Ospite Inatteso

  • Topico non ha a che fare con i topi

    Topico non ha a che fare con i topi

    La parola “topico” deriva dal latino “topĭcus”, a sua volta derivato dal greco antico “τοπικός” (topikos), che significa “relativo a un luogo” o “locale”. Questo termine greco deriva da “τόπος” (topos), che significa “luogo“. Inizialmente, il termine “topico” veniva usato per riferirsi a qualcosa che era appropriato a un particolare contesto o luogo, ma nel corso del tempo ha sviluppato il significato di argomento o tema comune e ricorrente in una discussione o in un’opera letteraria.

    Un topico topo tutto intraprendente,
    cercò formaggio con passo decente,
    contro un gatto coraggioso lottò,
    poi al salumiere, dritto arrivò.
    I giorni finali visse contento,
    formaggio in pancia, sorriso in vento.

    L’evoluzione del termine da “locale” a “argomento comune” è collegata all’uso retorico di determinate formule di espressione che potevano essere applicate a varie situazioni. Queste formule diventarono conosciute come “topoi” (al plurale di “topos”), e il termine “topico” venne utilizzato per indicare il concetto più ampio di argomento o tema generico e ricorrente.

    La parola “topico” ha due significati distinti, e in questo caso, stiamo parlando del suo significato nell’ambito della retorica e della discussione, non di quello legato ai topi.

    1. Topico come Argomento o Tema Ricorrente: In retorica e nella discussione, un “topico” è un argomento o un tema che è ampiamente conosciuto, discusso o riconosciuto. Può essere un concetto che ritorna frequentemente nelle conversazioni, nei discorsi o nelle opere letterarie. I “topoi” (al plurale di “topico”) sono delle convenzioni retoriche, cioè delle formule di espressione che possono essere usate per trattare certi tipi di argomenti. Questi concetti sono spesso utilizzati per costruire un discorso persuasivo o per facilitare la comunicazione.
    2. Topico non ha a che fare con i Topi: La parola “topico” non ha nulla a che fare con gli animali noti come “topi”. Si tratta di due parole con origini e significati completamente diversi. Mentre “topico” in retorica si riferisce a un argomento o tema, “topo” è il termine utilizzato per indicare piccoli roditori pelosi.

    Quindi, in breve, “topico” è un termine che si riferisce a un argomento o tema ricorrente nella discussione o nella retorica, e non ha nulla a che fare con i topi come animali.

    Un topico topo teso per il tesoro del formaggio, trepidante tra gli scaffali, cerca il suo agio. Tra stracci e scarpe, svelto va e si muove, la sua fame lo guida, nulla lo sovraintende.

    Ma un gran gatto gracchia, gli occhi pieni di scherzi, caccia il topo scattante, prudenza è l’arte. Nel negozio del salumiere, il topo va veloce, sfuggendo al felino, trova il suo posto.

    Con la coda alta, sfila nel paradiso del prosciutto, quando il gatto s’attarda, senza un minuto. Il formaggio lo aspetta, un abbraccio caldo e morbido, il topico topo sorride, al suo destino intrepido.

    Così, il topo, finalmente, gode giorni felici, nascosto nel salumiere, con sorrisi e leziosi lisci. Tra formaggi e salsicce, vive il suo sogno dorato, un topico destino, dal gatto ormai sventato.

    Mickey Mouse è forse il più topico dei topi.

  • Guida concettuale agli elefanti rosa

    Guida concettuale agli elefanti rosa

    Nel film d’animazione Disney del 1941 “Dumbo“, gli elefanti rosa rappresentano una sequenza molto particolare e altrettantosurreale.

    • La scena entra in una fase onirica, con il suono di una musica incalzante e misteriosa che emerge gradualmente.
    • La telecamera si focalizza su Dumbo, il piccolo elefante dalle grandi orecchie, che si trova all’interno della tenda del circo.
    • Dumbo è visibilmente confuso, balbettando leggermente mentre si muove in modo instabile.
    • Intorno a Dumbo, gli oggetti iniziano a deformarsi e a prendere forme insolite. Le luci si diffondono, creando un’atmosfera sfocata e surreale.
    • Improvvisamente, compare una carrellata di elefanti, tutti di un vivace colore rosa acceso. Sono dipinti con sfumature brillanti e psichedeliche, con grandi occhi sfaccettati e orecchie allungate.
    • Gli elefanti rosa iniziano a danzare in modo stravagante e sincronizzato, muovendosi in cerchi intorno a Dumbo. Alcuni elefanti saltellano e si librano nell’aria, sfidando la legge della gravità in un balletto bizzarro.
    • La musica raggiunge il suo apice, aumentando l’intensità e il ritmo. La scena diventa ancora più frenetica e caotica, con luci psichedeliche che si intrecciano e si fondono con i movimenti degli elefanti.
    • Dumbo, ancora sotto l’effetto dell’ebbrezza, segue gli elefanti rosa con sguardi sbigottiti e incerti, incapace di capire cosa sta accadendo.
    • Mentre la scena raggiunge il suo culmine, gli elefanti rosa sembrano fondersi insieme, creando forme sempre più strane e astratte, come un caleidoscopio vivente di colori e movimenti.
    • Poco a poco, l’effetto dell’allucinazione inizia a svanire, e Dumbo si ritrova nel suo ambiente familiare, con la confusione che pian piano svanisce.
    • La scena si conclude con Dumbo che si guarda intorno, ancora un po’ disorientato, mentre la musica si attenua e la normalità torna al circo.

    Nel film, Dumbo è un piccolo elefante dalle orecchie enormi che viene deriso e emarginato dagli altri elefanti del circo a causa della sua diversità. Un giorno, Dumbo si ubriaca involontariamente a causa di una bevanda alcolica mescolata all’acqua, e questo gli provoca una vera e propri allucinazione.

    Nella confusione, Dumbo ha una visione stravagante e psichedelica in cui degli elefanti rosa ballano e svolazzano intorno a lui. La scena è accompagnata da una musica incalzante e trascinante, rendendo il tutto ancora più surreale.

    Cosa significa la scena degli elefanti rosa di Dumbo

    La sequenza degli elefanti rosa è un momento iconico del film e rappresenta metaforicamente il momento di incertezza e smarrimento di Dumbo, il quale si sente emarginato e incompreso a causa delle sue caratteristiche fisiche diverse. È una rappresentazione dell’ansia e della paura che il piccolo elefante prova in un contesto sociale ostile.

    Inoltre, la scena ha un tono onirico e quasi psichedelico, caratteristico dello stile di animazione di quel periodo. Essa mostra anche il talento creativo degli animatori Disney, che hanno creato un momento visivamente affascinante e indimenticabile nel film.

    La sequenza degli elefanti rosa è uno dei momenti più distintivi e ricordati di “Dumbo,” e ha lasciato un’impronta indelebile nella cultura popolare, diventando una rappresentazione iconica della sperimentazione artistica e dell’immaginazione che caratterizzano i film Disney.

    Nei Simpson l’episodio viene parodizzato da “Rosafante“, l’elefante rosa che salva Barney da un mostro onirico che lo minacciava durante l’ennesima sbronza.

  • La scena dell’orso dentro Shining di Stanley Kubrick spiegata al popolo sovrano

    La scena dell’orso dentro Shining di Stanley Kubrick spiegata al popolo sovrano

    Nel film “Shining” diretto da Stanley Kubrick, basato sul romanzo di Stephen King, la scena dell’orso è una delle sequenze più enigmatiche e inquietanti. Questa scena non è presente nel libro originale di King e rappresenta un’aggiunta dell’adattamento cinematografico di Kubrick, che ha spesso inserito elementi visivi e simbolici unici per creare un’atmosfera surreale e spaventosa.

    La sequenza

    Nel film, la scena dell’orso si verifica quando il personaggio di Wendy si aggira nell’hotel con un coltello in mano, per difendersi da Jack. Poco dopo avvista in camera da letto un uomo vestito da orso, che sembra stare praticando un rapporto orale ad un uomo sconosciuto sdraiato sul letto. Le due figure si accorgono della presenza di Wendy, e la fissano per qualche istante. Wendy scappa, senza dire nulla.

    Spiegazione e Interpretazioni

    La scena dell’orso non è mai stata spiegata in modo definitivo da Kubrick e può essere soggetta a interpretazioni diverse. Ecco alcune possibili spiegazioni e concetti simbolici associati alla scena:

    1. Folclore e Mistero: L’orso con la maschera potrebbe richiamare immagini di rituali o leggende misteriose. Questo si allinea con l’atmosfera inquietante e surreale dell’intero film.
    2. Sesso e Perversione: Alcune interpretazioni suggeriscono che la scena dell’orso potrebbe essere legata a temi di sesso e perversione, riflettendo il deterioramento mentale e morale di Jack. L’immagine dell’orso mascherato potrebbe simboleggiare una sorta di desiderio represso, come mostrato dal fatto che l’orso si trova in camera da letto con un uomo dall’aria distinta, il che potrebbe riferire una qualche relazione non convenzionale (a tema furry, ad esempio).
    3. Labirinto dell’Hotel: L’Overlook Hotel è spesso descritto come un labirinto in cui le persone si perdono fisicamente e mentalmente. La scena dell’orso potrebbe rappresentare la confusione nella mente di Jack che si riflette, ovviamente, anche in quella della moglie Wendy.
    4. Visione Allucinatoria: L’orso potrebbe essere una visione distorta e allucinatoria causata dall’instabilità mentale di Jack e dall’influenza sovrannaturale dell’hotel stesso, il che finisce per influenzare in modo contagioso anche la moglie.
    5. Critica Sociale: Alcuni critici hanno suggerito che la scena dell’orso potrebbe rappresentare una forma di satira contro l’ipocrisia dell’alta società, per quanto tale intepretazione sembri vagamente forzata.

    È importante notare che Stanley Kubrick è noto per creare film complessi e ricchi di simbolismo, lasciando spazio a diverse interpretazioni. La scena dell’orso in “Shining” è solo uno dei molti elementi del film che contribuiscono alla sua natura ambigua e al suo impatto duraturo sulla cultura popolare.

  • Guida pratica alla società senza memoria

    Guida pratica alla società senza memoria

    Immagina un mondo in cui il passato evapora, un mondo in cui ogni mattina è una pagina bianca e la memoria una reliquia inutile, vivi il presente come un sussurro costante, non c’è storia, non c’è identità, solo flussi infiniti di dati che si cancellano, costruire una società senza radici non è un paradosso, è un metodo, e questa guida è la mappa per camminare in un tempo che non lascia tracce, sei pronto a dimenticare per davvero?

    “Guida pratica alla società senza memoria” potrebbe essere un titolo evocativo per affrontare il tema del progressivo declino della memoria collettiva nella società contemporanea. Potremmo strutturare questa guida per analizzare le cause, gli effetti e le possibili strategie per contrastare tale tendenza.

    Ecco una possibile traccia:


    Guida Pratica alla Società Senza Memoria

    1. Introduzione

    • Cos’è una società senza memoria?
      • Definizione e implicazioni.
      • Il ruolo della memoria collettiva nella costruzione dell’identità culturale.
    • Perché questo tema è importante oggi?
      • Velocità dell’informazione e cultura dell’oblio.

    2. Le Cause del Declino della Memoria

    • La tecnologia e l’oblio digitale
      • Dominio dei social media e frammentazione dell’attenzione.
      • L’archiviazione infinita come paradosso: troppi dati, poca memoria.
    • La perdita delle tradizioni
      • Globalizzazione e omogeneizzazione culturale.
      • Diminuzione della trasmissione orale e delle pratiche rituali.
    • Educazione e memoria storica
      • Programmi scolastici impoveriti.
      • Focus su competenze tecniche a scapito della formazione umanistica.

    3. Le Conseguenze della Dimenticanza Collettiva

    • Crisi identitaria
      • Smarrimento delle radici culturali e storiche.
      • Difficoltà a riconoscere errori passati per evitarli in futuro.
    • Manipolazione e disinformazione
      • La vulnerabilità a fake news e revisionismo storico.
    • Disinteresse per il futuro
      • Mancanza di una visione a lungo termine.

    4. Strategie per Ricostruire la Memoria Collettiva

    • Promuovere la consapevolezza storica
      • Valorizzare le celebrazioni e le commemorazioni.
      • Investire nella ricerca storica e nella divulgazione.
    • Innovare il sistema educativo
      • Includere l’educazione storica e culturale in modo trasversale.
      • Utilizzare la tecnologia come strumento di memoria, non di oblio.
    • Coinvolgere la comunità
      • Progetti locali di raccolta e condivisione delle memorie (archivi di quartiere, podcast, documentari).
      • Incentivare il dialogo intergenerazionale.

    5. Conclusione

    • La memoria come bussola
      • L’importanza di un equilibrio tra passato e presente.
      • La memoria non è solo un bagaglio, ma uno strumento per costruire un futuro più consapevole.

    Ti piacerebbe che sviluppassimo insieme uno dei punti di questa guida o che arricchissimo il contenuto con esempi pratici e consigli concreti?

     

  • Essere sapiosessuale

    Essere sapiosessuale

    Una volta un amico mi ha confidato di “essere sapiosessuale” – di sentirsi attratto da partner con cui possiede interessi in comune in termini culturali. Il sapiosessuale è infatti attratto dal cervello dell’altra persona, al punto di sognare di farlo proprio, di farselo, di renderlo organo sessuale.

    Il concetto mi sembrava affascinante e, qualche mese dopo, mi è capitato di metterlo alla prova: per mesi ho frequentato assiduamente una collega con cui vado molto d’accordo e c’è tuttora intesa mentale considerevole. Ogni aspetto del reale era motivo di confronto, diventava la scusa per parlare di libri, di film, di musica; per raccontare di noi, aprirci l’un l’altro. E poi condividere conoscenza, raccontarci storie, essere trasparenti, sinceri l’uno con l’altra, infarcite di autori che avevamo letto e cose che avevamo studiato. Sembrava il preludio di una delle più belle storie sapiosessuali mai raccontate, ma non è andata come si sperava: la persona in questione si è rivelata più attratta dai miei ragionamenti che da me, e il suo interesse era sinceramente lavorativo e non sentimentale o sessuale. L’altra persona che parlava di sapiosessualità, del resto, non ha mai esibito troppa cultura con la propria compagna, anzi ha sempre insistito su un registro colloquiale anche piuttosto banale, stantìo, nulla di elaborato. Mi venne il dubbio, a quel punto, che la sapiosessualità di fatto non esista, o al limite che si tratti di un modo per abbellire la propria narrazione emotiva (nulla di male nel farlo, intendiamoci).

    Di per sè, se andiamo ad indagare, la sapiosessualità sembra un neologismo senza alcun fondamento scientifico, al contrario di altri fenomeni come la demisessualità che sono attualmente allo studio. Può anche darsi che in futuro vengano fatti studi approfonditi anche sulla sapiosessualità e si possa saperne di più, ma ad oggi è bene sapere che il termine “sapiosexualcompare sul web sul finire degli anni Novanta, sul blog dell’utente con nickname wolfieboy. L’autore si considerava “entusiasta della sapiosessualità“, e del fatto “che parecchie persone stiano annoverando la sapiosessualità come interesse“. Nel blog, l’autore si attribuisce di aver “inventato” questato parola nel 1998, a seguito di una discussione con una blogger (nickname Jadine), con cui – in era pre-social / web 1.0 – era solito comunicare e scambiarsi idee.

    La sapiosessualità veniva definita da wolfieboy come un qualcosa di diagonale rispetto al sesso biologico, dato che (scrive l’autore)

    Non mi interessa molto “l’impianto idraulico”

    nel senso che non gli interessava il sesso del partner, probabilmente. L’autore specifica poco dopo la propria lista della spesa in fatto d’amore:

    Vorrei una mente incisiva, curiosa, perspicace e irriverente. Qualcuno per cui la discussione filosofica sia un preliminare. Qualcuno che a volte mi faccia venire il voltastomaco per la sua arguzia e il suo senso dell’umorismo maligno. Qualcuno che possa raggiungere e toccare dove capita. Qualcuno con cui potermi fare le coccole.

    Ho deciso che tutto ciò significa che sono sapiosessuale, conclude in modo lapidario.

    Se ammettiamo che questa dichiarazione possa essere una sorta di “manifesto” della sapiosessualità (termine popolarizzato ulteriormente, per inciso, dalla scrittrice erotica Kayar Silkenvoice), bisognerebbe premettere che quella wishlist interminabile di desiderata per un partner sia probabilmente irrealistica. Questo anche solo per il fatto che si basa su una lista della spesa discorsiva, poco applicabile alla realtà, e perchè – da che mondo è mondo, diremmo – ognuno trova i partner che trova, senza programmi, senza scadenze e soprattutto se li trova. Questo ci riconduce a pensare il problema della sapiosessualità in termini cognitivi, perchè sembrerebbe plausibile che si tratti di un paravento, un bias cognitivo che ci risparmia di fare i conti con la realtà e la sua irriducibilità ad una formula matematica. Molto più semplice pensare, per intenderci, che sono un/una nerd incallita e voglio un/una nerd incallita come me.

    Viene altresì il sospetto che la sapiosessualità possa essere un costrutto sociale, dai tratti molto semplicistici nel suo concepimento, in netta opposizione alle caratteristiche sfuggenti della realtà in cui viviamo. Una realtà in cui – lo sappiamo bene – è complicato trovare un partner adeguato, soprattutto (ma non solo) in pianta stabile e se le nostre esigenze cozzano con le tendenze maggioritarie della società. Molti trovano subito in modo spontaneo nonostante varie disregolazioni emotive e caratteriali, altri lavorano su se stessi per anni senza trovare nulla. Questo aspetto è fonte di sofferenza per tanti, e spiega il discreto successo di cose come i corsi di seduzione online che, il più delle volte, si prefigurano come saggi incel riduzionisti per maschi bianchi etero. Sono dotati di dialettica argomentativa accattivante quanto semplificata, che sia in grado di catturare la mente delusa del single, ma non rendono (ed è questo il loro limite sostanziale) l’idea della soggettività dell’incontro, dell’irripetibilità della circostanza, della risonanza del contatto fisico e forse neanche della possibilità che possano esistere molte forme di amore, tra cui quelle non necessariamente sessuali. Non è poco, ed è sempre meglio di nulla per chi non trova davvero nient’altro. Viene insomma il dubbio che dire “sapiosessuale” sia un travestimento emotivo per suggerire alle persone che “mi considero degno e voglio una persona degna come me“. Vale la pena seguire la falsariga dell’anti-semplicismo e provare a capire meglio dove ci porta, a questo punto.

    Nel saggio “Abitare la complessità” Mauro Ceruti e Francesco Bellusci evidenziano come sia cresciuta, negli ultimi anni, la diffidenza generale nei confronti della complessità del reale, in favore di una tendenza a trovare una logica forzosa in ogni cosa. Al netto dei complottismi che giustificano sempre qualsiasi cosa, si finisce spesso per applicare criteri brutalmente cartesiani ad un mondo che, di suo, rifiuta questa categorizzazione, perchè è troppo sfuggente e complesso perchè si possa esprimere in termini deterministici. Gli autori si spingono a scrivere, in merito, che

    il semplice non esiste, ovvero è sempre il semplificato

    nel senso che qualsiasi schema mentale applichiamo alla realtà rivela null’altro che la nostra utilità, ciò che a noi serve, o anche la nostra ansia nell’accettare o meno quella benedetta complessità. Complessità che, a sua volta, non vuole essere sinonimo di complicanza, bensì rilancia la propria effettività in favore di scelte operate, in risposta alla giungla del reale, in maniera più flessibile, dalle conseguenze imprevedibili e non per forza funzionali ad una narrazione preconcetta.

    “La prima regola del club di Dunning–Kruger è che non sai di farne parte” (D. Dunning).

    Al tempo stesso, gli studi di David Dunning e Justin Kruger avevano analizzato ad inizio anni Novanta un campione di studenti universitari che sostenevano un esame, osservando un singolare fenomeno: la performance media effettiva, a confronto di quella auto-percepita, tendeva a presentare un divario sostanziale. Più nello specifico, sembrava che i meno studiosi tendessero a sopravvalutarsi e, al contrario, quelli con voti più alti a sottovalutare le proprie capacità.

    Un fenomeno dai tratti grotteschi che i due autori citano nel proprio articolo “Non qualificati e inconsapevoli: come le difficoltà nel riconoscere la propria incompetenza portano a autovalutazioni esagerate“, diventato un vero classico del pensiero razionale, dello studio dei bias cognitivi e del debunking in genere. Chi riferisce la sapiosessualità come una caratteristica di se stesso e del proprio potenziale partner (o meglio, del proprio io ideale e della proiezione idealizzata del futuro partner) potrebbe essere parte del club di cui nessuno è consapevole di essere, quello di Dunning e Kruger: potrebbe insomma considerarsi più intelligente di quanto non sia, e sovrastimare le doti del (o della) partner.