CREEPYPASTA_ (14 articoli)

Una “creepypasta” è un termine usato per descrivere storie di paura o horror che vengono condivise e diffuse attraverso internet. Il termine stesso è un gioco di parole che unisce “creepy” (inquietante) e “copypasta” (una parola derivata da “copy and paste”, che si riferisce a testi copiati e incollati in modo virale online).

Le creepypasta sono spesso racconti brevi o lunghi che cercano di creare una sensazione di paura, tensione o disagio nei lettori. Queste storie possono essere presentate sotto forma di testo scritto, immagini, video o persino registrazioni audio. Molte di esse coinvolgono elementi soprannaturali, misteri irrisolti, personaggi inquietanti o situazioni bizzarre.

Le creepypasta si diffondono velocemente attraverso social media, forum, siti web dedicati e piattaforme di condivisione di contenuti. A volte vengono create leggende urbane digitali, spesso utilizzando una narrazione coinvolgente per far sembrare la storia più realistica.

Alcune creepypasta sono diventate estremamente popolari e iconiche, come ad esempio “Slender Man” o “Jeff the Killer”. Queste storie possono influenzare la cultura popolare, ispirando videogiochi, opere d’arte e perfino adattamenti cinematografici.

  • L’appartamento numero 1 (Creepypasta)

    L’appartamento numero 1 (Creepypasta)

    Nascosto in un glitch di strada di una cittadina italiana, c’era un edificio che sembrava esistere fuori dal tempo, come se qualcuno avesse dimenticato di aggiornare il suo codice. Tre piani di mattoni consunti, ogni fessura una riga di un linguaggio antico, compilato con errori che nessuno aveva mai corretto. Al centro, l’appartamento numero 1. Il suo nome rimbalzava nei thread locali, nei forum sotterranei, nei racconti scambiati nei bar con sguardi sfuggenti. Chiunque avesse abitato lì ne usciva… diverso.

    Marco e Sofia erano il tipo di persone che non credevano alle storie. «Solo bug nella matrice della superstizione», diceva Marco, con la sua mentalità da programmatore. Lei rideva, ma nei suoi occhi si accendeva una scintilla di cautela. Presero l’appartamento. La serratura scattò con un suono che non sembrava meccanico, ma biologico. Dentro, il Wi-Fi andava e veniva, come se qualcuno intercettasse i pacchetti di dati prima di restituirli mutilati. Le prime settimane furono normali. Poi, i processi in background iniziarono a consumare troppe risorse.

    Marco si immerse nel lavoro, codice dopo codice, righe infinite che si accavallavano nella sua mente anche a occhi chiusi. Sofia, invece, iniziò a isolarsi, a guardare il monitor spento per ore, come se qualcosa le rispondesse. I vicini notarono il glitch nella loro routine. Le luci lampeggiavano a intermittenza, come se qualcuno eseguisse una scansione della realtà. Di notte, sussurri emergevano dai muri, pacchetti di suoni corrotti che formavano parole senza sintassi.

    Poi, il vicino curioso. Un tipo prudente, ma curioso. Sfruttò un momento di assenza della coppia per forzare la porta. Dentro, le pareti erano un dump di dati impazziti: parole scritte ovunque, stringhe di codice che sembravano non avere senso, ma che, lette nella giusta sequenza, evocavano qualcosa di sbagliato. Al centro della stanza, un’unica immagine: Marco e Sofia, ma i loro volti non erano più umani. Gli occhi erano neri, pozzi di un errore di sistema, finestre aperte su qualcosa che non doveva essere visto.

    Il giorno dopo, l’appartamento era vuoto. Nessun segno di Marco e Sofia. La loro presenza cancellata come un file corrotto. Gli hard disk dei loro PC erano formattati. Nessuna traccia nei log del condominio, nessun segno nei backup della memoria collettiva della città.

    Ma ogni tanto, nei server DNS della zona, appare un indirizzo sconosciuto, un pacchetto dati fuori posto. E se qualcuno lo apre, se qualcuno segue la traccia di quel link spezzato, la connessione si chiude improvvisamente. E nel riflesso dello schermo spento, per un istante, ci sono due figure con gli occhi vuoti che guardano indietro.

  • Programmava da ore (creepypasta)

    Programmava da ore (creepypasta)

    Nel buio totale di una notte d’inverno, tra le mura fredde di un ufficio che non aveva mai visto luce se non quella del monitor, Ethan, un giovane programmatore, stava perdendo la cognizione di sé. La scadenza si avvicinava. Un progetto critico, il cuore pulsante del suo futuro, ma lui lo sapeva, aveva superato il limite. La sua mente era già andata in overflow.

    Il codice scorrevano sotto le sue dita come un fiume impazzito. Le ore non avevano più significato. Non c’erano più numeri, solo linee, variabili, loop che si ripetevano in una continua sequenza senza fine. Ogni tasto che premeva sembrava un respiro. Il suo corpo? Non esisteva più. L’unico suono era quello della tastiera, che batteva nell’aria gelida come una sentenza.

    La luce blu del monitor rifletteva sul suo volto, pallido e sfinito, come se stesse leggendo codici di morte. Le lancette dell’orologio stavano accelerando, ma il tempo stesso sembrava stare fermo. Ogni istante si dilatava, eppure lui era prigioniero di quella tela invisibile fatta di bit. La sua mente si era fusa con il lavoro, il suo corpo era ormai solo una macchina, una periferica senza nome, senza scopo.

    Poi arrivò il bug. Un errore. Piccolo, insignificante, ma sufficiente a spezzare il fragile equilibrio. Le dita si bloccarono sulla tastiera. La sensazione era come se fossero diventate un tutt’uno con la macchina, radicate nel metallo e nei circuiti. Un dolore lancinante si insinuò nel suo corpo, ma non poteva urlare. Non poteva neppure muoversi. Ogni tentativo di distogliere lo sguardo dal monitor veniva respinto, come un comando che non veniva eseguito. La tastiera, ora, lo stava tenendo prigioniero.

    Le dita di Ethan erano intrappolate, come se una forza invisibile li avesse impiantati nei tasti, come se il codice stesso lo stesse assorbendo. La carne si stava sciogliendo, ma non c’era dolore fisico. C’era solo la consapevolezza che stava diventando qualcosa di diverso. La tastiera non era più un oggetto, ma una prigione. La macchina non era più sua, ma un’entità che lo stava trasformando.

    Il monitor si distorceva, il suo schermo tremava, e con esso la sua visione. Le luci cambiavano, mutavano in colori aberranti, come se fosse stato risucchiato in un’altra dimensione, quella di un mondo digitale che lo stava reclamando. Le sue ossa si frantumavano in comandi, i suoi pensieri in stringhe di codice.

    Quando Ethan cedette, il suo corpo non era più un corpo. Era parte del flusso. Il suo sacrificio era completo. Il giovane programmatore era diventato una variabile persistente nel sistema, una funzione senza fine nel codice che aveva scritto, in un’eterna esecuzione che non terminava mai.

    Da quella notte, si dice che nell’ufficio vuoto, quando le luci si spengono e il silenzio si fa opprimente, si sentano i tasti premuti. Come se qualcuno stesse ancora scrivendo, come se qualcuno fosse ancora lì, intrappolato in un loop infinito. Se ti siedi davanti a quella tastiera, puoi sentire le sue dita prendere le tue, guidandole in un’altra riga di codice, un altro ciclo che non finisce mai. E in quell’abisso digitale, dove la realtà si fonde con il byte, diventi solo un altro errore che non verrà mai corretto.

  • Robert Oppenheimer rielaborato in stile futurista (con SPOILER)

    Robert Oppenheimer rielaborato in stile futurista (con SPOILER)

    Nel remoto anno 1926, presso l’arcano santuario della conoscenza noto come il Cavendish Laboratory di Cambridge, il giovane e inquieto dottorando di ventidue anni, J. Robert Oppenheimer, affonda le sue sinapsi nell’oscura disciplina dell’aldilà empirico. La sua mente, avvolta da una nebbia di ansia e nostalgia per la sua dimora, si contorce nel tentativo di conciliare il lavoro di laboratorio richiesto con l’insistente tiranno dell’empirismo, il fisico sperimentale Patrick Blackett.

    Ma l’irrequieto Oppenheimer, ribelle sotto la superficie, incanala la sua disapprovazione in un atto sottilmente sovversivo. Una mela, simbolo paradisiaco e spartiacque dell’innocenza e della conoscenza, si trasforma nelle sue mani in un’arma avvelenata di sfida. Il dottorando temerario pone la mela tentatrice sotto l’occhio vigile di Blackett, ma un capriccio del destino, o forse una fatale ironia del cosmo, fa sì che Niels Bohr, un grande maestro dell’empirismo, incroci il cammino dell’indaco frutto. Bohr, colui che penetra negli abissi dell’atomo come un moderno mago alchemico, interrompe il gesto e coglie l’intento.

    Impressionato, forse persino compiaciuto dalla coraggiosa ribellione di Oppenheimer, Bohr sussurra una verità occulta nelle orecchie dell’anima tormentata. Il giovane dottorando è consigliato a virare verso l’astratta astrazione, a incanalare il suo ardore intellettuale verso la fisica teorica. E così, la rotta è tracciata – verso le terre della Germania, patria di Heisenberg e Schrödinger, terra di pensieri che si annodano come catene quantistiche.

    Oppenheimer, trasportato dal fiume di consigli di Bohr, sbarca sulle rive del dottorato di ricerca in terra germanica. Il suo percorso, illuminato dai bagliori dei quanta, lo conduce a un incontro con l’enigmatico Heisenberg in una Svizzera avvolta dall’ombra dei suoi monti maestosi. Lì, tra le nebbie delle montagne e le nebulose delle equazioni, le menti di Oppenheimer e Heisenberg danzano in un intricato duetto, intrecciando il destino delle particelle con quello delle nazioni.

    Ma il richiamo della patria risuona in Oppenheimer come una nota stridula, un’eco dolorosa dell’identità smarrita. Tornato alle terre dell’Occidente, Oppenheimer abbraccia l’insegnamento e la ricerca, danzando tra le aule dell’Università della California e del California Institute of Technology. Qui, le linee del suo destino si incrociano con quelle di Katherine “Kitty” Puening, una biologa dai segreti passati e dalle visioni comuniste. Ma anche i fantasmi di Jean Tatlock, un’ombra del Partito Comunista, si intrecciano nella trama dei suoi giorni.

    Siamo catapultati nel caos della storia, nel tumulto dell’anno 1938. Il tuono delle ambizioni naziste riecheggia nelle notti oscure dell’Europa. Oppenheimer e i suoi compagni scienziati, avvolti nell’ardore della scoperta e nel gelo dell’incertezza, si ergono come scudi contro la potenza della luce atomica germanica. E così, nella fucina del conflitto mondiale, il generale Groves chiama Oppenheimer al capezzale del Progetto Manhattan, una sinfonia di atomi orchestrata per l’apoteosi della distruzione.

    Ma la sua stella guida, il sommo Bohr, si staglia ancora nel panorama dell’anima di Oppenheimer. Un grido di allarme, una riflessione su quella piccola possibilità. La detonazione atomica potrebbe dar luogo a una catena di eventi che spezzi le catene dell’atomo stesso, trasformando la Terra in un abisso incandescente. Questa conversazione, sepolta nell’oscurità dei cuori, si erge come un monito solenne mentre il destino prende forma nel deserto di Los Alamos.

    E poi, un triste rintocco, un’eco di dolore. Il suicidio di Tatlock, l’eco di un’ideologia sbiadita, penetra nelle orecchie di Oppenheimer, come un lamento nell’universo dei suoni. Ma il tempo non si arresta, e l’apice della distruzione è sulle ali di un temporale atomico. La luce si fa oscurità, e il mondo è investito dalla fiamma delle stelle incarnate.

    La bomba è nata, e con essa la morte e la resa del Giappone. Oppenheimer emerge dall’ombra come il custode dell’apocalisse, il “padre della bomba atomica”. Ma questa corona, così splendente nell’oscurità, brucia con un fuoco d’inferno. L’immensa distruzione e il lamento delle anime perdute lo tormentano, e le parole di un Einstein insondabile riverberano nella sua mente – la fiamma che avrebbe potuto purificare il mondo potrebbe invece spegnerlo, e così, la promessa della vittoria ha il sapore dell’abisso.

    Un uomo si erge, solo ma con una voce che riecheggia tra gli spazi vuoti delle galassie. Oppenheimer, il visionario che ha scatenato l’apocalisse, ora lotta per contenere il potere che ha liberato. Una lotta silenziosa, una guerra di parole e silenzi, un balletto di politica e scienza che infiamma il cuore della Guerra Fredda. La Commissione per l’energia atomica degli Stati Uniti si erge come il palcoscenico di questa lotta, e Oppenheimer, l’eroe tragicamente umano, si staglia al centro.

    Le linee si incrociano, i tradimenti si consumano e le alleanze si frantumano come cristalli sotto la pressione. Strauss, il sovrano della burocrazia, raccoglie le carte di un gioco invisibile e le abbatte come spade su Oppenheimer. L’accusa dell’associazione comunista, l’ombra di un passato che danza come una foglia al vento, è brandita come un’arma. Gli amici si ergono, le difese si levano, ma il destino è scritto nelle stelle quantistiche.

    Nell’ombra dei corridoi di potere, un segreto emerge, un dialogo che danza tra Einstein e Oppenheimer. L’ombra di Strauss si staglia come un oscuro avatar dell’ignoranza. Oppenheimer non aveva tradito Strauss, aveva espresso il suo oscuro timore, la convinzione che l’atto stesso della creazione potesse distruggere il creatore. Le catene della verità sono finalmente spezzate, ma il prezzo è pagato.

    Così, Oppenheimer, il demiurgo moderno, il custode dell’apocalisse e l’anello di congiunzione tra il mistero dell’atomo e il mistero dell’anima umana, si piega al peso delle sue scelte e dei suoi demoni. La caduta è completa, l’immagine incrinata, l’influenza svanita. La scienza e la politica, la luce e l’ombra, si fondono in un’ultima danza nell’antro del tempo.

    E così, il velo del passato si chiude su questa saga, e l’eco delle decisioni risuona attraverso le ere. Oppenheimer, il nome che è stato inciso nell’ossario dell’eternità, continua a danzare tra le stelle, come una particella nell’infinito caos del cosmo.

  • Ex voto

    Ex voto

    Nel crepuscolo inquietante di un antico santuario, le fiamme tremolavano come danzatrici spettrali, gettando ombre contorte sulle pareti sbrecciate. L’odore di cera bruciata si mescolava all’aria pesante, mentre i canti lontani delle preghiere svanivano nell’oscurità. In un angolo nascosto, un ex voto misterioso teneva il suo silenzioso patto.

    Intagliato con maestria da mani sconosciute, l’ex voto rappresentava un cuore avvolto da radici serpeggianti e un occhio centrale, simbolo dell’antica divinità del luogo. Sembra che fosse stato posto lì secoli fa, in seguito a una promessa. Coloro che si aggiravano nei paraggi avevano sentito voci di leggende oscure, delle grazie concesse in cambio di sacrifici, e il mistero dell’ex voto era il centro di queste storie.

    Ma ora, il santuario era un’ombra di ciò che era stato. Nel mondo moderno, la fede era sbiadita, soffocata dall’avidità e dalla corsa al progresso. L’ex voto era stato dimenticato, un simbolo di un tempo in cui le anime si rivolgevano all’ignoto con cuore sincero.

    Una notte, una figura inquieta entrò nel santuario. Era un uomo dal volto scolpito dalla vita intransigente della ricchezza e dell’avidità. Aveva sentito le voci sussurrate dell’ex voto e la leggenda che circondava il suo potere.

    L’uomo si avvicinò all’antico oggetto, scettico ma curioso. Con un sorriso sardonico, fece un’offerta di denaro, ignorando l’intima connessione tra l’oggetto e l’anima. L’atto era un atto di sfida al misticismo, un tentativo di dimostrare la superiorità del materialismo sulla fede.

    Ma nel momento in cui il denaro toccò l’ex voto, il santuario tremò. L’aria sembrava solidificarsi, e le ombre si contorsero come creature affamate. Un sussurro antico risuonò nell’orecchio dell’uomo, un sussurro che portava con sé una maledizione dai tempi dimenticati.

    L’uomo tentò di fuggire, ma le radici delle radici dell’ex voto si strinsero attorno a lui come artigli spettrali. Gli occhi dell’ex voto brillarono di una luce sinistra, rivelando la saggezza e il potere che giacevano al suo interno. Le radici lo avvilupparono sempre di più, consumandolo lentamente, mentre l’anima dell’uomo veniva divorata dall’oscurità che aveva sdegnato.

    All’alba, il santuario ritornò al silenzio. L’ex voto riposava nuovamente nel suo angolo nascosto, il suo potere restaurato. Il santuario aveva riacquistato un briciolo di quello che una volta era stato, ma la lezione era chiara: il misticismo non poteva essere ignorato o manipolato impunemente. E il mondo moderno avrebbe dovuto riflettere sui suoi desideri materiali, poiché l’ignoto e il sacro non potevano essere comprati o venduti con monete.

    Definizione ex voto

    “Ex voto” è una locuzione latina che significa “a causa del voto” o “in ottemperanza al voto”. Si riferisce a un’offerta votiva o a un’offerta fatta a una divinità o a un santo in adempimento di un voto o in ringraziamento per una grazia ottenuta.

    Nel contesto religioso, un ex voto è un’offerta fatta da una persona come segno di gratitudine o devozione per aver ricevuto un beneficio o una risposta a una preghiera. Gli ex voto possono assumere diverse forme, come oggetti scolpiti, dipinti, cera modellata o altri simboli che rappresentano il motivo del ringraziamento o della richiesta. Questi oggetti vengono spesso posti in luoghi di culto come chiese, cappelle o santuari.

    Gli ex voto hanno una lunga storia nelle tradizioni religiose e culturali, e sono spesso associati a luoghi di pellegrinaggio o di culto. Possono rappresentare una testimonianza tangibile di fede, devozione e riconoscenza da parte di individui che hanno sperimentato eventi significativi o situazioni difficili nella loro vita.

  • Internet è l’orrore di Dunwich

    Internet è l’orrore di Dunwich

    Nel cuore di una campagna desolata, lontano dagli sguardi curiosi e dalle luci della città, sorgeva un piccolo villaggio dimenticato chiamato Dunwich. I suoi abitanti erano per lo più contadini e allevatori, gente semplice che viveva con rispetto e timore di antiche leggende locali. Il villaggio, ormai in rovina, nascondeva un oscuro segreto che si tramandava di generazione in generazione. Ma oggi, in un’era moderna e digitale, l’orrore di Dunwich aveva trovato un nuovo terreno di caccia: Internet.

    L’Inizio dell’Orrore

    Il dottor Armitage, un rispettato accademico dell’Università di Miskatonic, aveva passato la sua vita a studiare l’occulto e le antiche scritture. Un giorno, durante una delle sue ricerche più recenti, si imbatté in un manoscritto crittografato recuperato dalle rovine della casa dei Whateley, un tempo dimora di una famiglia sospettata di praticare arti oscure.

    A differenza di altri testi esoterici che aveva analizzato, questo manoscritto non era scritto in una lingua aliena o sconosciuta, ma in una crittografia avanzata. Armitage capì subito che non avrebbe potuto decifrarlo con i metodi convenzionali. Dopo settimane di studio intenso, immerso nei trattati crittografici di Tritemio, Giambattista Porta e Vigénère, egli scoprì che il testo era in inglese, nascosto da un ingegnoso sistema di codici noto solo agli iniziati al culto degli innominabili dèi.

    La Connessione con Internet

    Con l’avvento di Internet, l’orrore di Dunwich trovò un nuovo mezzo per diffondersi. Le leggende locali, una volta limitate alle voci bisbigliate e ai racconti del fuoco, si trasferirono nei forum online e nei blog oscuri. Armitage, consapevole dei pericoli, cercò di avvisare la comunità accademica e il pubblico sui rischi nascosti nel cyberspazio. Ma le sue parole caddero nel vuoto, considerato un visionario paranoico.

    Tra le pieghe del web, nei recessi più bui della rete, cominciarono ad apparire frammenti del manoscritto crittografato. Hackers e appassionati di esoterismo cercarono di decifrarli, attirati dalla promessa di conoscenze proibite e poteri arcani. Senza saperlo, stavano risvegliando forze che avrebbero dovuto rimanere sopite.

    L’Apocalisse Digitale

    Gli effetti della diffusione del manoscritto non tardarono a manifestarsi. Persone comuni iniziavano a sperimentare visioni inquietanti, incubi popolati da creature innominabili e frammenti di realtà che si sgretolavano davanti ai loro occhi. Come nel racconto originale di Dunwich, pochi potevano vedere la creatura, ma tutti ne avvertivano gli effetti devastanti.

    Un gruppo di giovani informatici, ignari del pericolo, crearono un software che, secondo loro, avrebbe permesso di decifrare automaticamente il manoscritto. Il programma funzionò, ma conterrà molto più di semplici parole. Risvegliarono una presenza che si diffuse attraverso la rete, corrompendo dati, spegnendo interi sistemi e seminando caos.

    La Rivelazione di Armitage

    Il dottor Armitage, comprendendo che l’apocalisse era imminente, si rifugiò nella sua biblioteca, tentando disperatamente di trovare un modo per fermare l’orrore che aveva preso vita. Usando tutto il suo sapere crittografico e occulto, riuscì a decifrare l’ultima parte del manoscritto.

    La rivelazione fu agghiacciante: il testo conteneva istruzioni per aprire un portale tra il nostro mondo e una dimensione popolata da divinità mostruose. Un’operazione complessa, ma inevitabile ora che il manoscritto era stato decifrato e diffuso. Internet, con la sua capacità di connettere miliardi di persone, era diventato il mezzo perfetto per completare il rituale.

    Il Sacrificio Finale

    Armitage capì che l’unico modo per fermare il rituale era distruggere tutte le copie digitali e fisiche del manoscritto. Ma il web è vasto e le informazioni viaggiano veloci. Chiamò a raccolta un gruppo di fidati accademici e hacker etici, i quali iniziarono una disperata corsa contro il tempo per eliminare ogni traccia del manoscritto.

    Nelle profondità di Internet, la battaglia tra le forze del bene e del male infuriò. Ogni frammento eliminato sembrava generare nuovi codici e messaggi, come un’idra digitale. Alla fine, Armitage, in un ultimo atto di sacrificio, decise di connettere la sua mente al cyberspazio, diventando un firewall, bloccando il passaggio delle entità mostruose.

    Il sacrificio del dottor Armitage rallentò l’inevitabile, ma l’orrore di Dunwich non fu completamente sconfitto. Rimase nascosto, in attesa, tra le pieghe del cyberspazio, pronto a risvegliarsi alla minima occasione. Gli uomini di più ampio intelletto sanno che la linea tra il reale e l’irreale è sottile e che le cose appaiono come sembrano solo grazie ai delicati strumenti attraverso cui le percepiamo. In un mondo sempre più connesso, la vera minaccia non è ciò che possiamo vedere, ma ciò che si nasconde nell’ombra digitale, pronto a scatenarsi.

     

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