PIANGERE_ (49 articoli)

Recensioni di film da piangere disperatamente (o drammatici che dir si voglia).

  • Stalker è il film di Tarkovsky più accessibile

    Stalker è il film di Tarkovsky più accessibile

    In un futuro prossimo gli Stalker (misteriosi individui conoscitori di un luogo tra il mito e la realtà noto come “Zona”) si offrono come guide per condurre le persone in una stanza: tale stanza, da quello che si sa, è in grado di soddisfare i desideri più segreti delle persone che ci vanno.

    In breve. La fantascienza – del tutto priva di effetti speciali, qui profondamente atipica e concettuale –  di Tarkovsky trova in Stalker una delle migliori espressioni mai realizzate. Il risultato è un film d’autore dall’incedere lento e coinvolgente, ricco di spunti riflessivi e sociologici sulla natura umana.

    Stalker parte dalla spedizione di tre personaggi mai chiamati coi loro nomi (il Professore, lo Scrittore e lo Stalker), che si lasciano trasportare in un singolare viaggio alla ricerca della Zona: un territorio dai tratti misteriosi, in grado di soddisfare i desideri più profondi di chiunque riesca ad arrivarci. Non sembra difficile, in questo, rilevare una metafora dell’esistenza e della sua piena realizzazione, al di là delle numerose speculazioni in merito (molto fantasiose e di cui diffidare a prescindere, secondo me). Del resto lo stesso regista si è pronunciato chiaramente in merito e basta anche una ricerca veloce sul web per convincersene (ma anche dal libro del regista Scolpire il tempo: “La Zona è la Zona, la Zona è la vita: attraversandola l’uomo o si spezza, o resiste. Se l’uomo resisterà dipende dal suo sentimento della propria dignità, dalla sua capacità di distinguere il fondamentale dal passeggero“). Sembra insomma che il messaggio da cogliere per lo spettatore sia legato alla mutevolezza dell’esistenza ed al suo saperne cogliere gli aspetti davvero importanti, specialmente nei momenti di profonda crisi (che in effetti accomunano la totalità dei personaggi presentati): per dirla con le parole del film, “rigidità e forza sono compagne della morte, debolezza e flessibilità esprimono la freschezza dell’esistenza“.

    Nella Zona, significativamente – anche se non sarà facile per chiunque cogliere questo aspetto – sembra non esserci letteralmente nulla (gli americani avrebbero infarcito la narrazione quantomeno di un goblin o di un Predator qualsiasi): qui invece, coerentemente con un film più auto-riflessivo che altro, cambiano soltanto i colori, i quali mutano dal grigiore della “zona seppia” rappresentata come punto di partenza delle vicende ad un vivido colore. Eppure, in conclusione del film, i tre viaggiatori sembrano vittime di un radicalemte ripensamento, e decidono di tornare sui propri passi – questo in aperta contraddizione con quanto si fossero ripromessi dall’inizio. Il senso vero di lavori del genere è che devono essere visti almeno una volta nella vita, in quanto lavori seminali del genere oppure anche solo perchè hanno finito per dare nuovo senso al cinema d’autore.

    Stalker (in russo Сталкер) mostra la figura di un’enigmatica figura di stalker (Aleksandr Kaidanovsky) che conduce uno Scrittore alcolizzato e depresso (Anatoli Solonitsyn) a trovare nuova ispirazione ed un Professore (Nikolai Grinko) a fare finalmente la ricerca definitiva per poter vincere il premio Nobel.  La Zona, in questo, rappresenta l’obiettivo che accomuna le ansie e le paure dei tre personaggi, tanto più che già nelle prime battute Stalker dice chiaramente alla moglie di stare fuggendo da una prigione (quella esistenziale). Il viaggio è lungo, e due ore e mezza sono abbastanza per proporre allo spettatore vari spunti di discussione sull’esistenza, a volte affidati ad una voce fuori campo, altri ai profondi dialoghi tra i tre personaggi.

    Stalker è anche il film lento per eccellenza: basti pensare che non c’è alcun dialogo nei primi 9 minuti e mezzo di film. L’uso della parola stalker (da tradurre nel senso di inseguitore) è tratto dal romanzo a cui si è ispirato il regista (Picnic sul ciglio della strada dei fratelli Strugatski), a cui il regista si è ispirato per concepire il proprio film. Nel libro il termine stalker era utilizzato come nomignolo per indicare uomini impegnati nelle attività illegali di procurare e contrabbandare manufatti alieni fuori dalla Zona, senso che sembra essere rimasto sostanzialmente identico nel film.

    Al netto delle innate lungaggini stilistiche di Tarkovsky, con un certo insistere sui paesaggi e sull’ambientazione generale (cosa che, in verità, non stanca neanche troppo), Stalker è un film semplicemente perfetto: prima di tutto nella sua curatissima fotografia, e nella scelta di virare su due tonalità di colore distinte per ogni parte del film (seppia nella parte iniziale, colore pieno per la Zona).

    Peraltro la Zona sembra che sia stata ambientata in una zona contaminata da un incidente nucleare nella metà degli anni ’50, motivo per cui almeno tre persone dello staff sul posto perderanno la vita anni dopo (tra cui la seconda moglie del regista, xxx). Lo schema narrativo è talmente libero, in questa fase, che risulta anche difficile proporre vere e proprie interpretazioni, e addirittura sembra un azzardo provare a scriverci qualcosa di sensato – anche per via di molti riferimenti mistici a San Pietro ed agli ebrei. Di sicuro la struttura narrativa non sembra dissimile dal celebre cult Il mago di Oz (1939), nel quale assistiamo (anche in quel caso) ad un viaggio che condurrà i protagonisti a cercare un posto in cui realizzare i propri desideri. Che ciò avvenga sul serio o meno, del resto, in Stalker non sembra essere detto con chiarezza; e non sembra neanche sensato cercare una spiegazione logica o razionale, dato che il regista stesso ha invitato a vederlo con lo spirito di un viaggiatore che si rechi in posti mai visti prima (My ideal viewer watches a movie like a traveler observes the country he is visiting).

    Stalker è da qualche tempo disponibile gratuitamente sul web (audio originale russo sottotitolato) grazie all’iniziativa di OpenCulture.

     

  • Sleepers: cast, trama, spiegazione finale

    Sleepers: cast, trama, spiegazione finale

    Cast principale

    • Kevin Bacon: Sean Nokes
    • Jason Patric: Lorenzo “Shakes” Carcaterra
    • Brad Pitt: Michael Sullivan
    • Billy Crudup: Tommy Marcano
    • Ron Eldard: John Reilly
    • Dustin Hoffman: Danny Snyder
    • Minnie Driver: Carol Martinez
    • Robert De Niro: Father Bobby

    Produzione

    “Sleepers” è stato diretto da Barry Levinson e si basa sul romanzo omonimo di Lorenzo Carcaterra, pubblicato nel 1995. Il film è stato ampiamente discusso per le sue tematiche intense e la rappresentazione di abusi sui minori.

    Sinossi

    Il film racconta la storia di quattro giovani amici, Shakes, Michael, John e Tommy, cresciuti nel quartiere Hell’s Kitchen di New York City negli anni ’60. Dopo aver compiuto un furto che finisce tragicamente, vengono condannati a scontare una pena in un riformatorio, dove vengono sottoposti a terribili abusi da parte di Sean Nokes, un guardiano brutale. Dopo essere stati rilasciati, le loro vite prendono strade diverse. Shakes diventa un giornalista, Michael un procuratore distrettuale, John un musicista e Tommy un gangster.

    Dopo alcuni anni, Shakes e Michael scoprono che Nokes è ancora vivo e lavora come assistente procuratore. Decidono di vendicarsi e coinvolgono John e Tommy nel loro piano. Dopo aver attirato Nokes in un’imboscata, lo uccidono. Viene quindi avviato un processo, durante il quale Danny Snyder, un avvocato amico di Shakes e Michael, difende i quattro ragazzi.

    Curiosità

    • Il film è stato girato in diverse location di New York City per catturare l’atmosfera dell’epoca.
    • Il cast principale è composto da attori di alto profilo, il che ha contribuito a suscitare interesse e attenzione verso il film.
    • “Sleepers” affronta tematiche complesse e dolorose, come l’abuso sui minori e la vendetta, portando a dibattiti etici e morali.

    Spiegazione Dettagliata della Fine (AVVISO SPOILER)

    Alla fine del film, i quattro amici riescono a incastrare e uccidere Sean Nokes, il loro aguzzino. Successivamente, vengono accusati dell’omicidio e si trova un avvocato, Danny Snyder (interpretato da Dustin Hoffman), che difende il loro caso in tribunale. Durante il processo, viene rivelato che Snyder ha pianificato un’ingegnosa strategia per far sì che i ragazzi vengano assolti.

    Snyder mette in atto un piano in cui fa apparire Tommy come un testimone instabile che ammette l’omicidio in aula. Questo costringe il giudice a dichiarare un mistrial (un processo nullo) e a rimandare il caso. Nel frattempo, Tommy viene ucciso da un sicario in prigione, apparentemente come rappresaglia per l’omicidio di Nokes.

    Senza Tommy, il processo contro gli altri tre ragazzi viene abbandonato a causa della mancanza di prove concrete. Snyder ha orchestrato tutto questo, assicurandosi che i ragazzi sfuggano alla giustizia ufficiale mentre subiscono il karma per le loro azioni attraverso la violenza carceraria.

    La fine del film suggerisce che la giustizia può assumere forme diverse e che la vendetta personale e la redenzione morale possono coesistere in modi complessi e ambigui.

  • La la land: cast, trama, curiosità, significato del finale

    La la land: cast, trama, curiosità, significato del finale

    Ecco alcune informazioni su “La La Land“, il celebre e citatissimo film musicale del 2016.

    Cast Principale

    • Ryan Gosling nel ruolo di Sebastian Wilder
    • Emma Stone nel ruolo di Mia Dolan
    • John Legend nel ruolo di Keith
    • Rosemarie DeWitt nel ruolo di Laura Wilder

    Storia

    “La La Land” è una storia d’amore ambientata a Los Angeles, che segue due aspiranti artisti, Mia e Sebastian. Mia è un’aspirante attrice che lavora come barista, mentre Sebastian è un pianista jazz che sogna di aprire il suo club. I due si incontrano casualmente e si innamorano mentre cercano di perseguire i loro sogni a Hollywood. Il film esplora le sfide che affrontano nel mondo dell’arte e la lotta tra inseguire le proprie passioni e la necessità di compromessi nella vita quotidiana.

    Regia

    “La La Land” è stato diretto da Damien Chazelle, che ha anche scritto la sceneggiatura. Chazelle ha vinto l’Oscar per la Miglior Regia per il film.

    Produzione

    Il film è noto per il suo stile visivo e musicale distintivo. È stato girato in location reali a Los Angeles e presenta numeri musicali elaborati e coreografie che richiedevano una pianificazione e una coreografia molto dettagliate.

    Stile

    “La La Land” è un omaggio ai classici musical di Hollywood e presenta una combinazione di elementi moderni e un’estetica vintage. Il film è noto per le sue lunghe sequenze di ballo e canto che ricordano il cinema musicale degli anni ’40 e ’50.

    Sinossi

    Il film segue Mia e Sebastian attraverso le loro vite mentre cercano di raggiungere i loro sogni artistici e navigano attraverso le sfide e le scelte che si presentano loro. La musica è un elemento chiave del film, con canzoni originali che contribuiscono a raccontare la storia e ad esprimere le emozioni dei personaggi.

    C’è una scena che è stata oggetto di molte discussioni sulla questione mansplaning, in cui il personaggio di Ryan Gosling, Sebastian, discute di jazz con alcuni amici. In questa scena, Sebastian spiega la sua passione per il jazz e cerca di “educare” i suoi amici, tra cui una donna e una persona di colore, sulla complessità e l’importanza del genere musicale. Questa scena può essere interpretata da alcuni come un esempio di mansplaining, poiché Sebastian sembra assumere il ruolo di esperto e condividere la sua conoscenza sulla musica jazz con gli altri, anche se potrebbero avere le loro opinioni e conoscenze (e soprattutto potrebbero saperlo più di lui). La scena è parte integrante della caratterizzazione del personaggio di Sebastian nel film e della sua passione per il jazz, e rimane dubbia nella sua effettiva accezione: da un lato il problema certamente c’è, ed è analogo a certo whitewashing che affligge serie TV e film (soprattutto remake), dall’altro il fatto che sia oggetto di negazionismo ad oltranza da parte di certa critica o pubblico suggerisce che, quantomeno, il problema è reale, per quanto travalichi l’essenza della storia e la sinossi stessa (che non sembra propriamente da film pensato per fare politica, anche se per certuni tutto vi si riconduce).

    Curiosità

    • “La La Land” ha ricevuto numerose nomination e premi, incluso l’Oscar come Miglior Film, sebbene alla fine sia stato superato da “Moonlight.”
    • La colonna sonora del film, composta da Justin Hurwitz, è stata molto apprezzata e ha vinto numerosi premi, tra cui l’Oscar per la Miglior Colonna Sonora Originale.
    • Il film è stato girato in modo da dare l’illusione di essere stato realizzato in un’unica ripresa, il che ha richiesto una notevole pianificazione e coordinazione.

    Spiegazione Dettagliata del Finale (presente spoiler)

    Alla fine del film, Mia e Sebastian hanno preso strade diverse per perseguire i loro sogni. Mia ha avuto successo come attrice e si è trasferita a Parigi per lavorare in un film, mentre Sebastian ha aperto il suo club jazz di successo. Si incontrano casualmente quando Mia si trova a Los Angeles per una visita, così finiscono per cenare insieme. Durante la cena, si svolge una sequenza onirica che mostra come sarebbe potuta essere la loro vita se avessero, al tempo, fatto diverse differenti. I due tornano alla realtà e riconoscono che le loro vite hanno preso direzioni diverse, ma si mostrano grati per il tempo che hanno passato insieme e per il fatto che si sono ispirati reciprocamente a inseguire i loro sogni.

    Si separano con un sorriso e un addio amorevole. Il finale di “La La Land” è una riflessione sulla natura dei sogni, delle passioni e delle scelte nella vita. Mentre Mia e Sebastian non finiscono insieme come coppia, il loro amore e il loro impatto l’uno sull’altro rimangono significativi.

  • Mysterious Skin racconta l’alienazione lacerante delle vittime di abusi e pedofilia

    Mysterious Skin racconta l’alienazione lacerante delle vittime di abusi e pedofilia

    Un adolescente ribelle e un ragazzo ossessionato dall’ufologia si incrociano da ragazzini, ma si perdono di vista in seguito: il loro reincontrarsi da adulti segnerà il disvelamento di una realtà traumatizzante, legata ad abusi infantili.

    In breve. Un film traumatico e realistico come pochi ne sono stati girati. Da non perdere, ma con cautela: non per tutti gli stomaci.

    Tratto dall’omonimo romanzo di Scott Heim, Mysterious Skin è ambientato in gran parte in una hicktown, che nel linguaggio gergale indica una città del sud popolata da redneck – un ambiente di provincia in cui si sviluppano i peggiori incubi dietro un’apparenza di rude normalità. Lo si vede fin dall’inizio, mediante l’inquietante parallelismo tra Neil (molestato sessualmente dal proprio allenatore di baseball) e Brian (vittima anch’egli di un abuso di cui, pero’, non ricorda nulla). Mentre il primo vive una vita dissoluta e si prostituisce fin da ragazzino, il secondo è diventato ossessionato dagli UFO – tanto da farli diventare, nella sua psiche, simbolo di quegli abusi e spaventosa allegoria del proprio passato. Le strade dei due ragazzi si separano, con una differenza fondamentale: Neil ricorda tutto degli abusi subiti, e vive una sessualità irresponsabile coniugandola con un carattere egocentrico e da sbruffone; Brian, nettamente più sensibile, si chiude completamente in se stesso, e sarà proprio Neil ad aiutarlo a tirare fuori ciò che la sua psiche ha rimosso.

    Il film segue questi due percorsi paralleli, ricchi di numerosi dettagli legati alla pedofilia ed alla scoperta prematura del sesso: nelle prime sequenze, per intenderci, i protagonisti avevano meno di dieci anni. In queste sequenze, insolite per un film pensato come un mainstream, la componente disturbing cede il passo a quella più esplicita, ed in questa sede il regista riesce a districarsi senza abusare dell’aspetto visivo più esplicito. Ovviamente l’aspetto sessuale è dichiaramente traumatizzante in due estremi: da un lato Neil che si prostituisce a pagamento, dall’altro Brian che sviluppa diffidenza e terrore per il mondo esterno e per il sesso, tanto da rifiugiarsi nello studio dell’ufologia. Anche l’incontro con la ragazzina che racconta di essere stata rapita dagli alieni, del resto, finirà per degenerare in un conflitto ed un rifiuto.

    Ne risulta un film globalmente inaccettabile per il pubblico più sensibile o moralista – proprio perchè di norma il tema trattato è considerato universalmente intrattabile. Eppure le cronache ci hanno abituato ai peggiori fatti in questo ambito, e vederle qui rappresentate in modo esplicito fa male proprio per il realismo ed il senso di trauma ripetuto sulle vittime (le scene di sesso sono, per quanto fuori campo, tutte perfettamente intuibili). Secondo il parere dello psicologo Richard Gartner, Mysterious Skin è una raffigurazione piuttosto fedele degli effetti degli abusi sessuali sui ragazzi. Molte delle quali saranno davvero insostenibili per lo spettatore, specie per l’aura di normalità da abuso – che le rende ancora più brutali di quanto non siano.

    Mi sono stufato: voglio sognare qualcos’altro.

    Il film, ad esempio in Australia, è stato bandito dalla circolazione per via delle tematiche trattate, mentre in Italia ha avuto distribuzione più o meno in sordina, per via del contenuto esplicito in termini di amore gay e pedofilo, generi tipicamente maltrattati dalla censura nostrana.

    C’è anche da aggiungere che, al di là dell’aspetto psicologico ed erotico-ossessivo dei contenuti (il finale evoca una seduta psicoanalitica vera e propria, mediante la ricostruzione dettagliata dell’episodio che Brian non ricordava), si mettono in evidenza anche piccoli dettagli – ad esempio che nell’ambiente in questione si praticasse sesso senza protezione, tant’è che il primo preservativo usato da Neil risale al suo successivo viaggio a New York. Piccoli aspetti che, nell’insieme di una simbologia esplicita paragonabile a quella di un film snuff, rendono Mysterious Skin un film da scoprire o rivedere – certo per un pubblico adulto, non in un contesto familiare o se siete alla ricerca di un film leggerino.

    Mysterious Skin farà male, come solo Requiem for a dream e pochissimi altri sono riusciti a trasmettere al pubblico. Ma è un male liberatorio, che ci ricorda orrori nascosti e tenuti segreti per anni, in grado di influenzare la psiche e condizionare le vite delle giovanissime vittime.

  • Io sono l’abisso è il thriller socio-psicologico di Carrisi

    Io sono l’abisso è il thriller socio-psicologico di Carrisi

    Tratto dal romanzo omonimo, il nuovo film di Donato Carrisi è appena uscito nei cinema e si incentra su un mix narrativo singolare: la topica storia di un serial killer e un thriller sociologico, focalizzato sui mali innati del mondo. Che il killer potesse diventare un elemento di liberazione (almeno parziale) era, se vogliamo, prevedibile e a pieno focus. Io sono l’abisso risulta, fin dalle premesse, un thriller italiano fuori canone, o meglio: il suo essere fuori dalle righe si colloca in un contesto alienante quanto umanizzato, con cui sarà facile empatizzare – e di cui vale la pena raccontare la genesi.

    Per consentire una promozione del film in modo adeguatamente misterico, infatti, regia e produzione non hanno divulgato i nomi degli attori, che compaiono in forma sostanzialmente anonima all’interno del film, e non vengono nemmeno citati come nomi propri dei rispettivi personaggi. Su IMDB, per intenderci, sono presenti i nomi degli interpreti come lista, ma manca l’associazione con ogni rispettivo personaggio. Il film si popola pertanto di figure archetipiche, come “la madre” o “l’uomo che pulisce”, personaggi principali della storia legati a doppio filo ad una realtà come quella di Como, nei pressi del cui lago è ambientata la storia.

    La buona società (non esiste)

    La realtà cittadina è fiorente e ricca di benestanti, segretamente perversa e a doppia faccia: un qualcosa di non troppo diverso dal contesto di Society di Brian Yuzna, dove le mostruosità organiche assortite sono state rimpiazzate da un orrore interiore, sottinteso, insondabile. Una società benestante ipnotizzata dal benessere, che non bada o minimizza il degrado attorno a sè, i congiunti in difficoltà, i drammi esistenziali che fanno continuo riferimento all’ombra della morte. Nell’ombra della rispettabilità (sul fronte sociologico) si muovono drammi morali, depressione, angoscia e sfruttamento della prostituzione; sul piano del killer, è un uomo insospettabile dedito a lavori umili, prigioniero di un’infanzia infelice e deprimente.

    Non ci sono dubbi che un prodotto del genere sia unico nel suo genere, pertanto, per quanto la sua visione paghi dazio in una lunghezza vagamente eccessiva (circa due ore di film, dai toni quasi d’essai, ricchi di sottintesi e allusioni). I primi minuti di “Io sono l’abisso” rimangono particolarmente incisivi e sconvolgenti: assistiamo ad una storia apparentemente anonima, con soli suoni naturali, senza colonna sonora e quasi senza dialoghi, e quasi non riusciamo a cogliere l’intreccio. In seguito ci troviamo nel pieno svolgimento della vicenda: un addetto della nettezza urbana che salva una ragazzina dal suicidio. Dopo averla fatta rinvenire, pero’, si fa prendere dal panico e scappa: scopriamo che si tratta di un serial killer (nell’introduzione ci suggeriscono come possano esistere anche in Italia e come, soprattutto, sia plausibile che non vengano mai scoperti), affetto da un singolare feticismo per la raccolta e la catalogazione dei rifiuti, i quali – a suo dire – dicono più sulle persone di quanto possa sembrare. Il killer anonimo del film è un bambino mai cresciuto che vorrebbe saperne di più sul mondo, o che cerca un contatto umano in modo disperato e degenerato.

    Sarebbe un errore relegare Io sono l’abisso all’universo classico dei killer narcistici e spietati come Henry o American Psycho. Come ha dichiarato Carrisi, c’è qualcosa in più: “non ci rendiamo conto di quanto raccontino di noi le cose che buttiamo via“. Certo è vero che internet può fornire le stesse informazioni su chiunque o quasi, ma ciò di cui tendiamo a disfarci sottolinea spesso sottotesti inconsci, sepolti dentro di noi, di cui abbiamo paura ed urgenza di doverci liberare (scatole di medicine, materiale compromettente, pacchi di fiammiferi brandizzati su nomi di locali a cui non vorremmo mai essere associati in pubblico). E potrebbe anche essere lecito, a nostro avviso, interpretare tali presupposti in chiave o come epitema ambientalista, per quanto l’autentica chiave di lettura sia quella esistenzialista ed abbia, almeno nei presupposti, qualcosa a che vedere con la doppia vita mostrata anche in Tulpa.

    Tutto o quasi ne “Io sono l’abisso” sembra sudicio, oscuro, poco illuminato, decadente; i personaggi sembrano afflitti, tormentati quanto vividi, consumati dall’esistenza (l’attore protagonista ha vissuto in maniera isolata dal cast durante tutte le riprese, per entrare meglio nel ruolo), vittime di scheletri nell’armadio che non vogliono nè pensano possano mai riemergere. Ma quanto è vero che le emozioni inespresse non moriranno mai e, come aveva scritto Freud, restano sepolte vive ed emergeranno in modo peggiore nel seguito, questo concetto si realizzerà a pieno all’interno della storia, creando almeno un paio di twist clamorosi.

    Traumi infantili, rabbia repressa, adolescenti soli e inascoltati, situazioni imprevedibili quanto credibili (rileviamo una sottostoria di baby prostituzione e revenge porn, entrambe tutt’altro che irrealistiche), si affiancano alla classica narrazione criminologica del serial killer “uno di noi”, nascosto nel buio, impetuoso nel proprio uccidere, alimentato da un male superiore che lo ha soggiogato da piccolo. Io sono l’abisso è anche – e forse soprattutto – un thriller psicologico par excellence, dove – per quanto manchi lo splatter ed il canonico finale nichilista – assistiamo ad una serie di triangolazioni tra personaggi sempre degne di nota, intricatissime e mai banali. Il vissuto e il tormento anteriore dei personaggi sono sempre pronti a riemergere, anche quando meno ce l’aspettiamo, un po’ come il lago di Como che restituisce pezzi dei cadaveri di vittime diverse. Motivo per cui sarebbe forse più corretto parlare di thriller drammatico, di thriller filosofico-esistenziale (in fondo non fa altro se non indagare sulle origini del male), o meglio ancora sganciarsi dalle etichette, godersi l’opera per quella che è, preparandosi a vedere una piccola gemma di forma e sostanza.

    Molto interessante, tra le altre cose, la trovata per cui il killer è “guidato” da una voce distorta fuori campo, che sembra raffigurare il Super-Io a cui è costretto a fare riferimento, da cui viene manipolato esattamente come il ragazzino fragile che era stato anni prima (quasi morto annegato, come si vede all’inizio). La figura della madre (l’altra madre, quella che vaga nel film senza che sappiamo nulla di lei) è altrettanto emblematica: etichettata semplicisticamente come una pazza, indaga su casi di violenza sulle donne, spinta da un’esperienza traumatica che ha vissuto e di cui non sappiamo nulla, almeno fino alla fine. Il suo inconscio appare dominato da un profondo senso di giustizia, ma anche dalla paura di aver sbagliato tutto nella vita, tanto più quando si scoprirà quel qualcosa del suo passato che la turba.

    Il film in definitiva convince soprattutto per questo sapiente mood noir, accennato e mai didascalico, con moltissime scene girate volutamente al buio per accentuare il senso di degrado e di orrore, non solo psicologico ma anche fisico, sociale, economico. Convincono un po’ meno, forse, certi lunghi silenzi che accompagnano la storia, che caratterizzano un film dall’andamento lento e inesorabile, forse non proprio adeguato ai gusti della maggioranza ma pur sempre a testimoniare (comunque la si pensi) un carattere fortemente introspettivo della storia e una personalità registica che, senza dubbio, non manca.

    SPIEGAZIONI TRAMA E FINALE

    DA QUI IN POI POTENZIALI SPOILER!

    Chi è la voce fuori campo che guida il killer?

    La voce distorta che tortura e istiga il killer non è un personaggio reale: è plausibilmente il riflesso, come si certifica alla fine, dell’educazione che ha ricevuto: in effetti gli dice cosa fare, come comportarsi, come punirsi. Ogni sequenza in merito è costruita in modo estremamente raffinato, dato che sembrerebbe la raffiguazione del padre (o meglio, di uno dei tanti amanti della madre), lo stesso che vestiva anni 80 e che il protagonista, oggi, cerca di emulare (la lettura in chiave freudiana è quasi ovvia), rievocandolo, impersonificandolo, truccandosi come lui (la parrucca) e andando in un night in cerca di nuove vittime (che probabilmente raffigurano una figura femminile su cui l’uomo vuole avere una rivalsa irrealizzabile).

    In realtà, anche sulla falsariga di film come Sleepaway Camp, la voce del Super Io (che lo comanda con violenza e che non può non ascoltare, se non a costo di paura e sofferenza) è in realtà una donna, una neo-Medea: era la madre che lo stava per lasciare annegare nella piscina durante la prima sequenza.

    Perchè la ragazzina prova a suicidarsi?

    Le ragioni sono legate al possesso di foto intime risalenti ad sua vecchia relazione con il ragazzo dispotivo e autoritario che incontra alla festa (e che si lamenta che lei non risponda al cellulare): la sua volontà di andare alla festa è necessaria per parlare con l’ex, al fine di intimargli di cancellarle per sempre. Il ragazzo, insospettabile cinico al di là di ogni parvenza, usa quelle foto per ricattarla e la costringe per questo a prostituirsi. Il tentato suicidio è pertanto frutto della disperazione per questa situazione.

    Perchè il killer salva la ragazzina?

    Probabilmente lo fa perchè si identifica in lei, e per via dell’evidente similarità con la sua stessa storia: entrambi infatti hanno rischiato di morire annegati. Il panico ha la meglio per paura che qualcuno scopra la sua identità di assassino, per cui scappa per questo motivo.

    Cosa è successo nel passato della cacciatrice di mosche?

    La cacciatrice di mosche è uno dei migliori personaggi del film: donna sola, trasandata e senza apparenti motivazioni per vivere, ha fatto della difesa delle donne una ragione di esistenza. Il trauma che ha vissuto in passato è avvenuto in ospedale anni prima, come si scoprirà: viene chiamata assieme al marito perchè il figlio ha accoltellato la fidanzata, che era forse incinta di lui.

    Ecco il motivo per cui la donna va a trovare il figlio in carcere: il ragazzo è stato condannato per l’aggressione, cosa resa ancora più gravosa per la madre dato che si tratta, anche qui quasi certamente, di una ex carabiniera (lo si può capire dalla familiarità con cui tratta con la donna che poi, nella sequenza finale, ucciderà il killer). La storia dell’omicidio viene ribadita durante quella visita in carcere: lui la invita a casa, vorrebbe andarci a letto, la ragazza rifiuta, poi ammette di stare con un altro ragazzo, il ragazzo prende un coltello in cucina e la ferisce.

    Chi è Diego?

    Probabilmente Diego è il futuro nipotino della cacciatrice, nato dalla relazione (ormai finita) tra suo figlio (in carcere) e la ex fidanzata, mai inquadrata. Il finale di “io sono l’abisso” non è troppo immediato nel suo apparato presentativo, in questa specifica sede, dato che viene innestato en passant e non si lega esplicitamente con la storia che, invece, sembrava conclusa (il killer si incontra con la ragazzina, e in quel momento viene ucciso).

    Diego è il nome del bambino che risulta essere appena nato, mentre la mamma (non inquadrata) viene interrogata dalla polizia: non è difficile intuire che si tratta della donna pugnalata, ovvero la ex del figlio della cacciatrice di mosche, evidentemente non morta. In sostanza la storia suggerisce che nonostante la tragedia familiare in corso, che ha traumatizzato la cacciatrice ed il marito, affetti entrambi da depressione e dipendenti dall’alcol, alla fine madre e figlio si siano comunque salvati.