Taxi Driver (1976) – Regia di Martin Scorsese

Taxi Driver (1976)
Regia di Martin Scorsese

Travis Bickle guida il suo taxi nella notte di New York come se la città fosse un organismo ostile da cui separarsi. Ogni strada sporca, ogni neon tremolante, ogni incontro con prostitute e tossicodipendenti è un frammento di un mondo che non lo riconosce, che non lo vuole. La sua cresta, improvvisa e aggressiva, non è moda: è il gesto che dichiara la frattura con la normalità, il segnale visibile della tensione accumulata, del desiderio che esplode senza mediazioni. Non ride, non parla: agisce.

Rick, ehm, Travis — perdonami, l’attore De Niro — diventa un simbolo della solitudine estrema, di un uomo che cerca un ordine impossibile in un caos che non gli appartiene. La sua ossessione per Betsy, e poi la decisione di salvare Iris, non sono romanticismi: sono tentativi disperati di incidere sul mondo, di ripristinare un senso che è stato negato, di farsi vedere dove nessuno lo guarda. La violenza finale, improvvisa e totale, non è catarsi, è manifestazione della frustrazione e della decisione di imporre la propria legge in un mondo che non ne ha più.

In fondo, Taxi Driver non racconta solo un uomo, racconta la città, il tempo, l’aria pesante di una società in disfacimento. E quella cresta, quel gesto improvviso, è l’immagine perfetta: ribelle, aggressiva, isterica, eppure tragicamente sola.


Travis Bickle è un reduce del Vietnam, un uomo che si sente estraneo alla società, un “non soggetto” che si muove in una metropoli notturna e alienante. La sua discesa nell’oscurità psicotica è il riflesso di una crisi collettiva: la fine del sogno americano, l’illusione di un ordine sociale ormai dissolto. Il suo taxi diventa il luogo di una solitudine radicale, una cella di isolamento in cui la realtà si frantuma e la violenza emerge come unica risposta al caos.

Il film si apre con una panoramica su una New York sporca e decadente, un paesaggio urbano che sembra rispecchiare l’interno disgregato di Travis. La sua routine notturna lo porta a contatto con la miseria umana: prostitute, tossicodipendenti, criminali. Ogni incontro è un frammento di un mondo che non riconosce più come suo. La sua ossessione per Betsy, una volontaria in una campagna politica, diventa il simbolo di un desiderio irraggiungibile, un ideale che non può essere raggiunto.

La figura di Iris, una giovane prostituta interpretata da Jodie Foster, rappresenta la purezza perduta, l’innocenza che Travis cerca di salvare. La sua missione di “pulizia” diventa un atto di redenzione personale, ma anche un gesto di violenza che riflette la frustrazione di un individuo incapace di trovare un posto in una società che lo ha emarginato.

Il film si conclude con un atto di violenza che sembra restaurare un ordine, ma che in realtà conferma l’assenza di senso. Travis diventa una sorta di eroe locale, ma la sua vittoria è vuota, un’illusione che nasconde la continua disgregazione del soggetto. La scena finale, in cui Travis guida il suo taxi con un sorriso soddisfatto, è un’immagine inquietante di un uomo che ha trovato la sua “via d’uscita”, ma a quale prezzo?

Trivia IMDb:

  • Robert De Niro ha lavorato per un mese come tassista notturno a New York per prepararsi al ruolo. Durante questo periodo, ha incontrato un attore in difficoltà che lo ha riconosciuto come De Niro, dimostrando quanto fosse immerso nel personaggio. IMDb

  • La sceneggiatura di Paul Schrader è stata parzialmente autobiografica, ispirata a un periodo in cui ha sofferto di un esaurimento nervoso vivendo a Los Angeles. IMDb

  • Jodie Foster, all’epoca dodicenne, non poteva partecipare alle scene più esplicite del film, ma la sua interpretazione ha comunque contribuito a rendere il personaggio di Iris memorabile.

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