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  • Mamma, ho perso l’aereo: ma Kevin è morto?

    Mamma, ho perso l’aereo: ma Kevin è morto?

    Davvero considerevole la fan theory che è iniziata a circolare sul sito TheDailyBeast, e che propone una singola spiegazione alla capacità di Kevin – il giovane protagonista del celebre film “Mamma, ho perso l’aereo!” – di proteggere egregiamente la propria casa, proprio mentre tutta la sua famiglia è lontana da casa. In realtà, come ogni fan theory che si rispetti, nasce su qualche forum di cinema, ed è interessante parlarne in un sito di horror soprattutto per via della rilettura con plot twist che fa di una storia poco credibile nel suo insieme (per quanto di grande successo) un qualcosa di, almeno in parte, quasi sconvolgente.

    Non c’è dubbio che Home alone abbia fatto parte dell’infanzia di moltissimi di noi, e che non ci voglia un critico cinematografico per capacitarsi che sia un film divertente per il target a cui a è rivolto quanto, sostanzialmente, mediocre nell’impianto.

    Questa critica è stata sarcasticamente raccontata da un micro-episodio dei Griffin, del resto; ma qui si cerca di andare oltre, e di trovare significati nascosti all’interno di una storia ben nota.

    Le domande a cui è più difficile rispondere in “Mamma, ho perso l’aereo“, del resto, sono le seguenti:

    • Perchè Kevin è così odiato dalla propria famiglia?
    • Perchè la scalcinata banda formata da Joe Pesci e Daniel Stern sopravvive a trappole che, nella realtà, dovrebbe ferirli gravemente, o addirittura ucciderli?
    • Come può Kevin, imbranato ed ingenuo così come viene presentato all’inizio, ordire un piano così elaborato in così poco tempo?
    • Per quale motivo si mostra così protettivo nei confronti di casa sua?
    • Soprattutto, perchè non va ad avvisare la polizia o qualche adulto di ciò che accade in casa?
    • Perchè sembra aver sviluppato un legame speciale solo con la madre?

    Ecco, la madre: punto cruciale di una fan theory che tanto per (non) cambiare ha a che fare con la morte. Secondo questa rilettura, la madre non si sarebbe mai rassegnata alla morte del figlio, e sarebbe la sola a continuare a parlarci a differenza di tutti gli altri che sostanzialmente ne hanno paura. Se ricordate più o meno a metà della storia, la madre di Kevin dall’aeroporto si procura un passaggio per tornare a casa a prendere il figlio, grazie ad una band musicale che gentilmente si offre di accompagnarla. La donna racconta al musicista Gus di aver lasciato il proprio figlio solo a casa, alchè l’uomo risponde che gli è successa una cosa simile tempo prima: ha dimenticato il proprio ragazzo in una sala mortuaria, “era terrorizzato”.

    Nell’originale Kate risponde “Maybe we shouldn’t talk about this“, e l’uomo chiude la discussione con “I’m sorry I did” – ed è proprio questo scusarsi che fa scattare la scintilla: la madre sta tornando a casa perchè crede di aver dimenticato un figlio – che in realtà è morto da tempo – essendo l’unica non rassegnata alla morte di Kevin. Del resto il figlio non racconta mai apertamente di aver cacciato degli scassinatori da casa, e si tornerà (a questo punto più o meno) felicemente alla situazione di partenza. Nella versione ufficiale, lo fa perchè ciò rappresenta la sua crescita definitiva; in quella alternativa, lo farebbe perchè è lo spirito che continua a proteggere la propria casa.

    Se ricordate da dove siamo partiti, ci sono altri indizi interessanti: Kate, la madre di Kevin, è la sola a reagire con vivacità alla notizia di aver dimenticato il figlio a casa, tanto che è la sola che il passivo consorte concede la possibilità di tornare a casa (assecondando così il desiderio di una donna fragile). A questo punto, quindi, nella caotica scena iniziale assisteremmo semplicemente ad un piccolo fantasma dispettoso che non vuole saperne di morire, e che realizza piccoli dispetti ai familiari. L’odio nei suoi confronti (un innocuo bimbo di 8 anni), secondo la fan theory, a quel punto sarebbe giustificata dal fatto che sarebbe un fantasma che non si decide a lasciare la casa, da cui la sua capacità innata di proteggerla.

    La fan theory è certamente affascinante, sotto un certo punto di vista direi che arriverebbe a migliorare grandemente il film (se ci fosse stata la rivelazione finale che Kevin è morto non sarebbe più un film per bambini, ma sarebbe stato un mind-blown non da poco, degno di Shamalayan o Mangold), a questo punto; ovviamente è solo una suggestione che non regge sotto vari punti di vista (cambia radicalmente il senso del film che sarebbe, a questo punto, poco più di una favola nera), e tra le altre cose non giustifica apparentemente l’esistenza di un seguito.

    Cosa che, in realtà, non sembra giustificata lo stesso – per cui tanto vale… (fonte)

  • Esiste un episodio dei Griffin in cui mettono Quahog in quarantena

    Esiste un episodio dei Griffin in cui mettono Quahog in quarantena

    L’episodio EACX03 dei Griffin sembra essere abbastanza profetico, e con diversi anni di anticipo, rispetto alla situazione che abbiamo vissuto nel 2020. Come sappiamo, infatti, molti paesi europei tra cui il nostro sono in difficoltà per colpa di una pandemia da coronavirus, in attesa che si possa trovare una soluzione in tempi rapidi e nel primo periodo in cui non esistevano ancora vaccini. Se è vero che da tempi non sospetti 8 italiani su 100 erano contrari a qualsiasi vaccino (dato del 2017), è chiaro che le cose sarebbero comunque state complicate lo stesso, in qualche modo: e questo episodio dei Griffin fornisce ironicamente, a riguardo, più di uno spunto di riflessione.

    Dopo una breve visita in ospedale, Peter e Lois si convincono a non vaccinare i propri figli, poiché (dopo una superficiale quanto convintissima analisi di alcuni siti internet) porterebbe a gravi conseguenze fisiche: viene citato più volte il mito (errato) che i vaccini causino l’autismo. Vediamo anhe Peter mentre gira un demenziale spot per convincere le persone a non vaccinarsi.

    Stewie non sarà vaccinato, nonostante le rimostranze di Brian (che rappresenta la parte progressista di una famiglia USA vagamente reazionaria, in genere), ed inizia una vera e propria crociata in città da parte dei due genitori. Dopo qualche tempo Stewie avrà contagiato tutti e la città di Quohag verrà messa in quarantena. Ci penserà direttamente Sean Penn a salvare la situazione, paragonando la città di Stewie ad una del terzo mondo a livello sociale e culturale.

    La satira contro la mentalità no-vax è esplicita ed evidente, ed è significativo che addirittura un cartone animato americano non sempe esattamente progressista vi si sia scagliato contro.

    Ci sono due ulteriori particolarità attorno a questo episodio (uscito nel 2016 negli USA e nel 2017 in Italia): la prima è la dinamica con cui i Griffin diventano novax, che è subdola al massimo. Peter ferisce accidentalmente Stewie che viene subito portato in ospedale. Il medico chiede se il bambino abbia già fatto i vaccini, e mostra un opuscolo informativo a Lois in cui vengono descritti i dettagli del loro funzionamento: la donna rimane terrorizzata da quello che legge (senza capirlo), e inizia a documentarsi su internet. Scatta quindi il cortocircuito: Peter e Lois diventano no-vax, ed iniziano una crociata per cercare di convincere anche gli altri genitori. Poco dopo scoppia una vera e propria epidemia in città, che culmina con la polizia che invita le persone a rimanere a casa, e con tutti i negozi chiusi. Stewie nel frattempo scappa di casa ed inizia un viaggio per trovare un modo di vaccinarsi, ed incontrerà anche il suo alter-ego dal futuro, aggirandosi in una città completamente deserta.

    Ma c’è una seconda particolarità ancora più clamorosa: un pipistrello entra in casa di Peter, che dovrà trovare i modi più assurdi e demenziali per mandarlo via. Impossibile, a questo punto, non pensare al pipistrello che (secondo le prime indicazioni) avrebbe avviato il contagio da coronavirus mediante spillover.

    Informazioni sull’episodio

    Fenomeni (Hot Shots)

    • Diretto da: John Holmquist
    • Scritto da: David A. Goodman
    • Anno: 2016
    • Serie: 15
    • Episodio: 6 (EACX03)

    https://www.youtube.com/watch?v=PemqqQ_bA2Q

  • Guardare film horror fa bene alla salute

    Guardare film horror fa bene alla salute

    Guardare film horror, per carità… E’ questo che avete detto fino ad oggi? Ebbene vi riveliamo in questo articolo perché invece dovreste iniziare a guardarli. Sembra che ci sia una correlazione diretta tra i film horror e il benessere psicologico e fisico della persona. La prossima volta dunque che sarete invitati ad una serata horror a casa di amici o parenti, non rifiutate a priori; perlomeno non prima di avere letto quanto questo possa essere di giovamento al proprio stato di salute e benessere.

    Dieci motivi per guardare i film horror

    1. Un film spaventoso può contribuire ad alleviare lo stress. Dopo una lunga giornata di lavoro, dopo lo stress accumulato per ore, dopo un’attività snervante e noiosa, un film horror può portare del buonumore. Possiamo identificarci con l’eroe perseguitato o in pericolo, ma anche con qualche creatura mostruosa. Questo permette di sfogare i fastidi sopportati per tutto il giorno.
    2. Il film horror ha una valenza psicologica positiva. Addentrarsi in luoghi oscuri, penetrare misteriose profondità sconosciute, può rappresentare simbolicamente un viaggio pindarico nei meandri del subconscio. Queste perlustrazioni vengono effettuate ad una distanza di sicurezza, sentendosi comunque al sicuro, quindi a proprio agio.
    3. Guardare uno di questi film fa bene alla salute. Quando si assiste ad un film horror, il cervello produce una scarica di adrenalina e quindi di energia positiva. Questo tipo di reazioni stimola una migliore messa a fuoco ed una maggiore concentrazione.
    4. Non solo adrenalina. La visione di film spaventosi provoca la messa in circolo di altri enzimi, come la dopamina, la serotonina, il glutammato, che fanno sì che ci si senta subito bene.
    5. Il cervello è stimolato a pensare ed a cercare una via d’uscita. La situazione di crisi presunta in cui si viene messi, davanti ad un film pauroso, tende a farci cercare una soluzione. Questo aumenta la capacità di ragionare e di risolvere il problema.
    6. Superare la paura. Questo magari non avviene proprio subito, potranno volerci un paio di film. Ma quando si supera il primo ostacolo, e poi il secondo, e magari il terzo, si entra in una consuetudine positiva, e si riesce meglio ad affrontare i problemi. Guardare questo genere di film può contribuire a superare le proprie paure.
    7. Aumenta l’attività cerebrale. Stare in tensione, sentire crescere l’inquietudine di fronte ad una situazione di emergenza, stimola il cervello a lavorare di più. Quando il cervello lavora, la vita si allunga, e si allontana la probabilità di malattie degenerative tipiche della terza età, quali la demenza o l’alzheimer.
    8. Aumentano le difese. Guardare film horror fa crescere l’attività dei globuli bianchi, responsabili della lotta contro le infezioni, i batteri, i virus. Dunque questi spettacoli sono da preferire soprattutto nella stagione fredda, come antidoto per le malattie da raffreddamento in genere.
    9. Aiutano a dimagrire. Sembra che un film horror particolarmente spaventoso possa portare un notevole dispendio calorico. La paura, il batticuore, il sudore, l’attività cerebrale intensa, possono addirittura bruciare 200 calorie.
    10. Rinforzare i legami familiari o con amici. Se questo tipo di film viene guardato in compagnia, in un gruppo di parenti o di amici, il legame fra i presenti è notevolmente accresciuto, in quanto si condivide la paura, ma nello stesso ci si sostiene e conforta vicendevolmente.
  • Amazon Fire Tv Stick: cos’è e come funziona

    Amazon Fire Tv Stick: cos’è e come funziona

    L’Amazon Fire TV Stick è una chiavetta che consente di trasformare una normale televisione in una Smart TV di ultima generazione. Basta collegare la chiavetta infatti alla presa HDMI della TV, ed ecco che è possibile accedere ad ogni servizio di film e serie TV in streaming come Amazon Prime Video, Netflix oppure Infinity, ai motori di ricerca, a Facebook, a YouTube. Non solo, con questa chiavetta è anche possibile osservare le telecamere di sorveglianza che sono state installate in casa, gestire le luci, il riscaldamento e ogni altro dispositivo compatibile, per una casa sempre più centralizzata e tecnologica. Ma come configurare l’Amazon Fire TV Stick? Andiamo a scoprirlo insieme.

    Installazione

    Installare l’Amazon Fire TV Stick è semplice, talmente tanto semplice che anche coloro che non hanno mai visto una chiavetta in vita loro possono riuscirci senza alcun tipo di difficoltà. È infatti sufficiente inserire la chiavetta in una delle prese HDMI presenti dietro alla televisione, o sul fianco a seconda dei modelli. La chiavetta deve poi essere collegata anche alla presa della corrente. Ecco che la chiavetta è stata installata, pronta per la configurazione.

    Configurazione dell’Amazon Fire TV Stick

    Prima di tutto è necessario accendere la televisione e sintonizzarsi sul canale HDMI. Attenzione, di solito le televisioni hanno più di un canale HDMI, indicati come HDMI 1, HDMI 2 e a seguire. Questa indicazione è presente proprio accanto alla presa. Controllate quale sia quindi il canale giusto da scegliere e selezionatelo tramite il menù del vostro telecomando della TV.

    A questo punto configurare la chiavetta è molto semplice, dato che compaiono le istruzioni direttamente sullo schermo della TV. Ecco comunque i passaggi che devono essere effettuati:

    • Selezionare la lingua.
    • Scegliere la rete WI-Fi a cui collegarsi.
    • Inserire la password della rete Wi-Fi per poter accedere.
    • Effettuare l’accesso con il proprio account Amazon. È possibile che il riconoscimento sia automatico.
    • Memorizzare la password del Wi-Fi.
    • Attivare o meno il parental control.
    • Visualizzare il filmato introduttivo che spiega le funzionalità di base dell’Amazon Fire TV Stick.

    Come navigare: il telecomando vocale Alexa

    È possibile navigare tra le applicazioni e i canali di intrattenimento che Amazon Fire TV Stick offre direttamente tramite il telecomando presente all’interno della confezione. I nuovi modelli di Amazon Fire TV Stick sono in possesso del telecomando vocale Alexa. Si tratta di un normale telecomando con tasti per la navigazione dei contenuti, per tornare alla home page, per mettere in pausa, per mandare indietro o in avanti, per regolare l’audio. È però presente sul telecomando anche un apposito pulsante per attivare Alexa. Basta effettuare un comando vocale come ad esempio “Alexa, riproduci Friends” per accedere al contenuto richiesto in modo semplice e veloce.

    Navigare da dispositivo mobile

    È possibile però navigare sulla televisione anche tramite dispositivo mobile. A cosa serve avere questa opzione se si ha un telecomando a disposizione? Questa opzione è molto più utile di quanto si possa pensare, dato che può capitare di perdere il telecomando e di non avere idea di dove sia andato a cacciarsi. È utile anche nel caso in cui le batterie del telecomando dovessero scaricarsi e in casa non vi siano altre batterie da poter utilizzare. Infine i telecomandi possono anche rompersi. In tutti questi casi, si può navigare da smartphone e tablet.

    Per comandare la chiavetta da smartphone o tablet è necessario seguire i seguenti passaggi:

    • Scaricare su smartphone o tablet l’APP Fire TV e aprire l’applicazione.
    • Sullo schermo della TV, selezionare il dispositivo di riferimento e seguire le istruzioni che compaiono direttamente sullo schermo.

    I device mobile possono comunicare con l’Amazon Fire TV Stick anche in un altro modo. È infatti possibile duplicare lo schermo di smartphone e tablet direttamente sulla TV. Effettuare quello che in gergo viene definito mirroring è molto semplice con i dispositivi Amazon. Per gli altri dispositivi è invece necessario scaricare delle apposite applicazioni.

    Amazon Fire TV Stick: semplice ed economica

    Come abbiamo avuto modo di osservare, installare, configurare e utilizzare l’Amazon Fire TV Stick è molto semplice. Il bello poi è che si tratta di una chiavetta economica, alla portata davvero di tutte le tasche. La versione basic ha un costo infatti di 39,99 euro mentre l’ultima versione uscita sul mercato ha un costo di 59,99 euro.

    Non è poi da sottovalutare il fatto che gli utenti Amazon hanno a loro disposizione un eccellente servizio assistenza clienti, che consente di richiedere informazioni in modo semplice e veloce e di ottenere un’altrettanto rapida risoluzione di ogni problema. È possibile contattare il servizio clienti anche in caso di guasti e malfunzionamenti, così da poter ottenere una nuova chiavetta, un nuovo telecomando o un nuovo componente nel caso di problemi durante il periodo di garanzia.

  • Il Joker di Phillips è un personaggio struggente e rinnovato

    Il Joker di Phillips è un personaggio struggente e rinnovato

    Il Joker di Phillips: ne stanno ancora parlando dopo mesi, ma le cose hanno preso una piega abbastanza preoccupante. Joker, al di là del dilemma morale, è diventato la raffigurazione epica e romanticheggiante della figura del single emarginato e deriso da tutti, e questo – ovviamente – per l’opinione pubblica è tutt’altro che un merito.

    Come sappiamo questo film fa emergere una figura di Joker diversa, diversissima da quella del fumetto: un vero e proprio reietto, feroce, incazzato con la società e la cui la sua controparte “buona”, ovvero Batman, ancora non esiste, ed assume una connotazione praticamente irrilevante. La crudeltà di Joker, peraltro, non è affatto “fuori norma” come potrebbe sembrare a prima vista, anzi parrebbe essere in linea con quella del villain medio di qualsiasi altro film horror o thriller (pensiamo, ad esempio, agli omicidi beffardi di Freddy Krueger contro vari ragazzini “colpevoli”, il più delle volte, di essere depressi, insicuri o trascurati dai genitori).

    Joker trova liberatorio ogni suo atto ed il pubblico, almeno in parte, gode con lui per qualsiasi atto consumi in nome di tale liberazione. Ma molte persone, di fatto, non sembrano vederla esattamente in questi termini, tanto che accusano Joker di fornire un alibi a tutti i misogini mondiali (l’articolo del Rolling Stone di EJ Dickson discute esattamente questo, ad esempio) per commettere i peggiori crimini. Altri, invece, rimarcano da un punto di vista femminista come il problema sia radicato nella colpevolizzazione della donna ad ogni costo – e su questo chiunque dovrebbe leggere, a mio avviso, Perchè l’amore fa soffrire della sociologa Eva Illuiz. Certe situazioni, in altri termini, sembrerebbero derivare da un’impostazione passatista, ossessionata in modo irragionevole da traumi freudiani, dai quali (personal opinion) prima ci riusciamo a liberare, uomini e donne, meglio sarà.

    Non si sfugge alle categorizzazioni del web, e questo è un fatto ormai assodato: il termine incel, oltre a dare l’idea di una persona letteralmente chiusa in gabbia, sembra avere avuto origine sul sito Reddit, un “Facebook” forse fatto un po’ meglio, oltre che più incentrato sui contenuti che sulle persone. Incel infatti significa involuntary celibate, in sostanza “single per colpa degli altri” o celibe involontario che dir si voglia. Un tipo umano che, ricorda John Bleasdale, anni fa non poteva che suscitare tenerezza da parte degli amici e delle varie donne che lo vedevano più come un amico (ma-che-bravo-ragazzo, dai che troverai di sicuro la persona giusta – sottinteso: prima di finire in una tomba e marcire tra i vermi, da solo, per sempre). Oggi, come estremo paradosso, questa figura assume connotati addirittura pericolosi: varie stragi sono state compiute da singole persone, nel recente passato, che adducevano motivi legati alla misoginia (l’articolo linkato cita, ad esempio, Elliot Rodger e James Holmes). Ed in questo è stato immediato per certa parte dell’opinione pubblica, spesso fomentata da idee di natura sessista e da una comprensione malintesa del problema, additare il film come “causa” primaria del problema. Sembra di essere tornati ai tempi cupi in cui Marylin Manson veniva quasi accusato di omicidio (la strage di Columbine), oppure a quelli in cui i Judas Priest finivano in tribunale perchè accusati di aver istigato un omicidio da parte di due loro fan.

    L’accusa generica rivolta all’arte, soprattutto a quella che “fa discutere”, di empatizzare con la violenza ed arrivare ad ispirarla è ben nota: almeno dai tempi in cui Arancia Meccanica ispirò malamente certe sotto-culture giovanili, oppure quando pensiamo al personaggio epico del tassista di Taxi Driver(anch’esso rigettato dalle donne che amava). L’unica cosa che trovo interessante in tutta questa diatriba (che per il 95% assume connotati molto vicini alla teoria della montagna di merda: secondo quest’ultima, un idiota puo’ sempre produrre piu’ merda di quanta tu riesca a spalarne), in effetti, è che in primis si considera (sbagliando) l’incel medio come una figura prettamente maschile, denotando così indirettamente – a mio avviso, quantomeno – l’idea di una donna dominatrix a prescindere (una cosa che neanche nei porno di più infima categoria) che sceglie in modo anarcoide ed irrazionale (e quasi sempre doloroso per il friendzonato di turno) il proprio compagno. Cosa peraltro falsa, perché ci sono molte incel donne e questo è semplicemente scontato, anche solo per un fatto statistico e considerando il semplice fatto che la solitudine ed il rigetto, per come nascono e prolificano oggi, sono asessuati per definizione. Ci vorrebbe, forse, più sensibilità per capirlo, ma eravamo troppo occupati a scrivere sui social e commentare in modo discutibile le foto delle varie modelle e modelli.

    Sui social spopolano le foto di uomini e donne che riescono ad ottenere “successo” sui social (qualsiasi cosa ciò possa significare) semplicemente postando se stessi ignudi, e ci sono già servizi che permettono ai più esibizionisti di essere pagati per mostrare le foto più spinte. Nulla di male se uno sceglie scientamente di farlo, ovviamente: ma, per cortesia, non torturate gli incel più di tanto, dato che già è difficile, per looro, vivere la vita sentimentale senza prendersi perennemente sportellate nei denti – e, in genere, chi si ritrova in questa situazione non ha la minima idea di come uscirne in modo ragionato. E questa cosa fa soffrire, tanto, e non serve davvero a nulla scomodare becero sessismo di battaglia (donne vs uomini, uomini vs donne, uomini vs cani) o – peggio che peggio – sputtanare il cinema e la musica che amiamo per tale presunta “giusta causa”. Non è giusto per loro, in primis, e non lo è neanche per gli alfieri del cambiamento, bravissimi a teorizzare il problema e raramente abili di mettere in pratica comportamenti migliori o, se preferite, più umani.

    Credo anche, in tutta onestà, che si possa essere incazzati con la società senza essere per forza misogini o maschilisti: una società che impone, del resto, modalità di corteggiamento pre-codificate ed impossibili da mettere in pratica per tantissime persone, e questo – alla lunga, tra fraintesi e spallucce come se piovessero – diventa insostenibile e frustrante per chi, a modo proprio, considera un corteggiamento anche una richiesta leggermente più marcata di uscire assieme, qualche volta, di prendere un caffè, di andare al cinema assieme e così via. Richieste snobbate, ignorate, per cui gli incel vengono spesso anche ridicolizzati, e le cui chat finiscono su paginette Facebook “ironiche” che si divertono ad usarle per aumentare i propri like. Ormai l’accoppiamento tanto agognato che ci fa credere la macchina social in cui siamo immersi, nostro malgrado, sembra che debba passare per forza per un’esposizione, un mostrarsi come non si è, un’esibizionismo ed un mostrare le “fotine” sexy, che sta diventando sempre più conformistico ed imbarazzante.

    Gli incel, di loro, non dovrebbero più vergognarsi del proprio status (ed è l’unica critica che mi sento di fargli), e anzi dovrebbero imparare ad ironizzare sullo stesso: non che questo risolva il problema, ma è già un inizio. Rendere insostenibili i propri timori esistenziali è alla base di qualsiasi horror, del resto, e proprio il genere horror insegna indirettamente a non farne un dramma, ad esorcizzarli, a volte a combatterli affidandosi semplicemente ad una nuova, mutata immagine di se stessi. Se pero’, in tutto questo, dando per buono che l’incel sia solo ed escusivamente un maschio etero (e non è così, come abbiamo visto), l’atteggiamento medio di certe donne tende a criminalizzarli a prescindere, e considerarli sfigati e socialmente pericolosi: mi spiace, non se ne esce.

    Queste stesse donne, forse (non sto generalizzando: non tutte) dovrebbero scendere dal piedistallo che le sta intrappolando, perché spesso sono le prime a costruirsi la gabbia di apparenza ed adorazione da parte dei propri conoscenti che poi, alla fine dei conti, le manderà in crisi, facendole sentire gli “oggetti” che mai avrebbero voluto diventare. Forse è un discorso troppo complesso per tantissimi e tantissime di noi, e a questo punto – con una punta di sarcasmo – l’augurio migliore che si possa fare a queste persone è quello di precipitare in uno schema prefissato, in una trappola mentale in cui la scelta del partner non sia sincera, mai, bensì dettata dalla necessità, dalla paura della solitudine, magari da interessi commerciali: un bel ritorno ad una mentalità che dovrebbe essere superata da almeno un secolo, e che non fa onore, per nulla, ai vari leoni e leonesse da tastiera che si slogano le dita sull’argomento.