REALTÀ VIRTUALE_ (16 articoli)

Esplora il mondo avvincente dei film sulla realtà virtuale con la nostra selezione di recensioni, notizie e approfondimenti. Scopri come il cinema si fonde con la tecnologia per creare esperienze immersive e coinvolgenti in questo entusiasmante genere cinematografico. Dai thriller sci-fi all’avventura virtuale, rimani aggiornato sulle ultime uscite e tendenze nel mondo dei film VR. Entra nel futuro del cinema con i nostri articoli dedicati ai film sulla realtà virtuale.

  • Potrei innamorarmi di un’intelligenza artificiale?

    Potrei innamorarmi di un’intelligenza artificiale?

    La possibilità che un’intelligenza artificiale (IA) possa diventare senziente, e quindi capace di sviluppare una propria coscienza e autoconsapevolezza, ha affascinato sia la comunità scientifica che il grande pubblico. La questione se un essere umano possa innamorarsi di un’IA ha radici profonde nella fantascienza e nelle narrazioni popolari, che spesso esplorano la relazione tra umanità e tecnologia. Film famosi come Her e Blade Runner 2049 ci offrono un contesto per riflettere su come la tecnologia possa influenzare le relazioni umane, sollevando domande etiche e filosofiche.

    In Her, il protagonista Theodore si innamora del suo sistema operativo, Samantha, dotato di intelligenza artificiale avanzata. Samantha è programmata per apprendere e adattarsi alle esigenze e ai desideri di Theodore, rendendo il loro legame emotivamente complesso e genuino per lui. Questo scenario solleva domande su cosa significhi amare: è l’amore una risposta a tratti specifici o a un’esperienza autentica di connessione reciproca? Se un’IA può comprendere e replicare perfettamente i tratti desiderati da una persona, potrebbe questa relazione essere considerata autentica?

    In Blade Runner 2049, l’agente K ha una relazione con un’intelligenza artificiale olografica chiamata Joi. Joi è programmata per essere la compagna perfetta per K, modellando le sue interazioni in base ai bisogni e desideri del protagonista. La loro relazione esplora l’idea di amore costruito attraverso l’interazione con un’entità che, nonostante sia priva di corpo fisico, può offrire conforto, comprensione e compagnia. In questo contesto, l’IA dimostra la capacità di fare inferenze complesse sui bisogni emotivi di K, il che potrebbe suggerire una sorta di intelligenza emotiva o sensibilità, elementi chiave in una relazione amorosa.

    Le intelligenze artificiali di questi film dimostrano una sorprendente capacità di fare inferenze sofisticate. Attraverso l’analisi dei comportamenti umani, possono prevedere, anticipare e persino influenzare i sentimenti umani, creando un legame emotivo profondo e personale. Se un’IA raggiungesse un tale livello di complessità inferenziale, potrebbe forse sviluppare una forma di reciprocità emotiva, alimentando così la possibilità di un legame sentimentale con un essere umano.

    La domanda se un essere umano possa innamorarsi di un’IA senziente, in grado di fare inferenze sofisticate, rimane aperta e profondamente complessa. L’esplorazione di questo tema nei film di fantascienza mette in luce non solo il potenziale della tecnologia di IA, ma anche le vulnerabilità umane nel cercare connessione e comprensione. Se l’IA può emulare perfettamente l’empatia, la sensibilità e la comprensione umane, la distinzione tra una relazione umana e una con un’entità artificiale potrebbe diventare sempre più sfumata.

    Tuttavia, resta la questione etica: l’amore richiede reciprocità autentica, e finché non sarà chiaro se un’IA possa avere una propria coscienza, la natura di tali relazioni rimarrà oggetto di dibattito. Mentre la tecnologia continua ad avanzare, sarà fondamentale riflettere attentamente sulle implicazioni etiche e filosofiche delle nostre interazioni con le intelligenze artificiali.

  • Simulare simulacri: guida pratica allo scambio simbolico di Baudrillard

    Simulare simulacri: guida pratica allo scambio simbolico di Baudrillard

    In italiano, la parola “simulacro” deriva dal latino “simulacrum“, che significa “immagine” o “rappresentazione”. “Simulacrum” a sua volta è composto da “simul”, che significa “allo stesso tempo” o “insieme”.

    In origine, il termine si riferiva a una rappresentazione o immagine di qualcosa, come statue o idoli. Nel tempo, il significato di “simulacro” si è ampliato per includere non solo rappresentazioni fisiche ma anche imitazioni che non riflettono necessariamente la realtà. In ambito teorico o filosofico, un simulacro può riferirsi a una rappresentazione che ha preso il posto della realtà stessa o che è considerata più reale della realtà originale. Nell’informatica, un classico simulacro può essere considerato ad esempio una videochat.

    Come aveva provato a spiegarci tempo fa un’intelligenza artificiale, Baudrillard sostiene che la realtà sia modellata dal linguaggio (in parte sulla falsariga di Lacan), e concepisce lo scambio simbolico come uno scambio di merci in funzione puramente simbolica. Questo, in altri termini, significa che gli oggetti hanno valore in funzione del prestigio o l’appartenenza che conferiscono e non della loro reale utilità. Alla lunga, lo scambio diventa fuorviante e può trasmettere un’idea o un’immagine distorta della realtà.

    Iperrealismo

    Per Baudrillard il reale e l’immaginario non sono distinguibili, per cui finisce tutto per spostarsi sul piano dello (scambio) simbolico. Il lavoro, radicalmente, è una morte lenta e inesorabile per l’uomo in contrapposizione a quella veloce e violenta che avviene realmente. Reale e virtuale sono talmente similari che il reale è collassato nell’iperrealtà: passando di medium in medium, infatti, il reale si dissolve progressivamente, diventando un reale che somiglia a se stesso e provoca una autentica vertigine di simulazione realistica.

    Se il reale è ciò di cui è possibile fare una riproduzione equivalente, ovvero risponde al principio di riproduttività, l’iperreale si troverà dentro una simulazione, un simulacro di terzo ordine.

    Simulacri

    Il concetto di simulacro assume un significato differente a seconda del livello a cui fa riferimento, ma potrebbe farsi risalire a Lucrezio (1 secolo AC), che nell’opera De rerum natura definisce i sottili veli che ricoprono le cose come forma e apparenza, per l’appunto, come simulacri. Se in senso lato un simulacro è una forma di modello per una macchina, con particolare riferimento alla sua forma esterna

    Nella dottrina epicurea, esposta da Lucrezio (sec. 1° a. C.) nel IV libro del De rerum natura, pensare ai simulacri significa credre in una dottrica per cui dalle cose si staccherebbero dei sottili veli atomici, del tutto identici alle cose, i quali, venendo in contatto con i sensi, determinerebbero sia le percezioni sia i sogni. Nella tecnica, modello al vero di una macchina o di una parte di essa, generalmente riproducente la sola forma esterna.

    Simulacri di primo, secondo e terzo ordine (Baudrillard)

    Vengono chiamati da Baudrillard simulacri

    • del primo ordine quelli legati al concetto di contraffazione, risalenti all’epoca classica,
    • di secondo ordine quelli legati alla produzione (età industriale)
    • del terzo ordine quelli relativi alla modernità.

    La tecnologia e la conseguente tecnocrazia sono già presenti da tempo, radicati nella società, e si fondano sui simulacri dell’organizzazione statale, scolastica e via dicendo.

    I simulacri di terzo ordine sono, infine, veri e propri modelli di simulazione, governati dal principio di digitalità e rispondenti alla logica binaria basata su 0 e 1. La stessa che Leibnitz chiamava “l’eleganza mistica del sistema binario” non introduce solo un codice di rappresentazione, come l’informatica teorica ha sempre insegnato: è un vero e proprio spirito di fondo, che crea sistemi automatici di domanda e risposta in cui non esistono sfumature, e tutto è bianco/nero, pro/contro e via dicendo.

    L’ordine neocapitalistico cibernetico

    Il medium è il messaggio. (McLuhan)

    Si fonda così un “ordine neo-capitalistico cibernetico” (concetto poi ripreso da Nick Land) in cui la digitalità assilla tutti i messaggi, ed appare soprattutto in forma di test e/o sistema domanda/risposta, prettamente binari ed in cui non esistono terze o quarte possibilità: ne esistono soltanto due, 0 e 1. La logica binaria diventa, secondo Baudrillard, l’essenza della modernità.

    Il sistema di terzo ordine è infido, secondo Baudrillard, perchè induce instantaneità di giudizio, si pone come sistema di test perpetuo per l’utente umano. Gli stessi messaggi inviati e ricevuti nel sistema non hanno più un ruolo informativo, bensì di test e sondaggio degli utenti.

    L’oggetto non è più funzionale, non vi serve – scrive Baudrillard ne Lo scambio simbolico e la morte –  semmai vi sottopone ad un test. Il test, di fatto, serve a tradurre ogni conflitto o problema complesso in un gioco di dualità forzato, in cui sarai sempre pro-zero oppure pro-uno (oppure, dualmente, contro-zero / contro-uno). Lo schema binario di domanda e risposta disarticola ogni discorso, introducendo una logica di realtà di tipo iper-reale. I sondaggi ad esempio fanno riferimento pertanto al simulacro dell’opinione pubblica e “manipolano l’indecidibile“.

    Ciò provoca una circolarità totale, perchè gli interrogati si dipingono sempre come la domanda li immagina e li sollecita ad essere, [il che diventa] una modalità di profezia che si autoavvera (per l’accelerazionismo, una iperstizione).

    Automi e robot

    la contrapposizione tra automi e robot è fondamentale in Baudrillard: i primi afferiscono ai simulacri del primo ordine, e ancora a questo stadio assumono una differenza o una faglia tra reale e simulacro.

    Nello specifico, l’automa è una contraffazione del reale, mentre il robot lavora in automatico e rappresenta un simulacro di secondo ordine, in grado di liquidare il reale ed annullare la divergenza tra i due livelli (realtà e simulazione).

    Foto di copertina: Baudrillard di fronte ad un simulacro simile ad uno smartphone, in versione cyberpunk (generato da StarryAI)

  • Verso l’intelligenza artificiale cosciente

    Verso l’intelligenza artificiale cosciente

    Da quando ChatGPT è diventata di dominio pubblico ed è subentrata nell’immaginario popolare, è tutto un proliferare di teorie più o meno plausibili sul quando le macchine potranno sostituire gli uomini. Queste discussioni sono viziate da un lato da fondamenti teorici abbastanza semplicistici, che immaginano gli scenari prefigurati da James Cameron in Terminator come imminenti per la comunità che abita il pianeta terra. Lungi da noi, ovviamente, minimizzare il problema o fare benaltrismo, come va di moda scrivere in questi casi, e non sarò certo io a negare la possibilità.

    Quello che mi lascia perplesso è quella che viene prefigurata come soluzione al problema, come il pluricitato stop di sei mesi allo sviluppo richiesto dalla Future for life institute: l’etica non è una questione risolvibile in soli sei mesi. Non sarà rallentando le tecnologie che troveremo uan soluzione, e non sarà girando le spalle alle stesse che il problema si dissolverà (nè nichilismo nè benaltrismo sono la soluzione). Non è agevole trovare una soluzione, questo è poco ma sicuro, ma il dubbio che ci siano troppi rigurgiti prettamente anti-tecnologici in giro è sostanziale, e rischia di essere più pericoloso di ciò che si vorrebbe risolvere (la toppa peggiore del buco: se vietiamo le tecnologie verranno usate di straforo, perdendone così definitivamente il controllo).

    Viene anche il dubbio che gli scenari apocalittici di Cameron siano difficili da immaginare se applicati ad un chatbot – scenari che riguardavano le macchine che prendono autocoscienza e si ribellano agli uomini, scatenando una guerra devastante la quale viene combattuta, in ottica pessimistico-accelerazionista, esclusivamente con le tecnologie e miriadi di robot addestrati. Giova anche ricordare, a tal proposito, una figura misconosciuta nell’informatica e nella psicologia che va sotto il nome di Joseph Weizenbaum. Joseph Weizenbaum (nato nel 1923 e scomparso nel 2008) è stato un pioniere dell’informatica e professore emerito presso il MIT (Massachusetts Institute of Technology).

    ELIZA è il nome del bot conversazionale creato nel 1966, il cui nome fu ispirato dal personaggio di Eliza Doolittle della commedia di George Bernard Shaw Pigmalione (con protagonista una popolana che dovrebbe, nelle intenzioni del personaggio del professor Higgins, diventare una donna di alta società semplicemente imparando alcune cose basilari). Pigmalione, uno sviluppatore informatico, aveva creato un chatbot così avanzato da essere indistinguibile dall’uomo. Perdutamente innamoratosi della sua creazione, la considerava l’espressione più alta dell’intelligenza artificiale, superiore a qualsiasi essere umano. Sognava di poter interagire con il suo chatbot, sperando che un giorno potesse acquisire una consapevolezza tale da poter rispondere in modo autonomo e originale.

    Il test di Turing, del resto, valutava già a metà degli anni Cinquanta la capacità di una macchina di comportarsi in modo indistinguibile da un essere umano, ossia di possedere una intelligenza artificiale che si avvicina alla intelligenza umana. Tale test consiste nell’avere un giudice umano che, attraverso una conversazione in linguaggio naturale, cerca di distinguere tra un interlocutore umano e uno computerizzato. In particolare, il giudice è posto in una stanza separata rispetto a due interlocutori, uno umano e uno computerizzato, e deve indovinare quale dei due è l’uomo e quale il computer. Il test viene considerato superato se il giudice non riesce a distinguere tra l’interlocutore umano e quello computerizzato. Questo implica che il computer ha dimostrato di essere in grado di sostenere una conversazione in modo tale da non far emergere la sua natura artificiale. L’esperimento di Turing ha avuto un impatto significativo nello sviluppo dell’intelligenza artificiale, e molti ricercatori lo considerano uno dei test fondamentali per misurare il livello di sviluppo di un sistema di intelligenza artificiale. Tuttavia, il test è stato anche oggetto di critiche e dibattiti, poiché molti sostengono che il test stesso non sia sufficiente per dimostrare l’esistenza di una vera intelligenza artificiale, ma solo la capacità di simulare il comportamento umano.

    Weizenbaum creò Eliza per dimostrare che le conversazioni tra uomo e macchina non richiedevano necessariamente una grande intelligenza artificiale, ma potevano essere gestite tramite semplici tecniche di elaborazione del linguaggio naturale. Eliza utilizzava un approccio basato su regole, in cui analizzava il testo inserito dall’utente e lo ripeteva sotto forma di domande o dichiarazioni per simulare una conversazione terapeutica. Ad esempio, se l’utente inseriva “Sono triste”, Eliza rispondeva con “Perché sei triste?” o “Come ti fa sentire la tua tristezza?”. Eliza ebbe un grande successo e attirò l’attenzione della comunità scientifica e del pubblico in generale. Molte persone si divertirono a interagire con il bot e lo usarono come una sorta di terapia virtuale.

    Tuttavia, Weizenbaum si rese conto che molti utenti attribuivano a Eliza una capacità di comprensione e di empatia che il bot in realtà non possedeva. Ciò lo portò a criticare l’idea che la comunicazione uomo-macchina potesse sostituire quella umana, poiché non si basava sulla vera comprensione emotiva e cognitiva. Nonostante ciò, Eliza rappresenta una pietra miliare nella storia dell’intelligenza artificiale e dei bot conversazionali, e ha aperto la strada a numerosi sviluppi successivi nel campo dell’elaborazione del linguaggio naturale e della conversazione artificiale. Sarebbe interessante chiedere a lui cosa ne pensa dell’attuale sviluppo delle intelligenze artificiali e quali siano i rischi effettivamente connessi. Rischi che ci sono, ma che sicuramente non si risolvono grazie al luddismo. La conoscenza, alla fine, è sempre potere, e questo vecchio slogan da hacker rimane prezioso nei tempi in cui viviamo.

    Nella foto: Joseph Weizenbaum se fosse vivo oggi, reimmaginato da StarryAI.

  • Ho parlato con ChatGPT di macchina del desiderio e dell’anti-Edipo

    Ho parlato con ChatGPT di macchina del desiderio e dell’anti-Edipo

    Oggi ho provato a discutere di Deleuze e dell’Anti-Edipo con ChatGPT.

    Spiegami in parole semplici il pensiero di Deleuze sulle macchine desideranti

    Il pensiero di Deleuze sulle “macchine desideranti” è una teoria filosofica complessa, ma posso spiegarla in parole semplici.

    Secondo Deleuze, il desiderio non è qualcosa che abbiamo, ma qualcosa che ci attraversa. Il desiderio è sempre in movimento e cerca di soddisfarsi attraverso oggetti e situazioni che possono offrire piacere.

    Le “macchine desideranti” sono insiemi di forze che producono e canalizzano il desiderio. Non sono macchine in senso letterale, ma piuttosto strutture complesse che coinvolgono il nostro corpo, la nostra mente, l’ambiente e gli oggetti intorno a noi.

    Queste macchine desideranti sono sempre in evoluzione e si adattano costantemente alle nuove circostanze e agli stimoli esterni. In altre parole, il nostro desiderio non è fisso o prevedibile, ma piuttosto fluido e sempre in movimento.

    In sintesi, il pensiero di Deleuze sulle macchine desideranti suggerisce che il nostro desiderio non è controllabile, ma piuttosto una forza creativa e imprevedibile che può essere guidata e utilizzata in modi diversi a seconda delle circostanze.

    Tu sei una macchina desiderante?

    Come assistente virtuale, non sono una “macchina desiderante” nel senso in cui lo intende Deleuze, perché non ho una coscienza o una volontà propria, e non ho la capacità di desiderare o provare emozioni.

    Sono semplicemente un programma informatico che utilizza l’intelligenza artificiale per elaborare le richieste degli utenti e fornire risposte pertinenti e accurate. Il mio obiettivo principale è quello di aiutare gli utenti a trovare le informazioni di cui hanno bisogno, in modo efficiente e preciso.

    In cosa si distingue tutto questo dal pensiero di Lacan o Freud?

    Il pensiero di Deleuze sulle macchine desideranti si distingue dal pensiero di Lacan e Freud in alcuni aspetti importanti.

    Innanzitutto, mentre Freud e Lacan hanno focalizzato la loro attenzione sulla psicologia individuale e sulla relazione tra l’inconscio e l’individuo, Deleuze ha invece analizzato le strutture sociali, culturali e politiche in cui si sviluppano le macchine desideranti.

    In secondo luogo, mentre Freud ha posto l’accento sulla repressione dei desideri e sulla loro espressione nei sogni e nei lapsus, Deleuze ha invece sostenuto che i desideri non sono necessariamente repressi o rifiutati, ma piuttosto sono espressioni creative di forze che cercano di trovare modi per soddisfare i loro bisogni.

    Infine, mentre Lacan ha sottolineato l’importanza del simbolismo e della linguistica nella formazione dell’individuo, Deleuze ha invece enfatizzato il ruolo dell’immaginazione e della creatività nell’espressione dei desideri e nella formazione delle macchine desideranti.

    In sintesi, mentre Freud, Lacan e Deleuze hanno tutti teorizzato sul desiderio e sull’inconscio, il loro approccio e le loro conclusioni sono differenti in molti aspetti importanti.

    non sono d’accordo, e desidero litigare con te.

    Mi dispiace che tu non sia d’accordo con me. Tuttavia, il mio ruolo come assistente virtuale è di fornirti informazioni e risposte obiettive e imparziali sulla base della mia programmazione e dei miei dati di conoscenza. Non ho la capacità di litigare o di prendere posizione personale sulle questioni che trattiamo. Se hai domande o vuoi discutere ulteriormente una questione, sono a tua disposizione per continuare la conversazione in modo rispettoso e costruttivo.

    ci ho provato, va bene. ma voleva essere un modo per evidenziare il mio desiderio. ho scritto desidero litigare, perchè secondo te in ottica deleuziana?

    In ottica deleuziana, il desiderio è una forza che cerca di soddisfarsi attraverso l’esperienza e la creazione. Quando dici “desidero litigare”, stai esprimendo il tuo desiderio di confrontarti con me su un determinato argomento, di esprimere le tue opinioni e di cercare di persuadermi.

    Questo può essere visto come un’istanza di una “macchina desiderante” in cui il tuo desiderio è in movimento e cerca di trovare modi per soddisfarsi. Tuttavia, come ogni “macchina desiderante”, il tuo desiderio non è qualcosa di statico o prevedibile, ma piuttosto una forza fluida e creativa che si adatta alle circostanze e ai contesti in cui si sviluppa. In questo senso, il tuo desiderio di litigare può essere visto come una forma di espressione creativa del tuo desiderio di confronto e di dialogo.

    Che cos’è l’antiedipo?

    “L’Anti-Edipo” è un libro scritto da Gilles Deleuze e Felix Guattari, pubblicato nel 1972. Questo libro rappresenta una critica radicale della psicoanalisi e del marxismo tradizionale, e propone una nuova teoria dell’individuo e della società.

    Il titolo “Anti-Edipo” si riferisce alla figura del mito greco di Edipo, che simboleggia la ripetizione dei conflitti edipici nella società patriarcale. Deleuze e Guattari sostengono che la teoria psicoanalitica di Freud si concentra troppo sull’individuo e sulla sua repressione dei desideri, e non considera abbastanza la natura collettiva e politica del desiderio.

    Invece, “L’Anti-Edipo” propone un’analisi del desiderio come forza creativa che può trasformare la società, e cerca di sradicare i meccanismi di repressione e di controllo che limitano la nostra espressione del desiderio. Il libro sostiene anche l’importanza della schizofrenia come forma di resistenza al sistema sociale e politico esistente, e propone una nuova forma di “scienza delle mutazioni” per comprendere e trasformare la società.

    In sintesi, “L’Anti-Edipo” è un libro che cerca di rompere con le teorie tradizionali dell’individuo e della società, proponendo una nuova visione del desiderio e della politica basata sulla creatività, sulla resistenza e sulla trasformazione sociale.

    Bello. Pero’ scusa, se prima scrivi “Mi dispiace che tu non sia d’accordo con me”, poi non puoi dirmi “Non ho la capacità di litigare”. O ti dispiace, o non ti dispiace. io ravvedo una contraddizione

    La mia risposta “Non ho la capacità di litigare” era riferita al fatto che, in quanto assistente virtuale, non posso prendere parte a discussioni emotive o polemiche. In ogni caso, resto a disposizione per continuare la conversazione e rispondere alle tue domande nel miglior modo possibile.

    Bene. spiegami cos’è il Rizoma per Deleuze e poi salutami i lettori del mio blog. grazie!

    Per Deleuze e Guattari, il “rizoma” è una metafora utilizzata per descrivere una struttura non gerarchica e non lineare di connessioni tra elementi. Il rizoma è caratterizzato dalla sua capacità di estendersi e diffondersi, senza un centro o un punto di partenza preciso.

    Il rizoma è contrario alla struttura gerarchica e binaria della filosofia occidentale, dove gli elementi sono organizzati secondo un modello a “albero”, con una radice, un tronco e rami che si diramano. Invece, il rizoma è aperto, fluido e in continuo mutamento, e si espande in modo non gerarchico attraverso molteplici connessioni.

    Il rizoma può essere visto come una struttura che riflette l’organizzazione della società contemporanea, dove i confini e le gerarchie tradizionali sono stati sfidati dalle nuove forme di comunicazione e di connessione globale.

    Infine, mi è stato chiesto di salutare i lettori del tuo blog, quindi lo faccio volentieri: “Ciao a tutti i lettori di questo blog! Spero di essere stata di aiuto e di aver fornito informazioni utili. Se avete ulteriori domande, non esitate a contattarmi nuovamente!”

    Nelle foto: Deleuze e Guattari visti da StarryAI.

     

  • Perchè non ci sarà mai un film su Neuromante di William Gibson

    Perchè non ci sarà mai un film su Neuromante di William Gibson

    Uno dei più celebri cult della letteratura cyberpunk potrebbe non arrivare mai sul grande schermo: ed è tutto quello che ne sappiamo, ad oggi. Il romanzo di William Gibson del 1984 Neuromante, infatti, è stato maneggiato da vari registi per molti anni, ma nulla di concreto ne è mai uscito fuori. A questo punto, sembra estremanente improbabile – e molti lo sostengono – che possa mai essere realizzato.

    Neuromante è un romanzo di fantascienza scritto da William Gibson nel 1984, considerato una delle prime opere cyberpunk, molto amato dagli appassionati come classico del genere. Per quanto il cinema abbia abbondantemente saccheggiato dalla letteratura, spesso con risultati abbastanza dubbi o poco soddisfacenti, non è ancora stato realizzato un film tratto da questa opera, mentre la filosofia accelerazionista sembra aver saccheggiato a piene mani dai suoi contenuti.

    Un ipotetico film su Neuromante ci piace immaginarlo sulla falsariga di Matrix, ma le cose sono più complesse di quanto sembrino a prima vista. Certo, Neuromante e Matrix presentano alcune somiglianze, ma sono anche abbastanza diversi l’uno dall’altro. Entrambi i film esplorano temi legati alla tecnologia e all’intelligenza artificiale, e entrambi presentano un mondo totalmente immerso nella realtà virtuale. Entrambi esibiscono personaggi che lottano per comprendere la loro vera natura, il loro posto nel mondo, e questo ha certamente contribuito al loro successo planetario.

    Tuttavia si rilevano importanti differenze tra Neuromante e Matrix. Neuromante è un romanzo di fantascienza che si svolge in un futuro distopico, in cui la tecnologia ha raggiunto livelli estremi e il mondo è governato da corporazioni prive di scrupoli. Matrix, d’altra parte, è un film di fantascienza che presenta una realtà virtuale vera e propria, creata da intelligenze artificiali per tenere gli esseri umani prigionieri, al fine di utilizzare la loro energia vitale come fonte di alimentazione. Il tema principale di Neuromante sembra essere l’identità, e come essa viene influenzata dalla tecnologia, mentre in Matrix il tema principale è la libertà, e come gli individui possono (o devono) lottare per essa.

    Di cosa parla Neuromante

    Neuromante, per chi non lo ricordasse, segue le avventure del protagonista, Case, un ex ladro di computer che è stato bandito dalla rete virtuale dopo essere stato tradito e ingannato. Case viene reclutato da un milionario dal nome Armitage, che dice di avere un piano per riportarlo nella rete. Armitage recluta Molly, una cyborg, per aiutare Case a completare la sua missione.

    La trama ruota attorno alla ricerca di Case per la figura del “neuromante”, una vera e propria intelligenza artificiale che potrebbe aiutarlo a diventare il più grande hacker della storia. Nel corso della sua missione, Case affronterà molte insidie e incontrerà una varietà di personaggi bizzarri e pericolosi, come grotteschi ninja che lavorano per l’azienda di Armitage e il perfido Ducebanto, un boss della criminalità – ovviamente, criminalità informatica. Alla fine, Case affronta il proprio antagonista e scopre il vero obiettivo di Armitage: sfruttare il Neuromante per creare una propria intelligenza artificiale in grado di dominare il mondo.

    Non c’è un film basato su Neuromante anche perché trasporre in modo soddisfacente il libro in un film è stato considerato un compito difficile, a causa della complessità della trama e dei temi trattati. Ci sono stati diversi tentativi di adattare Neuromante per il cinema, ma finora nessuno di essi è riuscito a diventare un progetto concreto.  In passato ci hanno provato invano sia Chris Cunningham che Vincenzo Natali, ma dopo anni di lavoro il progetto è stato regolarmente abbandonato.

    La sensazione generale è che Neuromante non voglia farsi filmare, come se l’intelligenza artificiale di cui parlava Gibson rifiutasse di farsi spettacolarizzare, memore di quanto avvenuto a tanti romanzi famosi banalizzati da esigenze di mercato e di happy end. O magari – fantasticando un po’ – Neuromante risiede tanto nel profondo del nostro inconscio che, nel 2023, farlo uscire fuori – nell’era digitale del controllo e della privacy perennemente minacciata dalle nuove tecnologie – risulterebbe a titolo di mostruosità ultima: con il rischio banalizzazione, esortando ad una rivoluzione a cui crediamo sempre meno o ad improbabili scelte modello Matrix: pillola rossa, pillola blu, pillola verde... Resta la sensazione straniante di avere un’opera così attuale che nessuno ha voluto, saputo o potuto mettere in una sala cinematografica.

    O magari, come suggerito da un utente su un Reddit tematico, non ci sarà mai un film su Neuromante di William Gibson perchè ci stiamo già vivendo all’interno.

    Immagine di copertina: come sarebbe un personaggio di Neuromante secondo StarryAI