Salvatore

  • Storia di un topo soggettivista

    Storia di un topo soggettivista

    C’era una volta un topo di nome Max, che viveva in una gabbia di laboratorio. Max era un topo particolarmente curioso e intelligente, e passava gran parte delle sue giornate a esplorare ogni angolo della sua gabbia. Un giorno, notò una leva metallica attaccata a una delle pareti. Dopo un primo momento di esitazione, decise di avvicinarsi e di premerla.

    Con sua grande sorpresa, non appena la leva venne premuta, apparve lo sperimentatore umano, portando con sé un piccolo pezzo di formaggio. Max mangiò il formaggio con gusto, riflettendo su ciò che era appena accaduto. Non poteva sapere che lo sperimentatore aveva programmato l’esperimento per studiare il comportamento di rinforzo positivo.

    Nei giorni seguenti, Max continuò a premere la leva, e ogni volta l’umano arrivava con del cibo. Max pensava:

    Ho addestrato bene il mio sperimentatore! Ogni volta che premo questa leva, lui viene e mi porta del cibo!

    Così, dal punto di vista di Max, la punteggiatura degli eventi era chiara:

    1. Max preme la leva.
    2. Lo sperimentatore arriva.
    3. Max riceve il cibo.

    Max non poteva immaginare che il suo comportamento fosse il soggetto di uno studio scientifico. Per lui, era evidente che fosse lui ad aver addestrato l’umano. Questo schema era la prova del suo successo nel manipolare l’ambiente e le creature attorno a lui. Ogni volta che aveva fame, premeva la leva con determinazione, e ogni volta, puntualmente, lo sperimentatore si affrettava a fornirgli il pasto. Max pensava di aver scoperto un grande segreto sul comportamento umano: “Gli umani sono così facilmente addestrabili!”

    Dall’altra parte della gabbia, lo sperimentatore osservava attentamente e prendeva nota dei comportamenti di Max, pensando tra sé:

    Il topo sta imparando a collegare l’azione di premere la leva con la ricompensa del cibo. Il nostro esperimento sta procedendo bene.”

    Lo sperimentatore vedeva la punteggiatura degli eventi in modo diverso:

    1. Il topo preme la leva come risposta a un condizionamento.
    2. Il cibo viene dato come rinforzo.
    3. Il topo impara a ripetere il comportamento.

    Ogni giorno, lo sperimentatore annotava i dati e rifletteva sui risultati, convinto che il topo stesse imparando il comportamento desiderato. Max, nel frattempo, si sentiva sempre più sicuro delle sue capacità di addestramento:

    “Devo solo premere questa leva e l’umano mi darà del cibo. Sono un vero maestro!”

    Un giorno, lo sperimentatore decise di introdurre una variazione nell’esperimento. Decise di ritardare leggermente la consegna del cibo dopo che Max avesse premuto la leva. Max premette la leva come al solito, ma questa volta, il cibo non arrivò immediatamente. Inizialmente confuso, Max premette la leva diverse volte, pensando di aver fatto qualcosa di sbagliato. Dopo un po’, il cibo finalmente arrivò. Max rimase perplesso, ma alla fine pensò:

    “Forse l’umano aveva bisogno di più tempo per capire cosa volevo. Devo essere più paziente con lui.”

    Dall’altra parte, lo sperimentatore notava con interesse come il comportamento di Max stesse cambiando. Il ritardo nella consegna del cibo stava influenzando la frequenza e l’intensità con cui il topo premeva la leva. Il topo sembrava essere più insistente, come se cercasse di “comunicare” meglio con lo sperimentatore.

    La percezione degli eventi è soggettiva.

    La punteggiatura degli eventi può variare a seconda del punto di vista dell’osservatore.

  • Un’introduzione all’iperstizione

    Un’introduzione all’iperstizione

    (l’intervista che segue è stata tradotta da lipercubo.it ed è tratta dal sito orphandriftarchive)

    Delphi Carstens intervista Nick Land.

    Anno 2009.

    Nella seguente intervista Nick Land risponde ad alcune domande sui meccanismi dell’Iperstizione nel contesto dell’apocalisse – un tema leggero – giusto per cominciare col botto.

    Q1. Potresti approfondire cosa c’è di occulto… cosa sarà rivelato dall’apocalisse?

    R1. Ciò che è nascosto (l’Occulto) è un ordine del tempo estraneo, che si tradisce attraverso “coincidenze”, “sincronicità” e indicazioni simili di una disposizione intelligente del destino. Un esempio è il modello cabalistico occultato nelle lingue ordinarie – un modello che non può emergere senza erodersi, dal momento che la comprensione generalizzata (umana) e l’uso deliberato dei gruppi di lettere come unità numeriche chiuderebbe il canale della “coincidenza” (informazione aliena). È solo perché le persone usano le parole senza numerizzarle che esse rimangono aperte come canali per qualcos’altro. Dissolvere lo schermo che nasconde queste cose (e nascondendole, permette loro di continuare), significa fondersi con la fonte del segnale e liquidare il mondo.

    Q2. Scrivere sull’apocalisse la ricaccia nell’ombra/la codifica in modo più pesante… oppure l’atto di indagare sull’apocalisse aiuta a decodificarla e attualizzarla?

    R2. Per i teisti, il primo. Per i naturalisti trascendentali (come i cibernetici iperstizionali), quest’ultima.

    Q3. Potresti approfondire il concetto di “sforzo iperstizionale”? Iperstizione è una parola chiave nel lessico della mia tesi… mi chiedevo se potessi scomporre il termine in un linguaggio che i normali accademici (come il mio supervisore!) possano capire. L’iperstizione è la spina dorsale o il canale in cui confluisce tutto ciò che è apocalittico, ma di cosa si tratta esattamente? Potresti definirlo? Il modo in cui lo capisco dal Catacomic è che si tratta di un meme o di un’idea attorno alla quale si cristallizzano idee/traiettorie). (i grassetti sono miei, ndt)

    R3. L’iperstizione è un circuito di feedback positivo che include la cultura come componente. Può essere definita come la (tecno-)scienza sperimentale delle profezie che si autoavverano. Le superstizioni sono semplicemente false credenze, ma le iperstizioni – per la loro stessa esistenza come idee – funzionano in modo causale per realizzare la propria realtà. L’economia capitalista è estremamente sensibile all’iperstizione, dove la fiducia agisce come un tonico efficace, e viceversa. L’idea (fittizia) del cyberspazio ha contribuito all’afflusso di investimenti che lo hanno rapidamente convertito in una realtà tecnosociale.

    Il monoteismo abramitico è anche molto potente come motore iperstizionale. Trattando Gerusalemme come una città santa con uno speciale destino storico-mondiale, ad esempio, si è assicurato l’investimento culturale e politico che trasforma questa affermazione in verità. L’iperstizione è quindi in grado, in circostanze “favorevoli” la cui esatta natura richiede ulteriori indagini, di trasmutare le bugie in verità.

    L’iperstizione può quindi essere intesa, dal lato del soggetto, come una complicazione non lineare dell’epistemologia, basata sulla sensibilità dell’oggetto alla sua postulazione (anche se questa è ben distinta dalla posizione soggettivistica o postmoderna che dissolve la realtà indipendente dell’oggetto in strutture cognitive o semiotiche). L’oggetto iperstizionale non è una mera invenzione della “costruzione sociale”, ma è in un modo molto reale “evocato” all’esistenza dall’approccio adottato nei suoi confronti.

    Q6. Esiste l’iperstizione al di fuori del tempo e come si nasconde? Ciò è affascinante, soprattutto in relazione al meme dell’apocalisse, che non lo è affatto. Come si relazionano i due termini?

    R6. Il tempo è l’operare nel tempo storico di ciò che sta fuori (ma si costruisce attraverso) il tempo storico. L’Apocalisse chiude il circuito.

    D7. In che modo l’iperstizione si collega al capitalismo come campo di forza?

    R7. Il capitalismo incarna dinamiche iperstizionali a un livello di intensità senza precedenti e insuperabile, trasformando la banale “speculazione” economica in un’efficace forza storica mondiale.

    Q8. Puoi dire qualcosa sul tema della finzione – cioè storia e filosofia come finzione, e finzione come attualizzazione più intensa del potenziale storico / scientifico / tecnologico / sociologico?

    R8. L’iperstizione è in equilibrio tra finzione e tecnologia, ed è questa tensione che conferisce intensità a entrambe, sebbene l’intensità della finzione debba tutto al suo potenziale (catalizzare i “divenire” iperstizionali) piuttosto che alla sua realtà (che può essere mera espressività umana). .

  • Open theremin rimane uno dei theremin più economici esistenti

    Open theremin rimane uno dei theremin più economici esistenti

    Open Theremin è uno strumento musicale elettronico che esiste da qualche anni, sviluppato interamente con componentistica Arduino e, ad oggi, probabilmente il theremin più economico che riuscirete a portarvi a casa. Se un modello classico tipo Moog costa sempre, se va bene, attorno a 300-400 euro, uno strumento del genere si suona allo stesso modo costa circa la metà. Ad oggi con circa 100€ avrete la possibilità di portarvelo a casa, direttamente dal sito del produttore (dal sito gaudishop).

    Il Theremin ha inventato di fatto la musica elettronica ed è, storicamente, il primo strumenti di questo tipo: la sua caratteristica principale è che si suona senza toccarlo, ma semplicemente sfruttando apposite movenze delle mani. In genere la mano sinistra si occupa dell’intensità del volume, mentre la destra regola, in base all’altezza e alla posizione destra o sinistra, la frequenza della nota.

    Il suono ricorda una via di mezzo tra un violino e, incredibilmente, una voce umana.

    All’interno del theremin, inclusa la sua versione Arduino, troviamo una circuiteria relativamente semplice, che si basa sul principio fisico del battimento: due segnali generati a frequenza radio armonica vengono convogliati in un mixer, che invia in uscita la somma e la differenza tra i due ingressi. Alla base del funzionamento vi è un circuito di condensatori e di VFO (oscillatori in radio frequenza) che poi, in base al battimento, producono un suono che è possibile alterare con il movimento delle mani.

    Su Youtube è possibile trovare una discreta quantità di guide che spiegano precisamente come suonarlo, come intonare le scale, che movimenti sfruttare con le dita e via dicendo.

    Aetherwaves / CC BY-SA

  • Sul finale de Il pendolo di Foucault

    Sul finale de Il pendolo di Foucault

    Il secondo romanzo dell’autore italiano Umberto Eco, “Il pendolo di Foucault”, è stato pubblicato nel 1988 dalla casa editrice Bompiani, con la quale Eco aveva già instaurato un rapporto editoriale duraturo nel corso degli anni. Ambientato nei periodi della vita dello scrittore fino ai primi anni ottanta, il libro è diviso in dieci segmenti, ognuno rappresentante una delle dieci Sephirot. È una intricata tessitura di citazioni esoteriche che spaziano dalla Cabala all’alchimia e alla teoria del complotto.

    Chi è Léon Foucault

    Il titolo del libro fa riferimento al pendolo fisico ideato dal famoso scienziato francese Léon Foucault, utilizzato come prova sperimentale della rotazione terrestre. Tuttavia, all’interno del romanzo, il pendolo di Foucault assume un significato simbolico più ampio. Sebbene alcuni possano interpretare il titolo come un riferimento al filosofo Michel Foucault, data l’amicizia dell’autore Umberto Eco con il pensatore francese, Eco stesso ha chiarito che non c’è alcuna intenzione di collegare il titolo al filosofo Michel Foucault. Questo aspetto viene considerato uno dei sottili giochi letterari di Eco.

    L’autore ha ricevuto spiegazioni dettagliate sul fenomeno fisico del pendolo di Foucault da Mario Salvadori, il che ha contribuito a fornire una solida base scientifica per l’ambientazione del romanzo.

    Finale dell’opera

    Casaubon, l’io narrante del romanzo, inizia la sua avventura come studente e successivamente come giovane professionista nell’ambito dell’editoria a Milano. Grazie a una collaborazione con la casa editrice Garamond e insieme ai suoi colleghi Belbo e Diotallevi, entra in contatto con un gruppo di persone appassionate di esoterismo ed ermetismo. Il suo interesse per i Templari, argomento su cui ha discusso la sua tesi di laurea, lo porta, inizialmente in modo quasi giocoso, a individuare una serie di connessioni storiche tra i manoscritti presentati alla casa editrice.

    Nel finale de “Il pendolo di Foucault” di Umberto Eco, si presenta una scena in parte vagamente sulla falsariga di C’era una volta in America. Nel finale del romanzo, il protagonista, Casaubon, dopo aver subito un lungo e complesso viaggio attraverso enigmi e intrighi, si trova in una situazione simile a un momento di sospensione temporale. Nella biblioteca dell’abbazia di Parma, in cui è stato tenuto prigioniero, egli è costretto a confrontarsi con la sua stessa mente e con il flusso incessante di pensieri che lo assalgono.

    Durante il loro lavoro alla casa editrice, Casaubon, Belbo e Diotallevi entrano in contatto con un individuo chiamato Agliè, che si presenta come un esperto di ermetismo e si fa passare velatamente per il conte di San Germano. Agliè è a conoscenza del segreto che i tre stanno cercando di decifrare e fa parte di una misteriosa società segreta che ha legami con i Templari e i Rosacroce.

    Nel frattempo, Diotallevi si ammala gravemente e Belbo, travagliato da una situazione personale deludente, si lascia ossessionare dal Piano e inizia a credere seriamente nella sua esistenza. Un giorno, Belbo confida a Agliè di essere a conoscenza della mappa da utilizzare, anche se in realtà non è vero. Successivamente, viene costretto con un ricatto a recarsi a Parigi.

    Una volta lì, Belbo si rende conto con terrore che il Piano potrebbe essere meno fantasioso di quanto inizialmente pensato, poiché altri sembrano aver concepito le stesse teorie. Riesce appena in tempo a telefonare a Casaubon per metterlo sull’avviso prima di essere rapito. La notte del 23 giugno, viene portato al Conservatoire, dove si svolge una riunione della società segreta. Durante la cerimonia, Belbo viene interrogato riguardo alla mappa, ma si rifiuta di rivelare informazioni che in realtà non possiede.

    Casaubon, che si è infiltrato nel Conservatoire la sera prima, assiste in silenzio a tutta la drammatica sequenza di eventi e al suo tragico epilogo, prima di fuggire, consapevole di essere anch’egli braccato dalla spietata setta.

    Il pendolo di Foucault, che ha costantemente ossessionato Casaubon durante il romanzo, simboleggia la ricerca ossessiva di significato e di verità che lo ha portato a attraversare un labirinto di teorie e congetture. In questo momento di solitudine, Casaubon si trova immerso in un dialogo interiore, dove riflette sui suoi errori, le sue ossessioni e le sue debolezze. Il ritorno alla biblioteca dell’abbazia può essere interpretato come un ritorno alle origini, un ritorno alla fonte del suo tormento intellettuale. Sdraiato su un letto, come Noodles nel finale di “C’era una volta in America”, Casaubon potrebbe essere immerso nei suoi pensieri, rivivendo i momenti cruciali del suo viaggio e cercando di dare un senso a tutto ciò che ha vissuto.

    Quel sorriso di Casaubon potrebbe essere interpretato come una manifestazione di accettazione o di resa di fronte alla complessità del mondo e alla sua incapacità di comprenderlo appieno. Potrebbe rappresentare anche una sorta di liberazione, un momento in cui Casaubon si libera dalle catene delle sue ossessioni e delle sue paure, trovando una forma di pace interiore nella consapevolezza della sua stessa umanità e delle sue limitazioni.

  • Che cos’è un’epitome spiegato chi naviga su internet per scoprirlo

    Che cos’è un’epitome spiegato chi naviga su internet per scoprirlo

    La parola “epitome” ha un’origine interessante che risale all’antica Grecia. Deriva dal termine greco antico “ἐπιτομή” (epitomḗ), che a sua volta proviene dal verbo “ἐπιτέμνειν” (epitémnein), che significa “tagliare” o “ridurre”.

    Un epitome è una sintesi o un riassunto conciso di un testo più lungo o di un’opera complessa. L’obiettivo principale di un epitome è quello di presentare le idee principali o i punti salienti di un testo in modo chiaro e conciso, senza entrare nei dettagli o nelle sottigliezze.

    Gli epitomi sono utilizzati in vari contesti, tra cui:

    1. Letteratura: In letteratura, un epitome può essere un riassunto breve di un libro, di un romanzo o di un’opera letteraria più ampia.
    2. Storia: In ambito storico, un epitome può essere una sintesi delle principali tappe o eventi di un periodo storico specifico.
    3. Scienza: Nelle scienze, un epitome può essere un riassunto delle scoperte o dei concetti principali di una teoria scientifica o di una ricerca.
    4. Giurisprudenza: In ambito legale, un epitome può essere una sintesi dei punti chiave di una decisione giudiziaria o di un caso legale.

    In generale, gli epitomi sono utili strumenti per ottenere una comprensione rapida e sintetica di un argomento complesso o di una fonte di informazioni più dettagliata.

    Nell’antica Grecia, l’epitome era una pratica comune in cui si riduceva un’opera più lunga o complessa in una versione più breve e concisa, conservando però i punti principali e le idee fondamentali. Questo concetto di “tagliare” o “ridurre” è quindi alla base del significato moderno di epitome come un riassunto o una sintesi di un testo più ampio.

    Con il passare del tempo, la parola è stata adottata in molte altre lingue, mantenendo il suo significato originale di “riassunto” o “sintesi”.

    Sinonimi di “epitome”

    Sintesi” è certamente un sinonimo di “epitome”.

    Entrambe le parole indicano un riassunto o una rappresentazione concisa di un testo più lungo o complesso, con l’obiettivo di catturare i punti principali o le idee fondamentali. Altri sinonimi di “epitome” includono:

    1. Riassunto
    2. Riepilogo
    3. Sommario
    4. Compendio
    5. Abbozzo
    6. Astrazione
    7. Sunto

    Tutti questi termini possono essere utilizzati in contesti simili per indicare un’abbreviazione o una versione più breve di qualcosa di più ampio.