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  • Il sacrificio del cervo sacro: trama, sinossi, cast, finale

    Il sacrificio del cervo sacro: trama, sinossi, cast, finale

    “Il sacrificio del cervo sacro” (titolo originale The Killing of a Sacred Deer) è un film del 2017 diretto da Yorgos Lanthimos. Il film è noto per il suo stile surreale / grottesco e la sua trama dotata di uno spaventoso climax narrativo.

    Di seguito, ti forniremo informazioni sulla trama, la regia, il cast, la produzione, lo stile, una recensione e una possibile spiegazione del finale del film.

    Trama

    Sulle prime il film si muove su un registro standard, apparentemente prevedibile: possiamo vedere un chirurgo di successo all’opera, mentre la prima sequenza si incentra su un’operazione a cuore aperto da cui capiamo che si tratta di un professionista di altissimo livello. Steven Murphy (Colin Farrell) vive in una grande città, ha una moglie (Nicole Kidman) anch’essa medico e due figli a cui sembra non mancare nulla. L’elemento perturbante è  Martin, un ragazzino che si vede periodicamente con il chirurgo, al quale vengono fatti regali costosi mentre la natura della loro relazione non viene esplicitata. La regia non fa capire di che tipo di rapporto si tratti, tanto più che la madre del ragazzo sembra essere attratta dal chirurgo, il ragazzo sembra emotivamente coinvolto dall’uomo e scopriamo che ha perso il padre: solo in un secondo momento sapremo che la responsabilità è stata dal chirurgo, in quanto è morto durante un’operazione.

    Si muove su questa falsariga Il sacrificio del cervo sacro, traendosi spunto dalla tragedia di Ifigenia, uccisa dal padre per soddisfare l’ira implacabile di un dio. Non era semplice inserire questo elemento mitologico in una trama ambientata ai giorni nostri ed è esattamente questo il quid che rende il film unico: anche a costo di non dare troppe spiegazioni e di sbatterlo in faccia allo spettatore senza troppi preamboli, determinando così uno dei più colossali “patti” tra regia e pubblico mai comparsi sullo schermo. Di per sé la storia del film è coinvolgente, e viene resa sostanziale da una regia solida quanto a suo modo distaccata: i vari momenti tragici del film vengono sottolineati da campi lunghi, e si tratta quasi sempre di una violenza che deriva dall’ordinario, dal familiare, come già in Funny games (che viene probabilmente omaggiato dalla sequenza delle federe del cuscino in testa ad alcuni personaggi, come vedremo). L’innesto nella trama dell’elemento mitologico “ifigenico” è accennato esclusivamente dal fatto che uno dei due ragazzi ha studiato questa tragedia a scuola, ma per il resto si tratta di un perturbante puro di cui nel pubblico nei protagonisti sembrano riuscire a capacitarsi. La potenza del film risiede proprio in questo accenno che non viene esplicitato: i personaggi non lottano contro un villain focalizzato, né tantomeno contro un’epidemia o un altro elemento a cui è possibile dare un nome: la tragedia ineluttabile è proprio nel non saper dare un nome ad un male che forse, come viene più volte accennato, è più psicologico che fisico, e che richiama all’eterna, ambigua questione se siano le malattie organiche a provocare problemi mentali o viceversa.

    Recensione

    Di per sé il film evoca diversi diversi temi: c’è il tema del patriarcato, esplicitato dal fatto da un genitore possa voler generare quanto voler distruggere la propria prole, avendo di fatto pieno controllo su entrambi gli aspetti. c’è anche il fatto non indifferente della presa di responsabilità, dell’etica professionale legata alla professione del medico, che viene posta in maniera controversa e raggelante. Queste cose è talmente lampante che viene anche detta, ad un certo punto, dalla figlia del protagonista, quando invita con toni umili e melodrammatici il proprio padre a fare “ciò che deve”. E in ballo c’è pure il topic dell’eugenetica: lo vediamo dalla sequenza di Steven che va a parlare con il preside della scuola, per sapere quale dei due abbia un migliore rendimento (o, per altri versi, quale dei vada sacrificato).

    La regia di Lanthimos è fredda, ispirata quanto spietata, riprende ogni scena con gelida lucidità, spesso e volentieri in campo lungo, e sembra farsi beffe di certo scientismo: il fatto che due medici non riescono a capire perché i figli stanno male rasenta ad un certo punto il grottesco, e appare come messaggio critico all’eccessiva “sicurezza di sè” di certa parte della scienza e della medicina. Il sacrificio del cervo sacro è sicuramente un unico nel suo genere, anche perché è un thriller senza cause esplicite, c’è ovviamente l’espiazione del senso di colpa del medico ma non c’è un villain o una causa identificabile (la stessa attribuzione di ogni male al giovane Martin sembra ad un certo punto coerente, ma non è corretta: il mondo è pervaso da un maligno generalizzato, letteralmente, e il male non è espiabile in altro modo). Quest’ultimo aspetto probabilmente può cozzare con i gusti di parte del pubblico e disorientarlo, specie quello meno abituato agli orrori irrazionali in cui l’elemento narrativo tende a disperdersi nella trama, nei quali non è agevole attribuire un effetto ad ogni causa.

    In questo senso l’operazione di Lanthimos è azzardata, anche se il successo del film e i premi vinti sembrano avergli dato ragione.

    Il sesso nel film (ispirato alle teorie di Michael Bader)

    Il soddisfacimento degli istinti sessuali ne Il sacrificio del cervo sacro è quasi sempre represso, rinviato, male articolato e solo in alcuni casi soddisfatto. Questo serve alla regia per mostrare il lato oscuro di ogni personaggio, e farci comprendere meglio il rispettivo vissuto. Come evidenziato dal saggio Eccitazione dello psicologo Michael Bader, del resto, ogni persona ricerca nelle fantasie sessuali un ambiente safe, libero da sensi di colpa, in cui potersi eccitare liberamente. Anche a costo di ricorrere a scenari bizzarri o spaventosi, sulla base delle proprie esperienze e del proprio vissuto.

    Kim è un’adolescente che ha appena avuto le mestruazioni, ad esempio: la sua relazione con Martin dovrebbe essere una sorta di “prima iniziazione” al sesso, ma vediamo che il suo offrirsi al partner non ottiene l’effetto desiderato, probabilmente perchè il ragazzo è rapito dal proprio mood di vendetta e, in qualche modo, non dispone di condizioni sicure in cui potersi eccitare. È altresì significativo che le modalità di dimostrarsi disponibili della ragazza siano analoghe a quelle della madre del personaggio, Anna, che presenta una singolare modalità di relazionarsi in camera da letto col marito: si spoglia, si stende sul letto e finge di essere una paziente totalmente anestetizzata, fantasia che si ricollega al lavoro dei due personaggi e che evoca indirettamente, anche qui, una sorta di sacrificio rituale. Questo roleplay sembra verosimile nel contesto in cui si muovono i due coniugi, e ancora una volta vediamo la teoria di Bader all’opera: la fantasia può funzionare solo se se – nel mentre – non emergono sensi di colpa. Non appena il chirurgo viene “smascherato” dai fatti (ha mentito sull’incidente al padre di Martin, perchè la morte l’ha causata lui e vorrebbe subdolamente addossarla all’anestesista) la fantasia si spegne, e il rapporto non può più avere luogo. Per ottenere la verità su quanto accaduto nell’operazione al padre di Martin, poi, Anna richiede l’informazione all’anestesista che ha lavorato con lui, Matthew, che racconta pero’ una versione invertita della storia rispetto a quella di Steven. L’informazione ha un costo, in questo caso, che è quello di soddisfare sessualmente Matthew (scena della masturbazione in macchina), sulla base di un desiderio represso che l’uomo, secondo Anna, avrebbe espresso durante una cena tra colleghi. In tutti questi episodi sembra piuttosto chiaro che la sessualità sia più un mezzo che un fine, in quanto viene utilizzato per definire l’essenza del rapporto tra i personaggi e per finalizzare i loro scopi (al limite provare a finalizzarli).

    Regia

    Il regista Yorgos Lanthimos è noto per il suo stile cinematografico unico e spaventoso, caratterizzato da dialoghi monocordi, situazioni surreali e freddezza emotiva ostentata da vari personaggi. “Il sacrificio del cervo sacro” non fa eccezione: il regista crea un’atmosfera di tensione e inquietudine in tutto il film, sulla base di un non meglio specifico senso di colpa. Questa inquietudine è frutto di un qualcosa di astratto, di una non meglio specificata maledizione, di un Dio malvagio che pervade l’esistenza degli esseri umani pur senza mostrarsi, senza avere un nome, quasi un ente innominabile lovecraftiano. Il finale evoca più una tragedia surreale o una piece di teatro sperimentale, la resa dei conti con cui i protagonisti vanno incontro al loro destino senza poter fare nulla per opporsi. Il finale dell’opera evoca l’esorcismo del senso di colpa, il senso di impotenza assoluto da parte dell’uomo di fronte a determinati orrori.

    Il film è stato prodotto da Element Pictures e A24, ed è stato presentato in concorso al Festival di Cannes del 2017.

    Cast

    Il cast principale include Colin Farrell, Nicole Kidman, Barry Keoghan, Alicia Silverstone, e Raffey Cassidy. La scelta non poteva essere più felice, e in molti casi sembra di assistere a un film tipo Eyes Wide Shut, per altri a uno come Saltburn, visto che curiosamente il giovane personaggio si trova ad assolvere un ruolo molto simile di potenziale destabilizzatore della famiglia, per quanto in modo indiretto.

    Sinossi

    Il film segue la storia di Steven Murphy (interpretato da Colin Farrell), un cardiochirurgo di successo che ha una vita apparentemente perfetta con la moglie Anna (interpretata da Nicole Kidman) e i loro due figli. La vita di Steven prende una svolta inquietante quando Martin (interpretato da Barry Keoghan), un ragazzo giovane e problematico, inizia a inserirsi nella sua vita. Si scopre che il padre di Martin è morto durante un’operazione chirurgica effettuata da Steven e Martin crede che la morte di suo padre sia stata causata da un errore medico. Martin inizia a esercitare un’influenza oscura sulla vita di Steven e della sua famiglia, minacciando di infliggere loro una serie di maledizioni, inclusa la paralisi e la morte, a meno che Steven non prenda una decisione terribile riguardo a uno dei suoi familiari.

    La situazione si sviluppa in modo surreale, e Steven si trova costretto a prendere una tragica, ineluttabile decisione.

    Spiegazione del finale

    Il finale del film può essere visto come una rappresentazione allegorica del conflitto morale e delle conseguenze delle azioni dei personaggi. Non si tratta ovviamente di un finale aperto, perchè la scelta della vittima è stata brutalmente effettuata (nell’unico modo possibile per il protagonista: scegliendola a caso). Nel momento culminante Steven prende una decisione randomica per porre fine alla maledizione di Martin: mette a sedere i tre familiari i salotto, e – dopo averli legati – estrae a sorte chi dovrà morire, bendandosi e girando su sè stesso un paio di volte prima di sparare. Lo fa perché non può scegliere diversamente, e perchè è l’unico modo per espiare la propria colpa (molto probabilmente ha operato il paziente da ubriaco).

    Quando i superstiti si ritroveranno all’interno del locale dove è iniziato il film fanno finta di non vedere Steven, che chiaramente fa lo stesso nei loro confronti. il cerchio si è chiuso, e la storia può dirsi conclusa.

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  • Il talento di Mr. Ripley: cast, trama, significato, produzione

    Il talento di Mr. Ripley: cast, trama, significato, produzione

    “Il talento di Mr. Ripley” è un film del 1999 diretto da Anthony Minghella, basato sul romanzo omonimo di Patricia Highsmith.

    Sinossi e genere

    Si tratta di un thriller psicologico che segue le vicende di Tom Ripley, interpretato da Matt Damon, un giovane ambizioso e affascinante che viene incaricato di convincere un ricco playboy, interpretato da Jude Law, a tornare negli Stati Uniti dalla sua vita spensierata in Italia.

    Trama

    Tom Ripley viene inviato in Italia per convincere Dickie Greenleaf a tornare negli Stati Uniti. Dickie è un ragazzo ricco e disinvolto, e Tom inizia ad ammirarlo. Si stabilisce un legame tra loro, ma quando Dickie inizia a stancarsi della compagnia di Tom, questo sviluppa un’ossessione crescente per lui. L’amicizia si trasforma in qualcosa di oscuro e pericoloso quando Tom inizia ad adottare l’identità e lo stile di vita di Dickie.

    Cast:

    • Matt Damon – Tom Ripley
    • Jude Law – Dickie Greenleaf
    • Gwyneth Paltrow – Marge Sherwood
    • Cate Blanchett – Meredith Logue
    • Philip Seymour Hoffman – Freddie Miles

    Produzione e Regia: Il film è stato prodotto da Miramax Films e diretto da Anthony Minghella, che ha ricevuto anche crediti per la sceneggiatura. La pellicola ha ottenuto diverse nomination e riconoscimenti per le performance degli attori e la regia di Minghella.

    Storia e Significato

    La storia si concentra sulla complessa psicologia di Tom Ripley, un giovane ambizioso e problematico che cerca di sfondare nel mondo della ricchezza e del lusso adottando identità e comportamenti non suoi. Il film esplora temi come l’identità, la manipolazione, l’invidia e la ricerca ossessiva del successo, mettendo in luce il lato oscuro e torbido della natura umana. È una storia che analizza la dualità dell’essere umano e le sfumature morali che emergono quando si è disposti a tutto pur di raggiungere il proprio scopo.

    Sinossi

    In breve, il film segue il percorso di Tom Ripley mentre si insinua sempre più nella vita di Dickie Greenleaf, finendo per adottarne l’identità in un gioco pericoloso di bugie, manipolazioni e oscuri segreti.

    Significato

    Il film esplora le sfumature della personalità umana, la ricerca dell’identità e l’ossessione per la vita altrui. Rappresenta anche una critica nei confronti di una società ossessionata dalla ricchezza e dalle apparenze, mettendo in luce le conseguenze psicologiche della ricerca disperata del successo e della felicità a qualsiasi costo.

  • Porco rosso: il saggio antifascista di Miyazaki

    Porco rosso: il saggio antifascista di Miyazaki

    1930: Marco è un veterano della prima guerra mondiale che è diventato un cacciatore di taglie nonchè un maiale antropomorfo.

    In breve. Film di animazione giapponese dai toni tendenzialmente leggeri, quanto impegnativi e politici da altri. Concepito sulla falsariga di un manga scritto dallo stesso regista, assume un tono serioso da un lato e scanzonato dall’altro.

    Scritto e diretto dal co-founder dello Studio Ghibli Hayao Miyazaki, Porco Rosso esce nel 1992 come prodotto di intrattenimento puro, dai tratti leggeri e disimpegnati e, come raccontato da Gualtiero Cannarsi che ne ha curato uno specifico doppiaggio italiano (uscito come Il maiale rosso, anno 2010, Festival del Cinema di Roma), “un film leggero per uomini d’affari stremati da lavoro, ipossia cerebrale e jet-lag“. La sobrietà tematica di Porco rosso, a ben vedere, è relativa: il protagonista, nello svolgersi della storia, è diventato un maiale antropomorfo (che è un dettaglio quasi dato per scontato, tanto più che non viene esplicitamente detto come ciò sia avvenuto, anzi il suo racconto è per certi versi vago e rimane tendenzialmente poco impresso nella memoria). Ma è soprattutto un bersaglio del regime fascista.

    La storia è ambientata in Italia nel Ventennio: Marco (nella storia, in molti casi, più semplicemente “Porco“) è considerato un sovversivo pericoloso, un maiale in ogni senso, il che assume una parvenza di vera e propria metafora (un porco rosso, peraltro, quindi tendenzialmente comunista). Viene anche invitato a rientrare nell’esercito e ad abbandonare la propria attività di cacciatore di taglie dell’aria, cosa che rifiuta: questo perchè piuttosto che diventare un fascista, meglio essere un maiale. Nella sequenza surreale e commovente in cui assistiamo alla storia della sua trasformazione, non capiamo effettivamente da cosa sia dipesa: verrebbe da pensare ad un sortilegio, ma per certi versi (come suggerito dalla scheda del film sulla rivista online AsiaMedia) sembra essere dovuta soprattutto al senso di colpa e di sfiducia, nell’essere l’unico sopravvissuto ad un attacco aereo che ha ucciso tutti i suoi compagni di volo.

    L’aspetto sentimentale, poi, occupa – con un stile essenziale e garbato costruito più su pudiche allusioni, mai troppo esplicite – buona parte della storia: Porco si barcamena tra almeno due relazioni amorose, di cui una totalmente idealistica con la nipote diciassettenne dell’uomo che ha ricostruito il suo aereo (Fio) che ha anche deciso di accompagnarlo in missione, e l’altra altrettanto vaga con Gina, cantante e proprietaria di un locale molto frequentato dai “pirati dell’aria”. Nella storia c’è giusto il tempo di costruire un antagonista, Curtis, un americano presuntuoso e donnaiolo che sfida Porco in una battaglia aerea, con la promessa di sposare Fio se dovesse averla vinta.

    Al di là dell’aspetto politico – aspetto da non sottovalutare – Porco Rosso è un omaggio alla passione di Miyazaki per la storia dell’aeronautica, tanto che lo stesso nome Ghibli fa riferimento al bimotore del Caproni Ca.309 prodotto realmente negli anni ’30 dalla Caproni Aeronautica Bergamasca, e molti piloti citati sono realmente esistiti (Francesco Baracca, Adriano Visconti, Arturo Ferrarin). Inizialmente era stato concepito come film-tributo di circa 40 minuti per conto della Japan Airlines, e poi l’idea venne espansa e divenne un vero e proprio lungometraggio. In seguito, il regista lo definì semplicemente foolish: una piccola follia, pensata come mashup tra il mondo delle fiabe classiche e quello, dai contorni più vaghi, di quelle per adulti. Questo dovrebbe autorizzarsi a non urlare troppo facilmente al capolavoro, anche in considerazioni di alcuni rallentamenti narrativi che sembrano, per certi versi, allungare il brodo più del dovuto.

    Tenendo conto della genesi della storia e della sua derivazione, la valutazione rimane positiva per quanto, ovviamente, probabilmente non dotata del pregevole dono della sintesi. Questo per quanto siano obiettivamente divertenti – essendo un film di intrattenimento puro per circa metà della sua portata – le allusioni, i siparietti e gli stereotipi bonari sugli italiani: i pirati dell’aria più tonti che cattivi, le donne giovani quasi sempre incantevoli (Gina, ad esempio, evoca nelle fattezze la femme fatale modello Fujiko Mine di Monkey Punch), le anziane sempre cordiali, le bambine frivole e pestifere, lo stesso Porco che rappresenta l’italiano ironico, beffardo e anarcoide (e naturalmente donnaiolo).

  • Godsend: clonazione e identità

    Godsend: clonazione e identità

    Si tratta di un film del 2004 diretto da Nick Hamm. Il film è un thriller psicologico con elementi di orrore e fantascienza. La trama ruota attorno a una coppia che perde il loro figlio in un incidente tragico e poi accetta l’offerta di un medico di clonare il figlio defunto. La storia esplora le conseguenze etiche e emotive di questa scelta, oltre a presentare elementi di suspense e mistero legati alla natura della clonazione e ai segreti del medico.

    Il cast del film includeva attori come Robert De Niro, Greg Kinnear e Rebecca Romijn. “Godsend” è stato accolto in modo misto dalla critica, con alcune lodi per le performance degli attori ma anche alcune critiche per la trama e la sua esecuzione.

    Nel complesso, “Godsend” affronta temi complessi attraverso un mix di elementi psicologici, thriller e orrore, concentrando l’attenzione su come le decisioni scientifiche e morali possano avere conseguenze inaspettate e profonde.

    Sinossi del film

    Il film inizia con la famiglia Duncan, composta da Paul (interpretato da Greg Kinnear) e Jessie (interpretata da Rebecca Romijn), che vivono felicemente con il loro figlio ottantenne, Adam (interpretato da Cameron Bright). Tuttavia, la loro vita viene sconvolta quando Adam muore in un tragico incidente. Devastati dal dolore, vengono avvicinati dal Dr. Richard Wells (interpretato da Robert De Niro), un esperto di clonazione umana. Il dottore offre loro l’opportunità di clonare Adam e dare così loro la possibilità di avere di nuovo il loro figlio.

    La coppia accetta l’offerta e Adam viene clonato con successo. Tuttavia, la situazione si complica quando la nuova versione di Adam, chiamata Ethan, inizia a mostrare comportamenti inquietanti e inspiegabili. La famiglia si rende conto che il processo di clonazione potrebbe avere effetti imprevisti sulla personalità e il comportamento del nuovo Adam.

    Paul e Jessie cercano di scoprire la verità dietro il programma di clonazione del dottor Wells, e scoprono che il dottore aveva già sperimentato la clonazione su altri bambini, con risultati altrettanto inquietanti. Man mano che la situazione peggiora, Paul e Jessie si sforzano di proteggere il loro nuovo figlio da ciò che potrebbe nascondersi dietro il suo comportamento inquietante.

    La trama si sviluppa in un crescendo di suspense mentre la famiglia cerca di affrontare i segreti scioccanti che circondano la clonazione e i rischi che hanno accettato di correre. Il film esplora le sfide etiche e morali legate alla clonazione umana e mette in discussione la natura dell’identità e dell’anima.

    Cast del film

    • Robert De Niro nel ruolo del Dr. Richard Wells
    • Greg Kinnear nel ruolo di Paul Duncan
    • Rebecca Romijn nel ruolo di Jessie Duncan
    • Cameron Bright nel ruolo di Adam Duncan / Ethan
    • Jenny Levine nel ruolo di Barbara Clark
    • Deborah Odell nel ruolo di Elaine
    • Henry Czerny nel ruolo del Prete
    • Jake Simons nel ruolo di Max Shaw
    • Miko Hughes nel ruolo di Jake Duncan

    Spiegazione del finale

    Nel finale di “Godsend”, Paul e Jessie scoprono che il dottor Wells aveva clonato numerosi bambini in passato, cercando di creare una mente geniale ma con risultati disturbanti. I bambini clonati manifestavano comportamenti instabili a causa del tentativo di condizionamento del dottor Wells.

    Paul e Jessie cercano di liberare Ethan dall’influenza del dottor Wells. Nel culmine, affrontano il dottore nel suo laboratorio e una lotta fisica ne risulta. Durante la lotta, Paul accidentalmente uccide il dottor Wells. Rendendosi conto dell’orrore degli esperimenti del dottore, Paul e Jessie decidono di distruggere tutte le prove dell’esperimento bruciando l’istituto di ricerca.

    Nel finale, la famiglia cerca di ricostruire la loro vita lontano dall’orrore della clonazione e delle manipolazioni genetiche. Sembra che stiano cercando di iniziare una nuova vita insieme, affrontando le sfide come una famiglia unita.

    Il film si conclude sulla nota di speranza mentre la famiglia si impegna a lasciarsi alle spalle gli orrori del passato e a guardare verso il futuro.

  • Autostop rosso sangue è quasi “Cani arrabbiati” 2

    Autostop rosso sangue è quasi “Cani arrabbiati” 2

    Autostop rosso sangue percorre le spinose vie del cosiddetto “rape ‘n revenge” attraverso i suoi tipici temi improntati su cinismo e claustrofobia, avvalendosi di interpretazioni piuttosto all’altezza. In più, la conclusione della storia suggerisce un doppio finale davvero incredibile, che – come tradizione del genere a volte impone – finisce per ribaltare i ruoli dei vari protagonisti.

     In breve: una buona chicca nel panorama di genere all’italiana. Propone situazioni claustrofobiche e “stradaiole”, spesso molto crudeli ed esplicite. Piacerà ai fan di “Cani arrabbiati” di Mario Bava.

    Film crudele, dichiaratamente anti-eroico e manifesto dell’insensata cattiveria umana: narra la storia di una coppia di coniugi in crisi (Walter ed Eva, interpretati da Franco Nero e da Corinne Cléry), che cercano invano di risolvere i propri problemi durante un viaggio (vedi anche Vacancy). In giro con la propria roulotte, incrociano un autostoppista che, neanche a dirlo, non è altri che Adam Konitz (il David Hess de “La casa sperduta nel parco” e del cult “L’ultima casa a sinistra”). Quest’ultimo si spaccia per un commesso viaggiatore con l’auto in panne, mentre in realtà è un rapinatore che si porta dietro una valigia piena di dollari dopo aver miseramente tradito i propri compagni. Come se non bastasse, i reduci traditi sono già sulle tracce del criminale, e tutti giocheranno con la coppia come dei veri e propri burattinai.

    Il richiamo a “Cani arrabbiati” ci sta tutto, e chi conosce meno l’underground potrebbe pensare a “Duel” come termini di confronto: Campanile, nella sua unica incursione nel mondo del terrore (normalmente dirigeva commedie tipo “Adulterio all’italiana“) rappresenta come detestabili le caratteristiche più grette dell’uomo – ma anche della donna, a partire dal semi-alcolizzato e vagamente maniacale marito a finire al criminale in incognito, senza dimenticare l’imprevedibile Eva: rappresentata come una bambola senza cervello per tre quarti di film, paradossalmente determinante nell’uccidere il criminale dopo averlo sedotto.

    Walter è invece litigioso, egoista e quasi ubriaco: incapace di difendere se stesso, viene colpito nella sua debolezza più grande (il rapporto con la moglie) e costretto, in una scena pesantissima e lacerante, ad assistere addirittura al suo stupro. L’idea di avere a che fare con un film macho, nel quale la donna è un oggetto e le soluzioni devono trovarle gli uomini, sembra quindi perfettamente fondata fino all’agghiacciante – e stra-discussa – scena dello stupro, che contiene un ribaltamente assolutamente insperato ed insospettabile, e che stravolge radicalmente il senso della stessa. Grande importanza, poi, ha il rapporto tra i due, sulle cui incomprensioni si basa la brutalità di moltissime scene violente, che altrimenti passerebbero quasi indifferenti alla maggioranza del pubblico. In particolare, segnalo il dualismo tra l’atteggiamento rinunciatario delle vittime (vedi anche Funny Games) ed una sorta di masochistico compiacimento per la situazione (una caratteristica per la quale le accuse di sessismo alla sceneggiatura furono quasi automatiche). Del resto a Campanile piacque giocare coi doppi finali alla Dario Argento, e riserva una chicca finale che, a quanto pare, venne rimossa da alcune versioni del film perchè troppo anti-hollywoodiana. Forse non un capolavoro, ma certamente da tenere in considerazione per la propria videoteca di genere.