Salvatore

  • Girlfriend experience

    Girlfriend experience

    Se si cerca su Google “girlfriend experience” uno dei primi risultati, almeno allo stato attuale, è una FAQ in cui la domanda recita “dove posso trovare girlfriend experience“: la risposta, naturalmente, è su Amazon, e fa riferimento alla serie TV del 2016 di tre stagioni, uscita qualche anno fa, ad opera dei registi Lodge Kerrigan e Amy Seimetz. Nel primo episodio si mostra uno spaccato della vita di Christine, studentessa di giurisprudenza che trascorre le giornate tra studio, tirocinio in uno studio legale e relazioni occasionali, e quella dell’amica Avery, che lavora come escort proprio in termini di Girlfriend Experience.

    Eppure dove posso trovare girlfriend experience è una domanda che suona spaventosamente ambigua, perchè nulla sappiamo sul reale intento di ricerca da parte dell’utente e non sappiamo, in definitiva, se fosse desiderio di una fidanzata simulata o di una serie TV. Di fatto l’acronomo GFE, che in genere accompagna nel gergo di internet le Girl Friend Experience, è un servizio sessuale vero e proprio, in cui si chiede – al di là della prestazione sessuale – che la donna (o l’uomo, nel caso di una boyfriend experience o BFE) mostri un attaccamento sentimentale alla persona. Quindi a parte il sesso ci saranno scherzi, coccole, intimità e via dicendo. Il dizionario urbano, caustico come al suo solito, definisce BFE / GFE come Affection oriented escort, ovvero sex worker orientate all’affetto. E molte escort, a quanto pare, offrono questo servizio nella miriade di acronimi di natura prettamente sessuale, tra cui esce fuori GFE come se fosse una threesome o un 69.

    Girlfriend experience è sostanzialmente una escort che offre più del semplice sesso, ma anche baci, coccole, carezze e abbracci. È pura distopia, a pensarci. Ma forse già pagare per il sesso si affaccia sullo stesso scenario, perchè ci costringe quantomeno a fare i conti con l’incapacità, la sfortuna, la mancanza di contesto, il disagio che provano troppi di noi nello stringere una relazione sessuale anche occasionale. Perchè non è facile darsi e concedersi facilmente, e perchè ci sentiamo sempre più insicuri nel farlo. E se possiamo pagare anche per questo, se da un lato è il trionfo del capitalismo – che, come previsto da Marx, si insinua ovunque – d’altro canto costringe a fare i conti con l’aspetto sostanziale della questione, che è proprio quella dimensione sociologico-distopica di solitudine di cui troppo poco, forse, si parla nel dibattito pubblico.

    Un dibattito che tiene giustamente in considerazione gli aspetti alienanti della vita di coppia, delle coppie bianche che convivono in modo stabile senza sesso e via dicendo, ma che – al tempo stesso, per una assurda disparità di trattamento – non da’ abbastanza spazio alla solutudine dei single che hanno, se non altro, la possibilità di rivivere certe esperienze pagando. Anche se queste esperienze non sono prettamente sessuali, di fatto. Fa strano, giustamente, ma va contestualizzato e – quasi certamente – accettato. Sono le conseguenze del mondo frenetico e deregolamentato in cui viviamo, nel quale la relazione è un “di più”, un lusso per pochi, anche se si trattasse di relazione puramente occasionale, in molti casi.

    Per un’esigenza prettamente indotta dal mondo che li circonda, che gli urla troppo spesso in faccia “sono tutti fidanzati tranne te”, generando inutile sofferenza di natura comparativa. Ma il capitalismo è abile a confrontare le prestazioni e fin troppo scontato, in effetti, che faccia classifiche tra le persone, anche se i punti non valgono letteralmente nulla e sono esclusivamente indicativi di status esterni; e questo almeno fin a quando non sarà seriamente messo in discussione.

    Un amore impossibile in stile Munch, generato da una IA.
  • La vera storia del meme di Spiderman

    La vera storia del meme di Spiderman

    Il meme di Spider-Man, in cui due versioni del supereroe si indicano reciprocamente, viene utilizzato per rappresentare situazioni di confusione, accuse reciproche o situazioni in cui due entità simili si confrontano. La scena del meme, tratta dall’episodio “Double Identity” della serie animata del 1967, mostra due Spider-Man che si accusano a vicenda di essere l’impostore, creando un momento comico e surreale di doppio inganno.

    Le principali interpretazioni del meme includono:

    1. Confusione e Accusa Reciprocate: Quando due persone o gruppi simili si accusano a vicenda o si confondono l’uno con l’altro, il meme rappresenta visivamente questa dinamica.
    2. Situazioni di “Simili ma Diversi”: Il meme può essere usato per evidenziare somiglianze tra due cose che, nonostante siano molto simili, hanno delle differenze che causano confusione o conflitto.
    3. Critiche o Ironia: Viene anche usato in contesti ironici o critici, per esprimere la difficoltà di distinguere tra due cose che dovrebbero essere chiaramente diverse ma che appaiono identiche.

    Il meme è diventato popolare grazie alla sua semplicità e versatilità, adattandosi a una vasta gamma di situazioni per esprimere la confusione o il conflitto in modo umoristico.

    Storia

    Nella puntata “Double Identity” (Episodio 19, stagione 1), appare un impostore che si traveste da Spider-Man, portando a una situazione in cui i due personaggi si indicano reciprocamente per identificarsi.

     

  • ANOMALIA MESSAGGIO: clicca qui per ricevere il tuo pacco

    ANOMALIA MESSAGGIO: clicca qui per ricevere il tuo pacco

    Le email di spam spesso utilizzano frasi come “fattura non pagata”, “denuncia autorità giudiziaria”, “consegna in sospeso”, “hai violato la policy”, per manipolare le emozioni e le reazioni dei destinatari. Questa tecnica si basa su diversi bias cognitivi e meccanismi psicologici studiati in dettaglio in vari ambiti della psicologia e della scienza comportamentale: il bias di urgenza (per indurre le persone ad agire rapidamente senza riflettere), l’autorità percepita (aspetto su cui Eli Roth ha diretto il programma How evil are you?, sulla falsariga dell’esperimento di Milgram, per quanto lo stesso sia da tempo oggetto di discussione). Gli spammer possono usare informazioni personali o dati che sembrano credibili per far sembrare il messaggio autentico, sfruttando il bias di conferma. In altri casi gli spammer possono promettere qualcosa in cambio di un’azione rapida (“clicca qui per ricevere il tuo pacco“), inducendo il destinatario a sentirsi obbligato a rispondere. Se puoi convincere una persona a farti un versamento o a raggiungerti in qualche luogo in cui non la troverai, a fare click su qualsiasi cosa o a convincersi di qualsiasi cazzata, nulla di strano che tu possa convincerlo a fare di peggio.

    Il discorso è complesso – e facilmente banalizzabile, del resto: si rischia di fare appello a tutta quella psicologia fagocitata dal marketing che è fin troppo di frequente oggetto di semplificazioni clickbait. Del resto da tempo studiosi come Stuart Sutherland hanno sottolineato quanto l’obbedienza all’autorità sia radicata nell’animo umano, spesso in modo del tutto insospettabile: molti, ad esempio, tendono a conformarsi alle indicazioni di figure autoritarie per paura delle conseguenze, ma anche per desiderio di approvazione sociale, o magari per la semplice (ed irrazionale) percezione che l’autorità sia sempre e comunque legittima e competente.

    L’esperimento di Milgram, ad esempio, in cui alcune persone erano indotte a compiere atti crudeli su altre persone sulla base del principio di autorità, dimostra teoricamente che le persone sono sorprendentemente disposte a obbedire agli ordini , anche nel caso in cui violassero i loro principi, purché gli stessi provengano da una figura percepita come autoritaria. E c’è un aspetto ancora più interessante nello studio, per quanto non accettato universalmente dalla comunità scientifica (per un fatto di metodo, ovviamente): che se fosse vera l’ipotesi dell’esperimento, cioè che le persone si conformano alla crudeltà per convenienza o paura o autorità percepita, lo farebbero anche per un’attiva identificazione con una fonte che riesce a spacciare azioni crudeli per gesti virtuosi. Il che forse potrebbe essere un inizio di spiegazione del perchè non votiamo alle elezioni, o peggio ancora perchè votiamo politici crudeli che, in troppi casi, spacciano credibilmente il menefreghismo per virtuosismo.

  • “Ora capisco perchè piangete” era la frase più importante di Terminator 2

    “Ora capisco perchè piangete” era la frase più importante di Terminator 2

    L’immaginario pop ha da tempo consolidato l’idea del Terminator come il robot molto scaltro, intelligente e crudele, destinato a porre fine al genere umano. Una questione che riporta all’abuso della cultura pop da parte di certe letture della realtà un po’ troppo radicali, spesso affini a complottismo e rigurgiti anti-tecnologici (per non dire peggio). Come già avvenuto in Matrix e in Essi vivono, il film viene spezzettato e macinato in meme che fanno perdere il riferimento ed il punto di partenza della storia, diventando materiale per barzellette che non fanno ridere e (pseudo)notizie che vorrebbero farci piangere.

    Ora capisco perchè piangete è la frase che il Terminator buono, dopo aver distrutto l’infido T-1000, pronuncia al giovane John Connor, che a quel punto si è legato emotivamente ad un robot che gli ha salvato più volte la vita, e che vorrebbe fermarne la proclamata autodistruzione. La tragedia di Cameron si lega alla necessità di sopravvivenza del genere umano, naturalmente: se Terminator non concludesse la propria missione gettandosi tra le fiamme, il futuro potrebbe risultare globalmente compromesso, minacciato dagli androidi che prenderanno il sopravvento sugli uomini. La storia impone che i terminator si estinguano, per quanto doloroso possa sembrare per le nuove generazioni. John, ad un certo punto, non può fare a meno di esprimere il proprio stato d’animo con una lacrima che scende sul proprio viso. Il Terminator disobbedisce pure all’ultimo ordine disperato del ragazzo, ti ordino di non andare, a testimonianza del fatto che ha acquisito una propria indipendenza di giudizio, il che non si ripercuote necessariamente (è bene ribadirlo) in conseguenze negative per l’uomo.

    Ora capisco perchè piangete è una frase struggente quanto ricolma di significati: in primis andrebbe notato come la macchina interpretata da Schwarznegger abbia capito, cioè sia riuscito ad imparare qualcosa dagli uomini, attivando quello che oggi chiamiamo “apprendimento macchina” (machine learning). In secondo luogo, i terminator di Cameron sono tutt’altro che mono-dimensionali, tutt’altro che cattivi per definizione, ma sono estremamente ambivalenti: nel primo episodio del film, infatti, il terminator cattivo era interpretato dallo stesso attore che nel secondo episodio diventa dalla parte degli uomini. Questo avviene perchè, a livello di intreccio, il robot è stato programmato e riprogrammato per questa evenienza. Non si può fare a meno di notare, a questo punto, quel barlume di ingenuità narrativa del distinguere tra buoni e cattivi sulla base dell’aspetto,  ma a ben vedere questo permette al film di avere vari seguiti narrativi e di giocare perennemente su questa ambiguità di fondo: cosa vuol dire buono? Cosa vuol dire cattivo? Se riprogrammassimo un androide crudele per accompagnare gli anziani ad attraversare la strada, sarebbe possibile? Ricorderebbe di essere stato cattivo? Potrebbe sentirsi in colpa per aver agito in quel modo e dover andare dallo psicoanalista?

    Ora capisco perchè piangete denota anche, in definitiva, una capacità di empatia da parte della macchina, cosa che effettivamente chiede chi si rivolge a ChatGPT come se fosse il proprio psicologo.

    È altamente plausibile (per quanto si tratti ancora di un cantiere aperto) che la questione annessa all’etica delle macchine non sia decidibile, che significa: in informatica il concetto di “problema non decidibile” si riferisce a una classe di problemi per i quali non esiste (e mai potrà esistere, se è corretta l’ipotesi) un algoritmo o un programma che possa risolverli in modo generale, indipendentemente dall’hardware o dal tempo a disposizione. In altri termini un problema è considerato “decidibile” se esiste un algoritmo o una procedura che, quando applicati a qualsiasi istanza del problema, restituiscono una risposta corretta (sì o no) entro un certo limite di tempo. Ad esempio, il problema di verificare se un numero intero è pari o dispari è decidibile, poiché si può scrivere un algoritmo molto semplice che restituisce la risposta corretta. Capire se una macchina sia buona o cattiva, invece, che problema è? In quanto tempo posso rispondere con certezza sì o no?

    Un esempio classico di problema non decidibile è il “problema dell’arresto” (Halting Problem): questo problema chiede se, dato un programma e un input, il programma si arresterà (terminerà) o continuerà a eseguire all’infinito per quell’input specifico. Alan Turing dimostrò già nel 1936 che non esiste un algoritmo generale che possa risolvere il problema dell’arresto per tutti i casi possibili. Per estensione il problema di stabilire se un’intelligenza artificiale (IA) possa o meno danneggiare l’umanità o meno non è un problema decidibile, almeno nel senso della teoria dell’informatica teorica. In un certo senso non vale a molto chiederselo, almeno fin quanto la teoria non avrà affinato i propri mezzi. Il che significa non avrà trovato un modo per quantificare l’etica, per misurare l’intelligenza in assoluto (in un ambito non ristretto come quello di una partita a scacchi dove, si è visto, algoritmo batte umano).

    Tale problema coinvolgerebbe infatti una serie di fattori complessi, etici e comportamentali non (ancora) misurabili, che vanno oltre la capacità di essere risolti da un semplice algoritmo o da una procedura meccanica. Lo stesso semplice dilemma del capire se una macchina possa o meno superare l’intelligenza umana è ambivalente, per quanto studiosi come Kanheman abbiamo ribadito che certe previsioni nel lungo periodo (come stabilire la profittabilità di un’azienda in 5 anni), ad esempio, vengono fatte con maggiore precisione di qualsiasi esperto da semplici algoritmi statistici o numerici. Ma sono ambiti differenti, molto, e le generalizzazioni servono a poco. Meglio quindi, ad oggi, porla in altri termini, e considerare prematura la domanda.

  • Perchè ChatGPT usa sempre le stesse parole

    Perchè ChatGPT usa sempre le stesse parole

    Sembra che ChatGPT stia abusando del verbo inglese (apparentemente desueto) to delve (letteralmente scavare, fare ricerche): per la verità, c’è da dire, i termini più ricorrenti nelle sue risposte sono stati riassunti già da qualche mese. Su Reddit, ad esempio, un utente ha notato che ricorrevano spesso:

    1. “It’s important to note” -> È importante notare
    2. “Delve into” -> Approfondire/Indagare su
    3. “Tapestry” -> Tela/Tessuto/Tessitura (a seconda del contesto potrebbe variare)
    4. “Bustling” -> Affollato/Animato
    5. “In summary” or “In conclusion” -> In sintesi or In conclusione
    6. “Remember that….” -> Ricorda che…
    7. “Take a dive into” -> Tuffarsi in/Esplorare in profondità

    e che il termine altrettanto comune è realm (regno), che viene segnalato da un post di un utente su Linkedin.

    Su questo aspetto il Chatbot non sembra molto propenso a parlare, quando gli chiedi qualcosa:

    Mi dispiace, non ho la capacità di effettuare ricerche dirette nel mio corpus o di conteggiare le occorrenze di termini specifici come “to delve”. Tuttavia, posso dirti che “to delve” è un verbo in inglese che significa “approfondire” o “esaminare attentamente”. Se hai bisogno di ulteriori informazioni su un certo argomento o su come utilizzare questo termine in contesto, non esitare a chiedere!

    Se invece rigiriamo la domanda chiedendo di individuare quali siano i contesti in cui potrebbe usare “to delve” e compagnia, ne risulta un curioso collage multi-linguistico:

    1. Ricerca accademica: “Il dottorando ha deciso di dedicare un intero capitolo della sua tesi a delving nel campo della neuroscienza cognitiva.”
    2. Investigazione giornalistica: “Il giornalista ha deciso di delving nella corruzione politica per scoprire la verità nascosta dietro lo scandalo.”
    3. Studio letterario: “Nel romanzo, l’autore delves nei recessi più oscuri della psiche umana, esplorando temi di alienazione e solitudine.”
    4. Analisi storica: “Gli storici hanno passato anni a delving negli archivi alla ricerca di documenti che potessero svelare i segreti della società medievale.”
    5. Ricerca scientifica: “I ricercatori stanno delving nei meccanismi molecolari che causano la resistenza agli antibiotici.”
    6. Esame dei dati: “Gli analisti stanno delving nei dati finanziari per individuare eventuali anomalie che potrebbero indicare frodi.”
    7. Esplorazione culturale: “Il viaggiatore ha deciso di delving nella cultura locale, imparando la lingua e partecipando alle tradizioni.”
    8. Approfondimento psicologico: “Lo psicologo ha aiutato il paziente a delving nei suoi ricordi d’infanzia per affrontare le sue paure e ansie.”
    9. Esplorazione musicale: “Il compositore ha deciso di delving nei suoni della natura per creare una nuova opera sperimentale.”
    10. Approfondimento filosofico: “Nel suo saggio, l’autore delves nelle questioni etiche e morali che circondano il concetto di giustizia sociale.”

    Questi sono solo alcuni esempi di come il verbo “to delve” possa essere utilizzato in diversi contesti.

    L’uso di intercalari, ad ogni modo, è davvero molto comune e riconoscibile con ChatGPT, che da un lato ha imposto uno standard basato su un corpus, lo ricordiamo, di cui nessuno sa davvero nulla, dall’altro non sembra aver problemi a citare apertamente. In questo caso, infatti, se chiediamo quali siano gli intercalari più usati da ChatGPT troviamo:

    Ecco alcune frasi comuni che potresti trovare nelle mie risposte in italiano:

    1. “È importante notare che…”
    2. “In sintesi,…”
    3. “In conclusione,…”
    4. “Ricorda che…”
    5. “Per riassumere,…”
    6. “Per comprendere meglio,…”
    7. “Considera che…”
    8. “È fondamentale sottolineare che…”
    9. “Un aspetto da tenere presente è…”
    10. “Va notato che…”

    Queste sono solo alcune delle espressioni comuni che potresti incontrare nelle mie risposte. La scelta dell’espressione dipende spesso dal contesto e dall’obiettivo della comunicazione.

    Il che suggerisce la presenta di numerosi strati di elaborazione, di livelli di filtraggio con criteri diversi e di potenziali randomizzazioni nelle risposte per cercare di diversificare i discorsi (test eseguiti con ChatGPT 3.5 il 2 aprile 2024).