RIDERE_ (65 articoli)

Recensioni dei migliori film commedia usciti al cinema e per il mercato home video.

  • Dracula cerca sangue vergine… e morì di sete: il decamerotico horror di Margheriti

    Dracula cerca sangue vergine… e morì di sete: il decamerotico horror di Margheriti

    Il conte Dracula arriva nel nostro paese durante gli anni 30, assieme al suo insopportabile assistente, alla ricerca di ciò che in Romania sembra essere molto poco diffuso: giovani fanciulle senza alcuna esperienza in campo sessuale.

    In breve. Un film di Antonio Margheriti (sotto pseudonimo) che propone una variante, a tasso leggermente più erotico della media, al mito del celebre vampiro. Un film di vecchia scuola, influenzato dal gotico italiano ed incentrato interamente sulla ricerca di una giovane vergine italiana per sopravvivere. Grottesco e, quando necessario, sul filone del decamerotico.

    Come si può immaginare, il plot è uno scenario ideale per mostrare fanciulle vogliose di avventure erotiche, in molti casi represse dall’ambiente in cui vivono: le scene di nudo non sono poche, unite a  qualche momento di sesso per l’epoca piuttosto esplicito. Non mancano spunti ironici che rendono il film tutto sommato gradevole. L’atmosfera è puramente settantiana sia nell’ambientazione che nei velati riferimenti politici, espressi ad esempio nella figura del contadino dal bell’aspetto che se la intende con una delle giovani nobildonne. Tanto più significativa dato che nella casetta dove si appartano capeggia una falce e martello disegnata sul muro! Il film sembra dunque avere una doppia lettura: da un lato una metafora della borghesia (la nobiltà, esasperata nella figura di Dracula) che ha bisogno di sangue puro per sopravvivere (il contadino sfruttato, le fanciulle apparentemente innocenti); dall’altra, il perbenismo della maggioranza che cerca di sedurre i facinorosi con lusinghe irrinunciabili (il sesso tra nobildonna ed il contadino).

    “Non ricominciare con il socialismo! Lo sai che mi annoia a morte…”

    Esmeralda, Rubinia , Perla e Sapphiria sono le quattro figlie di nobile famiglia rigidamente cattolica, che nascondono uno strato di vizi insospettabili. Il mito del vampiro, del resto, non consentiva ampi margini di invenzione: Udo Kier è convincente nella parte del conte, mentre il film probabilmente rischia di annoiare un po’ lo spettatore moderno, per via del suo rallentamento (non diverso, per la verità, dalla media del gotico italiano). Ad ogni modo il gore estremo della scena finale vale il prezzo dell’allora biglietto (o del DVD, per i temerari di oggi).

    Per la cronaca, inoltre, si tratta dell’ultima apparizione sullo schermo del grande Vittorio De Sica: tutto sommato godibile, ben realizzato e divertente, anche se leggermente prolisso.

  • Il moralista: Alberto Sordi è l’irreprensibile Agostino

    Il moralista: Alberto Sordi è l’irreprensibile Agostino

    Alberto Sordi interpreta un irreprensibile (solo in apparenza) segretario dell’Ufficio Internazionale della Moralità, un puritano ed intransigente personaggio che fa chiudere locali, censura pubblicità e non transige sul proprio dovere di censore.

    Affidato all’intepretazione del colossale trio Vittorio De Sica, Franca Valeri e Alberto Sordi nei panni dell’apparentemente irreprensibile moralista, si tratta di una commedia sostanzialmente gradevole, giocata sui toni di attrazione-repulsione dal variegato ed estensivo – per così dire – mondo del vizio. Chiunque provi a convincere o corrompere il protagonista, di fatto, finisce per prendere simboliche sportellate in faccia, finchè la figlia del presidente a cui Agostino è sottoposto, con il suo comportamento più disinvolto, finirà per far svelare vari, imprevedibili altarini.

    Giorgio Bianchi dirige un film molto semplice e diretto nel suo concepimento, ma che non risulta neanche troppo datato – nonostante sia del 1959. Scomoda peraltro un tema molto attuale e controverso fino ai giorni nostri, che è relativo ai paradossi della censura di ogni ordine e grado, in cui un’autorità finisce per applicare un criterio arbitrario (quelle censure, viste oggi, fanno ancora più sorridere) per decidere chi debba vedere cosa. Ogni epoca ha avuto i suoi, senza dubbio, ed è magistrale in tale senso – ad esempio – la parodizzazione dello strip tease, formalmente combattuto da Agostino, il quale poi prova ad esibirsi in una sua (improbabile) riproduzione dal vivo. Per poi, naturalmente, andare a vedersene uno, alternando espressioni di biasimo e di godimento semplicemente da manuale.

    Se svetta per eccellenza l’interpretazione di Sordi, irresistibile nei suoi sguardi giudicanti, il resto della commedia si caratterizza con siparietti consecutivi di ogni genere, che sono commedia pura e cristallina, quasi tutti di natura elegante quanto allusiva – oltre che giocati sul tema evergreen contrasto tra le vecchie e le nuove generazioni. Alla base dell’avversione di Agostino, peraltro, vi è uno specifico trauma che non è mai stato superato, e che rende la trama ancora più divertente quanto, per certi versi, prevedibile. L’unico problema del film è che, di fatto, sembra tirato un po’ troppo per le lunghe: non sarà un capolavoro ma, visto oggi, è sicuramente da riscoprire.

    Che faccio, chiamo ‘e guardie?

  • Signore, signori, buonanotte è il film grottesco di Comencini, Loy, Magni, Monicelli e Scola

    Signore, signori, buonanotte è il film grottesco di Comencini, Loy, Magni, Monicelli e Scola

    In breve. Film a regia collettiva uscito nel bel mezzo degli anni ’70 italiani, in grado di rappresentare una delle più feroci ed efficaci satire cinematografiche contro il Potere, la politica corrotta (prima che diventasse una moda populista), la TV ed i media in generale. Grande e poco noto film che meriterebbe una rivaluazione immediata, anche in vista della sua incredibile modernità e per le trovate degne dei Monty Python.

    Signore e signori, buonanotte porta in sè la rassegnazione e la rabbia di un’intero movimento culturale, quello dei film di genere e d’autore italiano, rappresentato in questa sede da un vero e proprio collettivo registico (il film è presentato a nome de La cooperativa 15 maggio) in grado di confezionare un film avulso da qualsiasi logica commerciale, orgogliosamente anarchico e puramente satirico nei suoi intenti. E quanto esce fuori dal film racconta uno spaccato dell’epoca molto preciso, in cui traspare una certa connotazione ideologica di sinistra ma, al di là di questo, viene raccontato un insieme di storie notevolissime, incisive ed originali. La satira, si sa, e come sostenuto da Daniele Luttazzi, è innanzitutto un giudizio su chi la fa: questo vale sempre, e deve tenerci in guardia e farcela distinguere dallo sfottò, dalla comicità facile e da qualsiasi banale o feroce presa in giro. Ad oggi, soprattutto sul web, la satira è spesso il paravento di una comicità aggressiva e spesso deprimente, che si bulla del proprio ritenersi satira (a torto, peraltro).

    Quella di Comencini, Loy, Magni, Monicelli e Scola è satira nel senso più letterario del termine, e contiene trovate spassose e surreali, quasi insolite per il cinema nostrano: la foto di pericolosi manifestanti di sinistra mostrata nel 3TG che sono soltanto ragazzini delle elementari con cartelli “abaso i dopi turni“, il rapimento di un famoso dirigente italiano svelato come una messainscena, l’intervista ad un politico che ammette di rispettare la legge (del più forte). Il resto è un susseguirsi di episodi altalenanti e legati all’attualità dell’epoca, come l’insegnante di inglese che si spoglia in diretta ed introduce le azioni di un’agente della CIA, il poveretto aggredito dai fascisti a cui chiedono se sia per caso venuto a costituirsi, alcuni poliziotti che credono di scoprire una bomba ed arrivano a farsi un auto-attentato pur di dimostrare che è vero, per poi passare agli episodi forse migliori del film: Da malata a convalescente (quattro politici napoletani che si chiamano allo stesso modo, parlano per frasi fatte e finisco per mangiare un enorme torrone che rappresenta la città), L’ispettore Tuttumpezzo (parodia del poliziotto irreprensibile che finisce per fare il cameriere nell’alta società) e soprattutto Il Disgraziometro (un grottesco telequiz con Villaggio conduttore, su cui non potrà non venire in mente lo sketch Blackmail dei Monty Python).

    L’unico vero difetto del film, in effetti, sono alcune lungaggini forse evitabili all’interno della pellicole, che tendono a conferire meno ritmo di quanto richiederebbe il contesto. Per sua natura, ad ogni modo, certi episodi – soprattutto Santo Soglio – si capiscono e si gustano appieno solo conoscendo la realtà delle cronache d’epoca, ricche di insinuazioni verso autorità corrotte, macchinazioni governative e sfruttamento incondizionato dei più deboli. Cast decisamente di livello per questo lavoro, soprattutto molto eterogeno (da Adolfo Celi a Ugo Tognazzi, da Nino Manfredi a Vittorio Gassman passando per Paolo Villaggio e Marcello Mastroianni), tutti caratteristi molto dotati ed in grado di conferire registri differenti alla recitazione, passando con facilità dal grottesco al drammatico o al parodico-satirico: questo vale soprattutto per Villaggio, legato all’immaginario fantozziano ma che qui si supera tra il succitato conduttore del disgraziometro (con riferimenti parodistici a Mike Bongiorno) e nella bella interpretazione del prof. Ludwig Joseph Smith, l’accademico che propone in diretta TV di mangiare bambini per vincere la fame nel mondo, sulla scia della nota satira di Jonathan Swift, Una modesta proposta.

    Questo film resta comunque, tra episodi molto efficaci ed altri meno, un saggio sul grottesco come pochi ne sono usciti nel nostro paese, e che si potrebbe in parte paragonare ai celebri episodi de I (nuovi) mostri di Risi: la differenza, qui, sta nella forma più diluita dell’intreccio, presentato come micro-episodi collegati da un grottesco telegiornalista. Ed è qui che si notano riferimenti, ammiccamenti e feroci critiche al peggio della società italiana, con il piglio quasi non sense dei Monty Python (per certi versi) e con la precisione millimetrica dei singoli attacchi, condotta sempre contro bersagli meritevoli – ma questo, naturalmente, rischia di essere quasi sempre soggettivo.

  • Nonostante le apparenze e purché la nazione non lo sappia… All’onorevole piacciono le donne: il Fulci satirico anni 70

    Nonostante le apparenze e purché la nazione non lo sappia… All’onorevole piacciono le donne: il Fulci satirico anni 70

    Feroce commedia satirica del regista romano, che narra la storia di un politico italiano piuttosto famoso, vicinissimo alla presidenza della repubblica, follemente erotomane ma apparentemente irreprensibile. Chi vi ricorda? Sia chiaro che ogni riferimento è puramente casuale, come viene specificato poco dopo la comparsa del titolo chilometrico. Al di là di alcuni dettagli, qualcuno parlerebbe seriamente di un’incredibile coincidenza, o di una pazzesca profezia, su un certo andazzo della politica italiana odierna.

    In breve. Uno spaccato sarcastico del Parlamento all’italiana, visto dall’occhio del regista forse più anarchico del cinema di genere nostrano. Con le dovute proporzioni e precisazioni, è una versione grottesca e scollacciata  del celebre “Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto“, priva ovviamente di attori del calibro di Volontè. Il messaggio sociale è fin troppo chiaro, bisogna fare tabula rasa e rifondare la politica: non c’è la poetica sottile di Petri, ma colpisce nel modo giusto ugualmente, tanto che venne sequestrato per oscenità e censurato.

    Il Fulci più (anti)politico di sempre inserisce Lando Buzzanca come protagonista, e secondo alcuni vorrebbe riferirsi all’allora presidente Emilio Colombo, esponente della DC. Sceneggiato da Ottavio Jemma assieme al regista, narra la storia di tale Giacinto Puppis, un economista cresciuto con educazione rigidamente cattolica, apparentemente casto e religioso, erotomane incallito. Girando per le strade di Roma è attratto morbosamente dai fondoschiena femminili, vede donne nude in ogni dove, ha continui sogni di natura sessuale,  ed arriva a far fare una figuraccia alla nazione per via di un video in cui sono stati ripresi i suoi palpeggiamenti ai danni della presidente di uno stato estero.

    Puppis presto viene ricattato, e si scoprirà che è solamente un burattino: mentre il buon amico padre Luciòn cerca in ogni modo di farlo guarire dai suoi raptus erotici, il cardinale Maravidi spinge perchè diventi Presidente della Repubblica, e la chiesa possa così influenzarne l’operato. Per ritrovare se stesso il frate lo porta in convento, sotto le cure di un monaco tedesco e di alcune giovani suore, ma l’unico risultato sarà che, in una notte di passione, finirà a letto con quasi ognuna di loro. Imperdibili i siparietti del candidato rivale Torsello, le battute miratissime e fieramente anti-politiche, le spassose allucinazioni erotiche di Puppis (girate con stile quasi felliniano) e la chicca finale: il cardinale che parla in siciliano come se fosse “Il Padrino“, mentre i boss si rivolgono a lui come dei semplici picciotti.

    Forse il film calca troppo la mano sull’aspetto da puro b-movie, con tutte le esagerazioni del caso, ma complessivamente il messaggio sovversivo resta intatto. Un Fulci anarcoide, che si fida poco della politica e ancor meno del Vaticano, rappresentato come una forza collusa e tendente all’eversione per sua stessa natura. A fare scandalo non furono, in effetti, le scene erotiche accennate o le grazie della Antonelli in vista parziale, quanto l’idea che alcune rappresentazioni fossero destabilizzanti per l’immagine della DC dell’epoca (e, a quanto pare, vennero rimosse del tutto pur rimanendo nella sceneggiatura).

    Da vedere, anche solo per ridere di gusto e cogliere alcuni inquientanti parallelismi con la storia recente.

  • Il giorno della bestia: la satira inconfondibile di De La Iglesìa

    Il giorno della bestia: la satira inconfondibile di De La Iglesìa

    Padre Ángel Berriartúa, insegnante di teologia, scopre l’esistenza di un criptogramma all’interno dell’Apocalisse di Giovanni, relativo alla data esatta della fine del mondo (25 dicembre 1995); per entrare rapidamente in contatto con il Male, contatta il commesso di un negozio di dischi heavy metal ed un improbabile mago…

    In breve. L’originalità non manca e la regia è di gran classe, per una storia frammista di elementi satirici e (solo vagamente) horror. Piacerà a chi apprezza il regista, e le commistioni di generi: da riscoprire ancora oggi.

    Considerato uno dei migliori film di Álex de la Iglesia, El dia de la bestia (Il giorno della bestia, un titolo che volutamente evoca film sulla scia di The house of the devil, ma poi si rivela tutt’altro) è uscito in Italia con l’improbabile tagline “la prima commedia satanica”, una scelta probabilmente poco azzeccata che ha rischiato di metterne i ombra i meriti (almeno in parte contenutistici, ed in fatto di originalità) e di farlo passare per quello che non è (un b-movie come tanti).  Si racconta delle vicende, in chiave assurda e spesso visibilmente satirica, di un prete che cerca ad ogni costo (e goffamente) di fare cattive azioni al fine di entrare in contatto col maligno: ha infatti scoperto che l’Apocalisse è imminente. Nelle intenzioni del regista, “Il giorno della bestia” nasce dall’immagine di un uomo colto quanto semplice ed indifeso costretto, per necessità o vocazione, a compiere gesti orribili per redimersi, entrando a contatto con quel mondo che dal chiuso delle sue stanze in precedenza non poteva conoscere.

    La chiave di lettura del film – accenni di horror ed un registro quasi esclusivamente grottesco, a cominciare dai componenti della famiglia del commesso – è in qualche modo duplice: da un lato, la storia di eroi improbabili (il prete ed il commesso del negozio di dischi heavy metal, in primis) che viene sfruttata ad ogni occasione per svelare gli altarini (maghi truffatori e conferenzieri ciarlatani, in ottica scettico-satirica). Dall’altro, pero’, esiste una componente ambigua che spinge i protagonisti – oltre al pubblico stesso – a credere realmente alla storia della venuta dell’Anticristo sulla terra, e non alle allucinazioni di due personaggi sotto LSD (che sembrerebbe la spiegazione, se vogliamo, realistica della storia, di per sè piuttosto assurda). Andando alla ricerca nientemeno che dell’Anticristo sulla Terra, i nostri eroi – tra cui il mago truffaldino che decide di aggregarsi alla missione in un secondo momento – arriveranno a sgominare una banda di criminali che effettua spedizioni punitive per le strade di Madrid.

    Le intenzioni di de la Iglesia sono chiaramente satiriche, e non perde occasione per dimostrarlo – durante la ricerca dell’Anticristo, “il cielo che ti invia il segnale che stavi aspettando“, per il prete, è soltanto la pubblicità di una TV satellitare. Al tempo stesso il regista, assolutamente padrone dei propri mezzi e qui al suo secondo film, mostra una grande conoscenza del cinema horror e non perde occasione per citare cult di ogni tipo, sfruttando addirittura le dinamiche del genere satanico (The Omen) declinandolo in senso quasi scanzonato, a tratti, e lasciando un’ambiguità di fondo sul senso reale della storia e sul vero nemico che i protagonisti stanno combattendo. Il contesto finisce per prestarsi ad una esplicita riflessione contro i meccanismi cinici della TV pubblica, sempre pronta a prestare ascolto al sensazionalismo e riportando spesso e volentieri notizie tanto false quanto clamorose (in questo De La Iglesia appare quasi profetico rispetto a certa TV spazzatura in ambito pseudo-sovrannaturale che abbiamo conosciuto in questi anni anche in Italia).

    Non mancano dettagli spassosi come il primo incontro tra prete e metallaro alla ricerca delle tre band Napalm Dez, Iron Meiden (sic) e naturalmente Hace de Cè (AC/DC). Da riscoprire con una certa curiosità, per chi non l’avesse ancora fatto.