Un archeologo, con un passato da alcolista e tormentato dal ricordo dell’ex compagna, lavora intensamente presso alcuni scavi tra Spoleto e Cerveteri. Alcuni feroci delitti saranno commessi all’interno delle catacombe…
In breve. Thriller di “vecchia scuola” italiana, che bilancia la componente horror con quella puramente di tensione, senza mai eccedere nè eccellere, nell’una o nell’altra. Un lavoro nella media del periodo, per cultori e veri appassionati del genere, che rischia di deludere tutti gli altri – nonostante qualche colpo di scena interessante (specie nel finale).
Armando Crispino, artefice del meglio riuscito Macchie solari (che risulterà qualitativamente superiore a questo sotto vari punti di vista) realizza un giallo-thriller piuttosto intricato fin dall’inizio, tanto che non riesce ad essere chiaro lo stesso ruolo dei vari personaggi almeno per la prima mezz’ora. In seguito il film, sulla scia di varie suggestioni pre-argentiane (gli omicidi efferati, l’allucinazione – un po’ troppo artigianale, per la verità – del demone Tuchulcha che compare nella locandina) tenta un decollo qualitativo che sembra apparentemente realizzabile, per quanto – a confronto di quello che farà Argento qualche tempo dopo – il film sia quasi completamente carente del giusto ritmo. La recitazione non esattamente da Actor’s Studio della maggioranza dei personaggi, inoltre, con poche eccezioni tra cui l’ispettore di polizia ed il suo assistente, non contribuisce a rendere “L’etrusco uccide ancora” un lavoro da ricordare, e questo nonostante l’idea di inserire le suggestioni del demone etrusco della morte fosse obiettivamente parecchio accattivante (almeno per l’epoca). Appare comunque chiaro fin dall’inizio che il killer è un uomo e non un’entità, e la componente sovrannaturale finisce sia per essere un fondale degno dell’intreccio che per conferire una certa “autorità” al film stesso: questo nonostante non manchino dettagli tipici del genere che pero’, a ben vedere, non risultano essere troppo sconvolgenti.
Notevole, su tutto il resto, come il doppio-finale (qui talmente esasperato da sembrare addirittura quadruplo, per quante sono le apparenti identità dell’assassino) sia archetipico del succitato regista romano, che ne aveva già fatto uso per la prima volta ne “L’uccello dalle piume di cristallo” (1970, due anni prima). In definitiva un discreto giallo all’italiana, con vera tensione solo a sprazzi, originale solo in parte e – a mio avviso – ampiamente sopravvalutato dalla critica più “revisionista” in materia: il suo principale problema è la mancanza di quel mordente che rende davvero uniche pellicole di questo tipo. Da vedere per curiosità o per una serata senza troppe pretese.
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