Salvatore

  • Zappa: biografia di un genio della musica, con oltre un centinaio di album all’attivo

    Zappa: biografia di un genio della musica, con oltre un centinaio di album all’attivo

    Istrionico, iperproduttivo e imprevedibile: sono tre aggettivi che potremmo associare a diversi artisti, con gradazioni più o meno accentuate, e che a Frank Vincent Zappa potrebbero associarsi con sicurezza. Rischiando addirittura di dimenticare qualcosa, dato che su questo iconico musicista si sono scritti tomi infiniti, ricchi di dettagli biografici in bilico tra realtà e urban legend. Senza dimenticare, peraltro, la caratura del personaggio e la quantità immane di materiale (non solo musicale, ma anche video) che ha lasciato ai posteri: ben 62 album ufficiali, e altri 50 e passa pubblicati dopo la sua morte. Del resto un docufilm su di lui si attendeva da molto tempo, ed era anche singolare – se vogliamo – che non ne fosse ancora stato prodotto uno, nell’era dei biopic musicali dirompenti (modello Bohemian Rapsody). L’occasione è ancora più ghiotta, considerando che oggi, 15 novembre, è anche l’anniversario di uscita di Jazz from hell (uscito il 15 novembre 1986), forse uno dei dischi più epocali dell’artista – scomparso per un male incurabile a soli 52 anni.

    Un punto di partenza fondamentale per scrivere è stata, per me, la lettura della sua unica autobiografia ufficiale, quella firmata da Peter Occhiogrosso e tradotta in italiano da Davide Pazienza. La stessa in cui è l’artista a parlare, in prima persona, raccontando le storie della propria complicata vita fin dagli esordi, arricchendo le sue pagine di illustrazioni originali e focalizzandosi sulla sua battaglia contro la censura.

    Per molti versi la vita di Frank Zappa è stato un enorme flusso di coscienza, in cui l’artista sembra aver seguito senza sconti e moralismi il proprio istinto musicale: innamorato visceralmente della composizione, applicata alla musica classica come al rock, e personaggio controverso e contraddittorio come gli innumerevoli che ebbero a che fare con lui negli possono ricordare fino ad oggi. Una quantità industriale di musica originale da lasciare ai posteri, soprattutto, tanto da rendere vano qualsiasi tentativo di riassumerla e definirla senza rischiare di scrivere svarioni e imprecisioni. Ai posteri l’ardua sentenza, che poi tanto ardua non è: Zappa è stato uno dei principali musicisti del Novecento, ci sono pochissimi dubbi a riguardo, e i posteri che lo osannano – viene suggerito anche nel film – probabilmente non hanno ancora contezza di quanto e cosa sia stato prodotto, e forse lo hanno capito solo fino ad un certo punto.

    La musica di Zappa, infatti, ha spaziato dall’art rock all’elettronica, passando per il blues, la psichedelia, la musica classica, l’heavy supercazzol e chissà che altro.

    Frank Zappa  ha attraversato varie fasi musicali e compositive, che il film Zappa mostra suddivise idealmente in quattro parti: il periodo anni ’60, in cui si avvicina al mondo dei freak e della  psichedelica rock in voga all’epoca, rigettando al tempo stesso il mondo hippie e le loro simpatie (non era musica per loro, viene detto chiaramente).

    Abbiamo poi il periodo anni 70, quello degli eccessi e delle trasgressioni, ricondotte in realtà ad una condotta sessuale non troppo fedele alla consorte, e al tempo stesso andando in controtendenza e negandosi per tutta la vita l’uso di qualsiasi droga (sconsigliandone l’uso ai musicisti con cui collaborava, da Vinnie Colaiuta a Steve Vai).

    Arrivano gli anni ’80 dai capelli cotonati, dai look che oggi sembrano pacchiani, in cui Frank inizia a costruirsi un’immagine elegante e rispettabile, dedicandosi alle relazioni internazionali (con la Cecoslovacchia, subito dopo la rivoluzione di velluto), arrivando a presenziare ad un processo contro la censura nella musica, da parte di un’associazione filo-governativa indispettita dall’atteggiamento oltraggioso di molte rockstar, che Frank difese sempre a spada tratta.

    Troviamo infine il periodo anni ’90, in cui l’artista inizia ad affiancare alle proprie attività quelle di direttore d’orchestra, che accetta con entusiasmo – e una punta di scetticismo – per via dei pochi fondi investiti nel settore, sottolineando come sia impossibile essere un musicista di professione negli Stati Uniti, e arrivando ad un concerto finale (quando già stava male, purtroppo) epico quanto commovente, conclusosi con ben 20 minuti di standing ovation. La stessa standing ovation che continuiamo a tributargli virtualmente ancora oggi, del resto.

    Zappa rielabora lo stereotipo del rocker ignorante, rendendolo quantomeno poco prevedibile, e non solo: propone l’opportunità di allegare i testi ai booklet dei dischi, oltre a lottare aspramente contro la censura perbenista USA in un periodo in cui – se non fosse stato per lui, probabilmente –  l’intera industria rock sarebbe collassata in un conformismo soffocante quanto sterile. E dire che non era neanche coinvolto direttamente lui in quella polemica, in cui personalità vicine al governo USA vomitavamo improperi contro il rock di ogni ordine e grado, per via della scabrosità dei tuoi testi: era coinvolto Prince, di riflesso alcune band heavy-metal come Judas Priest ed Alice Cooper (che compare più volte nel docufilm, e riconosce all’etichetta discografica di Zappa, uscita prima di chiunque altro come etichetta indie, di aver salvato la sua carriera). Interessante, poi, come nel film venga anche riferito Lenny Bruce come riferimento zappiano di massimo grado, in un periodo in cui venne arrestato più volte per motivi spesso grotteschi (solo di straforo vengono mostrati concerti di Zappa che vengono, tra balli deliranti e musicisti-teatranti impegnati in danze convulse e avanguardistiche, interrotti saltuariamente da agenti di polizia sul palco).

    Zappa è stato diretto da Alex Winter, esce nel 2020 e viene distribuito l’anno dopo in pochi cinema selezionati del nostro paese. Winter è anche un regista di culto, peraltro, che dovremmo ricordare per via del suo primo film da regista, l’horror grottesco Freaked (presentato in Italia al Fantafestival, nel lontano 1994). Il docufilm in questione si caratterizza soprattutto per avuto accesso ai footage inediti dall’archivio personale dell’artista, a cui Winter ha avuto accesso (cosa tutt’altro che semplice da ottenere, da quello che sappiamo) grazie alla collaborazione della Zappa Family Trust. Un’occasione più unica che rara per visionare live inediti così come filmini amatoriali che Frank registrava in famiglia, alla ricerca del lato divertente della vita, nonostante le umili origini (il padre lavorava nell’industria militare, e nella sua infanzia era normale avere delle maschere antigas in casa per paura di fuoriscite accidentali di gas nervino).

    Contrariamente alla voce diffusa sul web da alcuni mesi, peraltro, il film non è stato propriamente finanziato in crowdfunding, ma la campagna avviata su Kickstarter era mirata a preservare i contenuti del deposito (citato più volte nel film) che costituisce l’archivio di famiglia. Un archivio in cui esistono ancora oggi registrazioni di jam session tra Zappa ed Eric Clapton, tanto per fare un esempio. Il film che è risultato da tale conservazione è stato, in realtà, a sua volta finanziato da vari investitori.

    E nel frattempo vari musicisti che hanno collaborato con lui – da John Lennon a Yoko Ono, passando per Steve Vai, Ian Underwood, George Duke, Ruth Underwood e Alice Cooper – sentitamente ringraziano, commossi e devastati da una dipartita troppo precoce, che ha sfondato la “quarta parete” della musica colta miscelata col rock, e che (detto francamente) non ce la meritavamo. Non così in fretta, Frank: soprattutto oggi, nell’era delle boy band usa e getta, della musica visuale in cui conta più essere fighi che preparati musicalmente, delle hit elette a furor di popolo sui social. Ti avremmo voluto con noi ancora per un po’, in effetti. D’accordo qualsiasi cosa e qualsiasi genere, amici generalisti, ma lasciate vivere per sempre Frank Vincent Zappa.

    Considerato ad oggi uno dei migliori chitarristi di ogni tempo, influenzato in parte dal rhythm and blues e dalla musica classica, divenne sostanzialmente un polistrumentista sperimentatore. Zappa inventò non solo un genere rock del tutto inedito (leggasi: colto, senza essere didascalico ma anzi, che virava spesso sull’autoironico), si considerava prima compositore e solo dopo, molto alla lontana, rockstar. L’equilibrio tra compositore fuori dalle righe e VIP convenzionale, del resto, è alla base della costituzione di ciò che si vede nel film, che documenta in modo maniacale ogni dettaglio  della sua vita, ripescando vari filmati inediti e di archivio. Ne emerge un Frank Zappa sostanzialmente coerente con la biografia ufficiale raccontata nel libro succitato, e ciò dimostra la grande scrupolosità filologica della regia, apertamente fan dell’artista.

    Il contributo più importante che emerge dall’opera, del resto, è forse proprio quello di aver proposto in ottica libertaria e anarcoide un genere musicale che si erse, grazie alla sua inventiva, in modo mai visto prima, in bilico tra mille sottogeneri del periodo, liberando il musicista medio dagli stereotipati sesso, droga e rock’n roll. Del resto, oggi, se molte persone in Italia si sono interessate alla sua musica lo dobbiamo anche, in misura più grande di quanto non si voglia ammettere, ad Elio e le storie tese, i primi musicisti “zappiani” che l’Italia ricordi (quantomeno i più famosi).

    Argomento trattato in lungo e in largo anche questo, più sterminato della sua stessa discografia e riassunto da un frammento televisivo, sopravvissuto fino ad oggi, in cui (evocando grottescamente la scena dei tre uomini col papillon che parlano di aborto, vedi Bojack Horseman) tre conduttori si pongono verso di lui con modi tutt’altro che empatici, sottolineando la necessità di un intervento repressivo verso le forme di arte sataniche e/o sessualmente esplicite.

    Il quadro è straordinario da un punto di vista storico, soprattutto per l’atteggiamento di Zappa che rimane quasi del tutto imperturbabile, arrivando a chiedere all’interlocutore più aggressivo se gli piacerebbe sculacciarlo (e mandandolo apertamente a quel paese, ad un certo punto). È incredibile come si tratti, peraltro, di una scena già vista centinaia di volte in altre sedi, che abbiamo finito quasi per interiorizzare (purtroppo) fino ad oggi.

    Il suo intervento in tribunale contro il PMRC (l’associazione nata nel 1985 per imporre la nota etichetta sui dischi considerati esecrabili, Parental Advisory Explicit Content, la stessa che Elio fece parodisticamente apparire su alcune sue cassette, in forma maccheronica come “Avviso ai parenti”). “Le mogli del Grande Fratello” a cui si fa ironico riferimento nella deposizione zappiana sono, per inciso, le fondatrici del PMRC, tra cui Mary Elizabeth Tipper Gore (riferita peraltro dal titolo di un disco dei Death, Scream Bloody Gore del 1987), Susan Baker, Sally Nevius e Pam Howar. Si pone l’accento anzitutto sulla libertà in cui hanno bisogno di muoversi gli addetti ai lavori, sottolineando come l’intervento censorio fosse limitante in misura economica, oltre che artistica.

    I ragazzini hanno il diritto, dice Zappa, di sapere che esiste qualcosa di diverso dal pop, data la loro naturale propensione all’ascolto, e forse negarglielo rientra in una violazione di un diritto umano. Battersi contro lo stigma sociale per cui un musicista censurato impiegherebbe anni a rifarsi una reputazione, salvo perderla per sempre, Zappa esprime splendidamente il proprio punto di vista, tanto da essere attuale ancora oggi.

    Il risultato fu che, probabilmente in tutta risposta, proprio il suo successivo album Jazz from hell venne etichettato come explicit, nonostante fosse un disco strumentale e – quasi certamente – per via del titolo G-Spot Tornado (parlare del punto G è da maleducati, sembrerebbe). E adesso siamo tutti un po’ la melma, verrebbe da dire citando un suo vecchio brano, ora che tutto è cambiato e chissà quanto, ancora, dovrà cambiare, Frank è morto da tempo: lunga vita a Frank.

  • I 10 autentici comandamenti del cinefilo: punto primo, puoi rivedere un film più volte

    I 10 autentici comandamenti del cinefilo: punto primo, puoi rivedere un film più volte

    Lo hanno fatto anche blog molto peggiori del mio, per cui non vedo perchè non proporre un sano decalogo dei 10 comandamenti del cinefilo D.O.C.!

    Puoi rivedere un film più volte

    Anche se molti blasfemi e miscredenti cercheranno di convincerti del contrario, è possibile, ragionevole e molto gradevole vedere lo stesso film più volte. Non è affatto una cosa monotona da studiosi o professoroni del cinema: questa concezione usa e getta, del resto, non viene certo applicata nella musica, ad esempio. Per cui non si capisce per quale ragione debba essere applicata al cinema.

    Se posso ascoltare Beethoven ancora oggi – pur conoscendolo a memoria, non c’è motivo per cui non debba o possa fare lo stesso con 2001 Odissea nello spazio.

    Torna al cinema (finchè puoi)

    Oggi vediamo tutto in streaming, su schermi di qualità spesso infima, o da siti illegali che ci inondano di pubblicità porno fetish (no mamma, sono i miei amici che mi fanno gli scherzi!). In realtà tornare al cinema (dove purtroppo non si può fumare: se si potesse, come negli anni ’70, sarebbe ancora più suggestivo, al netto dei danni alla salute) è un’esperienza fantastica che dovremmo gustarci al massimo, almeno fino a quando l’ultima delle sale delle nostre città rimarrà aperta.

    Ricordati che il “cinema intellettuale” non esiste

    Probabilmente perchè tutto il cinema è una roba da intellettuali. Anche i film tipo Vacanze di Natale, secondo me – in fondo alcuni requisiti ci sono: nessuno li guarda, tutti ne parlano, molti ci scrivono. E l’unico modo per impattare con l’inconsistenza del cinema da intellettuali è quello di andare ad un festival del cinema, uno qualsiasi (ad Udine ad esempio c’è il Far East). Luoghi fuori dal tempo in cui si incontrano appassionati di cinema di ogni ordine e grado, a creare un miscuglio difficilmente omologabile ad uno standard. Meraviglia! C’è anche da dire che tendenzialmente i festival del cinema sono frequentati da sapiosessuali, cioè da quelli che se non conosci i loro stessi film non scoperanno con te (ovviamente sto ironizzando). In realtà, a parte gli scherzi, assistere ad un film è un prodigio di religiosità laica – questa era pesante – come pochissimi ne sono rimasti, e va gustato dal primo all’ultimo minuto. Un po’ come una partita di calcio, insomma, in cui ogni film è una finale da dentro-fuori con la tua squadra (o regista) del cuore.

    Toglietevi dalla testa che certi titoli “impegnati” non siano alla vostra portata o non siano pensati per voi (sì, proprio per te!) perchè non è affatto così: è solo questione di atteggiamento mentale, oltre che di attitudine.

    Non fermarti ad un genere

    Anche se il tuo genere preferito fosse il thriller sperimentale o l’horror più fuori dalle righe, non fermarti mai a considerare un singolo genere: il cinema è ricco di commistioni, mix apparentemente improbabili quanto efficaci ed interpretazioni magistrali anche in film che mai ti aspetteresti. Motivo per cui: guarda sempre di tutto, da Nekromatik al film romantico che fingi di apprezzare per compiacere la tizia che corteggi dal 2009.

    In Italia ci è voluto Tarantino per accorgerci che avevamo anche noi ottimi registi horror, thriller e via dicendo: prova che dimostra la necessità di rimarcare questo punto.

    Non avere pregiudizi

    Cerca sempre di vedere almeno un paio di film dello stesso regista, prima di emettere un giudizio assoluto. E, ancora più importante: ricordati che il tuo metro di giudizio può cambiare ed evolvere. Un film cheoggi reputi nammerda può diventare il tuo preferito domani (difficilmente avverrà il viceversa): non è questione di coerenza, è questione di buonsenso perchè, semplicemente, non funziona così solo nel cinema.

    Scopri sempre nuovi film

    Discorso molto collegato al precedente: non guardare film solo di un genere o solo di un periodo, perchè rischi di farti un’idea limitativa di quanto quest’Arte oggi sia diventata varia, espressiva e universale. Ormai nulla è di nicchia: chiunque può vedere qualsiasi film, anche grazie ad internet.

    Per cui, cosa stai aspettando? Ci sono film appena usciti, così come perle espressioniste del primo Novecento, che aspettano solo te (si fa per dire, ovviamente).

    Non leggere nulla, prima di guardare

    Leggere di cinema è cosa buona e giusta, ed il fatto che tu sia qui oggi testimonia che probabilmente te ne frega qualcosa, di ‘sto benedetto cinema.  Eppure un errore che molti fanno è quello di leggere prima le recensioni e poi vedere i film, cosa che porta a farsi un’idea coincidente con quella del recensore del momento. Recensore che, in molti casi, è spesso un ciarlatano generalista che scrive modello ghostwriter su qualsiasi cosa gli dicano (ho letto recensioni su Lords of Chaos e su Suspiria di Guadagnino che univano incompetenza e cattivo gusto espressivo ai livelli: tronista di Uomini & Donne).

    Meglio farsi un’idea propria vedendo un film e poi confrontarsi, no?

    Lascia perdere le recensioni sul web

    Su questo blog ne trovi circa 600, almeno al momento in cui butto giù queste righe con le quali, in sostanza, ti sto invitando a goderti le mie parole ma poi ad andare via, a chiudere brutalmente la pagina e a dimenticarti di me.

    Tipico tratto da sapiosessuali (ah ah ah, l’avete capita).

    A parte gli scherzi, diffidate da quello che trovate scritto sul web sui film: abbondano le ricostruzioni arbitrarie delle trame, le interpretazioni ad cazzum delle scene, la critica gentista che sembra essere diventata improvvisamente cazzuta quando era, anni fa, poco più che semplice folklore.

    Insomma: meno chiacchiere e, se proprio volete, leggete qualche libro sul cinema e soprattutto guardate tanti, tantissimi film prima di sparare sentenze.

    Lascia perdere i social

    Parlare di cinema sui social è una cattiva idea come fare il bagnetto al figlio piccolo in una vasca piena di piranha: rischi che ti passi la voglia in pochi istanti, a meno che tu non abbia solo contatti radical chic. Del resto sui social si è in grado di brutalizzare qualsiasi discussione, vogliamo tutti sembrare più ricchi e più belli di quanto davvero siamo, ma c’è già il cinema che – ogni giorno, da quando è nato – si impegna a fare esattamente le stesse cose. Unica differenza, si inventa classe, ricchezza e bellezza dove non ci sono giusto con un po’ di Arte.

    E vale anche per i film di Pozzetto e Lino Banfi, pensa un po’.

    Guarda i film in lingua originale

    Non è un vezzo da esterofili o da radical chic: guardare un film in lingua originale restituisce spesso il vero significato del film stesso. Se ti è possibile farlo, ovviamente (per chi abita nei piccoli centri è un’impresa quasi disperata), guarda sempre i film in lingua originale: ad esempio La casa di Jack è stato tranciato arbitrariamente di due minuti dalla produzione nella versione italiana, e questo soltanto perchè i produttori erano blindati nella convinzione che andasse presentato in questa veste “alleggerita”. Io l’ho visto in inglese sottotitolato, e buonanotte (e sono stato fortunato).

    Per non parlare del doppiaggio, che in questo paese viene considerato un’Arte ma che poi, a bene vedere, viene ormai esercitato dalla qualunque, attori più o meno tali – tanti quanti Youtuber più o meno insulsi, con il rischio che il senso del film venga stravolto del tutto. Ma dico, ve lo immaginate Bohemian Rapsody doppiato in italiano? Io francamente ho trovato irresistibile l’accento di Rami Malek in lingua originale.

  • Grand Guignol: il teatro dell’orrore che prolificò anche in Italia

    Grand Guignol: il teatro dell’orrore che prolificò anche in Italia

    Grand Guignol è usato più che altro come aggettivo, in questi anni, e probabilmente non tutti ricordano le sue oscure origini. Non è un caso che in pochi ricordino questo particolare sottogenere, anche perchè la critica fondamentalmente lo disprezzò sempre, a cominciare da Silvio D’Amico che non perse mai occasione per evidenziarne i limiti. Limiti che, a ben vedere, riguardano sempre le solite questioni per cui l’horror viene snobbato ancora oggi: trame risibili, interpreti sacrificati, minestra riscaldata e così via.

    Nella sua primordiale sublimazione della paura, il palcoscenico apparve come lo scenario claustrofobico ideale per la nascita e la morte di quelle micro-storie, spesso affidate ad effetti speciali artigianali ed ingegnosi che, ovviamente, risentivano dell’effetto “dal vivo”. Uno dei volumi di riferimento sull’argomento, per l’Italia, è senza dubbio Teatro Sinistro di Carla Arduini (Bulzoni Editore), che traccia una storia molto puntuale e precisa del fenomeno, e che abbiamo utilizzato come fonte per la nostra analisi.

    Nascita del Grand Guignol

    Il Grand Guignol venne fondato formalmente a Parigi, nel quartiere Montmatre, nel 1897, dove rimase attivo fino al 1962. Col tempo si diffuse anche fuori dai confini francesi,e  furono moltissime le compagnie che provano, non sempre con troppo successo, ad emularne le gesta. Lungi dall’essere un fenomeno localizzato o di provincia, il Grand Guignol venne emulato un po’ dovunque in Europa, ed affascinò per molto tempo artisti, impresari e pubblico, ponendo una base indiretta del concepimento di moltissimi film horror, sia di vecchia e nuova generazione.

    Tematiche del Grand Guignol

    Gli spettacoli di questo genere, che potremmo agevolmente definire un teatro horror o teatro thriller che dir si voglia, erano quasi sempre atti unici estremamente compressi  e circoscritti, in cui venivano narrate storie di efferati delitti caratterizzati da una forma di realismo molto marcato. Sangue, crudeltà e violenza la facevano da padrone, ed in cui le narrazioni sono ambientate, spesso e volentieri, nei vicoli bui delle città in cui si viveva all’epoca.

    La derivazione del genere horror a livello cinematografico dal Grand Guignol appare, a questo punto, lampante – così come il tasso di exploitatation in qualche modo in nuce, vincolato da effetti speciali da palcoscenico che, per forza di cose, dovevano sfruttare l’ingegnosità (al contrario di un film, se un effetti speciale salta perde credibilità l’intera messa in scena, e non si può certamente tagliare nulla).

    Grand Guignol in Italia

    Nel nostro paese la figura di riferimento nel genere fu senza dubbio la compagnia di Alfredo Sainati, capocomico ed attore della Drammatica Compagnia Italiana, che propose un ricco repertorio di Gran Guignol dal 1908 al 1936). A livello internazionale, per inciso, la drammaturgia di riferimento viene spesso ricondotta ad Andrè De Lorde (1871-1942).

    Pline, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons – L’attuale International Visual Theatre, dove nacque in Grand Guignol – attualmente restaurato e dall’aria diversa rispetto a come si presentava all’epoca.

    Sainati non fu l’unico artefice di una compagnia del genere, ma sicuramente fu tra quelli che durarono di più: si contarono compagnie di Gran Guignol italiane che non durarono neanche un anno, a volte. Sulla figura di Sainati ci sarebbe moltissimo da scrivere: venne considerato l’unico autentico artefice del genere del teatro horror nel nostro paese, nonostante un esordio non proprio incoraggiante: dopo il debutto al Teatro Pavone di Perugia, Sainati lancia il Grand Guignol nelle città di Napoli, Torino, Firenze e Milano, ottenendo una reazione quasi sempre non esaltante dalla critica, che considerò il genere eccessivo e, in qualche modo, diseducativo.

    La cosa che rende interessante il genere, di fatto, è che a mio avviso conferisce al genere una forma di letteratura popolare: della serie, se è vero che le storie di questo tipo sembrano tratte da fatti di cronaca tanto assurdi da sembrare inventati, c’è sempre l’approfondimento psicologico e intimo dei personaggi, con riferimenti espliciti a sesso, morte e violenza. Eppure all’inizio del Novecento un letterato come James Joyce si era interessato al genere, tanto da contattare Sainati per fargli realizzare la Cavalcata del Mare di Synge, progetto mai realizzato per mancata autorizzazione degli eredi dell’autore. Riders to the sea è considerato uno dei capolavori del teatro irlandese, un atto unico in cui si mescola un singolare connubio tra realismo, sovrannaturale e folklore.

    Alcune trame degli spettacoli di Grand Guignol

    Gli intrecci del Grand Guignol erano in genere brevi ed intensi, spesso anche a discapito dell’approfondimento psicologico dei personaggi, e caratterizzati da micro-mondi che si aprivano e si dischiudevano in pochi attimi. Molte di quelle storie si limitavano ad aprire e chiudere un micro-universo, come avviene nel caso della storia di un medico che, scoperto che la propria moglie aveva un amante, li chiude in un cottage, inoculando ad uno dei due il virus della rabbia (senza specificare quale). Quasi un Hostel in nuce, verrebbe da dire, in grado di fornire in modo essenziale uno dei feeling più comuni del teatro horror: il tema, svisceratissimo anche nel cinema, della vendetta.

    Premesso che molti di questi spettacoli assorbivamo più elementi al proprio interno (inclusi alcuni ironici o intrisi di humor nero), il libro più celebre nella nostra lingua che ne parla è senza dubbio Teatro del Grand Guignol di Corrado Augias, un libro non più edito dei primi anni 70 e attualmente (a quanto pare) di complicata reperibilità. Tra le opere citate ve n’è una, Mammina, che suscita più di una curiosità: è l’unica della raccolta di cui non è noto il nome del traduttore (la maggioranza sono state tradotte da Carlo Cignetti e Giuseppe Concabilla), e a dispetto dell’innocenza del titolo è una storia terribile, in qualche modo quasi antesignana del genere rape’n revenge. Una prostituta in vena di trasgressione si concede ad un apache dall’aria selvaggia: chiede all’uomo, durante il rapporto, di raccontargli il suo ultimo crimine. Si rende progressivamente conto che le vittime da lui indicate sono la madre ed il figlio della donna, motivo per cui ucciderà l’uomo pugnalandolo. Sabotaggio di Charles Hellem, W. Valcros e Pol D’Estoc è un altro dramma incidentalmente familiare dai toni simili: un operaio fa saltare la corrente del proprio quartiere come atto di ribellione e sabotaggio, ma nel farlo provoca un problema al figlio malato di crup, proprio mentre sta subendo una tracheotomia che ovviamente fallisce.

    Con l’avvento del cinema, progressivamente, il Gran Guignol perse, anno dopo anno, la propria popolarità, per essere recuperato solo in seguito da alcune compagnie teatrali (in Italia, ad esempio, il Grand Guignol de Milan). Le suggestioni del teatro dell’orrore, ovviamente, non dovrebbero mai essere sottovalutata – nemmeno oggi.

  • Devolution. Una teoria DEVO è carico di amarezza (e realismo)

    Devolution. Una teoria DEVO è carico di amarezza (e realismo)

    Sono tornati i DEVO, e lo hanno fatto con un documentario in free streaming, di quelli da non perdere per nessun motivo. Quello dei DEVO sul sito della RAI viene definito “rock sociologico”, una definizione originale quanto inedita quanto, a mio modo di vedere, azzeccata.

    Il documentario “Devolution. Una teoria DEVO” viene proposto in Italia su Rai 5, ed è attualmente reperibile in streaming gratuito dal sito ufficiale; di fatto, attraversa le origini della celebre band, partendo dagli studi alla Kent State University che accomuna i quattro componenti (ad oggi, dopo alcuni cambi di formazione: Gerald V. Casale, Mark Mothersbaugh, Bob Mothersbaugh, Josh Freese) e snocciolando aneddotica, storie più o meno serie e quant’altro.

    Il senso del documentario è chiaro: dopo molti anni dalle prime uscite discografiche (la prima fu del 1978, per la Warner Bros., dal titolo nerdistico Q: Are We Not Men? A: We Are Devo! il quale venne classificato frettolosamente come new wave) siamo arrivati ad un punto, nella storia dell’umanità, in cui la de-evoluzione è evidente (fake news, post verità, Trump, disastri ambientali e via dicendo) ed ha smesso di essere, di fatto, solo una mera narrazione da musicisti colti.

    I DEVO seppero costruire intrecci musicali mai sentiti prima – dando un senso al rock elettronico che fosse quasi “pop” nella forma, quanto profondissimo nella sostanza: per convincersene, basta leggere il testo di Beautiful World e la celebre inversione di significato contenuta nel testo (il mondo è bellissimo per te – ma non per me).

    Devolution: A Devo Theory (produzioni Escape Media) viene concluso nel 2020, agli albori della pandemia, per poi essere pubblicato l’anno dopo su varie piattaforme di streaming, a cominciare da quelle australiane. Il documentario è incentrato molto sulle interviste ai quattro protagonisti, esplorando così i DEVO delle origini, il contesto sociale in cui si mossero e la cupa filosofia che ne accompagna le esibizioni: l’uomo si sta de-evolvendo, diventando sempre più nichilista, avido e propenso all’autodistruzione della razza umana.

    La critica culturale e sociologica dei DEVO passa ovviamente per i loro studi universitari, per il sentirsi “fuori dal coro” già negli anni ’70 e per episodi politici ben precisi (viene citata e ricordata la repressione, da parte della Guardia Nazionale, contro gli studenti durante la sparatoria della Kent State).

    Come ricordato anche nell’articolo sul video di Jocko Homo, quella dei DEVO fu performance dadaista sia musicale che visuale,  sviluppata in modo intelligente ed arrivata, ad oggi, ad un punto di non ritorno. L’uomo è diventato un imbecille senza speranza, pronto al suicidio collettivo-graduale, ovvero la de-evolution “profetizzata” è reale. Ciò che all’epoca faceva ridere o sorridere in nome del dada, oggi è forse più inquietante di un film post-apocalittico.

    Il futuro è qui: e non è una bella cosa.

    Già più di 40 anni fa i DEVO si accorsero che c’era qualcosa di sbagliato nella storia umana; l’evoluzione sembrava aver terminato il proprio corso, consegnando alla storia una spirale di morte all’insegna della decadenza, dell’approssimazione e di assurde teorie o convinzioni che aleggiano in ognuno di noi. Il riferimento all’oggi è diretto quanto credibile, oltre che azzeccato nella sostanza, e si evince grandemente dalla struttura dei loro testi. Il tutto per quanto, a ben vedere, molti di essi giocassero di (poco ovvi, forse) giochi di parole: nella citata Freedom of choice, ad esempio, si afferma “essere libero di scegliere è ciò che hai, essere libero di non farlo è ciò che vuoi“.

    I fratelli Mark e Bob Mothersbaugh si unirono a Gerald Casale e Alan Myers, sulla falsariga delle delusioni derivanti dall’aver manifestato vanamente contro l’invasione USA in Cambogia. Vollero creare una musica nuova, che suonasse in modo diverso sia dal blues che dal progressive rock all’epoca dilagante.

    “Volevamo essere solo un gruppo art rock un po’ strambo, non volevamo certo avere ragione”

  • Film gratis: guida allo streaming legale a costo zero

    Film gratis: guida allo streaming legale a costo zero

    Se stai cercando un filmstreaming  sei arrivato nel posto giusto, e puoi stare molto tranquillo: questa pagina è volutamente senza pubblicità fastidiose e malware che infettano il tuo PC. Ci interessa davvero farti trovare un po’ di film in streaming, per cui dai un occhio alla nostra lista e non te ne pentirai.

    Cerchi un po’ di film in streaming da vedere a casa sdraiato sul divano, in tutta comodità? Eccoli!

    Film gratis (con pubblicità) su Chili

    Chilli ha avuto un’idea geniale, secondo me: proporre buona parte del proprio catalogo in streaming gratuito con pubblicità inclusa. Un po’ come quando vediamo i film nella TV commerciale: a molti da’ fastidio essere interrotti (ad esempio a me ne dà parecchio), pero’ il catalogo merita una visione perchè c’è davvero di tutto, anche i nostri amatissimi film di genere, un sacco di titoli difficili da trovare altrove e via dicendo. Cliccate qui per vedere i film

    L’uso del sito richiede un login con un account Google oppure con Facebook.

    Open Culture

    La piattaforma di streaming OpenCulture offre circa 700 film in streaming gratuito, quasi tutti in lingua originale. Li potete trovare qui.

    Archivio Prelinger

    L’archivio Prelinger riguarda una collezione di film relativi al patrimonio culturale USA, la sua storia e la sua evoluzione: li potete trovare su Archive.org. Fate attenzione perchè, in generale, non tutti i contenuti di Archive sono free, ma potrebbero esistere licenze intermedie di vario genere.

    Film noir

    Esiste una sezione apposita in archive.org.

    Film horror e fantascienza

    Esiste una sezione apposita, anche qui, in archive.org.

    Cortometraggi

    Esiste una sezione apposita, anche qui, in archive.org.

    Film muti

    Li trovate su archive.org.

    Film commedia

    Ad esempio potete trovare i film di Charlie Chaplin, sempre su archive.org.

    Rai.TV

    La piattaforma di streaming ufficiale della RAI offre un’ampia selezione di film in italiano visionabili gratuitamente, potete trovarli qui. Una vera miniera soprattutto per i film classici e quelli un po’ più d’autore, in molti casi, con una vastissima selezione che include anche titoli teatrali.

    Per i cinefili cultori dei film proposti da Enrico Ghezzi, c’è pure la sezione dedicata a Fuori Orario.

    L’uso del sito richiede, anche in questo caso, un login con un account Google oppure con Facebook.

    Altri film horror e fantascienza di pubblico dominio (in inglese)

    Qui trovate, tra gli altri, film come Carnival of souls, Il fantasma dell’opera e Nosferatu.

    VVVVID

    VVVVID è un canale TV che funziona come aggregatore di contenuti gratuiti, all’interno del quale, sia da desktop che da iOS e Android, è possibile visionare moltissimi film senza dover pagare nulla.

    Tarkovskij

    Proseguiamo dai film del regista sovietico Andrej Arsen’evič Tarkovskij, che sono stati recentemente messi online dalla casa di produzione in HD, con sottotitoli in italiano. Qui trovate i titoli principali che sono direttamente disponibili da Youtube.

    Film & Click

    Questo canale di Youtube offre legalmente moltissimi film in lingua inglese, di ogni genere, ma trovate anche molti titoli in italiano di drammatici e western.

    Altre risorse da consultare

    Di seguito ho raccolti siti web con torrent e streaming gratuiti.

    Fermo restando che per me andare al cinema, oggi, rimane un’esperienza mistica che nessun Netflix potrà mai pareggiare, e considerando che in linea di massima non tutti hanno soldi da spendere per vedere film online, direi che una bella rassegna del miglior cinema disponibile in streaming gratuito non sia affatto male: sia perchè comunque in questo blog parliamo spesso di film, sia perchè immagino che la cosa possa essere gradita a molti – anche perchè non ho trovato liste esaustive in questo ambito, e credo sia doveroso invece omaggiare l’arte del cinema anche in questo modo.

    In genere le leggi sul copyright variano da stato a stato: ad esempio si mantiene il copyright per 70 anni dalla morte dell’autore (in alcuni stati per 50 anni), e questo già di suo tende a cozzare con la natura del web: finchè esisterà la neutralità della rete, quantomeno, sarà sempre possibile accedere gratuitamente a contenuti che sarebbero a pagamento, o viceversa, per cui informatevi bene se ad esempio avete bisogno di film da proiettare durante festival, rassegne e simili.