrestri e dimensioni parallele in cui i personaggi rimangono intrappolati. Cosa piuttosto sbrigativa, in questo caso e che un film del genere a mio parere non giustifica del tutto: non fosse altro che sembra partire con determinate intenzioni, per poi evolvere su ben altro, sequenziando le varie scene in una maniera abbastanza subdola e poco prevedibile, quasi da sembrare inintelleggibile. The void evoca vari sottogeneri e in fondo non è un horror vero e proprio, proprio perchè sembra, in più momenti, un collage di idee diverse tra loro, messe insieme con entusiasmo (senza dubbio) ma in modo non sempre chiarissimo, mediante trovate a volte azzeccate (le creature che covano la propria stirpe violando corpi umani) altre meno (certe dinamiche in cui la gente si ritrova sgozzata quasi senza sapere come o perchè).

    E se le sequenze più cruente mi hanno ricordato Hellraiser (nuovi supplizianti che promettono vita eterna, in risposta al sempiterno dramma della morte di un figlio, per cui varrebbe la pena evocare film inossidabili come Don’t look now), l’aspetto di alcuni personaggi non ho potuto che ricordarmi (almeno per qualche istante) il moloch visto ne La fortezza, uno degli horror ottantiani potenzialmente più belli (e altrettanto incompiuti) mai visti su uno schermo.

    In definitiva The void è un horror compatto e relativamente convincente, che pero’ presenta il difetto sostanziale di proporre più forma che sostanza, preso com’è dall’entusiasmo e dalla briga di citare didascalicamente i classici del genere. Sia chiaro che il gioco del cinema passa anche questo genere di trovate, che possono rasentare la vera e propria manìa autocelebrativa senza sfigurare: ma se questo, come secondo me accade, finisce per far perdere di vista il focus (al punto che i personaggi sembrano soltanto sciocchi burattini destinati alla morte), ovvero un insieme di (stereo)tipi da survival horror, in cui si lotta per la sopravvivenza senza sapere cosa-cazzo-succede, chiaro che le valutazioni troppo entusiastiche dovrebbero essere messe aprioristicamente al bando. Pare anche che i registi abbiano invitato il pubblico a farsi un’idea personale sulla storia, lasciando volutamente molti riferimenti non specificati, e ciò rende The void un film horror sperimentale a pieno titolo, per cui potrebbe avere un senso l’ennesima rivalutazione incensatrice tra una ventina d’anni circa (e buon divertimento a chi lo riscoprirà, dato che adesso non ce la possiamo fare).

    Un film del genere è anche puramente carpenteriano, lo è così tanto (soprattutto nella scena clou del “regolamento di conti”) che è impossibile non pensare a Il signore del male, con i suoi riferimenti ad un’altra dimensione oscura e ad un futuro minaccioso quanto imprecisabile. C’è anche una setta di mezzo (l’elemento cardine di ogni horror moderno, a quanto pare, deve essere sempre una setta), figure incappucciate con un triangolo nero al posto del viso che potrebbe ricordare, per certi versi, i guardiani del citatissimo Squid Game in voga su Netflix (The void è disponibile su Amazon Video, per inciso).

    E quel finale che ha lasciato tanti di stucco, allora, che spiegazione ha? Impossibile provare a dare indizi senza considerare un precedente celebre di cui, per la veritá, non si fa esplicita menzione, ma qualche recensore si è accorto lo stesso. Il finale di The void sembra infatti calcare apertamente quello, altrettanto surreale, de L’aldilà di Lucio Fulci, giusto con più mezzi visuali e un mood più rassicurante: come a dire che i due personaggi sono assieme, per sempre, più o meno al sicuro, in un mondo extrasensoriale che potrebbe essere l’aldilà, appunto, che si svelerà al momento della morte. Vale la pena di ricordare la frase che chiude il capolavoro fulciano, guarda caso anch’esso ambientato parzialmente in un ospedale, ovvero: E ora affronterai il mare delle tenebre, e ciò che in esso vi è di esplorabile.

    E dagli anni ottanta per il momento è tutto.

    Dalla parte di The void, e in favore di una valutazione mediamente positiva, muove anche la sua brevità, il suo non tirarla per le lunghe, la sua capacità di far switchare i personaggi da una situazione normale ad una extra-ordinaria senza perdere colpi, ambientazione, dettagli o (per dirla con una parola semplice quanto poco utilizzata in ambito horror) credibilità. Ma c’è anche quell’effetto “minestrone” – Minestrone Valle dei Morti, probabilmente – a cavallo su più fronti, pronto a restare sul pezzo e assumere ora la parvenza del nuovo Inferno, poco dopo chissà che altro. Il tutto, insomma, rende davvero difficile per lo spettatore comprendere a che punto della trama si sia arrivati, con il dilemma di spalancare la porta della noia, quasi in corrispondenza del momento in cui un portale extradimensionale si apre sullo schermo.

    Non che The void sia un brutto horror, anche perché scrivere una cosa del genere sarebbe ingiustificato: ma non è nemmeno il film da riscoprire di cui molti hanno scritto, anche perché denota un limite evidente a livello narrativo per cui la sceneggiatura avrebbe fatto meglio ad ispirarsi seriamente a Lovecraft, invece che lasciarlo come riferimento vago (e sia pur riconoscendo l’evidente conoscenza dei classici che i due registi hanno sfoggiato). Non ci sono solo Lovecraft e Carpenter in The void: ci sono anche Lucio Fulci, Clive Barker, forse addirittura Dario Argento e Michele Soavi, per non parlare di George Romero e dei suoi immarcescibili morti viventi. Oltre un certo limite, è veramente troppo per poter osannare un vero e proprio capolavoro, senza limitarsi  – in modo più equilibrato, secondo noi – a constatare che questo film sia proprio come quello di Michael Mann: un potenziale capolavoro che vive di incompiutezza, questa volta ingiustificata rispetto alla situazione in cui si trovava il regista statunitense.

    Un horror canadese da vedere per curiosità, senza dubbio, con la certezza di non assistere al consueto delirio randomico di psicopatici e vittime urlanti, ma che rischia lo stesso di farsi dimenticare con la stessa velocità con cui si guarda, al netto degli entusiasmi che provocano determinate sequenze e alla sensazione positiva che accompagna gran parte della sua visione. Manca qualcosa, e non riusciamo a saperne di più: lo guardiamo, e tanto basta.

  • Hereditary: cast, storia, produzione, sinossi, spiegazione finale del film

    Hereditary: cast, storia, produzione, sinossi, spiegazione finale del film

    Ecco una panoramica completa di “Hereditary,” compresi il cast, la storia, la regia, la produzione, lo stile, una sinossi, alcune curiosità e una spiegazione dettagliata del finale del film con un pre-avviso spoiler:

    Cast Principale:

    • Toni Collette nel ruolo di Annie Graham
    • Alex Wolff nel ruolo di Peter Graham
    • Milly Shapiro nel ruolo di Charlie Graham
    • Gabriel Byrne nel ruolo di Steve Graham
    • Ann Dowd nel ruolo di Joan

    Regia e Produzione:

    • “Hereditary” è stato scritto e diretto da Ari Aster, che ha esordito con questo film come regista.
    • Il film è stato prodotto da A24, una casa di produzione conosciuta per il suo impegno nel cinema indipendente e di genere.

    Stile e Atmosfera:

    • “Hereditary” è noto per il suo stile visivo cupo e disturbante, con una forte enfasi sulla tensione e la suspense psicologica.
    • La colonna sonora, composta da Colin Stetson, contribuisce a creare un’atmosfera angosciante e claustrofobica.

    Sinossi: La trama di “Hereditary” ruota attorno alla famiglia Graham, composta da Annie (Toni Collette), suo marito Steve (Gabriel Byrne), il figlio maggiore Peter (Alex Wolff) e la figlia minore Charlie (Milly Shapiro). Dopo la morte della madre di Annie, la famiglia inizia a sperimentare eventi inquietanti e sconvolgenti che rivelano segreti oscuri nella loro storia familiare. Mentre la tensione aumenta e il terrore si fa più intenso, la famiglia viene trascinata in un mondo di tragedie e oscure presenze supernaturali.

    Curiosità:

    • Il film è noto per la sua complessità e simbolismo, con numerosi dettagli nascosti e riferimenti all’interno della storia.
    • Toni Collette ha ricevuto elogi unanimità per la sua interpretazione nel ruolo di Annie, guadagnandosi persino una nomination all’Oscar.
    • Il film è stato descritto da molti critici come una delle opere più spaventose e disturbanti degli ultimi anni.

    Spiegazione del Finale (Spoiler): Attenzione, da qui in poi ci saranno spoiler sul finale del film.

    Alla fine di “Hereditary,” la tensione raggiunge il suo culmine quando la possessione demoniaca si rivela essere un elemento chiave della trama. Annie, alla ricerca della figlia Charlie, scopre il libro delle invocazioni demoniache della madre e si rende conto che sua madre era coinvolta in rituali demoniaci per portare il demone Paimon in un corpo mortale. Joan, un’amichevole vicina di casa che ha fatto amicizia con Annie, si rivela essere parte di un culto che cerca di portare Paimon nel corpo di Peter. Nel climax del film, Peter viene posseduto da Paimon e Joan pronuncia un incantesimo per invocare l’entità nel corpo del ragazzo. Questo porta a una serie di eventi scioccanti, tra cui la decapitazione di Annie da parte di Peter e la successiva coronazione di Peter come ospite di Paimon. Il finale del film è estremamente oscuro e pessimista, poiché Paimon ottiene successo nella sua possessione e la famiglia Graham è completamente distrutta. La sua ossessione per il controllo e la possessione è stata portata a termine, e il culto riesce a ottenere ciò che desiderava.

    Si scopre che la famiglia Graham è stata manipolata da una setta segreta che adora un’entità demoniaca nota come Paimon. Joan, interpretata da Ann Dowd, è uno dei membri chiave di questa setta. Joan ha manipolato Annie per invocare Paimon nel corpo di Peter. Nella sequenza finale, Peter, sotto l’influenza di Paimon, diventa posseduto dalla divinità e decapita la madre Annie. Joan, Peter, e altri membri della setta, si riuniscono in un rito che trasferisce il corpo di Peter a Paimon. Nel momento culminante, Peter viene coronato come l’ospite perfetto per Paimon, e la setta celebra il suo successo. Il finale è ambiguo e inquietante, lasciando molte domande senza risposta e concludendo con l’orrore che si perpetua. La famiglia Graham è stata completamente distrutta dalle forze oscure e dai segreti del passato. La narrazione del film riflette la discesa nella follia e nel terrore, con il destino inesorabile che porta alla tragedia.